Codice Penale art. 3 - Obbligatorietà della legge penale.

Sergio Beltrani

Obbligatorietà della legge penale.

[I]. La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini [4 1] o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato [42; 28 prel.], salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno [68 1, 90 1, 122 4 Cost.; 1080 2 c. nav.] o dal diritto internazionale.

[II]. La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano all'estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima [7-10; 17, 18 c.p.m.p.; 1080 c. nav.] o dal diritto internazionale.

Inquadramento

L'art. 3 afferma il principio di obbligatorietà della legge penale, che «deve considerarsi nello Stato moderno una proiezione o concretizzazione del più generale principio d'uguaglianza» (Fiandaca e MuscoPg, 148), e va interpretato sistematicamente con l'art. 4 dello stesso codice: «come l'art. 4 sottolinea la connessione oggettiva tra sovranità e territorio dello Stato, così l'art. 3 mette in evidenza la connessione soggettiva tra sovranità e persone fisiche, colta nell'aspetto della sudditanza all'Autorità dello Stato manifestata dall'obbligatorietà delle leggi penali» (Ramacci,2015).

Il principio di obbligatorietà della legge penale, sancito dall'art. 3, e più in generale il principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, sancito dall'art. 3  Cost., si riferiscono all'osservanza della legge e all'applicabilità della sanzione, ma non anche all'uguaglianza di quest'ultima, che, necessariamente, dev'essere invece differenziata a seconda della gravità del fatto illecito e delle varie situazioni soggettive riferibili all'agente, in base ai criteri astrattamente prefissati dal codice penale (art. 133) ed, in concreto, applicabili dal giudice (Cass. II, n. 4838/1974).

Ad esempio, è stata ritenuta la giurisdizione dello Stato italiano per il delitto di omicidio doloso plurimo commesso in alto mare a bordo di imbarcazioni prive di bandiera in danno di migranti trasportati illegalmente in Italia, in forza del principio di universalità della legge penale italiana di cui all'art. 3, comma 2., cod. pen. e – in virtù del rinvio di cui all'art. 7, n. 5, cod . pen. – della diretta applicazione della Convenzione ONU di Palermo sul contrasto alla criminalità organizzata transnazionale, trattandosi di reato grave, con effetti sostanziali nel territorio italiano, commesso da un gruppo criminale organizzato nell'ambito di una complessa condotta posta in essere allo scopo di commettere i reati previsti dalla Convenzione e dei Protocolli Addizionali, tra i quali rientra il traffico di migranti verso l'Italia (Cass. I, n. 31652/2021).               

Principio di obbligatorietà ed ignoranza inevitabile della legge penale (art. 5): rinvio

Il principio di obbligatorietà va valutato anche in relazione alla possibile rilevanza dell'ignoranza inevitabile (specialmente da parte dello straniero) della legge penale, affermata dall'art. 5 (come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364/1988), ed al quale si rinvia.

Casistica

 

Mutamenti successivi di sovranità sul territorio

Un orientamento particolarmente risalente (Cass.S.U., n. 16/1956) ritenne che, ai fini dell'assoggettabilità alle norme punitive italiane ex art. 3, bisogna tener conto del rapporto di sovranità vigente sul territorio all'epoca della commissione del reato: eventuali spostamenti territoriali, in seguito verificatesi, non impediscono che la pretesa punitiva dello stato italiano, sorta nel momento stesso in cui l'illecito venne commesso, si spieghi nel modo più ampio ed incondizionato.

L'orientamento risultò all'epoca dominante in dottrina (fu sostenuto, tra gli altri, da Morelli, 57, Ziccardi, 462, e F. Dean, 28 ss. e 60), ed è stato incidentalmente riproposto da Cass. I, n. 2277/1998.

In senso contrario, si è ritenuto che, in caso di commissione di un reato su parte del territorio italiano successivamente ceduto ad altro Stato in virtù di un trattato di pace, la giurisdizione spetta all'autorità giudiziaria dello Stato cessionario, in quanto la cessione di un territorio sulla base di un atto legittimo dà luogo — salvo patto contrario — ad un immediato trasferimento della sovranità e delle connesse potestà già esercitate sui luoghi ceduti (Cass.S.U., 27 maggio 1961, Zeiner; Cass.S.U., 23 febbraio 1963, Belisari; Cass. I, n. 20925/2004: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in relazione ad un reato commesso nel 1945 nella città di Fiume, ceduta dall'Italia alla ex Repubblica Jugoslava con il trattato di pace del 15 settembre 1947).

A sostegno di questo orientamento, in dottrina, si segnala Quadri 1949, 1158.

Banda armata manovrata da soggetti operanti all'estero

La giurisprudenza ha ritenuto non rilevante, ai fini dell'esclusione del reato di banda armata (art. 306), il fatto che l'organismo associativo armato che persegua la finalità del compimento di atti terroristici sia manovrato e sostenuto da formazioni politiche o ideologiche operanti in territorio straniero, poiché, quando l'entità associativa possieda tutti i requisiti delineati nella fattispecie legale, l'applicazione del principio di obbligatorietà della legge penale sancito dall'art. 3 impone di ritenere avvenuta la violazione del precetto contenuto nella norma che la configura e di perseguire penalmente i componenti (Cass. I, n. 5807/1988).

Esercizio arbitrario delle proprie ragioni

La giurisprudenza ha ritenuto che, ai fini della sussistenza del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 e 393), la possibilità di ricorrere al giudice non possa essere valutata soltanto con riguardo all'opinione soggettiva dell'agente, ma deve esistere obbiettivamente in base all'ordinamento giuridico che l'agente stesso è tenuto ad osservare: in considerazione del principio di obbligatorietà enunciato dall'art. 3, non assume in proposito rilievo, tra le altre circostanze, la sua eventuale qualità di cittadino straniero (Cass. I, n. 2290/1971).

