Codice Penale art. 31 - Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un'arte. Interdizione.

Alessandro Trinci

Condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o di un'arte. Interdizione.

[I]. Ogni condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri, o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, o ad un pubblico servizio, o a taluno degli uffici indicati nel numero 3 dell'articolo 28, ovvero con l'abuso di una professione, arte, industria, o di un commercio o mestiere, o con la violazione dei doveri a essi inerenti, importa l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria, o dal commercio o mestiere [33 2, 37, 79, 139, 140 2, 366 4, 373 2, 448 2].

Inquadramento

In ipotesi di condanna per delitti commessi con l'abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione, ad un pubblico servizio ovvero a taluno degli uffici indicati nel numero 3 dell'art. 28 c.p. ovvero, ancora, con l'abuso di una professione, arte, industria, commercio o mestiere, oppure con violazione dei doveri a essi inerenti, è disposta altresì l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria o dal commercio o mestiere.

Si ritiene configurabile una interdizione settoriale dai pubblici uffici, che sia cioè limitata ai soli uffici o servizi relativi ai poteri dei quali il soggetto agente ha abusato o i doveri violati nella commissione del reato, specialmente laddove lo stesso legislatore ha previsto una distinzione dell'ambito di intervento della interdizione (si pensi alla previsione di cui all'art. 609-nonies, n. 2, c.p. in relazione alla curatela o tutela).

Finalità della previsione.

La previsione di cui all'art. 31 individua una serie di ipotesi nelle quali, in ragione di talune peculiari modalità di realizzazione del reato, alla condanna consegue l'applicazione di una pena accessoria. Si tratta di ipotesi nelle quali, dunque, non si fa riferimento all'entità della pena inflitta o alla dichiarazione di una pericolosità qualificata, ma alla condotta tenuta dal reo.

La norma individua, dunque, un criterio sussidiario per l'applicazione dell'interdizione dai pubblici uffici al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 29 ed indica il criterio principale per l'applicazione della sanzione dell'interdizione dall'esercizio di una professione, di un'arte o di un mestiere (art. 30).

Nelle intenzioni del legislatore il riferimento alla qualità del reato accentua la finalità special-preventiva della previsione della sottoposizione a pena accessoria, finendo per evitare che il reo torni a svolgere proprio quelle attività nell'esercizio delle quali si è determinato a commettere il reato (Larizza, 172).

Tale impostazione ha trovato apprezzamento in dottrina, apparendo maggiormente razionale e rispettosa del principio rieducativo della pena di cui all'art. 27, comma 3, Cost. (Riccio, 533).

Presupposti

A norma dell'art. 31, l'interdizione da una professione o da un'arte consegue ex lege alle condanne per delitti commessi con abuso dei poteri o mediante violazione dei doveri relativi all'esercizio di una professione, arte, industria, commercio o mestiere

In tema di abuso di poteri, rinviando a quanto già enunciato sub art. 30, si precisa che esso comporta un utilizzo dei poteri in maniera difforme rispetto alle finalità per cui lo stesso è conferito al soggetto agente, il quale si avvale della propria posizione giuridica e del diritto di cui è titolare per raggiungere un fine proprio o altrui. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, occorre un rapporto di strumentalità o quantomeno di agevolazione tra l'abuso di poteri o la violazione di doveri e la realizzazione del delitto (Cass. III, n. 9956/2019).

La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che la locuzione « abuso della professione » utilizzata dall'art. 31 deve essere intesa nel senso di uso abnorme del diritto all'esercizio di una determinata professione, con il precipuo intento di conseguire uno scopo diverso da quello al quale l'abilitazione è strumentale (Cass. VI, n. 14368/1999, ove il presupposto in parola è stato ravvisato nella condotta di un medico che aveva reiteratamente consentito ad un soggetto non abilitato di utilizzare il suo nome e la sua posizione fiscale per l'esercizio abusivo della professione di dentista).

Non rientra nell'abuso dei poteri l'abuso di qualità, che si ha quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio faccia un uso indebito della propria condizione personale, a prescindere dall'esercizio dei poteri che gli sono conferiti (Segreto-De Luca, 203).

Quanto ai doveri la cui violazione determina l'applicazione dell'interdizione, si evidenzia come possono essere considerati rilevanti unicamente doveri specifici, restando priva di conseguenze — almeno ai fini che in questa sede ci occupano — la violazione di generici doveri di correttezza, per esempio, finendo altrimenti la previsione in commento per entrare in insanabile contrasto con il principio di determinatezza di cui all'art. 25 Cost. (Pisa, 113; Riccio, 532). Analogamente, non può ritenersi rilevante la violazione di generici doveri deontologici (Pisa, 124).

