Codice di Procedura Penale art. 552 - Decreto di citazione a giudizio 1Decreto di citazione a giudizio1 1. Il decreto di citazione a giudizio contiene: a) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con indicazione dei difensori; b) l'indicazione della persona offesa, qualora risulti identificata; c) l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'identificazione dei relativi articoli di legge; d) l'indicazione del giudice competente per l'udienza di comparizione predibattimentale nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione [160 att.; 201 reg.], con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza [420-quater]2e potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede3; e) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio; f)l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, , entro il termine di cui all'articolo 554-ter, comma 2, può presentare le richieste previste dagli articoli 438 e , 444 e 464-bis [556] ovvero presentare domanda di oblazione [141 att.]4; g) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari [4162] è depositato nella cancelleria del giudice e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia [433; 162, 162-bis c.p.]5; h) la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste; h-bis) l'avviso che l'imputato e la persona offesa hanno facoltà di accedere a un programma di giustizia riparativa6. [1-bis. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale e per i reati previsti dall'articolo 590-bis del medesimo codice, il decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari7.] 1-ter. Qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'articolo 590, terzo comma, del codice penale e per i reati previsti dall'articolo 590-bis del medesimo codice, la data di comparizione di cui al comma 1, lettera d), è fissata non oltre novanta giorni dalla emissione del decreto8.
2. Il decreto è nullo se l'imputato non è identificato in modo certo ovvero se manca o è insufficiente l'indicazione di uno dei requisiti previsti dalle lettere c), d), e) ed f) del comma 1. Il decreto è altresì nullo se non è preceduto dall'avviso previsto dall'articolo 415-bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui al comma 3 del medesimo articolo 415-bis. 3. Il decreto di citazione è notificato, a pena di nullità, all'imputato, al suo difensore e alla parte offesa [90, 91] almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione predibattimentale. Nei casi di urgenza, di cui deve essere data motivazione, il termine è ridotto a quarantacinque giorni9. 4.Il decreto di citazione è depositato dal pubblico ministero nella segreteria [unitamente al fascicolo contenente la documentazione, gli atti e le cose indicati nell'articolo 416, comma 2]10.
[1] Il libro VIII del codice, comprendente gli articoli da 549 a 567, è stato interamente sostituito dall'art. 44 , comma 1, l. 16 dicembre 1999, n. 479. [2] Lettera modificata dall'art. 32, comma 1, lett. b) n. 1), lett. a) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole «per l'udienza di comparizione predibattimentale» alle parole «per il giudizio» e le parole «in assenza» alle «in contumacia». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [3] Le parole «e potranno essere disposte, ove ne ricorrano le condizioni, le sanzioni e le misure, anche di confisca, previste dalla legge in relazione al reato per cui si procede;» sono state aggiunte dall'articolo 4, comma 1, lett. c), del d.lgs. 7 dicembre 2023, n. 203. [4] Lettera modificata dall'art. 32, comma 1, lett. b) n. 1), lett. b) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole «per l'udienza di comparizione predibattimentale» alle parole «per il giudizio» e le parole «in assenza» alle «in contumacia». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [5] Lettera modificata dall'art. 32, comma 1, lett. b) n. 1), lett. c) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha sostituito le parole «per l'udienza di comparizione predibattimentale» alle parole «per il giudizio» e le parole «in assenza» alle «in contumacia». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [6] Lettera aggiunta dall'art. 32, comma 1, lett. b, n. 1, lett. d) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [7] Comma abrogato dall'art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Precedentemente il presente comma è stato inserito dall'art. 4, comma 4, l. 21 febbraio 2006, n. 102 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 5, lett. g), num. 1, l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8, l. cit. [8] Comma inserito dall'art. 4, comma 4, l. 21 febbraio 2006, n. 102 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 5, lett. g), num. 2, l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8, l. cit. [9] Comma modificato dall'art. 32, comma 1, lett. b, n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che ha inserito le parole «, a pena di nullità,» dopo le parole «notificato» e le parole «predibattimentale» dopo le parole «di comparizione». Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. [10] Le parole: «unitamente al fascicolo contenente la documentazione, gli atti e le cose indicati nell'articolo 416, comma 2» sono state soppresse dall'art. 32, lett. b, n. 3, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. InquadramentoIl decreto di citazione a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica, all'esito delle innovazioni introdotte dalla l. n. 479/1999, ha conservato la duplice funzione di atto di vocatio in ius, ed al tempo stesso destinato a sollecitare l'accesso ai riti alternativi (attraverso le avvertenze di cui alla lett. f): la disposizione va coordinata all'art. 159 disp. att. c.p.p., il cui secondo comma prevede che il p.m. possa immediatamente manifestare, nello stesso decreto di citazione, il proprio consenso all'applicazione della pena ex art. 444): « comunque, non è più attraverso il decreto di citazione e la sua notificazione all'imputato che si punta ad ottenere un risultato in termini di deflazione dibattimentale, in quanto tale finalità è perseguita tramite l'apposita udienza di comparizione (art. 555), deputata, tra l'altro, proprio alla definizione accelerata del giudizio per mezzo dei diversi riti alternativi. Peraltro, in questo modo il pubblico ministero non sarà più il solo a gestire e a indirizzare gli sviluppi processuali, in quanto tutto avviene dinanzi al giudice del dibattimento, il quale è destinato, soprattutto per determinate tipologie di reato, a svolgere anche una funzione che, in termini impropri, può essere definita di mediazione e, in ogni caso, di riferimento, anche per quanto riguarda le scelte processuali dell'imputato » (Fidelbo-Gallucci, 324 s.). I requisiti del decreto di citazione a giudizioI requisiti del decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal p.m., indicati dall'art. 552, richiamano in gran parte quelli previsti dall'art. 429 per il decreto che dispone il giudizio reso dal g.u.p. all'esito dell'udienza preliminare. In particolare, all'esito delle modifiche introdotte dalla c.d. “riforma Cartabia”, ed in particolare dagli artt. 32, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 150 del 2022 (che ha modificato le lettere d, f, g, ed introdotto la lettera h-bis): 1) quelli di cui alle lett. a), b), c), d), h) ed h-bis) del comma 1 dell'art. 552 corrispondono a quelli previsti dalle lett. a), b), c), d-bis), e), f), g) del comma 1 dell'art. 429; 2) quelli di cui alle lett. e), f), g) del comma 1 dell'art. 552 sono specifici del procedimento di citazione diretta a giudizio da parte del P.M.; 3) quello di cui alla lett. d) del comma 1 dell'art. 429 è specifico del procedimento di citazione a giudizio all'esito dell'udienza preliminare. Il decreto di citazione a giudizio, da chiunque emesso, contiene sempre: 1) le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; 2) l'indicazione della persona offesa dal reato, qualora risulti identificata; 3) l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; 4) l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione in udienza predibattimentale, con l'avvertimento all'imputato che non comparendo sarà giudicato in assenza; 5) l'avviso all'imputato ed alla persona offesa che hanno facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa; 6) la data e la sottoscrizione del magistrato emittente (il p.m., nei casi di cui all'art. 552; il g.u.p., nei casi di cui all'art. 429), e dell'ausiliario che lo assiste. Il decreto di citazione diretta a giudizio reso dal p.m. contiene inoltre: 7) l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore d'ufficio; 8) l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, entro il termine di cui all'art. 554-ter, comma 2, c.p.p., può presentare le richieste previste dagli artt. 438, 444 e 464-bis, ovvero presentare domanda di oblazione; 9) l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella cancelleria del giudice e che le parti e i loro difensori hanno facoltà di prenderne visione e di estrarne copia. Il decreto di rinvio a giudizio reso dal g.u.p. all'esito dell'udienza preliminare (in ordine al quale si rinvia, amplius, al commento sub art. 429) contiene, inoltre: — l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono. In dottrina (Beltrani, 55) si è osservato, in proposito, che « la mancata previsione delle fonti di prova nel decreto di citazione diretta a giudizio reso dal P.M. evidenzia che tale atto (a differenza del decreto che dispone il giudizio reso all'esito dell'udienza preliminare dal g.u.p.) ha natura ordinatoria, ed è privo di natura decisoria: per tale ragione, esso non è soggetto all'obbligo di motivazione ». Per i requisiti del decreto di giudizio immediato, si rinvia al commento sub art. 456. L’indicazione della persona offesa dal reato (lett.b) L'omessa indicazione della persona offesa dal reato non figura tra le cause di nullità del decreto di citazione diretta a giudizio. La giurisprudenza, con riguardo al “vecchio” rito pretorile, aveva, peraltro, osservato che il vizio rientra tra le nullità di ordine generale di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), ma non tra quelle assolute ed insanabili (costituendo, infatti, una nullità a regime intermedio); essa « non impedisce la progressione del procedimento dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio, né l'instaurazione, fra le parti necessarie, del rapporto processuale che rappresenta il presupposto del giudizio; ne consegue che il provvedimento del pretore il quale, accertata la predetta nullità, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, determina una situazione di regressione del procedimento in un caso non previsto dal sistema processuale e deve, pertanto, considerarsi abnorme » (Cass. S.U., n. 10/1997). Il giudice può porvi rimedio o rinnovando interamente l'atto di citazione a giudizio o la relativa notifica (ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.p.: in argomento, si rinvia, amplius, infra), ovvero disponendo la citazione dell'offeso per un'udienza successiva, in modo da consentire l'eventuale costituzione di parte civile prima dell'inizio del dibattimento (Cass. III, n. 683/1999). In ogni caso, per dedurre la predetta nullità, sarebbe necessario, ai sensi dell'art. 182, avervi interesse, e l'imputato ne è privo (a meno che non ne dimostri la concreta sussistenza), poiché la citazione della persona offesa ha il solo scopo di consentire al destinatario l'eventuale costituzione di parte civile e, d'altro canto, l'imputato conserva pur sempre la facoltà di citare la persona offesa come testimone (Cass. IV, n. 34784/2007: nella fattispecie, relativa a furto di energia elettrica, la S.C. ha ritenuto che l'imputato non potesse vantare alcun interesse concreto alla eccepita quantificazione del danno attraverso la citazione della parte lesa, posto che, per le modalità di sottrazione dell'energia, tale quantificazione era comunque impossibile; conf., Cass. VI, n. 12196/2005 e Cass. II, n. 12765/2011). La contestazione in forma chiara e precisa (lett. c) La dottrina ha ritenuto « frutto di un mero errore materiale (superabile in sede di interpretazione sistematica) il differente riferimento alla necessità della “forma chiara e precisa” per l'enunciazione del fatto e delle circostanze (art. 429, comma 1, lett. c, c.p.p.), ovvero del solo fatto (art. 552, comma 1, lett. c), poiché non vi è ragione alcuna per non riferire la previsione a tutti gli elementi della contestazione (e quindi anche alle circostanze, che ne costituiscono parte integrante), e comunque per