Codice Penale art. 61 - Circostanze aggravanti comuni.Circostanze aggravanti comuni. [I]. Aggravano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali 1 [15, 68], le circostanze seguenti [5783, 5792]: 1) l'avere agito per motivi abietti o futili [5761 n. 2, 5771 n. 4]; 2) l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro [12c c.p.p.], ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato [5761 n. 1]; 3) l'avere, nei delitti colposi [43], agito nonostante la previsione dell'evento; 4) l'avere adoperato sevizie, o l'aver agito con crudeltà verso le persone [5761 n. 2, 5771 n. 4]; 5) l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; 2 6) l'avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato [5761 n. 3, 5851; 296 c.p.p.]; 7) l'avere, nei delitti contro il patrimonio [624-648-ter; 1135-1149 c. nav.], o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei delitti determinati da motivi di lucro [242, 4812], cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante gravità; 8) l'avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso; 9) l'avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto; 10) l'avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale [357] o una persona incaricata di un pubblico servizio [358], o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio; 11) l'avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d'opera, di coabitazione, o di ospitalità [6463, 649]; 11-bis) l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale; 3 11-ter) l'aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione; 4 11-quater) l'avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere; 5 11-quinquies) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza; 6 11-sexies) l'avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative7. 11-septies) l'avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni8. 11 -octies ) l'avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nonché di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni, a causa o nell'esercizio di tali professioni o attività.9 11-novies) l'avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni10 11-decies) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità pubblica e individuale, contro la libertà personale e contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio commesso il fatto all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri11 11-undecies) l'avere commesso il fatto mediante l'impiego di sistemi di intelligenza artificiale, quando gli stessi, per la loro natura o per le modalità di utilizzo, abbiano costituito mezzo insidioso, ovvero quando il loro impiego abbia comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa, ovvero aggravato le conseguenze del reato12.
[1] Per particolari aggravanti v. gli artt. 61-bis, 270-bis.1, 416-bis.1 c.p. [2] Numero così modificato, dall'art. 1, comma 7, della l. 15 luglio 2009, n. 94. Il testo precedente era il seguente: «5) l'avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; ». [3] La Corte cost., con sentenza 8 luglio 2010, n. 249, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale numero, che è stato inserito dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Ai sensi dell'art. 1 della l. 15 luglio 2009, n. 94, tale disposizione si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi. [4] Numero inserito dall'art. 3, comma 20, della l. 15 luglio 2009, n. 94. [5] Numero inserito dall'art. 3 l. 26 novembre 2010, n. 199. [6] Le parole «e contro la libertà personale,» sono state sostituite alle parole «, contro la libertà personale nonché del delitto di cui all'articolo 572,» dall'art. 9, comma 1, l. 19 luglio 2019, n. 69, in vigore dal 9 agosto 2019. Precedentemente il presente numero è stato inserito, in sede di conversione, dall'art. 1, d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv., con modif., dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119. [7] Numero aggiunto dall'art. 14, comma 1, l. 11 gennaio 2018, n. 3. [8] Numero aggiunto dall'art. 16, comma 1, lett. a), d.l. 14 giugno 2019, n. 53, conv., con modif, in l. 8 agosto 2019, n. 77, in vigore dal 15 giugno 2019. [9] Numero aggiunto dall'art. 5, l. 14 agosto 2020, n. 113, con entrata in vigore il 24 settembre 2020. [10] Numero aggiunto dall'art. 4 l. 4 marzo 2024, n. 25. [11] Numero aggiunto dall'art. 11, comma 1, d.l. 11 aprile 2025, n. 48, conv. in l. 9 giugno 2025, n. 80. [12] Numero aggiunto, con numerazione già presente, dall'art. 26, comma 1, lett. a), l. 23 settembre 2025, n. 132 e successivamente così rettificato con Comunicato in G.U. n.242 del 17 ottobre 2025. InquadramentoL'art. 61 contiene un elenco delle circostanze aggravanti comuni, così denominate in quanto, da un lato, comportano un aumento (fino a un terzo) della pena comminata per il reato-base (variazione c.d. quantitativa), e, dall'altro, sono potenzialmente applicabili a qualsiasi reato, essendo previste nella parte generale del codice penale (Fiandaca-Musco, PG, 436). Motivi abietti o futili (art. 61, n. 1)Il n. 1) dell'art. 61, che trova