Codice di Procedura Penale art. 644 - Riparazione in caso di morte.

Andrea Pellegrino

Riparazione in caso di morte.

1. Se il condannato muore [638], anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta.

2. A tali persone, tuttavia, non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto. La somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona.

3. Il diritto alla riparazione non spetta alle persone che si trovino nella situazione di indegnità prevista dall'articolo 463 del codice civile.

Inquadramento

Controverso è il fondamento del diritto delle persone indicate nella norma in esame (coniuge, anche se separato, discendenti e ascendenti, fratelli e sorelle, affini entro il primo grado e persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta). La tesi prevalente in dottrina e giurisprudenza appare essere quella per cui la riparazione per l'ingiusta detenzione ha natura di indennizzo conseguente all'atto lecito dannoso ed attribuisca un diritto spettante iure proprioe non iure hereditario (ex multis, Cass. IV, n. 22502/2007): diritto che va commisurato a quello della persona defunta, con la conseguenza che i prossimi congiunti possono far valere in giudizio il danno subìto dal defunto (Cass. IV, n. 20916/2005), mentre l'ammontare così determinato deve essere ripartito equitativamente dal giudice in ragione delle conseguenze derivate dall'errore a ciascuna persona (Cass. IV, n. 5637/2014).  Così come per l'azione proposta personalmente dal condannato, il limite oggettivo alla possibilità di ottenere il ristoro pecuniario è il fatto di avere dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario nei termini già visti in sede di commento del disposto dell'art. 643. 

Legittimazione all’azione riparatoria

L'esigenza ed il senso di giustizia sostanziale dell'istituto della  revisione  hanno indotto il  legislatore  a non limitare la legittimazione solamente al  condannato , ma di estenderla anche al coniuge, ai discendenti e ascendenti, ai fratelli e sorelle, agli affini entro il primo grado e alle persone legate da vincolo di adozione con quella deceduta, qualora il condannato deceda, prima, durante o anche dopo il giudizio di revisione. Posto che non è stato disposto nulla a riguardo del coniuge legalmente separato, tale soggetto può ritenersi abilitato all'azione, anche se nella determinazione dell'entità della somma dovrà in ogni caso tenersi conto del periodo intercorso tra la condanna e la separazione nonché dell'eventuale addebito della separazione; peraltro, altra lettura più rigorosa sottolinea che è conforme alla ratio solidaristica dell'istituto escludere, mediante interpretazione restrittiva, il coniuge separato per addebito e quello divorziato. Parimenti non viene considerato il convivente more uxorioche, al pari del coniuge, subisce gli effetti negativi legati alla condanna ingiusta: anche in questo caso si ritiene che tale soggetto possa ritenersi abilitato all'azione, anche se nella determinazione dell'entità della somma dovrà in ogni caso tenersi conto della durata del periodo di convivenza.

Va precisato che i soggetti legittimari, titolari di un diritto autonomo (nel senso che un'eventuale rinuncia del condannato non rileva ai fini dell'accoglimento dell'istanza) e intrasmissibile, “ereditano” il diritto alla riparazione, potendo esse anche procedere in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni morali subiti iure proprio a causa dei patimenti subìti a causa dell'ingiusta detenzione del proprio familiare, prescindendo dal grado di parentela con il defunto.

Per evitare dunque una indebita locupletazione, il comma 2 prevede che a tali soggetti non può essere assegnata a titolo di riparazione una somma maggiore di quelle che sarebbe spettata al familiare deceduto. In sintesi, i soggetti suindicati potranno ottenere la riparazione iure hereditatis (al posto del familiare condannato e deceduto) e, adendo il tribunale ordinario civile, il risarcimento per i danni non patrimoniali subìti personalmente. Del resto, se si fosse trattato di un diritto successorio, i vari congiunti indicati dal legislatore non avrebbero potuto concorrere contemporaneamente, prevedendo, la normativa civilistica, il primato del coniuge e dei discendenti rispetto agli altri legittimati. Configurandosi, il diritto alla riparazione, come un diritto intrasmissibile, esso non spetta agli eredi se non rientranti nell'elenco dell'art. 644; di contro, tali soggetti sono legittimati a presentare la richiesta di revisione ex art. 632. La somma da devolvere a tutti i legittimari non può, nel suo complesso, essere superiore a quella che sarebbe stata liquidata al defunto; ecco, quindi, che si spiega anche la ratio della previsione dell'art. 645, comma 2, secondo la quale il legittimato che presenti la domanda individualmente deve fornire, altresì, l'indicazione degli altri possibili interessati.

Il successivo comma 3 stabilisce che il diritto alla riparazione non spetta a chi si trovi una delle cause di  indegnità  elencate nell'art.  463  c.c. 