distinguere i requisiti della contestazione nel rito collegiale ed in quello monocratico » (Beltrani, 58). La nuova previsione che l'enunciazione del fatto debba avvenire «in forma chiara e precisa» sembrerebbe decisamente superare (a meno di non voler ritenere la modifica meramente descrittiva, e quindi priva di concreta portata innovativa) il precedente orientamento giurisprudenziale che, ai fini della completezza, nei suoi elementi essenziali, del capo d'imputazione riteneva sufficiente che il fatto fosse contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Cass. I, n. 12474/1994): l'enunciazione del fatto in tanto poteva dirsi carente in quanto, in concreto, potesse ritenersi che l'imputato fosse risultato impossibilitato a conoscere i tratti essenziali del fatto di reato, attribuitogli dall'accusa, per potersene adeguatamente difendere (Cass. III, n. 1222/1994, per la quale tale idonea conoscenza deve ritenersi verificata quando l'imputato abbia proposto richiesta di applicazione della pena patteggiata, così dimostrando di essere ben consapevole dell'imputazione ascrittagli); si osservava, in particolare, che, in considerazione della centralità del dibattimento, e tenuto conto altresì dei poteri conferiti al giudice sia in materia di integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante (art. 507), sia in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione (art. 516), l'imputazione appare « magmatica e suscettibile sempre di precisazioni », con la conseguenza che « non sembra necessaria una dettagliata imputazione » (Cass. II, n. 6382/1996). Peraltro, le interpretazioni giurisprudenziali sono rimaste invariate anche all'indomani delle indicate modifiche normative: è, infatti, tuttora dominante l'orientamento per il quale, ai fini della completezza, nei suoi elementi essenziali, del capo d'imputazione, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (Cass. V, n. 6335/2013, in fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva escluso la genericità o l'indeterminatezza di una imputazione per il delitto di violenza privata che faceva riferimento al concorso dell'imputato con persone non identificate, in luoghi non tutti determinati e in tempi individuati con l'espressione “fino al”). Prima della citata modifica, la giurisprudenza ammetteva la legittimità della contestazione formulata in forma alternativa, osservando che, in presenza di una condotta dell'imputato tale da richiedere un approfondimento dell'attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, tale metodo non solo sarebbe legittimo, ma risponderebbe anche ad un'esigenza della difesa, atteso che l'incolpato, da un lato, è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici lungo le quali si sarebbe sviluppato il futuro dibattito processuale, e, dall'altro, non si vede costretto, come sarebbe possibile, a rispondere della sola ipotesi criminosa più grave, rinviandosi poi all'esito del dibattimento la risoluzione della questione attraverso la successiva riduzione dell'imputazione originaria, secondo lo schema previsto dall'art. 521 (Cass. V, n. 6018/1997: nella specie, la S.C. aveva escluso la nullità del decreto di citazione in cui si contestava, alternativamente, al direttore responsabile di un quotidiano, il concorso nella diffamazione con l'autore dell'articolo ovvero l'omesso controllo sul contenuto della pubblicazione; conforme, Cass. I, n. 10795/1999). Per effetto della modifica normativa in esame, parte della dottrina (Beltrani, 60) ha ritenuto non più consentita la c.d. contestazione alternativa, che, per il solo fatto dell'alternatività delle ipotesi d'accusa, risulterebbe oscuro ed impreciso. La giurisprudenza ne ha, tuttavia, ribadito, più o meno negli stessi termini (ovvero, come se nulla fosse, nelle more, avvenuto a livello normativo) l'ammissibilità (Cass. V, n. 51252/2014). In particolare, in tema di patteggiamento, è stato affermato che la facoltà dell'imputato di accedere ad un rito alternativo può essere esercitata, nel caso di imputazione alternativa (nella specie, ipotizzandosi il reato di atti persecutori o, altrimenti, quello di maltrattamenti in famiglia), fino al momento in cui il P.M., facendo venir meno l'incertezza determinata dalla duplicità di contestazioni, proceda a formulare l'imputazione definitiva (Cass. III, n. 12253/2014). Con riguardo alla contestazione della recidiva, era stata in precedenza ritenuta sufficiente la « mera indicazione dell'istituto, posto che questa, espressa anche in modo generico, mette l'imputato, il quale non può ignorare le precedenti condanne, nella condizione di difendersi anche su di essa », anche se non accompagnata dal riferimento normativo all'art. 99 c.p. o da ulteriori specificazioni in fatto (Cass. V, 14/10/1993; in Guariniello, 447). Da ultimo è stato osservato che, trattandosi di una circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, ove contestata in calce a più imputazioni, deve intendersi riferita a ciascuna di esse, salvo che si tratti di reati di diversa indole ovvero commessi in date diverse (Cass. II, n. 3662/2016). In tema di concorso di persone nel reato, appare tutt'ora attuale l'orientamento giurisprudenziale per il quale « di solito, il fatto delittuoso è percepibile solo per l'evento prodotto, la constatazione della cui verificazione, se può consentire di risalire all'autore, non permette altrettanto circa l'individuazione di ogni singolo momento attuativo, confluito nella produzione dell'evento », il che comporta che « sul piano della fattispecie evocante il concorso di persone, è arduo, se non talora persino impossibile, derivare la ricostruzione e la determinazione dei singoli atti di ogni singolo concorrente » (Cass. V, n. 2371/1993). Può ritenersi tuttora attuale anche l'orientamento secondo il quale la data ed il luogo del commesso reato costituiscono unicamente elementi accessori del fatto, che non incidono sul requisito dell'enunciazione del medesimo: la loro mancanza può inficiare la validità del decreto soltanto quando non sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l'episodio criminoso contestato, mentre, negli altri casi (quando, cioè, dagli altri elementi enunciati e dai richiami contenuti nel decreto eventualmente anche ad altri provvedimenti, risulti chiaramente in tutti i suoi termini il « fatto » per il quale il giudizio è stato disposto), un'indicazione, pur sinteticamente essenziale, di tali requisiti, e persino la loro omissione, non produce effetti giuridici caducatori del provvedimento (Cass. I, n. 11304/1993 e Cass. VI, n. 6044/1999); successivamente, Cass. I, n. 38703/2013 ha sostenuto che non costituisce motivo di nullità del decreto di citazione a giudizio neanche l'erronea indicazione della data del commesso reato, trattandosi di mera irregolarità che non impedisce all'imputato di articolare in modo compiuto le proprie difese. In tema di reato permanente, la giurisprudenza, premesso che la contestazione, per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, ha chiarito che, qualora il p.m. si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non quella finale, la permanenza — intesa come dato della realtà — deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale (Cass. S.U., n. 11021/1998: la S.C. ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione, una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione; conforme, Cass. I, n. 27381/2003 e Cass. III, n. 29701/2008, per la quale, in particolare, quando l'ipotesi accusatoria sia formulata a “contestazione chiusa”, ovvero con l'indicazione della data iniziale e finale dell'attività delittuosa contestata, il protrarsi dell'offesa al di là dei limiti temporali fissati impone un'ulteriore specifica imputazione perché costituisce fatto diverso rispetto a quello oggetto di imputazione). L’indicazione del luogo e della data dell’udienza e del giudice (lett. d) La c.d. “riforma Cartabia” ha modificato la lettera d), stabilendo che nel decreto di citazione a giudizio va inserita l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora dell'udienza di comparizione predibattimentale, e del giudice competente, nonché l'avvertimento all'imputato che, in caso di mancata comparizione, sarà giudicato in assenza (in luogo che in contumacia, istituto da tempo superato). La giurisprudenza ha ritenuto che, qualora il p.m., in luogo di chiedere preventivamente al presidente del tribunale l'indicazione di una data per la citazione a giudizio dell'imputato, emetta direttamente il decreto di citazione senza indicare la data di comparizione, con avvertenza che questa sarà fissata dal presidente del tribunale, tale decreto è idoneo a produrre i suoi effetti, sempre che il suo deposito sia accompagnato da quello del provvedimento integrativo di fissazione dell'udienza da parte del presidente del tribunale (Cass. II, n. 10404/2002). Si è successivamente ritenuto che l'omessa allegazione al decreto di citazione diretta a giudizio del decreto presidenziale di fissazione del giorno e dell'ora di comparizione non ne determina la nullità quando le indicazioni contenute in quest'ultimo provvedimento vengano trasfuse nel decreto di citazione da notificarsi all'imputato (Cass. V, n. 18270/2019). L’avviso che l’imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio (lett. e) È stato ritenuto abnorme, perché dà luogo ad una stasi del procedimento non altrimenti sanabile se non con il ricorso per cassazione, il provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio menzionante esclusivamente l'avviso che l'imputato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia e non anche che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio (Cass. III, n. 33867/2007: la S.C. ha evidenziato l'insussistenza di qualsiasi profilo di nullità giacché, nella specie, l'imputato era assistito da un difensore di fiducia intervenuto in giudizio). È abnorme anche il provvedimento del giudice che restituisca gli atti al P.M. dichiarando la nullità del decreto di citazione a giudizio a causa dell'omessa indicazione del nominativo del difensore d'ufficio all'atto dell'emissione del decreto di citazione, sempre che tale indicazione avvenga al momento della notifica del decreto stesso: « l'art. 555 comma 1 lett. f) [(ora art. 552 comma 1 lett. e)], nel prevedere, a pena di nullità, l'avviso rivolto all'imputato che, in mancanza di nomina di un difensore di fiducia, egli sarà assistito dal difensore d'ufficio, ha inteso rendere operativo il diritto di difesa, consentendo allo stesso di avvalersi, eventualmente, del patrocinio di quest'ultimo, possibilità di cui in tal modo è stato reso edotto. Detta disposizione non contiene, tuttavia, alcuna prescrizione dell'indicazione del nominativo del difensore d'ufficio. È, infatti, in un momento successivo, e precisamente nel momento della notifica del decreto di citazione almeno 45 giorni prima (e ora 60) della data fissata per il giudizio, che il nominativo del difensore d'ufficio deve essere comunicato ai fini della notificazione del decreto stesso. È, quindi, solo da tale momento che la difesa può esplicarsi, facendo sorgere la relativa necessità che lo stesso sia assistito da un valido difensore, sicché la mancanza di indicazione nominativa nel periodo precedente alla notifica, cioè al momento in cui l'imputato ha cognizione del procedimento, non esplica alcun effetto sulla validità del decreto di citazione [...]