Affinché alla condanna per delitti commessi con abuso di un pubblico ufficio o di una professione o arte consegua l'interdizione è altresì richiesto che sussista un rapporto di strumentalità — o per lo meno di agevolazione in concreto — tra l'abuso di poteri o la violazione dei doveri di cui si è detto ed il delitto, vale a dire che tale abuso o violazione deve avere di fatto agevolato o comunque consentito la commissione del reato. Non è richiesto che l'abuso o la violazione del dovere sia commesso nel compimento di un atto proprio della funzione o del servizio, ma non è dunque sufficiente la mera occasionalità tra il reato e lo svolgimento della pubblica funzione o del pubblico servizio (Pisa, 108).

Per espressa previsione del secondo comma dell'art. 33, le disposizioni dell'art. 31 non si applicano in ipotesi di condanna per delitto colposo, se la pena inflitta è inferiore a tre anni di reclusione, ovvero se è inflitta soltanto una pena pecuniaria.

La Suprema Corte ha precisato che ben può sussistere un abuso di poteri o una violazione di doveri in presenza di delitto colposo; in tal caso, è solo l'entità della pena irrogata che può portare ad escludere l'applicazione dell'interdizione, ma non è prevista una incompatibilità tra interdizione e comportamento colposo dell'agente (Cass. VI, n. 9530/1986, ove si precisa che la pena accessoria della sospensione dall'esercizio degli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese di cui all'art. 35-bis è applicabile, per il combinato disposto degli artt. 31 e 33, a tutte le ipotesi contravvenzionali, senza che rilevi se esse siano state commesse con dolo o con colpa).

I criteri per l'individuazione dell'abuso o della violazione dei doveri.

Non è agevole né immediata la selezione dei criteri per l'individuazione dell'abuso dei poteri o la violazione dei doveri di cui si è detto e la giurisprudenza ha nel tempo delineato delle linee guida a seconda dei settori di riferimento in cui è stata chiamata a pronunciarsi.

In relazione all'interdizione dall'esercizio della professione giornalistica, per esempio, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che non rileva un solo ed isolato comportamento delittuoso e che è necessario individuare una particolare gravità della condotta posta in essere dal soggetto agente, sia sul piano oggettivo (dovendosi guardare alla gravità della condotta ed alla reiterazione della medesima), sia sul piano soggettivo (Cass. V, n. 12876/1986, distaccandosi dall'orientamento tenuto da certa giurisprudenza di merito, secondo cui non è necessario un accertamento in concreto).

Anche la dottrina ha evidenziato la necessità di un attento riscontro dell'esistenza dei presupposti per l'interdizione professionale, manifestando qualche perplessità in ordine alla asserita necessità dell'elemento della reiterazione del comportamento illecito, requisito richiesto dalla giurisprudenza, rilevando come l'accoglimento di tale orientamento determinerebbe l'inapplicabilità della sanzione accessoria davanti a condanne pronunciate per fatti commessi con un'unica — ma grave — condotta (Larizza, 129).

Analogie con la previsione di cui all'art. 61, n. 9

Ai fini dell'applicazione dell'art. 31 è necessario procedere alla verifica degli elementi indicati dall'art. 61, n. 9, che disciplina la circostanza aggravante dell'aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio.

La giurisprudenza di legittimità si è espressa nel senso di escludere che l'aggravante sia integrata ogni qualvolta a compiere il reato sia un soggetto che rivesta la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. II, n. 5618/1972), richiedendo al contrario che sia verificata la sussistenza di un rapporto di agevolazione della condotta delittuosa in forza della funzione rivestita (Cass. III, n. 128/1983; in dottrina: Pisa, 109).

Nel caso in cui l'abuso di poteri o la violazione dei doveri non siano elementi costitutivi del reato, ad avviso della Suprema Corte la sanzione interdittiva di cui trattasi può essere inflitta anche quando non sia contestata la circostanza di cui all'art. 61, n. 9 (Cass. II, n. 13435/1989).

Sul punto è critica certa dottrina, secondo cui l'applicabilità della sanzione interdittiva non può che essere subordinata alla verifica in concreto dell'abuso o della violazione, pur se non contestati come aggravante (Ferrante, 99; Riccio, 538).

Ambito applicativo

L'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 31 trova applicazione sia con riguardo a fattispecie che annoverano l'abuso di poteri o la violazione di doveri tra gli elementi essenziali del reato, sia con riguardo a reati nei quali non sussista detta previsione.

In relazione alla prima tipologia di reati, ai fini dell'applicazione della sanzione accessoria non è necessaria alcuna motivazione sull'esistenza dell'abuso o della violazione dei doveri (Cass. S.U., n. 12228/2014).

Si rileva che l'art. 31  non trova applicazione rispetto ai delitti di peculato (art. 314) e concussione (art. 317), in ordine ai quali l'art. 317-bis dispone espressamente che alla condanna per detti reati consegua l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Ancora, pare opportuno precisare che l'interdizione temporanea dall'esercizio della professione di cui trattasi riguarda nel suo complesso l'attività il cui legittimo esercizio richiede una speciale abilitazione e non soltanto il settore specializzato in cui essa viene in concreto espletata (Cass. VI, n. 9297/1995, ove la Suprema Corte ha rigettato il ricorso di un medico odontoiatra che era stato condannato per il reato di cui agli artt. 110 e 348 per avere consentito ad un odontotecnico di svolgere l'attività di medico odontoiatra presso il proprio studio dentistico; il condannato aveva sostenuto che nei suoi confronti era stata inflitta l'interdizione temporanea dalla professione di medico-chirurgo anziché dell'attività di odontoiatra).

Tentativo e concorso di persone

Ad avviso della prevalente giurisprudenza, la previsione di cui all'art. 31  trova applicazione anche in ipotesi di delitto tentato (art. 56), non prevendendo la norma che l'applicazione della sanzione interdittiva sia subordinata alla consumazione del reato (Cass. III, n. 2196/1996).

Ove il reato sia commesso da più persone, nell'ipotesi in cui i presupposti di cui all'art. 31  siano realizzati solo da taluno dei concorrenti, si pone il problema dell'applicabilità agli altri compartecipi delle pene accessorie di cui agli artt. 28 e 30.

Sul punto la Suprema Corte si è in un primo momento espressa nel senso di ritenere l'interdizione dai pubblici uffici irrogabile a tutti i concorrenti nel delitto (Cass. VI, n. 84/1970), circoscrivendo poi l'applicabilità dell'interdizione in parola ai soli correi che esercitino la professione nell'esercizio della quale è stato commesso il reato (Cass. VI, n. 6729/1979).

Per affrontare la questione è tuttavia necessario rilevare come soltanto ove l'abuso o la violazione siano elementi costitutivi del reato, a norma degli artt. 110 e 117, le pene accessorie sono applicabili anche ai concorrenti nel reato, ivi compresi quelli che non ricoprono la pubblica funzione, non svolgono il pubblico servizio o non esercitano la professione in relazione alla quale è commesso il reato.

Ove invece l'abuso di potere o la violazione di doveri costituiscano una circostanza aggravante, come nel caso già menzionato di cui all'art. 61, n. 9, a norma degli artt. 118 e 59 la sanzione accessoria può essere applicata al concorrente solo se la circostanza-presupposto è stata conosciuta ovvero ignorata per colpa dal concorrente estraneo (Cass. VI, n. 6729/1979).

Concorso di pene accessorie

L'interdizione temporanea dai pubblici uffici e quella dalla professione possono essere applicate congiuntamente, a patto che il condannato rivesta la duplice qualità di pubblico ufficiale e di soggetto che esercita una professione (si pensi all'ipotesi di un notaio che sia condannato per il delitto di peculato di cui all'art. 314).

La disgiuntiva contenuta nell'ultima parte dell'art. 31, secondo cui la condanna « importa l'interdizione temporanea dai pubblici uffici o dalla professione, arte, industria o dal commercio o mestiere », non deve dunque essere letta nel senso che il giudice deve scegliere se applicare alternativamente l'una o l'altra misura, ma nel senso che le distinte sanzioni accessorie conseguono alle diverse qualità soggettive del condannato, vale a dire a seconda che questi sia pubblico ufficiale, incaricato di pubblico servizio oppure esercente una professione, arte, industria, ecc. (Cass. II, n. 7761/1986).

Si evidenzia infine che alcune norme di parte speciale prevedono espressamente l'interdizione professionale quale conseguenza dell'accertamento del delitto; si pensi, ad esempio, alle previsioni di cui agli artt. 366, comma 4, 373, 583-bis e 583-ter.

Le sanzioni di cui all'art. 31 devono essere tenute distinte da sanzioni di contenuto interdittivo, ma aventi natura disciplinare, come la destituzione di diritto del notaio (art. 142, l. 16 febbraio 1913, n. 89) e la sospensione dall'esercizio della professione di avvocato (art. 40, r.d.l. 27 novembre 1993, n. 1578).