Limiti

Il diritto alla riparazione dei familiari si ritiene comunque escluso in presenza di comportamenti dolosi o gravemente colposi del defunto, che abbiano cagionato l'errore. Ai familiari non può essere assegnata, a titolo di riparazione, una somma maggiore di quella che sarebbe stata liquidata al prosciolto; detta somma è ripartita equitativamente in ragione delle conseguenze derivate per ciascuno dall'errore giudiziario. La liquidazione non è disposta secondo il bisogno, come avviene per la ripartizione dell'indennità in caso di morte del prestatore di lavoro (art. 2122, comma 2, c.c.), ma secondo le conseguenze, patrimoniali ed extrapatrimoniali, che ciascuna persona ha risentito anche se la gerarchia dei superstiti (primo, il coniuge; ultimo, l'affine) offre al giudice un criterio di graduazione sicuro perché fondato su massime di esperienza.

Sebbene astrattamente riconducibili all'elenco di cui all'art. 644, comma 1, i prossimi congiunti non conservano un valido titolo di legittimazione alla riparazione nell'ipotesi in cui essi si trovino nelle condizioni di indegnità previste dall'art. 463 c.c. così come sono esclusi dalla successione i congiunti che abbiano dato causa con dolo o colpa grave all'errore giudiziario (Cass. IV, n. 17238/2019). Indegno è chi ha volontariamente ucciso o tentato di uccidere la persona della cui successione si tratta, o il coniuge, o un discendente, o un ascendente della medesima, purché non ricorra alcuna delle cause che escludono la punibilità a norma della legge penale; chi ha commesso, in danno di una di tali persone, un fatto al quale la legge dichiara applicabili le disposizioni sull'omicidio; chi ha denunziato una di tali persone per reato punibile con l'ergastolo o con la reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a tre anni, se la denunzia è stata dichiarata calunniosa in giudizio penale; ovvero ha testimoniato contro le persone medesime imputate dei predetti reati, se la testimonianza è stata dichiarata, nei confronti di lui, falsa in giudizio penale; chi, essendo decaduto dalla podestà genitoriale nei confronti della persona della cui successione si tratta a norma dell'art. 330 c.c., non è stato reintegrato nella podestà alla data di apertura della successione della medesima; chi ha indotto con dolo o violenza la persona, della cui successione si tratta, a fare, revocare o mutare il testamento, o ne l'ha impedita; chi ha soppresso, celato o alterato il testamento dal quale la successione sarebbe stata regolata e chi ha formato un testamento falso o ne ha fatto scientemente uso.

Casistica

  In tema di riparazione per ingiusta detenzione, non sussiste, nel caso di morte dell'avente diritto, l'onere dei congiunti subentrati, ex art. 644, comma 1, di provare il pregiudizio subito nella propria sfera a causa dell'ingiusta detenzione del congiunto, in quanto essi subentrano nel diritto all'indennità dovuta a quest'ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità commisurata alle ripercussioni di detta ingiusta detenzione nella propria sfera personale: ne consegue che i prossimi congiunti del de cuius – pur essendo legittimati in proprio e non iure hereditario a presentare la relativa istanza – possono far valere in giudizio il danno subìto dal defunto (Cass. IV, n. 76/2013; contra, Cass. IV, n. 1370/1994, secondo cui essendo i familiari titolari di un diritto proprio che si origina dalla morte del condannato e su cui non incide l'eventuale rinuncia di questi, sono tenuti a dimostrare di avere personalmente sofferto conseguenze dannose derivanti dall'altrui detenzione).

Nel caso l'interessato sia deceduto prima della definitività della sentenza assolutoria, l'indennizzo può essere successivamente richiesto anche dai congiunti elencati nell'art. 644, comma 1, atteso che, in forza della disposizione richiamata, gli stessi sono legittimati in proprio e non iure hereditario a presentare la relativa domanda (Cass. IV, n. 23913/2008).

Gli eredi di colui che abbia proposto la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione sono legittimati a proseguireil giudizio in caso di decesso dell'interessato nelle more del giudizio, dovendo trovare applicazione, per il carattere patrimoniale del petitum, la disciplina processualcivilistica, che ricollega l'estinzione del processo non alla morte della parte, ma alla mancata prosecuzione o riassunzione in termini dello stesso da parte dei successori aventi diritto (Cass. III, n. 46386/2019). Il giudice della riparazione è tenuto a disporre a favore di questi ultimi la notificazione del decreto di fissazione dell'udienza per mettere gli stessi nella condizione di formulare le rispettive richieste.

Bibliografia

Vedi sub art. 637.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario