Codice di Procedura Penale art. 497 - Atti preliminari all'esame dei testimoni.Atti preliminari all'esame dei testimoni. 1. I testimoni [194 s.] sono esaminati l'uno dopo l'altro nell'ordine prescelto dalle parti che li hanno indicati [149 att.]. 2. Prima che l'esame abbia inizio, il presidente avverte il testimone dell'obbligo [198] di dire la verità. Salvo che si tratti di persona minore degli anni quattordici [196, 498 2], il presidente avverte altresì il testimone delle responsabilità previste dalla legge penale [372 c.p.] per i testimoni falsi o reticenti e lo invita a rendere la seguente dichiarazione: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Lo invita quindi a fornire le proprie generalità [495 c.p.]. 2-bis. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, anche appartenenti ad organismi di polizia esteri, i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, gli ausiliari, nonché le interposte persone, chiamati a deporre, in ogni stato e grado del procedimento, in ordine alle attività svolte sotto copertura ai sensi dell'articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e della legge 3 agosto 2007, n. 124, e successive modificazioni, invitati a fornire le proprie generalità, indicano quelle di copertura utilizzate nel corso delle attività medesime1. 3. L'osservanza delle disposizioni del comma 2 è prescritta a pena di nullità [181, 182].
[1] Comma inserito dall'art. 8 l. 13 agosto 2010, n. 136 e modificato dall'art. 8, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv., con modif. in l. 17 aprile 2015, n. 43, che ha inserito, dopo le parole: «di polizia esteri,» le parole: «i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza,» e dopo le parole: «della legge 16 marzo 2006, n. 146,» le parole: «e della legge 3 agosto 2007, n. 124,». V., anche, l'art. 8 d.l. n. 7, cit., sulle disposizioni in materia di garanzie funzionali e di tutela, anche processuale, del personale e delle strutture dei servizi di informazione per la sicurezza. InquadramentoL'articolo in esame lascia alla libertà delle parti la scelta dell'ordine di escussione dei testimoni all'interno del proprio turno istruttorio. L'esame testimoniale è sempre preceduto, a pena di nullità, da due avvertimenti (obbligo di dire la verità e conseguenze penali delle dichiarazioni false o reticenti) e due inviti (leggere la dichiarazione di impegno e fornire le proprie generalità, che saranno quelle fittizie per i testimoni “sotto copertura”). Aspetti generaliDopo aver elencato l'ordine dell'assunzione delle prove con l'art. 496, il legislatore, con la norma in commento, indica gli atti preliminari da compiere prima di dare formalmente inizio all'assunzione delle prove. La dottrina ritiene che la norma non sia applicabile solo alla prova testimoniale, come sembra emergere dal tenore letterale, ma si estenda all'intera attività probatoria delle parti, trattandosi di una previsione normativa espressione di un principio di carattere generale (Avanzini, 52; Corbetta, in Giarda-Spangher, 6352). Il primo comma dell'art. 496 riconosce alle parti piena libertà nell'organizzazione delle prove, potendo chiamare i testimoni secondo l'ordine prescelto per illustrare la propria ipotesi ricostruttiva e realizzare la propria strategia processuale. La disposizione in esame prevede comunque che i testimoni siano ascoltati l'uno dopo l'altro. Si tratta di una previsione di carattere organizzativo che ha lo scopo di evitare un esame cumulativo delle prove orali che potrebbe compromettere la genuinità delle fonti a causa di influenze reciproche (Adorno, in Spangher, IV, 2009, 287; Mambriani, 462). Sempre al fine di garantire la genuinità della deposizione, l'art. 149 disp. att. prevede che il testimone, prima di rendere l'esame, non possa comunicare con alcuna delle parti, con i difensori ed i consulenti tecnici, né assistere all'esame delle altre persone, né vedere, udire o comunque essere informato su quanto avviene in aula. Tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, la violazione del suddetto divieto — purtroppo non infrequente nella prassi — non determina alcuna conseguenza processuale, in particolare né inutilizzabilità né nullità, ma è evidente che il comportamento del teste sarà valutato dal giudice ai fini della sua attendibilità (Cass. V, n. 8367/2013). L'unica eccezione alla libertà delle parti di organizzare il proprio turno istruttorio è prevista per l'esame delle parti private, che l'art. 150 disp. att. prevede abbia luogo una volta terminata l'assunzione delle prove a carico dell'imputato, secondo l'ordine previsto dall'art. 503, comma 1, Atti preliminari all'esame dei testimoniIl capoverso dell'art. 497 disciplina gli adempimenti da compiere prima che abbia inizio l'escussione testimoniale. Innanzitutto, il presidente deve avvertire il testimone dell'obbligo di dire la verità (come prevede l'art. 198, comma 1), informandolo delle conseguenze penali in caso di testimonianza falsa o reticente (fattispecie punibile ai sensi dell'art. 372 c.p.). Mentre il primo avvertimento è rivolto a tutti i testimoni, il secondo non riguarda il minore di anni quattordici, in quanto soggetto non imputabile. L'attuale codice di rito, in omaggio alla tutela della libertà di coscienza, ha sostituito il giuramento previsto dal previgente codice di rito, sostituendolo con un impegno pubblico e solenne di veridicità. Il testimone, infatti, è invitato a leggere una formula, in base alla quale dichiara di essere consapevole della responsabilità morale e giuridica che assume con la sua deposizione e di impegnarsi a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza. L'ammonimento presidenziale e il formale impegno a dire la verità sono stati esclusi per i testimoni di età inferiore ai quattordici anni, ritenuti non in grado di apprezzare il disvalore della