Si rinvia sul punto a quanto enunciato sub art. 30.

Casistica

La pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 31  consegue, tra le varie, ad ogni condanna per il delitto di violazione dei sigilli commesso dal custode — ipotesi emblematica di delitto commesso con l'abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio — (Cass. III, n. 14238/2006); nonché alla condanna per il delitto di frode in commercio, ipotesi che prevede altresì la pena accessoria della pubblicazione della sentenza, a norma degli artt. 30, 31 e 518 (Cass. III, ord., n. 2196/1996).

Le pene accessorie della interdizione temporanea o sospensione dalla professione, arte, industria, commercio o mestiere non sono invece applicabili nei confronti di chi che abbia venduto o messo in vendita merci ovvero che abbia offerto od eseguito servizi o prestazioni a prezzi superiori a quelli stabiliti dal comitato interministeriale prezzi (Cip) dal momento che la normativa vigente in materia concede in via esclusiva al Ministro e al Presidente del comitato il potere di sospendere il denunciato dall'attività che abbia dato luogo all'infrazione ovvero di escluderlo dalle assegnazioni di determinate materie, prodotti e di contingenti di esportazione e di importazione e dalla concessione dei relativi permessi, nonché dalle gare previste dal regolamento per la contabilità generale dello stato (Cass. VI, n. 8951/1984).

Si evidenzia come in materia di disciplina dei prezzi, la sanzione di cui all'art. 16 d.lg.C.p.S. 15 settembre 1947, n. 896 — a norma del quale il denunciato è sospeso da qualsiasi licenza o autorizzazione inerente all'attività che ha dato luogo all'infrazione — può concorrere con la pena accessoria dell'interdizione dall'esercizio del commercio non essendo applicabile nel caso in esame il principio di specialità, dal momento che la sanzione del menzionato decreto ha natura amministrativa sia sul piano soggettivo, stante l'organo amministrativo che può irrogarlo, sia sul piano oggettivo, dal momento che il potere di sospendere la licenza di commercio o di comminare le altre sanzioni previste prescinde dall'accertamento di un reato (Cass. VI, n. 9044/1985).

Ancora, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art.31 consegue alla condanna per il delitto di falsa testimonianza, reato che rientra tra i delitti commessi con la violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione (Cass. VI, n. 44758/2003).

In tema di applicabilità della pena accessoria dell'interdizione dalla professione di giornalista e di come la giurisprudenza richieda per l'applicazione della stessa la presenza di gravi e ripetute lesioni dei principi dell'etica professionale sanciti nell'ordinamento della professione di giornalista e che non è sufficiente un isolato comportamento diffamatorio, si veda quanto enunciato sub art. 30.

Profili processuali

È ammissibile il giudizio per decreto nei casi nei quali alla condanna consegua la sanzione interdittiva, dal momento che l'art. 459, comma 5, prevede unicamente che il procedimento per decreto non è ammesso quando risulti la necessità di applicare una misura di sicurezza personale, senza far riferimento alle misure interdittive (Cass. III, n. 7814/1984).

Ove il giudice di merito applichi erroneamente la sanzione disciplinare dell'interdizione dalla professione di cui all'art. 8 l. n. 175/1992 (che attribuisce espressamente agli ordini e collegi professionali sanitari la facoltà di promuovere ispezioni presso gli studi professionali degli iscritti ai rispettivi albi provinciali per vigilare sul rispetto dei doveri inerenti alle rispettive professioni) in luogo della pena accessoria prevista dall'art. 30, il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio l'erronea applicazione dell'art. 8 sopra menzionato, trattandosi di errore che non determina l'annullamento della decisione e che può essere rettificato a norma dell'art. 619 c.p.p. (Cass. VI, n. 21212/2001).

Non viola il principio della reformatio in peius la sentenza del giudice di appello che, in presenza di impugnazione del solo imputato, applichi la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, erroneamente non disposta in primo grado, qualora, attesi i caratteri del reato attribuito all'imputato, sia prevista espressamente dall'art. 31 quale conseguenza necessaria della condanna per quel reato (Cass. II, n. 15806/2017).

Bibliografia

Ferrante, Delitto di cui all'art. 583 commesso da docenti universitari e pena accessoria, in Giur. merito, 1979, 96; Larizza, Le pene accessorie, Padova, 1986; Pisa, Le pene accessorie. Problemi e prospettive, Milano, 1984; Riccio, Interdizione temporanea dai pubblici uffici ed aggravante dell'abuso di pubblica funzione, in Arch. pen., 1984, 530; Segreto-De Luca, I delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione, Milano, 1991, 203.

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