Le immunità

 

Nozione

Le eccezioni all'obbligatorietà della legge penale, richiamate dall'art. 3, comma 1, «non costituiscono propriamente delle deroghe al principio di obbligatorietà della legge penale, che come tale vincola alla sua osservanza tutti i soggetti, ma si risolvono nella sottrazione di un soggetto all'applicabilità della sanzione». Esse, denominate «immunità», consistono in una serie di situazioni, contenutisticamente diverse, ma accomunate dall'effetto della sottrazione di determinati soggetti, in relazione a qualifiche funzionali personali di natura costituzionale od internazionale e/o sovranazionale (ed allo scopo di rafforzarne la tutela), al potere coercitivo dello Stato italiano: «il riconoscimento dell'immunità penale deriva di solito dal bilanciamento di due configgenti interessi: da un lato, il rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento e dei diritti inalienabili della persona richiede che l'autorità giudiziaria non rimanga inerte di fronte agli illeciti per ragioni di giustizia e di soddisfacimento delle vittime; dall'altro, l'esigenza di tutela di particolari funzioni costituzionali o delle relazioni internazionali, fonte dei rapporti amichevoli ed economici fra le nazioni, impone una limitazione della potestà punitiva statuale nelle forme ritenute più idonee in rapporto alla consistenza dell'interesse confliggente che si intende proteggere» (Fiandaca e MuscoPg, 149).

La giurisprudenza ha precisato che l'immunità, che comporta la sottrazione per taluni soggetti all'applicabilità delle sanzioni penali, costituendo un'eccezione al principio di obbligatorietà della legge penale, non può che derivare da disposizioni legislative ed è insuscettibile di interpretazioni estensive ed analogiche, come del resto avverte l'art. 3 nel limitarla ai soli casi stabiliti dal diritto pubblico interno e dal diritto internazionale (Cass. III, n. 1011/1998).

Tipologie

Si distinguono immunità:

a ) (con riguardo all'oggetto) assolute (che si estendono ad ogni fatto-reato posto in essere, in qualsiasi occasione, non soltanto funzionale, ma anche extrafunzionale, dal soggetto "immune") o relative (che riguardano determinati fatti-reato, commessi nel corso nell'esercizio della funzione);

b ) (con riguardo alla fonte), derivanti dal diritto pubblico interno (le quali, comportando eccezioni ai principi di cui agli artt. 25 e 112 Cost., devono, in particolare, trovare fondamento in leggi costituzionali), ovvero dal diritto internazionale (anche consuetudinario, che opera ex art. 10 della Costituzione: Corte cost., n. 48/1979);

c ) (con riguardo all'operatività) di natura sostanziale (inerenti ad atti compiuti, opinioni espresse, voti dati nell'esercizio della funzione, sia di diritto interno che internazionale), ovvero operanti sul piano processuale (che consentono la perseguibilità dei reati posti in essere in pendenza della funzione, ma fuori dall'esercizio di essa, soltanto al momento della sua cessazione, ovvero richiedono il rilascio di un'autorizzazione a procedere da parte di un organo diverso dal giudice).

Il sistema delle immunità non esonera i soggetti che ne beneficiano dal dovere di rispettare la legge penale; esso si limita a prevedere che alcuni soggetti sono esenti dalla giurisdizione penale (in quanto finalizzata all'irrogazione della pena), senza in alcun modo rendere lecita, per i soggetti «immuni», l'inosservanza della legge penale: «è infatti vero che a questi soggetti non può essere applicata la sanzione del risarcimento del danno non patrimoniale (ai sensi dell'art. 185, comma 2, in relazione all'art. 2059 c.c.) perché non sussiste la possibilità di attribuire a questi soggetti un reato, ma ciò non comporta anche l'esclusione della risarcibilità del danno causato dall'illecito civile che, ai sensi dell'art. 2043 c.c., il fatto (che non può essere attribuito come reato) indubbiamente configura» (Ramacci2015, 111).

Natura giuridica

Quanto fin qui osservato incide notevolmente sulla natura giuridica delle immunità, perché evidenzia l'inesattezza delle dottrine che configurano le stesse come cause di incapacità generale di diritto penale, come cause di esenzione tout court dalla giurisdizione (ovvero deroghe alla giurisdizione, come ritenuto anche da Corte cost. n. 48/1979), od infine come limiti all'obbligatorietà della legge penale in favore di determinati soggetti, da considerare legibus soluti.

Le immunità costituiscono, in realtà, cause personali di esclusione della pena (o di non punibilità), che non escludono l'obbligo di osservare la legge penale, e non fanno venir meno l'illiceità del fatto, e con essa l'esistenza stessa del reato, bensì la sola punibilità del fatto.

A parere della dottrina (Mantovani, PG, 792), ne consegue che «a) la loro putatività è irrilevante; b) sono configurabili la legittima difesa contro il fatto non punibile, la ricettazione delle cose da esso provenienti, la calunnia se di esso è incolpato un innocente; c) non sono estensibili ai concorrenti; d) permane, di regola, l'obbligo della restituzione e del risarcimento. Dette cause operano obiettivamente, cioè anche se non conosciute dall'agente».

Altra dottrina (Fiandaca-Musco,  PG, 155) premesso che «per determinare la natura giuridica delle immunità, occorre individuare l'effetto tipico della situazione di immunità di volta in volta esaminata, nonché il contesto nel quale essa si trova ad operare», preferisce distinguere:

a ) nei casi in cui l'immunità è concessa in relazione all'esercizio di determinate funzioni, essa ha natura di causa di giustificazione (come quelle di cui agli artt. 50 ss.);

b ) in altri casi (ad es., per il Pontefice ed i Capi di Stati esteri) si è al cospetto di una vera e propria incapacità penale e/o processuale, ovvero di «una forma di sottrazione alla potestà di coercizione penale».

Le immunità di diritto pubblico interno

Le immunità di diritto pubblico interno hanno carattere funzionale, poiché sono collegate alla titolarità di una determinata funzione pubblica.

Ne beneficiano i soggetti di seguito indicati.

Il Presidente della Repubblica

Ai sensi dell'art. 90, comma 1, Cost., non è responsabile degli atti compiuti nell'esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione; in tali casi, egli è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri (art. 90, comma 2, Cost.), e giudicato dalla Corte costituzionale (ai sensi della l. n. 20/1962).

L'«alto tradimento» consiste nella commissione di uno dei delitti contro la personalità dello Stato previsti e puniti dagli articoli 241,242,276,277,283,284,285,288,289 e 290-bis

L'«attentato alla Costituzione» consiste nella commissione di un fatto diretto a mutare la Costituzione dello Stato o la forma di Governo.

I relativi concetti sono descritti rispettivamente dagli artt. 77 c.p.mil.p. e 283 (che, a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 85/2006, incrimina l'attentato alla Costituzione soltanto se commesso con atti violenti).

Non può, infatti, condividersi l'orientamento che reputa, al contrario, non consentito il richiamo ad ipotesi di reato preesistenti, e richiede l'emanazione di una (futura) legge penale attuativa delle previsioni costituzionali: come osservato dalla dottrina preferibile, «la tesi sembra implicitamente contraddetta dalla l. 219/1989, che ha dettato norme processuali “in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'art. 90 Cost.” (artt. 5 ss.) presupponendo, come ovvio, la sussistenza delle relative fattispecie sostanziali» (Padovani68).

Il Presidente del Senato

Analoga immunità è assicurata al Presidente del Senato, limitatamente ai periodi nei quali egli eserciti le funzioni di Presidente della Repubblica (per assenza od impedimento del titolare).

I membri del Parlamento e dei Consigli regionali; i giudici della Corte costituzionale ed i componenti del C.S.M.

I membri del Parlamento, ai sensi dell'art. 68, comma 1, della Costituzione non possono essere chiamati a rispondere (mai: é penalmente, né civilmente, né disciplinarmente) delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

Analoga immunità è assicurata:

- ai membri dei Consigli regionali (art. 122, comma 4, Cost.); l'immunità copre le sole funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi dello Stato, non anche quelle ad essi attribuite da Statuti o da altre normative regionali (Corte cost.n. 69/1985);

- ai giudici della Corte costituzionale (ex art. 3 l. cost. n. 1/1948);

- ai membri del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 32-bis l. n. 195/1958), non punibili per le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni, e concernenti l'oggetto della discussione: secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost.n. 69/1985), detta causa di non punibilità «si estende a tutte le manifestazioni del pensiero funzionali all'esercizio dei compiti dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura. Essa agisce sul piano sostanziale e, non incidendo sul principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, non necessita di una espressa previsione costituzionale, ma trova giustificazione nella peculiare posizione istituzionale del C.S.M. chiamato dalla Costituzione a valutare le attitudini dei magistrati»; per tale ragione, è stata ritenuta l'infondatezza della questione di costituzionalità della disposizione innanzi indicata, sollevata per presunto contrasto con gli artt. 3,28 e 112 Cost., osservando che «è ben vero che il combinato disposto degli artt. 3 e 28 Cost. impone, in linea di massima, il pari trattamento dei funzionari e dipendenti pubblici, quanto alla responsabilità penale per gli atti da essi compiuti. Ma il principio così stabilito non vieta che il legislatore ordinario, modificando le leggi penali vigenti in materia, detti regole particolari, che in deroga alle regole comuni, determinino il contenuto ed i limiti di detta responsabilità», tenuto anche conto della condizione del tutto peculiare che sul piano costituzionale spetta al Consiglio superiore della magistratura.

In tal modo si è inteso rafforzare la garanzia di indipendenza dei predetti organi, tutelando da qualsiasi possibile interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della loro volontà politica (Corte cost. n. 69/1985); peraltro, «essendo così circoscritta, l'immunità non si estende alle opinioni espresse fuori dall'esercizio delle funzioni (es.: nella attività giornalistica del parlamentare), né agli altri reati di qualsiasi genere commessi da detti soggetti in Parlamento, nel Consiglio regionale, etc., e in genere nell'esercizio delle loro funzioni» (Mantovani 2001, 843 s.), oltre che, naturalmente, fuori dall'esercizio delle stesse (come, ad es., per i reati commessi attraverso promesse pre-elettorali: cfr. art. 416-ter), e neanche ai comportamenti di carattere puramente materiale (si pensi, ad esempio, alla violenza sessuale in danno di una funzionaria amministrativa o ad una concussione).

La giurisprudenza, premesso che, in tema di immunità parlamentare, la verifica del nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia e le attività tipicamente parlamentari deve essere effettuata con riferimento alla stessa persona, essendo irrilevanti le attività riferibili ad altri parlamentari, ancorché appartenenti allo stesso gruppo parlamentare, ha chiarito che l'immunità parlamentare non copre anche l'uso del turpiloquio (nella specie, in tema di vilipendio alla bandiera), che è estraneo al corretto esercizio delle funzioni parlamentari (Cass. I, n. 35523/2007: fattispecie nella quale il ricorrente, con riferimento ad espressioni vilipendiose riferite alla bandiera italiana, pronunciate nel corso di un comizio, aveva sostenuto che la frase incriminata dovesse essere considerata connessa ad un'iniziativa parlamentare per l'indipendenza della Padania sostenuta dal gruppo di appartenenza).

Sempre in favore dei membri del Parlamento, l'art. 68, commi 2 e 3, Cost. prevede immunità di natura processuale, disponendo che sia richiesta l'autorizzazione della Camera di appartenenza affinché i parlamentari siano:

- sottoposti a perquisizione personale ovvero domiciliare (art. 68, comma 2): e, secondo la giurisprudenza (Cass. III, n. 11170/2009), rientrano nella nozione di perquisizione domiciliare tutte quelle attività che comportano la violazione di domicilio di un parlamentare e che, con valutazione ex ante, possano indifferentemente portare al reperimento del corpo del reato, di cose ad esso pertinenti, o di tracce del reato, indipendentemente dall'esito in concreto delle attività stesse (in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto l'inutilizzabilità, in difetto della necessaria autorizzazione, dei verbali di un accertamento compiuto dalla P.G. all'interno dell'abitazione di parlamentare al fine di rilevare tracce di un abuso edilizio e di ricercare, anche in vista di un eventuale sequestro, cose ad esso pertinenti).

- tratti in arresto (a meno che il parlamentare non sia sorpreso nell'atto di commettere un delitto per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza), od altrimenti privati della libertà personale o mantenuti in detenzione (a meno che ciò non avvenga in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna) (art. 68, comma 2);

- sottoposti ad intercettazioni (in qualsiasi forma, e quindi sia «ambientali» che telefoniche) di conversazioni o comunicazioni, ovvero a sequestro di corrispondenza (art. 68, comma 3). Con tale ultima previsione si è ritenuto di condizionare le perquisizioni di membri del Parlamento e le intercettazioni di conversazioni (mezzo di ricerca della prova «a sorpresa» per eccellenza) cui partecipino membri del Parlamento (non necessariamente indagati) all'autorizzazione della Camera di appartenenza: resta, naturalmente, misteriosa la residua utilità investigativa della perquisizione di soggetto che sappia di essere in procinto di essere perquisito, ovvero dell'intercettazione di conversazioni che l'interlocutore indagato sappia che sono intercettate.

La dottrina immediatamente considerò quest'ultimo privilegio come un “beffardo sberleffo” (Zagrebelsky G. 1994, 281): la disposizione finisce, infatti, col comportare una vera e propria esenzione dalle intercettazioni nei casi in cui il parlamentare sia indagato, e può trovare un ragionevole ambito applicativo nei soli casi nei quali il soggetto tutelato in ragione della funzione sia persona offesa ovvero anche soltanto persona informata sui fatti (come precisato da una acuta giurisprudenza, «verosimilmente sono questi gli unici casi in cui la norma di attuazione potrebbe forse trovare applicazione, posto che la funzione di “atto a sorpresa” è impensabile in assenza di un meccanismo di segretezza»: Cass. IV, n. 10772/2004).

La giurisprudenza ha, in generale, chiarito che la necessità dell'autorizzazione a procedere ai predetti atti nei confronti di membro del Parlamento non è esclusa dal consenso dell'interessato all'atto da compiere, essendo la garanzia prevista dall'art. 68 Cost. posta a tutela della Camera di appartenenza e non già del singolo parlamentare, il quale, quindi, non può validamente rinunciarvi (Cass. III, n. 11170/2009).

Analoga immunità, limitatamente ai casi previsti dall'art. 68, comma 2, è assicurata ai giudici della Corte costituzionale (exart. 3 l. cost. n. 1/1948): il rilascio dell'autorizzazione compete alla stessa Corte.

Al contrario, le prerogative di cui all'art. 68, commi 2 e 3, non sono analogicamente estensibili ai consiglieri regionali.

È stato dichiarato incostituzionale (Corte cost. n. 24/2004) l'art. 1 l. n. 140/2003, a norma del quale non potevano essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, e fino alla cessazione delle medesime, il Presidente della Repubblica (salvo che per i reati indicati nell'art. 90 Cost.), i Presidenti dei due rami del Parlamento, il Presidente del Consiglio dei ministri, ed il Presidente della Corte costituzionale.

Casistica

La giurisprudenza ha chiarito che l'immunità, assicurata dall'art. 68, comma 1, della Costituzione ai membri del Parlamento che esprima opinioni nell'esercizio delle loro funzioni non si estende ai mezzi di informazione che abbiano diffuso le dichiarazioni e le opinioni coperte dalla detta immunità, la quale non integra una causa di giustificazione estensibile al concorrente ma costituisce una causa soggettiva di esclusione della punibilità della quale non può avvalersi il compartecipe privo della medesima guarentigia (Cass. V, n. 43090/2007: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato con rinvio la decisione con cui il G.u.p. aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti di un giornalista — che aveva pubblicato su un mensile uno scritto redatto da un membro del Parlamento e contenente espressioni offensive nei confronti del direttore di un giornale — sulla base dell'estensione dell'immunità parlamentare anche a suo favore).

Le immunità di diritto pubblico internazionale

Le immunità di diritto pubblico internazionale hanno carattere personale, e fondano generalmente su ragioni di opportunità politica.

Ne beneficiano i soggetti di seguito indicati.

Capi di Stato esteri e reggenti di enti sovrani presenti, in tempo di pace, in territorio italiano

Trattasi di immunità assoluta, sia sostanziale che processuale.

La giurisprudenza ha osservato che il diritto internazionale riconosce l'immunità ai soli Capi di Stato per il fatto che essi rappresentano i rispettivi Stati; ne consegue che tutte le altre immunità non possono che sorgere da specifiche norme legislative, le quali non solo devono formulare il collegamento tra l'organo e la sua qualità di rappresentante dello Stato straniero, ma devono altresì indicare se l'esonero è generale, ovvero limitato ai fatti commessi nell'esercizio delle loro funzioni (Cass. III, n. 1011/1998: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che l'immunità non può essere riconosciuta al Deputato alla sanità e sicurezza sociale del Congresso di Stato di S. Marino).

Segue. La nozione di ente internazionale sovrano

Un ente di diritto internazionale può essere ritenuto sovrano, con la conseguenza dell'esonero del suo capo dall'imperio della legge penale, soltanto quando abbia la c.d. «capacità giuridica internazionale», sia cioè riconosciuto dagli altri Stati come pari e indipendente, sia titolare di un potere di disposizione relativamente ai propri elementi costitutivi, ed abbia il potere di porre in essere, nell'ambito delle relazioni internazionali, rapporti obbligatori tali da dar luogo a situazioni soggettive attive o passive, con la correlativa possibilità, nell'ambito dell'interno dell'ente stesso, di vincolare questo e le sue componenti alle dette situazioni con atti aventi forza cogente (Cass. II, n. 237/1981).

Il problema è stato in passato discusso in riferimento all'allora leaderdella Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp). In quella occasione, la giurisprudenza (Cass. I, n. 1981/1985) osservò che nell'ordinamento interno all'epoca vigente, fra le norme che stabiliscono immunità fuori delle ipotesi previste dal diritto internazionale consuetudinario, andavano individuate quelle relative allo status dei funzionari di organizzazioni internazionali, quali l'O.N.U., la F.A.O., la Comunità Economica Europea, accreditati presso lo Stato italiano, o, comunque, operanti nel territorio dello stesso; sarebbe ammissibile che, come logica conseguenza dell'ammissione di organizzazioni non riconducibili al tipo statuale in seno alla comunità internazionale, possano essere riconosciute ai rappresentanti di tali organizzazioni le immunità che il diritto internazionale garantisce ai rappresentanti degli Stati, ma ciò non costituisce regola generale, non esistendo, allo stato attuale del diritto internazionale, nessun obbligo, in capo agli Stati, di riconoscere le immunità in parola. Ciò premesso, si prese atto che nessuna disposizione analoga riguardava i capi ed i rappresentanti dell'O.L.P., ai quali l'immunità non risultava assicurata né da Convenzioni internazionali vincolanti per lo Stato italiano e rese esecutive all'interno, né da norme autonomamente poste dal nostro legislatore, e, di conseguenza, i contatti avuti dal capo dell'O.L.P. con le più alte autorità governative dello Stato, attinenti alla sfera della politica, erano privi di conseguenze sul piano giuridico). Invero, i «movimenti di liberazione nazionali» — tra i quali era ricompresa l'O.L.P. — godono di una limitata soggettività internazionale, poiché ad esso è riconosciuto un locus standi all'interno della comunità internazionale, al fine limitato di discutere, su basi di perfetta parità con gli Stati territoriali, i modi ed i tempi della autodeterminazione dei popoli da loro politicamente controllati, in applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli, ritenuto norma consuetudinaria a carattere cogente; tuttavia, l'operatività della deroga alla sottoposizione alla legge penale italiana ex art. 3 in virtù della norma consuetudinaria internazionale (immediatamente efficace nel nostro ordinamento ai sensi dell'art. 10, comma 1, della Costituzione), che assicura ai Capi di Stato esteri l'inviolabilità personale (ovvero la sottrazione a tutti i provvedimenti limitativi della libertà personale) e l'immunità della giurisdizione penale, postula che l'ente sia qualificabile come organizzazione sovrana, equivalente, per requisiti di struttura, componenti personali e spaziali e per connotati di effettività, al tipo statuale, che è espresso dalla triade «popolo — governo — territorio», e richiede, quindi, necessariamente che la componente della popolazione e l'apparato di governo da essa espressa ricadano su un luogo di esercizio di tale governo e dell'attività dei soggetti.

Sulla base di tali considerazioni, ad Yasser Arafat, leader p.t. dell'O.L.P., non fu riconosciuta alcuna immunità.

In virtù delle medesime argomentazioni, in tempi meno risalenti, la giurisprudenza (Cass. III, n. 49666/2004) ha ritenuto che il presidente della Repubblica ed il capo del governo del Montenegro non godono delle immunità dalla giurisdizione penale italiana riconosciute ai capi di Stato e di governo e ai Ministri degli esteri degli Stati sovrani e soggetti di diritto internazionale, poiché alla Repubblica del Montenegro non spettava all'epoca, nell'ambito della comunità internazionale, la qualifica di Stato sovrano e di soggetto autonomo e indipendente (che faceva capo solo allo Stato Unione di Serbia e Montenegro); per tale ragione, è stata annullata l'ordinanza del Tribunale del riesame che, a conferma della decisione del g.i.p., aveva rigettato, sul rilievo di tale immunità, una richiesta, avanzata nei confronti del presidente della Repubblica del Montenegro, di misura cautelare per associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di t.l.e.).

Sommo Pontefice

Analoga immunità assoluta, sia sostanziale che processuale, è garantita anche al Sommo Pontefice, la cui persona (quale Capo della Cristianità, oltre che di uno Stato estero) è «sacra ed inviolabile» (art. 8 Tratt. Laterano, reso esecutivo con l. n. 810/1929).

Capi di Governo e ministri per gli affari esteri

Per tali soggetti l'immunità riguarda, peraltro, soltanto i fatti commessi nell'esercizio delle proprie funzioni (Conv. Vienna del 1961 e del 1963, rese esecutive con l. n. 804/1967).

Agenti diplomatici esteri accreditati in Italia e diplomatici pontifici

Agli agenti diplomatici esteri è accordata una immunità assoluta, sia sostanziale che processuale (artt. 31 e 37 Conv. Vienna 1961) e (non meramente funzionale, ma) generale (Cass. IV, n. 11884/1976), cui si sostituisce (art. 38 Conv. Vienna 1961) una più limitata immunità funzionale, ovvero riguardante i soli atti compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni, ove si tratti di soggetti residenti in permanenza nello Stato accreditatario, ovvero di cittadini italiani.

Analoghe immunità sono accordate ai diplomatici stranieri accreditati presso la Santa Sede e residenti in Italia (art. 19 Tratt. Laterano); l'immunità è estesa anche alle famiglie conviventi dei diplomatici. Gli artt. 21 e 10 Tratt. Laterano vietano, rispettivamente, di impedire o limitare la libertà personale ai cardinali durante il Conclave, oltre che, in permanenza, agli Ecclesiastici impegnati, per motivi di ufficio, in atti della Santa Sede che abbiano luogo in territorio italiano.

Con riguardo ai diplomatici ed amministratori pontifici, la giurisprudenza, superato il contrario orientamento espresso in passato da Cass. V, n. 3932/1987, è attualmente orientata nel senso che l'obbligo di non ingerenza dello Stato nelle attività degli «enti centrali della Chiesa», sancito dall'art. 11 del Trattato fra l'Italia e la Santa Sede stipulato l'11 febbraio 1929 e reso esecutivo in Italia con l. n. 810/1929, non equivale alla creazione di una «immunità», ma si riferisce essenzialmente all'attività patrimoniale degli enti anzidetti, rimanendo pertanto escluso che esso comporti la rinuncia dello Stato ad imporre l'osservanza di norme penali e ad agire, quindi, per la repressione di fatti illeciti produttivi di eventi di rilievo penale che si verifichino in territorio italiano (Cass. I, n. 22516/2003: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza di merito che aveva dichiarato non doversi procedere per difetto di giurisdizione nei confronti di taluni responsabili della Radio Vaticana — peraltro ritenuta non annoverabile neppure fra gli «enti centrali della Chiesa» — in ordine al reato di cui all'art. 674, ipotizzato con riguardo all'emissione di onde elettromagnetiche di intensità superiore al consentito dagli impianti della stessa Radio Vaticana, siti in territorio italiano). Si è anche chiarito che, ai fini dell'annoverabilità di un ente o di un istituto ecclesiastico tra gli «enti centrali della Chiesa» non è sufficiente che esso sia dotato di personalità giuridica, ma accorre anche che rientri fra gli organismi che, come le Congregazioni, i Tribunali e gli Uffici, costituiscono la Santa Sede in senso lato, facendo parte della Curia romana e provvedendo al governo supremo, universale della Chiesa cattolica nello svolgimento della sua missione spirituale nel mondo (Cass. I, n. 22516/2003; Cass. II, n. 41786/2015: quest'ultima, in applicazione del principio, ha escluso che la Chiesa Episcopale Italiana rientri tra gli enti centrali della Chiesa, avendo competenza non universale, ma limitata all'Italia).

Consoli, funzionari ed impiegati consolari

L'immunità penale dell'agente consolare straniero, prevista dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari del 24 marzo 1963, ratificata e resa esecutiva in Italia con l. n. 804/1967, è più circoscritta di quella diplomatica disciplinata dalla Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 ed è limitata agli atti compiuti nell'esercizio della funzione consolare: per tali soggetti, l'immunità è, quindi, solo funzionale (Cass. IV, n. 11884/1976), ed opera solo con reciprocità e nei limiti di cui ai Trattati internazionali (art. 43 Conv. Vienna 1961).

Le immunità dalla giurisdizione previste dalle Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari, ratificate e rese esecutive in Italia con l. n. 804/1967, non sono limitate ai soli rappresentanti diplomatici veri e propri, poiché l'art. 43 della Convenzione del 24 aprile 1963 sulle relazioni consolari stabilisce, al primo comma, che anche i «funzionari consolari» e gli «impiegati consolari» non possono essere sottoposti a giudizio dalle autorità giudiziarie e amministrative dello Stato di residenza per gli atti compiuti nell'esercizio delle funzioni consolari (Cass. I, n. 469/1994: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato l'improcedibilità dell'azione penale per il fatto compiuto dall'imputato — integrante la contravvenzione di cui all'art. 674 — nell'esercizio delle funzioni di sovrintendente del Cimitero militare americano di Nettuno e di membro della missione diplomatica degli Stati Uniti).

In un caso nel quale era stata invocata l'immunità in riferimento ad operazioni costituenti reato, poste in essere da funzionari consolari in territorio italiano, ma compiute nell'interesse degli Stati Uniti d'America (che ritenevano legittime e necessarie le pratiche di extraordinary renditions nella strategia contro il terrorismo di matrice islamica) ed anzi dell'intera umanità, e quindi asseritamente rientranti tra le funzioni consolari, la giurisprudenza ha affermato il seguente principio di diritto: «colui che, quale organo di uno Stato straniero, ponga in essere iure imperii atti previsti dalla legge italiana come reato è soggetto alla giurisdizione penale italiana, non essendo rinvenibile nel diritto internazionale una norma consuetudinaria che riconosca in tal caso una immunità funzionale in materia penale», precisando che «il rapimento di una persona per condurla, per di più, in un luogo ove sia possibile sottoporla ad interrogatorio con metodi brutali — tortura — non rientra nell'esercizio delle funzioni consolari ed è contrario alle leggi italiane», e che gli agenti consolari imputati erano, al tempo stesso, funzionari della C.I.A., ed avevano, nel caso concreto sottoposto all'esame della S.C., agito esclusivamente come agenti della C.I.A. (Cass. V, n. 46340/2012).

Membri del Parlamento europeo

I membri del Parlamento europeo « nel territorio nazionale godono delle stesse immunità riconosciute ai parlamentari del loro paese e, nel territorio di ogni Stato membro, dell'esenzione da provvedimenti di detenzione e da procedimenti giudiziari», ai sensi dell'art. 10 Prot. Bruxelles del 1965, reso esecutivo con l. n. 437/1966 (Mantovani791).

Secondo la giurisprudenza, per i fatti commessi nel territorio dello Stato il rappresentante italiano del Parlamento europeo usufruisce esclusivamente della sfera di garanzia riservata al parlamentare nazionale dall'art. 68 Cost., cui l'art. 10 lett. A) del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle comunità europee rinvia sia per i profili sostanziali che per le garanzie procedurali dell'immunità (Cass. I, n. 35523/2007).

Giudici della Corte dell'Aja e della Corte Edu

Per i giudici della Corte dell'Aja (ex art. 19 del relativo Statuto) e della Corte Edu (art. 2 ss. IV Protocollo addizionale, accordo sui previlegi e le immunità del Consiglio d'Europa, reso esecutivo con l. n. 350/1966), trattasi di immunità che coprono i soli atti funzionali.

Funzionari di organizzazioni internazionali ed i rappresentanti delle Nazioni Unite

Nell'attuale ordinamento, «fra le norme che stabiliscono immunità fuori delle ipotesi previste dal diritto internazionale consuetudinario, vanno individuate quelle relative allo status dei funzionari di organizzazioni internazionali (v., l. n. 1740/1951 e l. n. 1318/1957), quali l'Onu, la Fao, la CE, accreditati presso lo Stato italiano, o, comunque, operanti nel territorio dello stesso; nessuna disposizione analoga si riscontra, quanto ai capi ed ai rappresentanti dell'O.L.P., ai quali l'immunità non risulta assicurata né da convenzioni internazionali vincolanti per lo Stato italiano e rese esecutive all'interno, né da norme autonomamente poste dal nostro legislatore» (Cass. I, n. 1981/1985).

Membri (e persone al seguito) delle forze armate della Nato

I Membri (e persone al seguito) delle forze armate della Nato «sono soggetti alle leggi e alla giurisdizione militare del loro Stato di appartenenza per i reati contro questo o contro un membro delle sue forze armate o un funzionario o altra persona a suo carico», ai sensi della Convenzione tra gli Stati parti del Trattato dell'Atlantico del Nord relativa allo statuto delle loro forze (Statuto delle truppe della Nato) del 19 giugno 1951, resa esecutiva con l. n. 1335/1955: Mantovani791): l'immunità è consuetudinariamente estesa anche ai militari stranieri di stanza in territorio italiano con l'autorizzazione dello Stato. I soggetti beneficiari delle predette immunità di diritto interno possono risultare penalmente responsabili delle proprie azioni secondo la legislazione vigente nei rispettivi Stati esteri di appartenenza.

L'art. VII della Convenzione di Londra del 19 giugno 1951, resa esecutiva in Italia con la l. n. 1335/1955, prevede, in particolare, la facoltà discrezionale di rinuncia alla giurisdizione per i reati commessi in Italia dagli appartenenti alla N.A.T.O.: detta facoltà non può essere esercitata dall'autorità giudiziaria, ma, postulando una valutazione di opportunità squisitamente politica, rientra nell'ambito dell'attività discrezionale propria degli organi del potere politico-amministrativo, e compete (in virtù del d.P.R. n. 1666/1956 che ha approvato il regolamento relativo alla applicazione dell'art. VII della citata Convenzione), al Ministro della Giustizia, su richiesta o previo parere del Ministro per gli Esteri, che esercita detta facoltà mediante richiesta al giudice investito del procedimento, al quale ultimo è riservato emettere la sentenza dichiarativa della causa di non doversi procedere a seguito della richiesta, previa verifica, sotto il profilo strettamente giuridico, della «esistenza delle condizioni previste dalla legge per l'ammissibilità e la validità della rinuncia» (Cass.S.U., n. 20/1957: in applicazione del principio, è stato considerato abnorme, come tale ricorribile in Cassazione, il provvedimento di rinuncia alla giurisdizione emesso dal giudice; conformi, Cass. I, n. 7379/1982, e Cass. V, n. 4640/1999, per la quale la sentenza del giudice italiano si pone come atto meramente dichiarativo della rinuncia: di conseguenza, la sentenza che dichiari la rinuncia in assenza della determinazione del competente organo politico amministrativo, sarebbe un provvedimento radicalmente nullo, viziato di eccesso di potere e ricorribile per cassazione ex art. 606, comma 1, lett. a), c.p.p., risolvendosi nell'esercizio di una potestà riservata dalla legge a un organo amministrativo. La fattispecie concreta riguardava un militare delle forze N.A.T.O. di stanza in Italia, indagato per il reato di cui all'art. 582, relativamente al quale il Ministro competente aveva respinto l'istanza di rinuncia del capo divisione dell'ufficio legale del comando Setaf di Vicenza).

Responsabilità per i danni prodotti dai crimini contro l'umanità commessi dalle forze armate tedesche in Italia

Un orientamento giurisprudenziale ha in passato riconosciuto la sussistenza della giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa in sede penale nei confronti di uno Stato straniero (nella specie, la Repubblica federale di Germania) per i danni cagionati alla popolazione civile da crimini contro l'umanità commessi in Italia da propri militari durante la seconda guerra mondiale (Cass. I, n. 1072/2009: fattispecie riguardante l'eccidio di 203 persone estranee ad operazioni militari; nel medesimo senso, Cass. civ.S.U., n. 5044/2004, n. 14199/2008 e n. 14201/2008). Tuttavia, in applicazione della sentenza della Corte internazionale di giustizia dell'Aja 3 febbraio 2012 (che ha confermato l'immunità riconosciuta dal diritto internazionale agli Stati sovrani, e la cui immediata efficacia nei giudizi è stata riconosciuta anche dall'art. 3, comma 1, l. n. 5/2013), deve ritenersi ormai pacifico che non sussiste la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa in sede penale nei confronti della Repubblica federale di Germania con riguardo ad attività iure imperii, ritenute lesive dei valori fondamentali della persona o integranti crimini contro l'umanità, commesse dal Reich tedesco fra il 1943 ed il 1945, dovendosi escludere che il principio dello jus cogens deroghi al principio dell'immunità giurisdizionale degli Stati.

Personale amministrativo e tecnico delle missioni

Immunità solo funzionali sono riconosciute al personale amministrativo e tecnico delle missioni ed alle loro famiglie conviventi; al contrario, l'immunità non si estende al personale con mansioni puramente materiali (Cass.S.U., 28 maggio 1955, per la quale l'autista di una rappresentanza diplomatica non gode di alcuna immunità).

Profili processuali

 

L'accettazione implicita della giurisdizione italiana

Secondo la giurisprudenza, nel caso in cui, su istanza delle autorità militari dello Stato d'origine (nel caso di specie, appartenente alla N.A.T.O.), sia stato disposto dal giudice italiano il dissequestro di un autoveicolo guidato da un cittadino appartenente alle truppe in servizio sul territorio dello Stato italiano, deve ritenersi che le autorità dello Stato d'origine abbiano inteso fare acquiescenza all'esercizio della giurisdizione italiana, accettandola per la cognizione del reato eventualmente attribuito a quel cittadino (Cass. IV, n. 4160/1981).

Le impugnazioni

Si è, in passato, ritenuto che l'ordinanza che rigetti le eccezioni di difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana e di improcedibilità dell'azione penale per difetto della richiesta del Ministro della giustizia non è soggetta a impugnazione, poiché trattasi in entrambi i casi di decisioni che non esauriscono il rapporto processuale, ma ne consentono la prosecuzione e lo sviluppo verso le fasi e i gradi successivi presso l'ufficio giudiziario che ne è stato originariamente investito (Cass. V, n. 14/1986).

Applicazioni in tema di rinunzia al diritto di priorità

Secondo la giurisprudenza, in tema di rinunzia al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione da parte del Ministro, compete anche al giudice di pace — accertata la sussistenza delle condizioni di legge per l'ammissibilità e la validità della rinuncia — dichiararla con sentenza, ai sensi del d.P.R. n.1666/1956 (Cass. IV, n. 12212/2004: fattispecie nella quale la S.C. ha accolto il ricorso del P.M. contro l'ordinanza con la quale il giudice di pace — ritenendosi incompetente ad emettere sentenza in funzione di Gip — aveva trasmesso gli atti all'autorità straniera dando mandato alla Procura per l'esecuzione; la S.C. ha precisato che la sentenza che il giudice di pace avrebbe dovuto emettere, si inquadra entro lo schema procedimentale dell'art. 129, comma 1, c.p.p., applicabile in ogni stato e grado del processo ed anche nel procedimento davanti al giudice di pace); non è stato considerato abnorme il provvedimento con il quale il giudice di pace, rilevata l'avvenuta rinunzia da parte del Ministro della Giustizia al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione (nella fattispecie: nei confronti di militare in servizio presso la N.A.T.O.), aveva dichiarato con ordinanza il proprio difetto di giurisdizione ed ordini la trasmissione degli atti all'Autorità competente all'esercizio dell'azione penale, al contempo disponendo l'esecuzione dell'ordinanza medesima a cura della procura della Repubblica (Cass. IV, n. 41203/2004).

Sempre con riguardo a reati commessi da militari appartenenti alla N.A.T.O., si è anche ritenuto che la mancata comunicazione da parte dell'autorità giudiziaria al Ministero della giustizia delle informazioni occorrenti per l'esercizio della facoltà di rinuncia alla giurisdizione, non comporta alcuna conseguenza processuale, trattandosi di prescrizioni che non attengono al rispetto o alla maturazione di eventuali condizioni di procedibilità, né all'eventuale tutela di qualsivoglia prerogativa propria di taluna parte processuale, ferma restando l'eventuale facoltà propria del Ministro competente di formulare in ogni momento, entro i termini previsti dalla legge, la richiesta di rinuncia alla giurisdizione, che, in virtù del d.P.R. n. 27/2013, con il quale è stato emanato un nuovo Regolamento relativo all'applicazione dell'art. VII della Convenzione di Londra, può essere fatta in ogni stato e grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza (Cass. IV, n. 21269/2015).

Bibliografia

Amoroso, Sull'(in) esistenza di un regime generale in materia di immunità funzionale degli organi stranieri, in Giur. it. 2013, 1896 ss.; Dean, Norma penale e territorio. Gli elementi di territorialità in relazione alla struttura del reato, Milano, 1962; Gambardella, Nota a Cass. I, n. 2277/1998, Cass. pen. 1998, 3073; G. Morelli, Trasferimenti di territorio e giurisdizione penale, in Giust. pen. 1950, III, 57; Picciche', Esclusa la giurisdizione italiana sulle domande risarcitorie proposte contro la Germania per i crimini contro l'umanità commessi dal terzo Reich, in Riv. pen. 2013, 1156 ss.; Ramacci, Corso di diritto penale, vol. I, Torino, 1991; Quadri, Sulla punibilità in Italia dei delitti commessi nei territori ceduti, in Giur. compl. Corte cass. 1949, 1158; Zagrebelsky, Commento alla riforma dell'autorizzazione a procedere, in Corr. giur. 1994, 281 ss.; Ziccardi, Intorno ai limiti della legge e della giurisdizione italiana, in Riv. it. dir. pen. 1950, 462.

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