. Pertanto, l'obbligo di comunicazione del nominativo del difensore d'ufficio non solo non è riferito al momento dell'emissione del decreto, ma la sua violazione non comporta la nullità dell'atto al cui compimento è finalizzata la designazione, sempreché il difensore sia stato avvertito » (Cass. IV, n. 22045/2001: fattispecie nella quale l'imputato era stato dotato di un difensore d'ufficio, tempestivamente avvertito della data di fissazione del giudizio, e, per di più, l'imputato stesso aveva nominato un proprio difensore di fiducia, che era intervenuto in giudizio per sollevare l'eccezione di nullità, in tal modo fornendo la prova che egli si era avvalso pienamente delle facoltà cui la disposizione normativa in oggetto era preordinata). L’avviso della facoltà di accesso ai riti alternativi (lett. f) Attraverso la previsione dell'avviso della facoltà di accedere ai riti alternativi di cui agli artt. 438 ss. e 444 ss., nonché all'oblazione, il legislatore si proponeva di richiamare l'attenzione dell'imputato sulla possibilità di accedere, in dibattimento, ai riti alternativi (specificamente indicati), e sugli aspetti di premialità di ciascuno. La dottrina ha, in proposito, osservato che « il clamoroso insuccesso del tentativo operato dai redattori del codice per favorire una definizione anticipata del procedimento » (attraverso l'avvertimento in origine previsto dall'art. 555 previgente, di chiedere, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio, il “patteggiamento”, il rito abbreviato o l'oblazione, con definizione del procedimento dinanzi al g.i.p.), dovuto all'inconsistenza dell'aspettativa che un imputato, tratto a giudizio per un'udienza il più delle volte molto lontana e con la fondata aspettativa del maturare dei termini di prescrizione (minori proprio in considerazione della minore gravità dei reati di competenza pretorile), potesse desiderare la definizione sollecita del procedimento, accettando l'applicazione di una pena, o comunque rinunziando al giudizio ed all'indiscriminata possibilità di proporre impugnazione avverso una sentenza in ipotesi sfavorevole, « ha fatto sì che adesso l'avvertimento si riferisca ad un'iniziativa che può collocarsi prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, in modo da assicurare un margine adeguato per una decisione così rilevante in ordine agli esiti processuali » (Marzaduri, 72). Si ritiene che nel decreto di citazione diretta a giudizio il p.m. possa anticipare il proprio consenso all'applicazione della pena “patteggiata”, indicando gli elementi richiesti dall'art. 444 comma 1 (cfr. art. 159 comma 2 disp. att. c.p.p.). È stata considerata abnorme, perché determina un'indebita regressione del procedimento, l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento dichiari, sull'erroneo presupposto che il reato per cui si procede sia suscettibile di oblazione, la nullità del decreto di citazione a giudizio mancante dell'avviso all'imputato della facoltà di richiedere l'oblazione stessa (Cass. III, n. 15922/2009). Ai predetti avvisi, il d. lgs. n. 150 del 2022 ha aggiunto quello della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova. L’avviso del deposito del fascicolo delle indagini preliminari nella cancelleria del giudice e delle facoltà conseguenti (lett. g) Il d. lgs. n. 150 del 2022 ha previsto che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella cancelleria del giudice (non più nella segreteria del P.M.), dove le parti private ed i loro difensori possono prenderne visione ed estrarne copia. La data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell’ausiliario che lo assiste (lett. h)
La sottoscrizione del decreto di citazione a giudizio da parte dell'ausiliario del pubblico ministero ha lo scopo di certificare la data di emissione dell'atto, che solo in quel momento può ritenersi perfezionato, pur potendo la certezza di tale data, in assenza della sottoscrizione, inferirsi, per equipollente, dal momento della fuoriuscita dell'atto dalla sfera dell'ufficio del pubblico ministero e del raggiungimento, all'esterno, del suo scopo, per essere stato ritualmente e tempestivamente notificato all'imputato (Cass. IV, n. 21893/2022: fattispecie in cui la S.C. ha confermato che il decreto di citazione a giudizio, pur non sottoscritto dall'ausiliario e non notificato all'imputato, era stato emesso antecedentemente alla scadenza del termine di fase della misura cautelare, valorizzando il fatto che, presso la cancelleria del Tribunale, risultava depositata, in data successiva e compatibile, una "lista prove" del pubblico ministero, documento che mai avrebbe potuto essere depositato se l'azione penale non fosse stata già esercitata). L’avviso della facoltà di accesso ad un programma di giustizia riparativa (lett. h- bis ) Il d. lgs. n. 150 del 2022 ha previsto che il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere anche l'avviso che l'imputato e la p.o. hanno facoltà di accedere ad un programma di giustizia riparativa. I vizi del decreto di citazione in giudizioIl decreto di citazione diretta a giudizio è nullo (comma 2): 1 ) se l'imputato non è identificato in modo certo; 2 ) se manca o è insufficiente l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; 3 ) se manca o è insufficiente l'indicazione del giudice competente per il giudizio nonché del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione, ovvero l'avvertimento all'imputato che egli non comparendo sarà giudicato in contumacia; 4 ) se manca o è insufficiente l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare le richieste previste dagli artt. 438 e 444, ovvero presentare domanda di oblazione; 5 ) se non è preceduto dall'avviso ex art. 415-bis, nonché dall'invito a presentarsi per rendere interrogatorio ex art. 375, comma 3, qualora l'indagato lo abbia richiesto entro il termine previsto dall'art. 415-bis, comma 3. La natura giuridica delle nullità di cui al comma 2 È assolutamente dominante l’orientamento per il quale la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio per difetto di uno dei suoi elementi essenziali, prevista dall’art. 552, comma 2, non attiene né all’intervento dell’imputato né alla sua assistenza o rappresentanza, con la conseguenza che la predetta nullità non rientra tra quelle di ordine generale ex art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., bensì tra quelle relative, ex art. 181 c.p.p., e deve, pertanto, essere eccepita entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1, c.p.p., risultando altrimenti sanata (Cass. I, n. 3801/1994; Cass. II, n. 16817/2008; Cass. III, n. 2519/2000; Cass. V, n. 20739/2010; Cass. VI, n. 50098/2013, tutte in tema di vizi inerenti all’enunciazione del fatto-reato contestato). Si è, in proposito, specificato che la generica enunciazione del fatto integra una ipotesi di nullità relativa del decreto di citazione a giudizio, che resta sanata qualora non venga eccepita prima dell’apertura del dibattimento, con la conseguenza che è abnorme il provvedimento con il quale il Tribunale all’udienza dibattimentale (nella fattispecie, nel corso dell’esame testimoniale) dichiari di ufficio la nullità del decreto ai sensi dell’art. 552, comma 2, e disponga la restituzione degli atti al P.M., poiché tale atto determina un’inammissibile regressione del procedimento (Cass. V, n. 28512/2014). Tuttavia i vizi inerenti all’avviso della facoltà di accesso ai riti alternativi vengono talora inquadrati tra le nullità a regime intermedio, con conseguente sanatoria se l’imputato non ha formulato richiesta di rito alternativo nei termini di legge (Cass. I, n. 24571/2005 e Cass. IV, n. 41830/2009). Sarebbe, in ogni caso, abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, dichiarata l’inesistenza del decreto di citazione a giudizio non presente nel fascicolo, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché provveda a perfezionare la rituale costituzione delle parti in giudizio, omettendo di interpellare il pubblico mistero di udienza al fine di provvedere all’acquisizione dell’atto eventualmente non inserito per disguido materiale (Cass. V, n. 6244/2015).
Le generalità dell’imputato e delle altre parti private, e l’indicazione dei difensori (lett. a )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere le generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private, con l'indicazione dei difensori; esso è, peraltro, nullo soltanto se l'imputato non è identificato in modo certo. La giurisprudenza ha affermato che è abnorme, per l'anomala regressione del procedimento, il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo nel contempo la restituzione degli atti al pubblico ministero, a causa dell'inesattezza lessicale del nome o dell'erronea indicazione della data di nascita dell'imputato, allorché ne sia certa l'identità, dovendo in tali ipotesi il giudice adottare i conseguenziali provvedimenti correttivi nelle forme previste dall'art. 130, ordinando anche la rinnovazione della citazione ove appaia probabile che l'interessato non ne abbia avuto conoscenza (Cass. II, n. 50679/2014). L’indicazione della persona offesa dal reato (lett. b )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere l'indicazione della persona offesa dal reato, qualora risulti identificata; tuttavia, l'omessa indicazione della persona offesa dal reato non figura tra le cause di nullità del predetto decreto. La giurisprudenza, con riguardo al “vecchio” rito pretorile, aveva, peraltro, osservato che il vizio rientra tra le nullità di ordine generale di cui all'art. 178, comma 1, lett. c), ma non tra quelle assolute ed insanabili (costituendo, infatti, una nullità a regime intermedio); essa «non impedisce la progressione del procedimento dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio, né l'instaurazione, fra le parti necessarie, del rapporto processuale che rappresenta il presupposto del giudizio; ne consegue che il provvedimento del pretore il quale, accertata la predetta nullità, dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero, determina una situazione di regressione del procedimento in un caso non previsto dal sistema processuale e deve, pertanto, considerarsi abnorme» (Cass. S.U., n. 10/1997). Il giudice può porvi rimedio o rinnovando interamente l'atto di citazione a giudizio o la relativa notifica (ai sensi dell'art. 143 disp. att. c.p.p.: in argomento, c fr. sub art. 554-bis, §§ 3 s. ), ovvero disponendo la citazione dell'offeso per un'udienza successiva, in modo da consentire l'eventuale costituzione di parte civile prima dell'inizio del dibattimento (Cass. III, n. 683/1999), ed, attualmente, dell'udienza predibattimentale. In ogni caso, per dedurre la predetta nullità, sarebbe necessario, ai sensi dell'art. 182, avervi interesse, e l'imputato ne è privo (a meno che non ne dimostri la concreta sussistenza), poiché la citazione della persona offesa ha il solo scopo di consentire al destinatario l'eventuale costituzione di parte civile e, d'altro canto, l'imputato conserva pur sempre la facoltà di citare la persona offesa come testimone (Cass. IV, n. 34784/2007: nella fattispecie, relativa a furto di energia elettrica, si è ritenuto che l'imputato non potesse vantare alcun interesse concreto alla eccepita quantificazione del danno attraverso la citazione della parte lesa, posto che, per le modalità di sottrazione dell'energia, tale quantificazione era comunque impossibile; conf., Cass. VI, n. 12196/2005 e Cass. II, n. 12765/2011). In argomento, si è successivaente ritenuto che è affetto da abnormità funzionale, determinando un'indebita stasi del procedimento, il provvedimento con cui il tribunale monocratico dichiara la nullità del decreto di citazione a giudizio e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero in ragione della mancata indicazione delle generalità delle persone offese, in quanto tale omissione non rientra tra le cause di nullità previste dall'art. 552, comma 2, né può concretamente esigersi la puntuale identificazione di tutte le persone offese allorquando non vi sia reale possibilità di risalire alle generalità e alla collocazione geografica delle stesse (Cass. III, n. 1257/2024). La contestazione in forma chiara e precisa (lett. c )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere la contestazione in forma chiara e precisa del fatto-reato ascritto all'imputato, ed è nullo se ne manca, o ne risulta insufficiente, l'indicazione. La dottrina ha ritenuto «frutto di un mero errore materiale (superabile in sede di interpretazione sistematica) il differente riferimento alla necessità della “forma chiara e precisa” per l'enunciazione del fatto e delle circostanze (art. 429, comma 1, lett. c), c.p.p.), ovvero del solo fatto (art. 552, comma 1, lett. c), poiché non vi è ragione alcuna per non riferire la previsione a tutti gli elementi della contestazione (e quindi anche alle circostanze, che ne costituiscono parte integrante), e comunque per distinguere i requisiti della contestazione nel rito collegiale ed in quello monocratico» (Beltrani, 58). La nuova previsione che l'enunciazione del fatto debba avvenire «in forma chiara e precisa» sembrerebbe decisamente superare (a meno di non voler ritenere la modifica meramente descrittiva, e quindi priva di concreta portata innovativa) il precedente orientamento giurisprudenziale che, ai fini della completezza, nei suoi elementi essenziali, del capo d'imputazione riteneva sufficiente che il fatto fosse contestato in modo da consentire la difesa in relazione ad ogni elemento di accusa (Cass. I, n. 12474/1994): l'enunciazione del fatto in tanto poteva dirsi carente in quanto, in concreto, potesse ritenersi che l'imputato fosse risultato impossibilitato a conoscere i tratti essenziali del fatto di reato, attribuitogli dall'accusa, per potersene adeguatamente difendere (Cass. III, n. 1222/1994, per la quale tale idonea conoscenza deve ritenersi verificata quando l'imputato abbia proposto richiesta di applicazione della pena patteggiata, così dimostrando di essere ben consapevole dell'imputazione ascrittagli); si osservava, in particolare, che, in considerazione della centralità del dibattimento, e tenuto conto altresì dei poteri conferiti al giudice sia in materia di integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante (art. 507), sia in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione (art. 516), l'imputazione appare «magmatica e suscettibile sempre di precisazioni», con la conseguenza che «non sembra necessaria una dettagliata imputazione» (Cass. II, n. 6382/1996). Peraltro, le interpretazioni giurisprudenziali sono rimaste invariate anche all'indomani delle indicate modifiche normative: è, infatti, tuttora dominante l'orientamento per il quale, ai fini della completezza, nei suoi elementi essenziali, del capo d'imputazione, non vi è incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all'imputato di difendersi (Cass. V, n. 6335/2013, in fattispecie nella quale la S.C. ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva escluso la genericità o l'indeterminatezza di una imputazione per il delitto di violenza privata che faceva riferimento al concorso dell'imputato con persone non identificate, in luoghi non tutti determinati e in tempi individuati con l'espressione “fino al”). Prima della citata modifica, la giurisprudenza ammetteva la legittimità della contestazione formulata in forma alternativa, osservando che, in presenza di una condotta dell'imputato tale da richiedere un approfondimento dell'attività dibattimentale per la definitiva qualificazione dei fatti contestati, tale metodo non solo sarebbe legittimo, ma risponderebbe anche ad un'esigenza della difesa, atteso che l'incolpato, da un lato, è messo in condizione di conoscere esattamente le linee direttrici lungo le quali si sarebbe sviluppato il futuro dibattito processuale, e, dall'altro, non si vede costretto, come sarebbe possibile, a rispondere della sola ipotesi criminosa più grave, rinviandosi poi all'esito del dibattimento la risoluzione della questione attraverso la successiva riduzione dell'imputazione originaria, secondo lo schema previsto dall'art. 521 (Cass. V, n. 6018/1997: nella specie, la S.C. aveva escluso la nullità del decreto di citazione in cui si contestava, alternativamente, al direttore responsabile di un quotidiano, il concorso nella diffamazione con l'autore dell'articolo ovvero l'omesso controllo sul contenuto della pubblicazione; conforme, Cass. I, n. 10795/1999). Per effetto della modifica normativa in esame, parte della dottrina (Beltrani, 60) ha ritenuto non più consentita la c.d. contestazione alternativa, che, per il solo fatto dell'alternatività delle ipotesi d'accusa, risulterebbe oscuro ed impreciso. La giurisprudenza ne ha, tuttavia, ribadito, più o meno negli stessi termini (ovvero, come se nulla fosse, nelle more, avvenuto a livello normativo) l'ammissibilità (Cass. V, n. 51252/2014). In particolare, in tema di patteggiamento, è stato affermato che la facoltà dell'imputato di accedere ad un rito alternativo può essere esercitata, nel caso di imputazione alternativa (nella specie, ipotizzandosi il reato di atti persecutori o, altrimenti, quello di maltrattamenti in famiglia), fino al momento in cui il P.M., facendo venir meno l'incertezza determinata dalla duplicità di contestazioni, proceda a formulare l'imputazione definitiva (Cass. III, n. 12253/2014). Con riguardo alla contestazione della recidiva, era stata in precedenza ritenuta sufficiente la «mera indicazione dell'istituto, posto che questa, espressa anche in modo generico, mette l'imputato, il quale non può ignorare le precedenti condanne, nella condizione di difendersi anche su di essa», anche se non accompagnata dal riferimento normativo all'art. 99 c.p. o da ulteriori specificazioni in fatto (Cass. V, 14/10/1993; in Guariniello, 447). Da ultimo è stato osservato che, trattandosi di una circostanza aggravante inerente alla persona del colpevole, ove contestata in calce a più imputazioni, deve intendersi riferita a ciascuna di esse, salvo che si tratti di reati di diversa indole ovvero commessi in date diverse (Cass. II, n. 3662/2016). In tema di concorso di persone nel reato, appare tutt'ora attuale l'orientamento giurisprudenziale per il quale «di solito, il fatto delittuoso è percepibile solo per l'evento prodotto, la constatazione della cui verificazione, se può consentire di risalire all'autore, non permette altrettanto circa l'individuazione di ogni singolo momento attuativo, confluito nella produzione dell'evento», il che comporta che «sul piano della fattispecie evocante il concorso di persone, è arduo, se non talora persino impossibile, derivare la ricostruzione e la determinazione dei singoli atti di ogni singolo concorrente» (Cass. V, n. 2371/1993). Può ritenersi tuttora attuale anche l'orientamento secondo il quale la data ed il luogo del commesso reato costituiscono unicamente elementi accessori del fatto, che non incidono sul requisito dell'enunciazione del medesimo: la loro mancanza può inficiare la validità del decreto soltanto quando non sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l'episodio criminoso contestato, mentre, negli altri casi (quando, cioè, dagli altri elementi enunciati e dai richiami contenuti nel decreto eventualmente anche ad altri provvedimenti, risulti chiaramente in tutti i suoi termini il «fatto» per il quale il giudizio è stato disposto), un'indicazione, pur sinteticamente essenziale, di tali requisiti, e persino la loro omissione, non produce effetti giuridici caducatori del provvedimento (Cass. I, n. 11304/1993 e Cass. VI, n. 6044/1999); successivamente, Cass. I, n. 38703/2013 ha sostenuto che non costituisce motivo di nullità del decreto di citazione a giudizio neanche l'erronea indicazione della data del commesso reato, trattandosi di mera irregolarità che non impedisce all'imputato di articolare in modo compiuto le proprie difese. In tema di reato permanente, la giurisprudenza, premesso che la contestazione, per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, ha chiarito che, qualora il P.M. si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non quella finale, la permanenza – intesa come dato della realtà – deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale (Cass. S.U., n. 11021/1998: la S.C. ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione, una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione; conforme, Cass. I, n. 27381/2003 e Cass. III, n. 29701/2008, per la quale, in particolare, quando l'ipotesi accusatoria sia formulata a “contestazione chiusa”, ovvero con l'indicazione della data iniziale e finale dell'attività delittuosa contestata, il protrarsi dell'offesa al di là dei limiti temporali fissati impone un'ulteriore specifica imputazione perché costituisce fatto diverso rispetto a quello oggetto di imputazione). I vizi Un'illuminata giurisprudenza di merito (Pret. Torino, 28/02/1990) aveva osservato, sin dall'entrata in vigore del nuovo c.p.p., che il termine di riferimento dell'insufficienza dei requisiti dell'imputazione è in primo luogo l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato, il quale deve conoscere i tratti essenziali del fatto di reato attribuitogli dall'accusa, onde potersene difendere in modo efficace e preciso; l'enunciazione del fatto nel decreto di citazione a giudizio svolge, in secondo luogo, una funzione in ordine al potere del giudice di escludere le prove irrilevanti, nonché i testimoni, periti e consulenti tecnici sotto il profilo della loro ammissibilità in base alle «circostanze» indicate nella lista (art. 468, commi 1 e 4) e di decidere in ordine all'ammissione delle prove con riferimento ai fatti oggetto dell'imputazione (art. 493, comma 1); in terzo luogo, per l'esercizio del potere-dovere del giudice di assicurare la pertinenza delle domande nel corso dell'esame testimoniale condotto dalle parti (art. 499, comma 6); infine, per la valutazione del giudice in ordine alla diversità o meno del fatto accertato rispetto a quello «descritto nel decreto che dispone il giudizio», in relazione alla necessità che l'imputazione contestata sia in correlazione con la sentenza (art. 521, comma 2). È innanzitutto necessario distinguere tra omessa enunciazione del fatto ed enunciazione del fatto insufficiente, poiché soltanto l'omessa enunciazione del fatto in relazione alla condotta tipica del reato integra un'ipotesi di nullità assoluta del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell'art. 179, comma 1, per inosservanza delle disposizioni che concernono l'iniziativa del Pubblico Ministero nell'esercizio dell'azione penale (Cass. I, n. 19928/2014). In via generale, l'enunciazione del fatto risulta adeguata quando «si abbia l'individuazione dei tratti essenziali del fatto di reato attribuito, dotati di adeguata specificità, sicché l'imputato possa apprestare la sua difesa. Infatti, in considerazione della centralità del dibattimento, dei poteri conferiti al giudice sia in materia d'integrazione del materiale probatorio insufficiente o mancante ex art. 507, che in tema di ammissione di prove, e della possibilità di procedere a contestazione suppletiva ed a modificazione dell'imputazione ex art. 516, non sembra necessaria una dettagliata imputazione» (Cass. VI, n. 21953/2003; conforme, Cass. V, n. 6335/2013). Così, ad es., è stata ritenuta non generica ed indeterminata la contestazione del reato previsto dagli artt. 167 e 130 d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy), in relazione all'abusivo invio di una pluralità di messaggi pubblicitari indesiderati (cosiddetto “spamming”) ad una moltitudine di utenti iscritti a una “newsletter” senza l'indicazione dei nomi dei destinatari o la descrizione dettagliata del volume e della frequenza del traffico di rete, non essendo esigibile lo sforzo investigativo per risalire ai titolari degli “identificativi” o degli “indirizzi mail”, al fine di accertare l'eventuale gradimento della ricezione delle comunicazioni elettroniche (Cass. III, n. 23798/2012). È stato considerato nullo il decreto di citazione a giudizio, per omessa enunciazione del fatto in forma chiara e precisa, nel caso in cui il P.M., nel contestare la condotta oggetto dell'imputazione, si limiti al richiamo per relationem di un verbale di polizia giudiziaria contenente i risultati dell'attività d'indagine (Cass. III, n. 28047/2009: fattispecie nella quale la contestazione, relativa a reato edilizio, si limitava ad affermare genericamente che gli interventi edilizi erano stati eseguiti in assenza di titolo abilitativo “come da verbale di violazioni edilizie ed urbanistiche del...”, redatto dalla P.G.). La giurisprudenza ha esaminato il tema della legittimità o meno della c.d. “contestazione in fatto” delle circostanze aggravanti, ammettendola soltanto nei casi in cui l'elemento aggravante risulti naturalisticamente apprezzabile per il quivis de populo, senza richiedere la conoscenza di elementi di carattere giuridico. Si è, pertanto, ritenuto che non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dal giudice: – la fattispecie aggravata di cui all'art. 476, comma 2, c.p., qualora nel capo d'imputazione non sia esposta la natura fidefacente dell'atto, o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma (Cass. S.U., n. 24906/2019: in applicazione del principio, le Sezioni unite hanno escluso che la mera indicazione dell'atto, in relazione al quale la condotta di falso è contestata, sia sufficiente a tal fine in quanto l'attribuzione ad esso della qualità di documento fidefacente costituisce il risultato di una valutazione); – la circostanza aggravante di cui all'art. 576, comma 5-bis, c.p. in un capo di imputazione per lesioni che menzioni la qualità di ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza della vittima (nella specie, indicata come carabiniere scelto), senza contenere riferimenti chiari e precisi alla commissione del fatto “nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio”, che è parte integrante della previsione circostanziale (Cass. V, n. 33523/2019). In tema di reati tributari si è sostenuto che la mancata specificazione nell'imputazione di omessa dichiarazione dei redditi dell'ammontare effettivo del reddito e del volume di affari, sulla cui base calcolare l'importo dovuto a titolo di imposta, non integra