Codice di Procedura Penale art. 13 - Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali.

Aldo Aceto

Connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali.

1. Se alcuni dei procedimenti connessi appartengono alla competenza di un giudice ordinario e altri a quella della Corte costituzionale [134 Cost.], è competente per tutti quest'ultima1.

2. Fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti [264 c.p.m.p.] opera soltanto quando il reato comune è più grave di quello militare, avuto riguardo ai criteri previsti dall'articolo 16, comma 3. In tale caso, la competenza per tutti i reati è del giudice ordinario.

 

Inquadramento

L'art. 13 disciplina i rapporti tra la giurisdizione penale ordinaria e quella costituzionale e militare in caso di reati in rapporto tra loro qualificato ai sensi dell'art. 12.

La giurisdizione della Corte costituzionale

La Corte costituzionale giudica esclusivamente sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica (art. 134, Cost.) per i reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90, comma 1, Cost.) ed esercita, al riguardo, una giurisdizione esclusiva, regolata dalla legislazione speciale.

L'art. 13, comma 1, contiene «un mero rinvio alla disciplina prevista dalla legislazione speciale in tema di connessione tra procedimenti di competenza dei giudici ordinari e procedimenti di competenza della Corte costituzionale»; la Relazione al progetto preliminare del codice è chiara sul punto: «la Commissione ha ritenuto infatti, in mancanza di qualsiasi accenno al riguardo nella legge-delega, di non avere i poteri per disciplinare la materia».

La Corte costituzionale può conoscere soltanto i reati compresi nell'atto di accusa deliberata dal Parlamento in seduta comune ma anche, per connessione e se lo ritiene necessario, di reati diversi che siano aggravati ai sensi dell'art. 61, n. 2), c.p. con riferimento ad uno dei reati previsti dall'art. 90 Cost. (l'aver cioè commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato). In tal caso, se per i suddetti reati sia già in corso procedimento penale innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria o militare, la Corte richiede la trasmissione degli atti relativi, che deve essere disposta senza ritardo dall'autorità giudiziaria. Può altresì dichiarare la connessione per un reato previsto dall'art. 90 Cost. non compreso nell'atto di accusa, dandone comunicazione al Presidente della Camera dei deputati. In tal caso il giudizio innanzi alla Corte Costituzionale è sospeso sino alla definizione davanti al Parlamento del procedimento per il reato connesso. Può tuttavia in ogni momento ordinare la separazione dei procedimenti qualora lo ritenga conveniente (art. 27, l. n. 20/1962).

La Corte costituzionale può dunque estendere la propria giurisdizione ai reati comuni teleologicamente connessi a uno di quelli previsti dall'art. 90 Cost. o a un reato di altro tradimento o attentato alla Costituzione non compreso nell'atto di accusa ma connesso a quello oggetto di contestazione. La discrezionalità che può essere esercitata, sul punto, dalla Corte costituzionale non consente di qualificare in questo caso la connessione come criterio di attribuzione originaria della competenza.

In sintesi:

- la Corte costituzionale può conoscere solo dei reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione oggetto di messa in stato di accusa;

- può conoscere anche di reati comuni teleologicamente connessi a quelli oggetto di atto di accusa;

- può conoscere di altri reati di alto tradimento e attentato alla Costituzione diversi da quelli descritti nell'atto di accusa, purché connessi.

Si deve ritenere che in questo ultimo caso la norma faccia riferimento alla connessione così come più ampiamente definita dall'art. 45 dell'abrogato codice di rito, comprensiva cioè anche dei casi che oggi consentono la riunione dei processi (art. 17) e definiscono il collegamento probatorio (art. 371, comma 2, lett. c).

La connessione nei reati ministeriali

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri sono invece soggetti alla giurisdizione ordinaria per tutti i reati commessi nell'esercizio delle funzioni (art. 96 Cost.), anche se cessati dalla carica, a meno che non siano anch'essi accusati di aver dolosamente concorso con il Presidente della Repubblica nei reati di cui all'art. 90 Cost., previa messa in stato di accusa secondo quanto prevede l'art. 12, commi 1 e 3, l. cost. n. 1/1953. In tal caso la competenza (rectius: la giurisdizione) appartiene al Giudice costituzionale.

Al di fuori di quest'ultima ipotesi, per i cd. “reati ministeriali” (per la cui definizione si veda Cass. S.U. n. 14/1994), anche se commessi in concorso con altre persone, la competenza appartiene per tutti, in primo grado, al giudice ordinario, individuato nel tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio (art. 11. l. cost. n. 1/1989). La norma non indica la regola da seguire negli altri casi di connessione oggettiva, soggettiva e teleologica, ma si ritiene che, al di fuori dell'ipotesi del concorso di persone nel reato, la connessione tra procedimenti di cui all'art. 12 non trovi applicazione, operando in questi casi il principio del favor separationis (Cass. I, n. 5021/1996; Cass. I, n. 5581/1995; Cass. I, n. 3025/1992).

Si è così affermato, per esempio, che nei confronti dell'imputato concorrente in reato ministeriale e a cui sia addebitato in continuazione altro reato dello stesso titolo (non contestato, però, in concorso con uno o più soggetti qualificati previsti dalla l. cost. n. 1/1989) non è configurabile alcun pregiudizio per la circostanza che la competenza per connessione dello speciale collegio previsto dall'art.7 l. cost. n. 1/1989 non operi in relazione al reato non commesso in concorso con i predetti soggetti qualificati, in quanto non è esclusa la possibilità della riunione dei processi in occasione del giudizio, ed è comunque sempre assicurata l'applicabilità della continuazione, sia nella fase del giudizio, sia in quella dell'esecuzione (Cass. I, n. 5581/1995).

La connessione tra reati comuni e reati militari

Per quanto inserito nelle norme sulla competenza, la disposizione di cui all'art. 13, comma 2, attiene, in conformità all'art.103, comma terzo, Cost., a questione di giurisdizione e non di competenza, sicché la sua violazione è deducibile o rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi dell'art. 20 (Cass. S.U. n. 8193/2022) .

Tra reati comuni e reati militari la connessione di cui all'art. 12, opera solo se il reato comune è più grave del reato militare, ed in tal caso la competenza (rectius: la giurisdizione) appartiene al giudice ordinario; in caso contrario, ove cioè non ricorra alcuna delle ipotesi di connessione e il reato più grave non sia quello comune, le sfere di giurisdizione, ordinaria e militare, rimangono separate, con la conseguenza che al giudice militare appartiene la cognizione dei reati militari e al giudice ordinario quella per i reati comuni (così Cass. I, n. 1110/2009, che ha precisato che non sono disciplinate dalla norma in commento le ipotesi di identità delle persone offese o di c.d. «connessione probatoria» o di esistenza di un'unica «notitia criminis» relativa a più reati; Cass. I, n. 5680/2014; Cass. S.U. n. 5135/2006 ne ha tratto l'ulteriore conseguenza che se la connessione concerne procedimenti relativi ad uno stesso reato militare commesso da militari in concorso con civili, il giudice militare mantiene integra nei confronti dei militari la giurisdizione ed il giudice ordinario esercita la giurisdizione nei soli confronti dei concorrenti civili).

Ai fini della attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario in caso di procedimenti per reati connessi, comuni e militari, la maggiore gravità del reato comune è individuata sulla base delle regole stabilite dall'art 4 c.p.p., stante il rinvio contenuto nell'art. 13, comma 2, c.p.p. ai criteri valutabili ai sensi dell'art. 16, comma 3; ne consegue che non sono apprezzabili le circostanze aggravanti comuni, ma soltanto quelle ad effetto speciale che importano un aumento di pena superiore ad un terzo (Cass. S.U. n. 18621/2017).

L'art. 13, comma 2, disciplina in modo compiuto ed esaustivo i rapporti tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione del giudice militare, innovando profondamente rispetto a quanto prevedeva l'art. 264 c.p.m.p. che regolava diversamente tali rapporti attribuendo al giudice ordinario la competenza a conoscere anche dei reati militari in caso di delitti commessi nello stesso tempo da più persone riunite o da più persone anche in tempi e luoghi diversi, ma in concorso tra loro, o da più persone in danno reciprocamente le une delle altre, ovvero delitti commessi gli uni per eseguire o per occultare gli altri o per conseguirne o assicurarne, al colpevole o ad altri, il profitto, il prezzo, il prodotto o la impunità. La giurisprudenza di legittimità ha ormai chiarito da tempo che la norma deve ormai considerarsi tacitamente abrogata (Cass. S.U. n. 5135/2006, cit.).

Come spiegato dalla Relazione al progetto definitivo del codice (p. 166) e ribadito dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 441/1998), la scelta del vigente codice di procedura penale di limitare i casi di connessione tra reati comuni e militari alle ipotesi di maggiore gravità del reato comune risponde all'esigenza di evitare che, attraverso l'estensione della competenza attrattiva del giudice ordinario a tutte le ipotesi di connessione previste dall'art. 12, l'esercizio della giurisdizione militare risultasse eccessivamente e irragionevolmente penalizzato, in quanto operante, paradossalmente, anche nelle ipotesi in cui il reato militare fosse connesso con un mero reato contravvenzionale di competenza del giudice ordinario.

In tempo di pace, dunque, la giurisdizione militare è circoscritta nei limiti soggettivi e oggettivi a tal fine precisati dall'art. 103 Cost. (qualità di appartenente alle forze armate dei soggetti, in esse compresa l'Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza, carattere obiettivamente militare dei reati); tali limiti, determinati dal concorso di entrambi i requisiti, non possono essere per nessuna ragione oltrepassati nei confronti della giurisdizione ordinaria, la quale perciò è da considerare, per il tempo di pace, come la giurisdizione normale e prevalente, fuori di quei limiti, nelle ipotesi di connessione (art. 103 Cost.; Corte cost. n. 29/1958).