il proprio speculare corrispondente nell'attenuante di cui all'art. 62, n. 1, contempla un'unica circostanza, la quale, ancorché sdoppiata nei due concetti di abiezione e futilità dei motivi, viene tuttavia integrata una sola volta anche allorquando siano presenti ambedue le ipotesi. La dottrina tradizionale distingue il motivo dallo scopo: mentre il primo costituisce la causa psichica della condotta ovvero la molla, l'impulso o l'istinto che induce il soggetto ad agire o ad omettere di agire, il secondo rappresenta il consapevole obiettivo dell'azione (Malinverni, Motivi, 287; Antolisei, PG, 352, parla di «stimolo che ha indotto l'individuo ad operare» e di «causa psichica dell'azione»). Pur potendo il movente essere, di per sé, anche inconscio — in ciò distinguendosi dallo scopo (o fine), il quale, consistendo nella rappresentazione di un risultato, ha sempre carattere conoscitivo (Antolisei, PG, 352) —, la dottrina ritiene tuttavia che l'aggravante abbia un senso solo se riferita a motivi di cui l'agente è consapevole (Padovani, 216; Pagliaro, 460). Secondo la nozione giurisprudenziale, è abietto il motivo che è espressione di un sentimento spregevole, per tale intendendosi quello turpe, ignobile, che rivela nell'agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità in un certo momento storico (contra, su questo punto, Cass. I n. 18365/2022, v. infra), nonché quello spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l'abnormità di fronte al sentimento umano» (Cass. I, n. 38208/2019; Cass. I, n. 30291/2011; Cass. I, n. 32851/2008). Il motivo deve invece considerarsi futile «quando la determinazione delittuosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, assolutamente insufficiente a provocare l'azione delittuosa, tanto da poter essere riguardato, più che come causa determinante dell'evento, come pretesto o scusa perché l'agente potesse dare sfogo al suo impulso criminale» (ex multis, Cass. V, n. 41052/2014; Cass. I, n. 35369/2007; Cass. I, n. 5864/2000), ovvero «quando la spinta al reato manca di quel minimo di consistenza che la coscienza collettiva esige per operare un collegamento accettabile sul piano logico con l'azione commessa» (tra le tante, Cass. I, n. 35369/2007; Cass. I, n. 4453/2000; Cass. I, n. 4819/1998). Segue. Natura giuridica e conseguenze applicativeLa dottrina maggioritaria considera l'aggravante in questione di natura soggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 450; Romano, 664), con la conseguenza che, «nel quadro del concorso di persone è applicabile, ai sensi dell'art. 118, soltanto alla persona animata da quel motivo» (Marinucci-Dolcini , Manuale 2015, 550, secondo i quali la circostanza concerne i motivi a delinquere) Si segnala, tuttavia, che la giurisprudenza, pur qualificando la circostanza di natura soggettiva, ritiene la stessa estensibile al concorrente che, con il proprio volontario contributo, abbia dato adesione alla realizzazione dell'evento, rappresentandosi e condividendo gli sviluppi dell'azione esecutiva posta in essere dall'autore materiale del delitto e, perciò, maturando e facendo propria la particolare intensità del dolo che abbia assistito quest'ultima (Cass. I, n. 50405/2018; Cass. I, n. 13596/2012). Si è, inoltre, ritenuto che l’aggravante dei futili motivi non ricorre, inoltre, nel caso in cui l’agente, per un errato apprezzamento della situazione di fatto, fondato su una falsa ma ragionevole e non pretestuosa rappresentazione della realtà, ritenga di agire per un movente che non sarebbe obiettivamente futile, se l’errore non si fosse verificato (Cass. I, n. 47880/2011). Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'aggravante dei motivi abietti o futili è compatibile con il dolo d'impeto (Cass. I, n. 12930/2019; Cass. V, n. 17686/2010; Cass. I, n. 24894/2009) e con i reati commessi in stato di ubriachezza (Cass. I, n. 466/1993), con il tentativo (Cass. I, n. 59/2014), mentre è incompatibile con l'attenuante della provocazione, non potendo coesistere stati d'animo contrastanti, dei quali l'uno esclude l'ingiustizia dell'azione dell'antagonista (Cass. I, n. 13740/2020; Cass. V, n. 17686/2010; Cass. I, n. 24683/2008). Discussa è la compatibilità con il vizio parziale di mente. La dottrina prevalente pare orientata su posizioni negative (Fiandaca-Musco, PG, 450; Padovani, 216; contra, Romano, Commentario, 663, e Pagliaro, 460, il quale la ritiene compatibile almeno qualora il motivo non abbia attinenza con la particolare lesione della sfera psichica). La giurisprudenza, invece, ha ritenuto non sussistere, sul piano astratto, alcuna incompatibilità tra il vizio parziale di mente e la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 1 c.p. in quanto i due particolari motivi (abietti o futili) non costituiscono in sé una costante e diretta estrinsecazione della infermità per la quale la capacità di intendere e di volere può risultare grandemente scemata (Cass. V, n. 13515/2017; Cass. II, n. 15571/2013; Cass. I, n. 526/2004). Parimenti, è dubbia l'applicabilità della circostanza aggravante