un'ipotesi di nullità per indeterminatezza, sempre che sia indicato l'ammontare dell'imposta evasa con riferimento al periodo di imposta cui si riferisce la violazione (Cass. III, n. 7121/2009: fattispecie nella quale è stata ritenuta l'abnormità dell'ordinanza di nullità del decreto di citazione a giudizio accompagnata dalla restituzione degli atti al P.M.). Prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 479/1999, si riteneva che il decreto di citazione a giudizio non è nullo per insufficiente descrizione del fatto contestato quando dal medesimo fatto contestato – pure se privo di una specifica indicazione di luogo e di data – sia possibile rilevare un riferimento, sia pure indiretto, a circostanze spazio-temporali che consentano la facile individuazione di quegli elementi (Cass. V, n. 12894/1999: fattispecie di reati di falso, nella quale l'ubicazione degli istituti di credito e il dato temporale della richiesta di apertura di un conto corrente sono stati ritenuti agevolmente desumibili attraverso le identità dei funzionari individuati nel decreto come soggetti materialmente operanti). La giurisprudenza appare attualmente orientata nel senso che non costituisce motivo di nullità del decreto di citazione a giudizio l'erronea indicazione della data del commesso reato, trattandosi di mera irregolarità che non impedisce all'imputato di formulare in modo compiuto ed efficace le proprie difese nel rispetto del contraddittorio (Cass. I, n. 38703/2013). Un orientamento ha ritenuto non abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio e ordini la restituzione degli atti al P.M. sul rilievo che l'imputazione indichi la condotta violata ma non la norma sanzionatoria, «costituendo, lo stesso, pur sempre esplicazione di un potere riconosciuto dall'ordinamento e non comportando una stasi del procedimento» (Cass. III, n. 6457/2008); altro orientamento ha, al contrario, affermato che è abnorme il provvedimento con cui il giudice dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio perché l'imputazione, relativa ad una fattispecie di reato con diverse ipotesi di condotte incriminatrici, non contiene l'indicazione del comma al quale fare riferimento, sebbene la specifica norma violata possa evincersi agevolmente dal complesso della contestazione (Cass. IV, n. 24668/2004: fattispecie relativa al reato di omissione di soccorso in caso di incidente stradale, previsto dall'art. 189. commi 6 e 7. Cod. strada). Più in generale, appare corretto ritenere che, ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell'esercizio del diritto di difesa: ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto e non anche l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Cass. III, n. 5469/2013 e Cass. n. 22434/2013). L'omessa indicazione, nel decreto di citazione a giudizio, delle norme penali in bianco, ove non desumibili implicitamente dalla descrizione del fatto, si risolve in una mancata individuazione del precetto violato e costituisce, pertanto, causa di nullità del decreto medesimo (Cass. III, n. 12148/2008, con la precisazione che le norme penali in bianco sono caratterizzate dal riferimento, ai fini dell'integrazione del precetto, a norme extrapenali anche di fonte amministrativa). Si è pure chiarito che è abnorme, per la sua attitudine a determinare un'indebita regressione del procedimento, l'ordinanza del giudice del dibattimento che, nel caso di genericità o d'indeterminatezza dell'imputazione, restituisce gli atti al pubblico ministero senza preventivamente sollecitarlo ad integrare o precisare la contestazione: ciò in quanto il principio di economia e di ragionevole durata del processo impone che il giudice non adotti una declaratoria di nullità prima di avere svolto l'attività necessaria a rimuoverne la causa (Cass. II, n. 30440/2024). Cfr. anche sub art. 554-bis, § 3.3. L’indicazione del luogo e della data dell’udienza e del giudice (lett. d )La c.d. “riforma Cartabia” ha modificato la lettera d), stabilendo che nel decreto di citazione a giudizio va inserita l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora dell'udienza di comparizione predibattimentale, e del giudice competente, nonché l'avvertimento all'imputato che, in caso di mancata comparizione, sarà giudicato in assenza (in luogo che in contumacia, istituto da tempo superato); il decreto di citazione diretta a giudizio è nullo se manchino, o risultino insufficienti, le predette indicazioni. La giurisprudenza ha ritenuto che, qualora il P.M., in luogo di chiedere preventivamente al presidente del tribunale l'indicazione di una data per la citazione a giudizio dell'imputato, emetta direttamente il decreto di citazione senza indicare la data di comparizione, con avvertenza che questa sarà fissata dal presidente del tribunale, tale decreto è idoneo a produrre i suoi effetti, sempre che il suo deposito sia accompagnato da quello del provvedimento integrativo di fissazione dell'udienza da parte del presidente del tribunale (Cass. II, n. 10404/2002). Si è successivamente ritenuto che l'omessa allegazione al decreto di citazione diretta a giudizio del decreto presidenziale di fissazione del giorno e dell'ora di comparizione non ne determina la nullità quando le indicazioni contenute in quest'ultimo provvedimento vengano trasfuse nel decreto di citazione da notificarsi all'imputato (Cass. V, n. 18270/2019). I vizi Il requisito del decreto di citazione diretta a giudizio previsto dall'art. 552, comma 1, lett. d), che prescrive l'indicazione del giudice competente per l'udienza di comparizione predibattimentale (in argomento, cfr. amplius sub artt. 554-bis ss., inseriti dalla c.d “riforma Cartabia”),viene inteso nel senso che tale indicazione riguarda l'organo giudicante, con la conseguenza che la nullità stabilita dal comma successivo ha luogo quando l'eventuale omissione abbia determinato assoluta incertezza circa l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale l'imputato è chiamato a comparire (Cass. V, n. 1336/2005: la Cassazione ha precisato che l'indicazione, nel decreto, dell'ufficio giudiziario competente, della data del giudizio, della sezione e dell'aula di udienza consente anche l'agevole individuazione della persona fisica del giudicante). È stato considerato abnorme il provvedimento con il quale il giudice monocratico del tribunale aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio sotto il profilo dell'erronea indicazione del giudice-persona fisica addetto alla trattazione del processo, rispetto a quello indicato nel decreto, rimettendo gli atti al P.M., in quanto in tal modo si determina un'indebita regressione del procedimento ad una fase anteriore: si è, in proposito, osservato che la nullità del decreto di citazione a giudizio si verifica unicamente quando l'atto non rechi l'indicazione del luogo, del giorno e dell'ora della comparizione per il giudizio, nonché del giudice competente, da intendere come organo giudicante procedente, in quanto indicazioni indispensabili per consentire all'imputato l'esercizio del diritto ad intervenire nel processo, non essendo, al contrario, necessario indicare specificamente la persona fisica del giudice designato (Cass. IV, n. 41178/2004 e Cass. III, n. 9848/2016); è stata, tuttavia, considerata non abnorme e, quindi, non immediatamente ricorribile per cassazione, l'ordinanza del giudice del dibattimento, che, rilevata la designazione di un giudice diverso da quello che teneva udienza nella data indicata, abbia dichiarato la nullità di citazione e disposto la restituzione degli atti al P.M. (Cass. V, n. 27985/2004). Una successiva decisione ha, peraltro, ritenuto che è affetto da nullità assoluta il decreto di citazione a giudizio recante, in luogo del nome del giudice persona fisica assegnatario del processo, quello di altro giudice, sedente anch'egli in udienza lo stesso giorno indicato per la comparizione dell'imputato, poiché, per quanto elemento secondario rispetto a quelli imposti dall'art. 552, comma 1, lett. d) (così come dall'art. 429, comma 1, lett. e), come minimi necessari ai fini della validità della vocatio in iudicium, tale fuorviante indicazione radica nei destinatari del decreto – difensore ed imputato – un ragionevole affidamento di esattezza, esonerando dallo svolgere ulteriori verifiche, sicché compromette la finalità propria dell'atto, che è quella di mettere la parte citata nelle condizioni di raggiungere l'aula dibattimentale in tempo utile per poter partecipare al giudizio (Cass. VI, n. 16479/2022). Non è viziato da nullità ai sensi dell'art. 552, comma 2, sotto il profilo dell'insufficiente specificazione del luogo della comparizione, il decreto di citazione a giudizio che, qualora si tratti di città di modeste dimensioni ovvero di un piccolo centro dotato di un unico ufficio giudiziario, rechi esclusivamente l'indicazione del Comune dove ha sede la sezione distaccata competente per il giudizio, senza indicare anche la via e il numero civico, ove esso è ubicato, e neppure l'aula di udienza, «non richiedendo l'art. 552 comma 1 lett. d) l'ulteriore indicazione della via, del numero civico, del piano o dell'aula di udienza, a meno che essa non risulti necessaria per evitare concrete incertezze circa il luogo di comparizione, di norma in tali situazioni agevolmente individuabile usando la normale diligenza» (Cass. I, n. 4488/2002; Cass. II, n. 43903/2009: nella specie, l'udienza, anziché svolgersi davanti al pretore presso la sede del soppresso ufficio indicata nel decreto di citazione, si era tenuta davanti al giudice monocratico del tribunale dello stesso comune, avente diversa sede; la S.C. ha precisato che era onere delle parti usare l'ordinaria diligenza per avere esatta cognizione del luogo di celebrazione del dibattimento, trattandosi di ufficio giudiziario di modeste dimensioni e di udienza tenutasi dopo la soppressione dell'ufficio del pretore). Neppure è nullo il decreto che dispone il giudizio, in relazione alla insufficiente o errata specificazione del luogo di comparizione, quando fa riferimento alla precedente sede del tribunale, a condizione che il trasferimento dell'ufficio giudiziario in altro edificio sia successivo alla “vocatio in iudicium”, che la diversa ubicazione sia contigua alla precedente e sia stata adeguatamente pubblicizzata e che, comunque, dalle emergenze processuali risulti che l'imputato sia comunque venuto a conoscenza dell'effettivo luogo di svolgimento dell'udienza (Cass. II, n. 52589/2014: fattispecie in cui la S.C. ha escluso la nullità del decreto che dispone il giudizio in quanto la nuova sede del tribunale era prossima alla precedente, la quale, peraltro, non era stata chiusa e presentava ancora “ingressi presidiati” e un “ufficio informazioni”, tanto che il difensore dell'imputato aveva regolarmente partecipato all'udienza). Non è viziato da nullità ai sensi dell'art. 552, comma 2, sotto il profilo dell'insufficiente indicazione del giudice competente, in relazione all'art. 552, comma 1, lett. d), il decreto di citazione a giudizio che manchi della specificazione della sezione presso la quale deve essere celebrato il dibattimento, atteso che la legge non prescrive tale indicazione e che, peraltro, tale mancanza non determina incertezza assoluta sull'autorità giudiziaria dinanzi alla quale l'imputato è chiamato a comparire (Cass. III, n. 26630/2002). Sempre con riguardo all'indicazione del luogo della comparizione, si è ritenuto che, qualora nell'atto che dispone il giudizio sia indicata un'aula specifica per la trattazione del processo, mentre questo è poi celebrato in aula diversa, si determina una situazione obiettivamente idonea a pregiudicare la possibilità di partecipazione dell'imputato al giudizio, che, quando la partecipazione di fatto non avvenga, dà luogo alla nullità del giudizio ex art. 178, comma 1, lett. c) (Cass. VI, n. 9900/1998). In precedenza, peraltro, la giurisprudenza aveva ritenuto non ravvisabile alcuna violazione della legge processuale né l'inosservanza del diritto di difesa, in un caso nel quale l'udienza penale era stata tenuta in aula diversa da quella indicata nel decreto di citazione, ubicata nello stesso immobile, e sulla porta d'ingresso della pretura era stato affisso un avviso dello spostamento: la S.C. aveva, in quell'occasione, osservato che, «da un lato, l'udienza si svolse nel luogo (immobile urbano) indicato nel decreto di citazione, e, dall'altro, l'aula dove fu celebrato il giudizio venne adeguatamente indicata» (Cass. V, 28/10/1992, B., in Guariniello, 449). Nei casi in cui il P.M., in luogo di chiedere preventivamente al