La norma presuppone, come peraltro già spiegato in sede di commento all'art. 12, più reati comuni e militari in rapporto qualificato tra loro ed in relazione a ciascuno dei quali sarebbero rispettivamente competenti il giudice ordinario e quello militare. La connessione tra procedimenti, come detto, costituisce motivo di attribuzione della competenza a titolo originario a un solo giudice, individuato in base a criteri che rendono ragionevole la scelta di sottrarre l'imputato (o uno degli imputati) al suo giudice naturale individuato ai sensi degli artt. 8 e 9. Il criterio adottato dall'art. 13, comma 2, funge da limite all'applicazione della connessione che opera solo se il reato comune è più grave.

Ma quid juris nel caso in cui civili e militari concorrano nello stesso, unico reato o nel caso di reato associativo?

È bene infatti ricordare che anche le persone estranee alle forze armate dello Stato, che concorrono a commettere un reato militare, sono soggette alla legge penale militare (art. 14, c.p. mil. p.) e che la norma in commento regola i casi di connessione “tra reati comuni e reati militari”. Ove, pertanto, si proceda esclusivamente per reati militari, ancorché commessi in concorso con “civili”, sarebbe competente il giudice militare (Cass. I, n. 12782/1995; Cass. I, n 8791/2005; contra Cass. I, n. 4527/2005; Cass. I, n, 16439/2005; Cass. I, n. 4060/2007, che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario nei confronti dei civili che avevano partecipato alla realizzazione della strage di Sant'Anna di Stazzema); ove si proceda solo per reati comuni (anche associativi) potrebbe essere competente il giudice ordinario anche se commessi da (o in concorso con) “militari” (appartenenti cioè alle forze armate, all'Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza). La questione è stata a lungo controversa nella giurisprudenza di legittimità fino a quando Cass. S.U. n. 5135/2006, cit., ha segnato un punto fermo affermando il seguente principio di diritto: Il concorso di civili nel reato militare dà luogo ad un'ipotesi di connessione di procedimenti che non rileva, ex art. 13, comma 2, per lo spostamento di giurisdizione in favore del giudice ordinario, sicché i procedimenti rimangono separati ed il giudice militare conserva la giurisdizione nei confronti dei concorrenti militari”.

La connessione tuttavia non opera se per il reato comune più grave è stata decretata l'archiviazione (Cass. I, n. 1399/1999) o nel caso in cui non ricorre la relativa condizione di procedibilità e non sia stata esercitata l'azione al momento in cui per il primo sia stato già disposto il giudizio (così Cass. I, n. 14008/2011, in un caso di reato comune più grave commesso all'estero per il quale il quale il Ministro della Giustizia non aveva presentato la relativa richiesta).

La giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria anche per il reato militare connesso permane, in virtù del principio della “perpetuatio iurisdictionis”, anche al caso in cui all'esito del giudizio di primo grado l'imputato sia stato prosciolto dal reato che aveva comportato la giurisdizione del giudice ordinario (Cass. I, n. 14289/2017).

Casistica

In applicazione dell'art. 13, comma, 2, si è affermata la giurisdizione del giudice speciale militare:

per il delitto di collusione previsto dall'art. 3 l. n. 1383/1941, sebbene si procedesse anche per il reato di falso di cui all'art. 479 c.p., rilevando che, mentre per quest'ultimo non era contestata l'aggravante della falsificazione di un atto facente fede fino a querela di falso, relativamente al primo la contestazione aveva ad oggetto anche l'aggravante dell'essere il militare rivestito di un comando previsto dall'art. 47, n. 2, c.p. mil. p. (Cass. I, n. 44514/2012);

per il reato di truffa militare pluriaggravata per avere l'imputato falsamente dichiarato nella domanda di partecipazione ad un concorso di aggiornamento professionale di non aver riportato condanne penali (Cass. I, n. 5680/2014);

per il reato di truffa militare, diserzione e falsità in certificazione amministrativa, in relazione al quale il tribunale ordinario aveva declinato la giurisdizione in favore del tribunale militare che aveva proposto, limitatamente al reato comune, conflitto, risolto dalla Corte con la dichiarazione della giurisdizione ordinaria per il delitto di falso (Cass. I, n. 50012/2009);

per i reati di truffa aggravata militare di cui all'art. 234, primo e secondo comma, c.p. mil. p., punito con la reclusione da uno a cinque anni, e connesso delitto di cui all'art.4, comma 1, lett. d), d.l. n.429/1982 (oggi abrogato), all'epoca punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni e con la multa da 5 a 10 milioni, essendo stato considerato più grave il delitto militare alla luce della pena detentiva più elevata nel mimino a parità di pena edittale massima, non incidendo la pena pecuniaria sulla valutazione di gravità (Cass. I, n. 3695/1999)

Si è invece affermata la giurisdizione del giudice ordinario:

per il reato di collusione commesso dal militare della Guardia di finanza, previsto dall'art. 3 l. n. 1383/1941, commesso in accordo con estranei e connesso con reati comuni (Cass. I, n. 4766/2002).

Bibliografia

Macchia, Sub art. 13, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, Milano, 2012, 151 ss; Turco, Sub art. 13, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, t. I, Milano, 2012, 266 ss. V. anche sub art. 12.

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