violazione dell'impegno assunto. A pronunciare la formula di impegno sono chiamati tutti i dichiaranti tenuti all'obbligo di verità, compresi i testimoni assistiti e gli imputati di un procedimento connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. c) o di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), che non abbiano in precedenza reso dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato e che, in seguito all'ammonimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), non ritengano di avvalersi della facoltà di non rispondere. Qualora le dichiarazioni dell'imputato di un reato collegato siano state irritualmente assunte con la forma della testimonianza e la pronuncia della formula di cui all'art. 497, comma 2, c.p.p., le stesse possono essere utilizzate dal giudice a fini probatori, sempre che non sia stata violata alcuna garanzia sostanziale, e segnatamente quella sancita dall'art. 198, comma 2 (Cass. V, n. 41169/2008). Dopo aver pronunciato la formula di impegno, il testimone, su invito del presidente, ha l'obbligo di declinare le proprie generalità, che andranno inserite, ai sensi dell'art. 510, nel verbale di assunzione delle prove. Poiché il nostro ordinamento non consente di assumere una prova orale proveniente da testimoni anonimi o non identificati, il rifiuto di fornire le proprie generalità dinanzi all'autorità giudiziaria equivale al rifiuto di fornire un ufficio legalmente dovuto, con conseguente integrazione della fattispecie delittuosa di cui all'art. 366 c.p. (Frigo, in Chiavario, V, 218), mentre la declinazione di generalità false integra la fattispecie di cui all'art. 495 c.p. Più controversa è l'applicabilità della fattispecie penale di cui all'art. 366 c.p. a chi rifiuta di dare lettura alla dichiarazione di impegno. Infatti, il capoverso della predetta norma punisce il rifiuto di «prestare il giuramento richiesto», adempimento non più previsto dall'attuale codice di rito, di talché il divieto di analogia in malam partem vigente in materia penale dovrebbe escludere l'applicazione di tale norma incriminatrice all'inosservanza dell'obbligo in questione (Frigo, 219). Il comma 2-bis dell'art. 497 impone agli agenti e ufficiali di polizia giudiziaria che operano sotto copertura di continuare ad utilizzare le generalità fittizie a loro assegnate anche durante l'esame testimoniale. Mantenere ignota l'identità degli operatori sotto copertura serve a garantirne l'incolumità e a consentire loro la prosecuzione delle operazioni investigative, anche se non può nascondersi che l'anonimato della fonte di prova potrebbe generare un vulnus al diritto dell'imputato di esaminare le persone che rendono dichiarazioni a carico (art. 111, commi 2 e 3, Cost.). In virtù dell'inciso «in ogni stato e grado del procedimento», la speciale disciplina si applica in ogni contesto in cui l'operatore sotto copertura sia chiamato a rendere dichiarazioni, quindi non soltanto in dibattimento (di primo e di secondo grado), in udienza preliminare, nel giudizio abbreviato e nell'incidente probatorio, ma anche in tutte le possibili audizioni in fase investigativa, a condizione che l'esame o l'audizione riguardino le attività svolte sotto copertura. Regime sanzionatorioIl capoverso dell'art. 497 prevede la nullità della testimonianza in caso di omissione degli avvertimenti e degli inviti presidenziali e omissione dell'obbligo di rendere la dichiarazione di impegno a dire la verità e di fornire le proprie generalità. Poiché la prova del compimento delle formalità richieste dall'art. 497. è data dal verbale di udienza, si può legittimamente ritenere che gli adempimenti previsti siano stati omessi se non ve ne è menzione nel verbale di dibattimento (Cass. IV, n. 7824/1994). La giurisprudenza consolidata ritiene che quella in esame sia una nullità relativa, eccepibile, a pena di decadenza, dalla parte che vi ha interesse prima che l'esame abbia inizio (Cass. V, n. 44860/2015). In caso di testimonianza assistita, l’eccezione può essere formulata anche dal difensore del teste, in quanto la previsione dell'art. 182, comma 2, fa riferimento non alla parte processuale, ma alla parte di un atto, qual è il teste assistito nel corso della sua escussione (Cass. V, n. 41260/2019). Secondo la dottrina, l'eccezione di nullità relativa può essere sollevata dalla parte interessata fino a quando il teste non viene liberato (Mambriani, 463). Non genera, invece, alcuna nullità l'omesso avvertimento al teste sospettato di falsità ai sensi dell'art. 207 (Cass. II, n. 31384 /2004) Applicabilità della disciplina in tema di prova testimoniale a periti e consulenti tecniciNon è chiaro se la disciplina in tema di assunzione della prova testimoniale debba trovare applicazione anche nei confronti di periti e consulenti tecnici. Per quanto riguarda i periti, l'art. 226 prevede che il tecnico nominato dal giudice si impegni a far conoscere la verità (obbligo sanzionato penalmente dall'art. 373 c.p.), di talché la previsione di cui all'art. 497, comma 2, potrebbe apparire ultronea nei loro confronti. Il consulente tecnico, invece, può essere nominato dalla parte, anche quando non sia disposta alcuna perizia e può anche non rispondere a domande che ricadono su circostanze vertenti il segreto professionale. L'art. 501 richiama, per l'esame dei consulenti delle parti, le regole dell'esame dei testimoni in quanto compatibili. Secondo la giurisprudenza di legittimità, in virtù del suddetto rinvio, il consulente tecnico va equiparato al testimone (Cass. III, n. 4672/2014), con la conseguenza che il giudice deve rivolgergli l'avvertimento sull'obbligo di dire la verità e l'invito a leggere la formula di impegno. In dottrina vedi Nappi, 479. BibliografiaMambriani, Esame e controesame delle parti: spunti sistematici, in Arch. n. proc. pen. 1999, 462. V. sub art. 496. |