presidente del tribunale l'indicazione di una data per la citazione a giudizio dell'imputato, emetta direttamente il decreto di citazione senza indicare la data di comparizione, con avvertenza che questa sarà fissata dal presidente del tribunale, tale decreto è idoneo a produrre i suoi effetti, posto che il suo deposito sia accompagnato da quello del provvedimento integrativo di fissazione dell'udienza da parte del presidente del tribunale (Cass. II, n. 10404/2002; conforme, Cass. VI, n. 41387/2009, per la quale «non è viziato da nullità il decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal P.M. senza indicare la data di comparizione, quando lo stesso contenga l'avvertenza che la data sarà fissata dal presidente del tribunale e il suo deposito sia accompagnato da quello del relativo provvedimento di fissazione dell'udienza, a norma degli artt. 160 e 132 disp. att. c.p.p.»). La giurisprudenza ritiene che l'indicazione dell'ora stabilita per la comparizione delle parti dinanzi al giudice del dibattimento costituisca elemento integrativo del decreto che dispone il giudizio, e che, pertanto, la sua omissione dia luogo alla nullità di detto decreto (Cass. IV, n. 13465/1998); nel medesimo senso, la giurisprudenza di merito (App. Palermo, 27/05/1991, B., Foro it. 1992, II, 103) aveva immediatamente ritenuto che la mancata specificazione, nel decreto di citazione a giudizio, dell'ora della comparizione si risolve nell'omessa citazione dell'imputato e determina, pertanto, una nullità assoluta ex art. 179, comma 1. L’avviso che l’imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio (lett. e )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere l'avviso che l'imputato ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio, ed, in difetto, è nullo. È stato ritenuto abnorme, perché dà luogo ad una stasi del procedimento non altrimenti sanabile se non con il ricorso per cassazione, il provvedimento del giudice del dibattimento che dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio menzionante esclusivamente l'avviso che l'imputato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia e non anche che, in mancanza, sarà assistito dal difensore di ufficio (Cass. III, n. 33867/2007: la S.C. ha evidenziato l'insussistenza di qualsiasi profilo di nullità giacché, nella specie, l'imputato era assistito da un difensore di fiducia intervenuto in giudizio). È abnorme anche il provvedimento del giudice che restituisca gli atti al P.M. dichiarando la nullità del decreto di citazione a giudizio a causa dell'omessa indicazione del nominativo del difensore d'ufficio all'atto dell'emissione del decreto di citazione, sempre che tale indicazione avvenga al momento della notifica del decreto stesso: «l'art. 555 comma 1 lett. f) [(ora art. 552 comma 1 lett. e)], nel prevedere, a pena di nullità, l'avviso rivolto all'imputato che, in mancanza di nomina di un difensore di fiducia, egli sarà assistito dal difensore d'ufficio, ha inteso rendere operativo il diritto di difesa, consentendo allo stesso di avvalersi, eventualmente, del patrocinio di quest'ultimo, possibilità di cui in tal modo è stato reso edotto. Detta disposizione non contiene, tuttavia, alcuna prescrizione dell'indicazione del nominativo del difensore d'ufficio. È, infatti, in un momento successivo, e precisamente nel momento della notifica del decreto di citazione almeno 45 giorni prima (e ora 60) della data fissata per il giudizio, che il nominativo del difensore d'ufficio deve essere comunicato ai fini della notificazione del decreto stesso. È, quindi, solo da tale momento che la difesa può esplicarsi, facendo sorgere la relativa necessità che lo stesso sia assistito da un valido difensore, sicché la mancanza di indicazione nominativa nel periodo precedente alla notifica, cioè al momento in cui l'imputato ha cognizione del procedimento, non esplica alcun effetto sulla validità del decreto di citazione [...]. Pertanto, l'obbligo di comunicazione del nominativo del difensore d'ufficio non solo non è riferito al momento dell'emissione del decreto, ma la sua violazione non comporta la nullità dell'atto al cui compimento è finalizzata la designazione, sempreché il difensore sia stato avvertito» (Cass. IV, n. 22045/2001: fattispecie nella quale l'imputato era stato dotato di un difensore d'ufficio, tempestivamente avvertito della data di fissazione del giudizio, e, per di più, l'imputato stesso aveva nominato un proprio difensore di fiducia, che era intervenuto in giudizio per sollevare l'eccezione di nullità, in tal modo fornendo la prova che egli si era avvalso pienamente delle facoltà cui la disposizione normativa in oggetto era preordinata). L’avviso della facoltà di accesso ai riti alternativi (lett. f )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere l'avviso della facoltà di accesso ai riti alternativi di cui agli artt. 438,444 e 464-bis c.p.p., ovvero di presentare domanda di oblazione exartt. 162 s. c.p., ed, in difetto, è nullo. Attraverso la previsione dell'avviso della facoltà di accedere ai predetti riti alternativi e presentare domanda di oblazione, il legislatore si proponeva di richiamare l'attenzione dell'imputato sulla possibilità di accedere, in dibattimento, ai riti alternativi (specificamente indicati), e sugli aspetti di premialità di ciascuno. La dottrina ha, in proposito, osservato che «il clamoroso insuccesso del tentativo operato dai redattori del codice per favorire una definizione anticipata del procedimento» (attraverso l'avvertimento in origine previsto dall'art. 555 previgente, di chiedere, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di citazione a giudizio, il “patteggiamento”, il rito abbreviato o l'oblazione, con definizione del procedimento dinanzi al G.i.p.), dovuto all'inconsistenza dell'aspettativa che un imputato, tratto a giudizio per un'udienza il più delle volte molto lontana e con la fondata aspettativa del maturare dei termini di prescrizione (minori proprio in considerazione della minore gravità dei reati di competenza pretorile), potesse desiderare la definizione sollecita del procedimento, accettando l'applicazione di una pena, o comunque rinunziando al giudizio ed all'indiscriminata possibilità di proporre impugnazione avverso una sentenza in ipotesi sfavorevole, «ha fatto sì che adesso l'avvertimento si riferisca ad un'iniziativa che può collocarsi prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, in modo da assicurare un margine adeguato per una decisione così rilevante in ordine agli esiti processuali» (Marzaduri, 72). Si ritiene che nel decreto di citazione diretta a giudizio il P.M. possa anticipare il proprio consenso all'applicazione della pena “patteggiata”, indicando gli elementi richiesti dall'art. 444 comma 1 (cfr. art. 159 comma 2 disp. att. c.p.p.). È stata considerata abnorme, perché determina un'indebita regressione del procedimento, l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento dichiari, sull'erroneo presupposto che il reato per cui si procede sia suscettibile di oblazione, la nullità del decreto di citazione a giudizio mancante dell'avviso all'imputato della facoltà di richiedere l'oblazione stessa (Cass. III, n. 15922/2009). Ai predetti avvisi, il d. lgs. n. 150 del 2022ha aggiunto quello della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova; in proposito, cfr. anche sub art. 554-ter, comma 2, pure inserito dal predetto d. lgs. La Corte costituzionale (sentenza n. 497/1995) aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del “vecchio” art. 555, comma 2, nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di citazione a giudizio per mancanza o insufficiente indicazione del requisito previsto dal comma 1, lett. e) (ovvero, l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato può chiedere, mediante richiesta depositata nell'ufficio del P.M., entro quindici giorni dalla notificazione, il giudizio abbreviato ovvero l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 ovvero presentare domanda di oblazione); si era, in particolare, osservato che l'omessa previsione della suddetta nullità si poneva in contrasto con l'art. 24 Cost., poiché l'avviso circa l'esperibilità dei riti speciali costituisce garanzia essenziale per il godimento del diritto di difesa: potrebbe, infatti, accadere che l'imputato prenda contatto con il difensore entro il termine previsto dalla legge quale intervallo temporale minimo prima della celebrazione del giudizio, e cioè tempestivamente per l'esercizio dei suoi diritti di difesa in dibattimento, ma oltre quello (dalla notificazione del decreto di citazione) utile ai fini della scelta di riti alternativi. Il nuovo testo dell'art. 552 si è doverosamente allineato a tale decisione. La prevista nullità, oggi espressamente sanzionata, è a regime intermedio, in quanto non attiene all'omessa citazione dell'imputato od all'assenza del difensore (artt. 178, comma 1, lett. c), 179, comma 1, 180), ed è, pertanto, sanata se l'imputato non ha formulato richiesta di rito alternativo nei termini di legge (Cass. I, n. 24571/2005 e Cass.. IV, n. 41830/2009); analogamente, con riguardo al decreto di citazione a giudizio immediato, si è ritenuto che l'errata indicazione del termine per la richiesta di riti alternativi (nella specie: sette, anziché quindici giorni per la richiesta di giudizio abbreviato) comporta la nullità del decreto di citazione, la quale, peraltro, essendo a regime intermedio, è sanata se l'imputato non abbia formulato richiesta di rito alternativo nei termini di legge (Cass. I, n. 24571/2005 e Cass. IV, n. 41830/2009 cit.). Era stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 552, comma 1, lett. f) (sollevata in relazione agli artt. 3,24, secondo comma, e 111 Cost.), nella parte in cui non prevede, a pena di nullità del decreto di citazione a giudizio, che sia dato avviso all'imputato della facoltà di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, non essendo tale disposizione funzionale all'esercizio del diritto di difesa o all'attuazione del principio del giusto processo né sussistendo una diversità di disciplina manifestamente irragionevole rispetto a situazioni analoghe ed, in particolare, agli altri avvisi previsti dalla medesima norma (Cass. III, n. 35995/2020). Il predetto avviso è stato, peraltro, previsto come necessario, interpolando in parte qua la lett. f), dalla c.d. “riforma Cartabia”. L’avviso del deposito del fascicolo delle indagini preliminari nella cancelleria del giudice e delle facoltà conseguenti (lett. g )Il d. lgs. n. 150 del 2022 ha previsto che il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere anche l'avviso che il fascicolo relativo alle indagini preliminari è depositato nella cancelleria del giudice (non più nella segreteria del P.M.), dove le parti private ed i loro difensori possono prenderne visione ed estrarne copia. In difetto di una comminatoria di nullità, riteniamo che l'omissione del predetto avviso legittimi quantomeno una richiesta di rimessione in termini in favore della parte che lo chieda. La data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell’ausiliario che lo assiste (lett. h )Il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere la data e la sottoscrizione del pubblico ministero e dell'ausiliario che lo assiste, ma in difetto, non è nullo. La sottoscrizione del decreto di citazione a giudizio da parte dell'ausiliario del pubblico ministero ha lo scopo di certificare la data di emissione dell'atto, che solo in quel momento può ritenersi perfezionato, pur potendo la certezza di tale data, in assenza della sottoscrizione, inferirsi, per equipollente, dal momento della fuoriuscita dell'atto dalla sfera dell'ufficio del pubblico ministero e del raggiungimento, all'esterno, del suo scopo, per essere stato ritualmente e tempestivamente notificato all'imputato (Cass. IV, n. 21893/2022: fattispecie in cui la S.C. ha confermato che il decreto di citazione a giudizio, pur non sottoscritto dall'ausiliario e non notificato all'imputato, era stato emesso antecedentemente alla scadenza del termine di fase della misura cautelare, valorizzando il fatto che, presso la cancelleria del Tribunale, risultava depositata, in data successiva e compatibile, una “lista prove” del pubblico ministero, documento che mai avrebbe potuto essere depositato se l'azione penale non fosse stata già esercitata). I vizi Nessuna norma prevede la nullità del decreto di citazione per difetto di sottoscrizione del magistrato che lo ha emesso (diversamente, ad esempio, da quanto prevede l'art. 546, comma 3, per il dispositivo). In dottrina si è ritenuto che il decreto di citazione diretta a giudizio emesso dal P.M., ma privo della sua sottoscrizione, sia giuridicamente inesistente e, quindi, improduttivo di effetti ( Beltrani , 63). La giurisprudenza ha, al contrario, ritenuto che il decreto di citazione diretta a giudizio privo di sottoscrizione del P.M. (ma munito della sottoscrizione dell'ausiliario che lo assiste) non è atto inesistente (Cass. I, n. 8067/2010: nell'enunciare il principio, la Corte ha anche precisato che, al più, la mancata sottoscrizione potrebbe integrare una nullità a regime intermedio, che, con riguardo alla fattispecie concreta, risulterebbe irrilevante per non essere stata tempestivamente eccepita). Nessuna nullità sarebbe configurabile nel caso in cui il decreto di citazione risulti sottoscritto dal magistrato che lo emette mediante l'apposizione di una sigla (e quindi con firma illeggibile), poiché la legge non prescrive, come elemento essenziale, il requisito di una rappresentazione grafica per esteso del nome e del cognome del P.M. (o del G.u.p.). La funzione della sottoscrizione del decreto di citazione a giudizio da parte dell'ausiliario del magistrato è quella di certificare il momento di emissione del decreto, che può ritenersi perfezionato soltanto alla data in cui detta sottoscrizione venga apposta; tuttavia, la certezza della predetta data può realizzarsi anche per equipollente, dal momento in cui l'atto esce dalla sfera dell'ufficio del P.M. e raggiunge all'esterno il suo scopo, ovvero sia alla data in cui esso sia stato ritualmente e tempestivamente notificato all'imputato (Cass. IV, n. 33666/2004: in applicazione del principio, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto dal P.M. avverso l'atto definito abnorme con il quale il tribunale, avendo rilevato che era stato omesso l'invito all'imputato a rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3, già in vigore alla data in cui aveva avuto luogo la notificazione, aveva dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio sottoscritto solo dal P.M. e non dal suo ausiliario, e disposto la trasmissione degli atti al P.M.). Si è precisato che la mancata sottoscrizione, da parte dell'ausiliario, del decreto di citazione a giudizio rientra tra le mere irregolarità e non comporta alcuna nullità, in quanto non è espressamente prevista dall'art. 552, comma 2, e non rientra tra le previsioni generali di cui all'art. 178 (Cass. III, n. 45818/2012); né si è in presenza, in tale ipotesi, di un atto giuridicamente inesistente, in quanto, tra questi, vanno inseriti gli atti carenti dei requisiti minimi costitutivi indispensabili per la loro rilevanza giuridica o che non consentono di individuare l'organo dal quale provengono (Cass. III, n. 18796/2006 e Cass. n. 21575/2003). L’avviso della facoltà di accesso ad un programma di giustizia riparativa (lett. h-bis )Il d. lgs. n. 150 del 2022 ha previsto che il decreto di citazione diretta a giudizio deve contenere anche l'avviso che l'imputato e la p.o. hanno facoltà di accedere ad un programma di giustizia riparativa, ma, in difetto, non è nullo. I vizi inerenti all’omissione dell’avviso ex art. 415- bis , nonché dell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio ex art. 375, comma 3Il decreto di citazione diretta a giudizio è nullo se non è preceduto dall'avviso previsto dall'art. 415-bis c.p.p., nonché dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'articolo 375, comma 3, c.p.p., qualora la persona sottoposta alle indagini lo abbia richiesto entro il termine di cui al comma 3 del medesimo articolo 415-bis. Per le disposizioni di cui agli artt. 375, comma 3, e 415-bis c.p.p., si rinvia ai commenti di tali articoli. Secondo un orientamento, la nullità del decreto di citazione a giudizio per l'omessa notifica all'imputato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è di natura relativa e, pertanto, deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine di cui all'art. 491 subito dopo compiuto per la prima volta l'accertamento della costituzione delle parti (Cass. II, n. 35420/2010; Cass. III, n. 25223/2008; Cass. V, n. 34515/2014); peraltro, in senso contrario, altro orientamento (Cass. V, n. 43763/2008 e Cass. V, n. 21875/2014; Cass. V, n. 3282/2018) ritiene che la nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari è a regime intermedio e, pertanto, deve essere eccepita o rilevata d'ufficio prima della deliberazione della sentenza di primo grado. Sempre con riguardo alla validità del decreto di citazione a giudizio, si è ritenuto che non rileva la presenza del difensore durante l'interrogatorio reso dall'imputato dinanzi al P.M., a seguito dell'invito a comparire ai sensi dell'art. 375, giacché, in tale sede, la presenza del difensore, pur essendo un diritto dell'imputato, non è obbligatoria (Cass. II, n. 39048/2002). Non è abnorme , e, quindi, non è immediatamente ricorribile per cassazione, il provvedimento con cui il giudice del dibattimento – rilevata (pur erroneamente) l'omissione o l'invalidità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis – dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al P.M., trattandosi di provvedimento che (anche se risulti insussistente la rilevata invalidità), lungi dall'essere avulso dal sistema, costituisce espressione dei poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento, non colloca l'atto fuori dal sistema processuale e non determina la stasi del procedimento, potendo il P.M. disporre la rinnovazione della notificazione del predetto avviso (Cass. S.U., n. 25957/2009; e Cass. II, n. 3738/2015; conforme anche Cass. n. 14579/2010 – a fortiori –, in fattispecie nella quale il vizio era effettivamente sussistente). L'avviso di conclusione delle indagini preliminari deve essere notificato, in applicazione dell'art. 415-bis, comma 1, tanto alla persona sottoposta alle indagini che al suo difensore, di talché, quando detto difensore non risulti in precedenza nominato, il P.M. deve, allo scopo, designarne uno d'ufficio, cui l'avviso va spedito pena la determinazione di nullità a mente dell'art. 178, comma 1, lett. c): «da ciò consegue che non è abnorme, ed è anzi legittima, l'ordinanza con la quale il giudice dibattimentale, rilevata l'omessa notifica dell'avviso ad un difensore dell'imputato, dichiara la nullità del successivo decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 552, comma 2, ed ordina la restituzione degli atti al P.M.» (Cass. III, n. 6806/2004 e Cass. VI, n. 1238/2004). Non è abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento abbia dichiarato la nullità del decreto di citazione a giudizio emesso dal P.M. per mancata notifica al difensore dell'indagato dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, ai sensi dell'art. 415-bis, comma 1, «richiamato dagli artt. 550, comma 1, e 552, comma 2, stesso codice, non rilevando, in contrario, che la mancata notifica sia dipesa dal fatto che, nel corso delle indagini preliminari, non fosse intervenuta la nomina del difensore di fiducia e non vi fosse stata occasione di dar luogo alla nomina di un difensore d'ufficio, ben potendo tale ultimo adempimento, pur in assenza di specifica previsione, essere attuato dal pubblico ministero proprio ai fini della notifica di cui al citato art. 415-bis» (Cass. II, n. 25206/2002). Anche l'irritualità dell'invito a presentarsi, spedito per la richiesta dell'indagato di rendere interrogatorio, determina la nullità del decreto di citazione a giudizio, da qualificarsi come relativa, in quanto attinente al decreto di citazione (Cass. III, n. 26944/2009: fattispecie nella quale l'avviso a presentarsi non indicava il giorno fissato per l'adempimento). È stato considerato abnorme – perché, pur costituendo manifestazione di un legittimo potere, si esplica fuori dei casi consentiti al di là di ogni ragionevole limite – il provvedimento del giudice dibattimentale che dichiari la nullità dell'avviso stesso in quanto carente delle indicazioni previste dal secondo comma dell'art. 369-bis c.p.p. «dette indicazioni sono necessarie solo quando debba essere compiuto un atto cui il difensore abbia il diritto di assistere, e riguardano quindi un provvedimento – l'informazione sul diritto di difesa – che attiene ad un'articolazione del procedimento solo eventuale, e comunque diversa ed antecedente rispetto a quella introdotta dall'avviso di conclusione delle indagini» (Cass. VI, n. 1239/2004). Sono stati considerati abnormi anche: a ) il provvedimento con cui il tribunale annulla il decreto di citazione a giudizio sull'assunto che il fatto contestato appare diverso da quello indicato nell'avviso ex art. 415-bis, posto che la declaratoria di nullità della citazione a giudizio è prevista soltanto nell'ipotesi in cui manchi la notifica dell'avviso ex art. 415-bis, e non quando l'enunciazione del fatto sia ritenuta insufficiente, considerata la diversa funzione assolta dal citato art. 415-bis, rispetto a quella di cui all'art. 552 (Cass. V, n. 28548/2007); b ) l'ordinanza adottata fuori udienza dal giudice del dibattimento con cui lo stesso revochi la declaratoria di nullità dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e degli atti successivi, pronunciata in udienza e basata su un presupposto erroneo (Cass. III, n. 35380/2008). Si è, infine, ritenuto che la prevalenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione) sulla declaratoria della nullità assoluta ed insanabile determinata dalla violazione dell'art. 375, comma 3, e prevista dall'art. 552, comma 2, ha efficacia solo agli effetti penali, ma non in ordine alla responsabilità civile dell'imputato nei confronti della parte lesa, costituitasi parte civile: «l'estinzione del reato non può sanare la violazione dell'art. 375, comma 3, per l'omesso invito all'imputato a rendere l'interrogatorio, né il vizio della sentenza che abbia omesso di dichiarare la nullità di cui all'art. 552, comma 2, tempestivamente eccepita, rigettando l'appello sul punto, con il conseguente mancato annullamento della sentenza di primo grado. Ne deriva che l'eccezione dell'imputato, pur soccombente rispetto alla prosecuzione dell'azione penale, deve essere valutata ed accolta agli effetti civili, con il conseguente annullamento delle sentenze di merito limitatamente alle statuizioni civili» (Cass. V, n. 26639/2004 e Cass. I, n. 36296/2016). Nell'ipotesi di nuova contestazione in udienza, ex art. 517, di reato concorrente (art. 12, comma 1, lett. b), non è configurabile la violazione dell'art. 552, comma 2, e del diritto di difesa, per impossibilità di rendere interrogatorio ai sensi dell'art. 375, trattandosi di disposizioni che hanno lo scopo di consentire alla persona soggetta ad indagini la presentazione di tempestive difese atte ad evitare il dibattimento e che non possono trovare applicazione nel corso di un dibattimento legittimamente instaurato (Cass. III, n. 40714/2001). Le modifiche riguardanti i reati di cui all’art. 590, comma 3, c.p.L'art. 4, comma 4, l. n. 102/2006 (recante «Disposizioni in materia di conseguenze derivanti da incidenti stradali»), aveva introdotto, nel corpo dell'art. 552, i nuovi commi 1-bis ed 1-ter, disponendo, rispettivamente, con evidenti intenti acceleratori, che, qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'art. 590, comma 3, c.p. (ovvero, lesioni personali colpose commesse con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), il decreto di citazione a giudizio deve essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari, e la data di comparizione in prima udienza dibattimentale va fissata non oltre novanta giorni dall'emissione del decreto. La previsione era stata estesa dall'art. 1, l. n. 41/2016, anche ai reati previsti dall'art. 590-bis c.p. La giurisprudenza aveva chiarito che la citata l. n. 102/2006, che ha modificato le pene per il reato di lesioni colpose gravi e gravissime derivanti da incidente stradale, introducendo anche modifiche processuali non applicabili al procedimento innanzi al giudice di pace, non ha, tuttavia, determinato il venir meno della competenza di quest'ultimo per detti reati, poiché essa, siccome attribuita dall'art. 4 d.lgs. n. 274/2000 ratione materiae, non è collegata al trattamento sanzionatorio: «quanto alla possibilità che la novella abbia determinato una esclusione surrettizia della competenza del giudice di pace in materia di ipotesi di cui all'art. 590, comma 2, c.p., posto che le norme procedurali di cui alla novella stessa (art. 4) richiamano istituti del rito penale non applicabili al procedimento innanzi al giudice di pace stesso (cfr. il nuovo comma 2-bis apposto all'art. 416 [c.p.p.] ed i nuovi commi 1-bis ed 1-ter apposti all'art. 552 c.p.p.), essa appare del tutto inconsistente; ed infatti, a tacere della formulabilità di riserve sulla non limpida tecnica di produzione normativa, resta il dato per il quale l'intervento sul procedimento per il delitto di cui all'art. 590, comma 3, c.p., conserva piena efficacia applicativa ben oltre le specifiche (ed escludenti) regole del procedimento innanzi al giudice di pace sol che si rammenti che è riservata al tribunale in composizione monocratica la cognizione di specifiche ipotesi correlate all'art. 590, comma 2, c.p., proprio quelle espressamente menzionate dal d.lgs. n. 274/2000, art. 4, comma 1, lett. a), ed alle quali, evidentemente, è riservata la previsione sul rito della l. n. 102/2006» (Cass. I, n. 1294/2007 e Cass. n. 4745/2011; secondo Cass. I, n. 29941/2008, pure a seguito delle predette riforme, «spetta al giudice di pace la competenza per il delitto di lesioni colpose derivanti da violazione delle norme relative alla circolazione stradale in tutte le ipotesi perseguibili a querela di parte, con l'eccezione – introdotta dall'art. 3 d.l. n. 92/2008, conv. [con modif.] in l. n. 125/2008 –, delle fattispecie di lesioni gravi e gravissime procurate in stato di ebbrezza da alcolici o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti con violazione degli artt. 186 e 187 cod. strada»). La c.d. “riforma Cartabia” (d. lgs. n. 150 del 2022, art. 98, comma 1) ha abrogato il previgente comma 1-bis, a norma del quale per i reati in oggetto il decreto di citazione diretta a giudizio doveva essere emesso entro trenta giorni dalla chiusura delle indagini preliminari. Secondo la dottrina (Natale 2022, 230) «la soppressione di tale disposizione acceleratoria si innesta in un quadro complessivo di accelerazione della fase compresa tra la conclusione delle indagini preliminari e le determinazioni sull'esercizio dell'azione penale; accelerazione che, però, può essere modulata – limitando l'impulso acceleratorio – in ragione, come nel caso in esame, della gravità del reato o della complessità delle indagini; si osserva, infatti, nella Relazione illustrativa che “il criterio di delega in esame (…) contempla la ‘gravità del reato' unicamente quale fattore di prolungamento (e non già di abbreviazione) del c.d. termine di riflessione”; di qui la ratio della soppressione del comma 1-bis ». E' rimasta in vigore la disposizione di cui al comma 1-ter, a norma della quale, qualora si proceda per taluni dei reati previsti dall'art. 590, terzo comma, c.p. e per i reati previsti dall'art. 590-bis stesso codice, la data di comparizione di cui al comma 1, lettera d), è fissata non oltre novanta giorni dalla emissione del decreto. Le conseguenze della nullità del decreto di citazione a giudizio sulla costituzione di parte civileLa giurisprudenza ha ritenuto che la nullità del decreto di citazione diretta a giudizio non comporta la nullità della costituzione di parte civile, posto che tra tali atti non sussiste quel rapporto di consecutività e dipendenza previsto dall'art. 185 (Cass. II, n. 15074/2005 e Cass. V, n. 11783/2011). Casistica
Mancanza di uno dei capi d’imputazione nel decreto di citazione diretta a giudizio Nell'ipotesi, non infrequente nella pratica, in cui il decreto di rinvio a giudizio, originariamente notificato, non contenga uno dei capi di imputazione, è stato ritenuto legittimo il provvedimento con cui il giudice del dibattimento ne disponga la rinnovazione della notificazione una volta integrato con il capo d'imputazione mancante (Cass. V, n. 7400/2013). La giurisprudenza ha osservato che la richiesta del pubblico ministero di fissazione dell'udienza di comparizione, prevista dall'art. 132, comma 2, disp. att. c.p.p., depositata in segreteria ai sensi dell'art. 160 disp. att. c.p.p., non costituisce esercizio dell'azione penale da parte della pubblica accusa, ma atto interno dell'ufficio del pubblico ministero, avente come scopo la sollecitazione del potere ordinatorio del presidente del tribunale di fissazione delle udienze di comparizione: l'eventuale omissione della richiesta non determina, pertanto, l'inesistenza o l'abnormità del decreto di citazione, e neppure la nullità dello stesso e degli atti processuali successivi (Cass. II, n. 12990/2003). Mancata traduzione del decreto di citazione diretta a giudizio Si è anche affermato che la mancata traduzione nella lingua dell'imputato alloglotto del decreto di citazione a giudizio, in presenza delle condizioni richieste dall'art. 143, così come interpretato dalla Corte cost. n. 10/1993 (secondo la quale, «una corretta interpretazione dell'art. 143 c.p.p. riguardo al diritto – da esso previsto – dell'imputato straniero, non a conoscenza della lingua italiana, all'assistenza gratuita di un interprete, comporta che l'attività svolta da quest'ultimo ricomprenda, fra l'altro, la traduzione, in tutti i suoi elementi costitutivi – incluso l'avviso relativo alla facoltà di richiedere il giudizio abbreviato –, del decreto di citazione a giudizio, sia se emesso dal giudice per le indagini preliminari (nel procedimento innanzi al tribunale), sia se adottato dal pubblico ministero (nel rito pretorile). Pertanto, non valendo in contrario addurre che nelle disposizioni concernenti il decreto di citazione a giudizio […] manchi, al riguardo, la previsione di un espresso obbligo, cadono le censure di incostituzionalità avanzate, nei confronti di queste disposizioni, sull'errato presupposto che la regola dettata dall'art. 143, comma 1, c.p.p. sia rigorosamente circoscritta – con le sole eccezioni stabilite dagli artt. 109 comma 2 e 169 comma 3, – agli atti orali»: Corte cost. n. 10/1993), integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178, comma 1, lett. c), e art. 180), la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e resta sanata dalla comparizione della parte (Cass. S.U., n. 12/2000 e Cass. III, n. 37364/2015). Decreto di citazione diretta a giudizio emesso sulla base di atti nulli o inutilizzabili Nessun vizio del decreto sussiste nel caso in cui il P.M. sia addivenuto alla sua emissione sulla base di atti nulli od inutilizzabili (cfr. Cass. II, 05/10/1993, P.M. in proc. B., in Guariniello, 448). È stata considerata non abnorme l'ordinanza con la quale il tribunale, in composizione monocratica, abbia dichiarato, ai sensi dell'art. 552, comma 2, la nullità del decreto di citazione a giudizio nei confronti di alcuni degli imputati, disponendo la trasmissione degli atti al P.M. anche per quelle posizioni soggettive non attinte dalla suddetta nullità, così da prevenire il necessario provvedimento di riunione nella successiva fase processuale: «la “anomalia” denunciata dal ricorrente appare, nel caso di specie, del tutto insussistente, avendo il giudice a quo, per ovvie ragioni di economia processuale derivanti dall'applicazione non soltanto delle regole sulla connessione, disposto la “regressione” anche di una posizione processuale non contaminata da alcuna nullità, così da prevenire il necessario provvedimento di riunione nella successiva fase processuale. Sotto tale profilo appare mancante pure il requisito, previsto, a pena di inammissibilità, dall'art. 568, comma 4, coessenziale alla stessa nozione di diritto di impugnazione» (Cass. VI, n. 478/2006). Decreto di citazione diretta a giudizio affetto da pluralità di vizi È stata considerata abnorme l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento, in presenza di plurime potenziali cause di nullità eccepite dalle parti, abbia disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero senza esplicitarne i motivi, poiché l'impossibilità per quest'ultimo di individuare e rinnovare l'atto invalido determina un'irreversibile stasi processuale (Cass. V, n. 19534/2022). Decreto di citazione diretta a giudizio non presente in atti È abnorme anche il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, dichiarata l'inesistenza del decreto di citazione a giudizio non presente nel fascicolo, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché provveda a perfezionare la rituale costituzione delle parti in giudizio, omettendo di interpellare il pubblico mistero di udienza al fine di provvedere all'acquisizione dell'atto eventualmente non inserito per disguido materiale (Cass. III, n. 20203/2021). Profili processuali
I rimedi contro i vizi del decreto di citazione diretta a giudizio Il decreto di citazione diretta a giudizio (come ogni altra forma di decreto di rinvio a giudizio) non è autonomamente impugnabile, e ciò vale anche se si intenda dedurre una nullità assoluta ed insanabile, in quanto la deducibilità di tali nullità in ogni stato e grado del procedimento concerne il momento della sua rilevabilità, e non il mezzo attraverso il quale la nullità stessa va denunciata; le eventuali censure potranno essere fatte valere unicamente nella successiva fase dibattimentale (Cass. VI, n. 1230/1999; Cass. IV, n. 28988/2002; Cass. V, n. 30588/2008). Le attività successive all’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio
Il decreto di citazione diretta a giudizio reso dal P.M. deve essere notificato all'imputato, al suo difensore ed alla parte offesa (non anche al mero danneggiato dal reato) almeno sessanta giorni prima della data fissata per l'udienza di comparizione predibattimentale (introdotta dal d.lgs. n. 150 del 2022); nei casi di urgenza (di cui deve essere data motivazione), detto termine è ridotto a quarantacinque giorni. In proposito, la dottrina ha evidenziato «l'attenzione avuta per la posizione della persona offesa che, in precedenza, poteva essere raggiunta dalla notifica anche solo cinque giorni prima della data fissata per l'udienza così che diveniva estremamente difficoltoso l'esercizio delle facoltà finalizzate alla costituzione di parte civile» (Marzaduri, 75). Per i casi di prolungamento dei suddetti termini di comparizione, si rinvia all'art. 174. Il decreto, nelle more del perfezionamento della notificazione alle parti che ne hanno diritto, deve essere depositato dal P.M. nella propria segreteria. BibliografiaAmodio, Lineamenti della riforma in Giudice unico e garanzie difensive. La procedura penale riformata, Milano, 2000; Aprile, Giudice unico e processo penale, Milano, 2000; Aprile-Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Baldi, Nota a C SU 28.10.1998, pm in c. Boschetto, in Cass. pen. 1999, 1746; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Bricchetti, Le Sezioni Unite cancellano l'abnormità della restituzione degli atti al pm, in Guida dir. 2002, n. 46, 57; Bucci-Ariolli, Manuale pratico del giudice unico nel processo penale, Padova, 2000; Carcano-Fidelbo, Le disposizioni sul processo penale in AA.VV., Il giudice unico, Milano, 2000; Corbetta, Il procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica in Peroni (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000; ; Garuti, Il procedimento per citazione diretta a giudizio, Milano, 2015; Gallucci, Sulla data di emissione del decreto di citazione a giudizio in Cass. pen. 1999, 313; Grilli, Il dibattimento penale, Padova, 2007; Marzaduri, L'introduzione del giudice unico di primo grado e i nuovi assetti del processo penale, in Leg. pen. 1998, 367; Marzaduri, Rito monocratico anche senza udienza preliminare, in Guida dir. 2000, n. 1, LXXII; Natale, Il giudizio, in AA.VV., La riforma del sistema penale. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), a cura di Bassi e Parodi, Milano 2022, 197/220; Rigo, Le nuove disposizioni in tema di competenze penali del tribunale nel quadro della riforma del giudice unico, in Peroni (a cura di), Il processo penale dopo la riforma del giudice unico, Padova, 2000; Riviezzo, Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in AA. VV. Il nuovo processo penale davanti al giudice unico, Milano, 2000; Ruggeri, Il procedimento davanti al tribunale monocratico in Amodio-Galantini, Giudice unico e garanzie difensive. La procedura penale riformata, Milano, 2000; ID., La citazione diretta a giudizio in AA.VV. Le recenti modifiche al codice di procedura penale, II, Milano, 2000; Turco, Mancata sottoscrizione del decreto di citazione a giudizio da parte dell'ausiliario del pm: inesistenza giuridica, nullità o mera irregolarità, in Cass. pen. 2001, 3502; Vergine, Interrogatorio richiesto dall'indagato ex art. 415-bis cpp: atto insostituibile, in Dir. pen. proc. 2004, 1237; Vitali, Mancata indicazione della sezione giudicante nel provvedimento di citazione in Cass. pen. 2001, 599. |