ai delitti colposi: in senso favorevole: Mantovani, 409; contrario, Romano, Commentario 664. Segue. Profili processualiPer la configurabilità della circostanza aggravante dei motivi abietti o futili occorre che il movente del reato sia identificato con certezza, non potendo l'ambiguità probatoria sul punto ritorcersi in danno dell'imputato (Cass. I, n. 45326/2008). È stato inoltre chiarito che, in tema di accertamento della sussistenza della circostanza aggravante dei motivi futili, non è sufficiente la mera sequenza cronologica tra l'accadimento di un fatto astrattamente idoneo ad integrare un movente sproporzionato e l'azione criminosa, essendo necessaria la positiva dimostrazione che il soggetto attivo si sia effettivamente determinato alla azione in ragione di causale non congrua (Cass. I, n. 19925/2014). Quanto ai criteri di accertamento dei motivi abietti e futili, è consolidato il principio secondo il quale « Il riconoscimento della futilità del motivo presuppone, da parte del giudice, la necessaria identificazione in concreto della natura e della portata della ragione giustificatrice della condotta delittuosa, quale univoco indice di un istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell'agente»: Cass. I, n. 18779/2013; Cass. VI, n. 28111/2012 )«senza sia possibile fare ricorso ad un comportamento medio dell'uomo comune, posto che siffatto modello di agente non è facilmente identificabile ed è influenzato nella situazione concreta da connotazioni culturali, dall'educazione ricevuta, dal contesto sociale e da fattori ambientali (ex plurimis Cass. I, n. 11591/2016). Si è altresì precisato che credenze religiose o atteggiamenti culturali dell'agente non possono trovare riconoscimento agli specifici fini di negare la circostanza aggravante in questione quando si pongano in palese contrasto con i principi fondamentali del sistema giuridico. In tal senso il motivo è futile quando sia così banale, lieve e sproporzionato rispetto all'azione criminosa realizzata ed alla sua gravità da apparire del tutto inidoneo ed insufficiente a dar luogo al reato, costituendo piuttosto occasione per dare libero sfogo ad istinti aggressivi ed antisociali »: Cass. I, n. 18365/2022. Segue. CasisticaRicorre l'aggravante: — quando la spinta criminale sia determinata da spirito punitivo (Cass. I, n. 3465/1999; Cass. I, n. 1489/2012; Cass. I, n. 35369/2007; ma non quando il reato sia determinato da spirito di vendetta, la quale non integra, di per sé sola, l'aggravante in esame, in quanto essa non induce a quel profondo senso di ripugnanza o disprezzo richiesto dall'art. 61, n. 1: Cass. I, n. 7274/2013; Cass. I, n. 55021/2017; Cass. I, n. 24172/2022 ), da possesso parentale (Cass. I, n. 6587/2009; Cass. I, n. 30291/2011; ma, ancora di recente, si è esclusa la configurabilità dell'aggravante in esame, in una fattispecie di tentato omicidio da parte di un imputato di fede islamica a danno della figlia minorenne dalla quale si era sentito disonorato avendo la medesima avuto rapporti sessuali senza essere sposata e da minore, con un giovane di fede religiosa diversa, violando quindi anche i precetti dell'Islam. La Corte ha annullata la sentenza di merito che aveva riconosciuto la suddetta aggravante osservando che «per quanto i motivi che hanno mosso l'imputato non siano assolutamente condivisibili nella moderna società occidentale, gli stessi non possono essere definiti futili, non potendosi definire né lieve né banale la spinta che ha mosso l'imputato ad agire»: Cass. I, n. 51059/2013; Cass. I, n. 25535/2018, con nota di Marino), e, quindi, in ultima analisi, da intolleranza per l'altrui libertà di autodeterminazione (Cass. I, n. 21955/2010, in relazione al conseguimento di un incontrastato controllo criminale sulle attività economiche che si svolgono sul territorio da parte dell'associazione di stampo mafioso; S.U. n 337/2008, in relazione ad un omicidio di una donna rifiutatasi di soggiacere alla volontà di un mafioso che aveva agito per la perdita sia del dominio fino ad allora esercitato su di lei, sia del prestigio criminale), In particolare, la giurisprudenza ha superato l'opinione secondo la quale la gelosia era incompatibile con l'aggravante in esame essendo manifestazione di uno stato passionale (Cass. I, n. 1574/1970), escludendola, quindi, quando quel sentimento si risolveva in una spinta così forte dell'animo umano tale da indurre a gesti inaspettati ed illogici (Cass. I, n. 18779/2013). Si è, infatti, affermata e consolidata l'opinione secondo la quale è configurabile l'aggravante in esame quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno cosi lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l'azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell'evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale espressione di spirito punitivo – spesso motivato con la necessità di ripristinare la propria immagine compromessa dal comportamento della vittima - con una sproporzione della condotta rispetto alla determinazione criminosa tale da giustificare un giudizio di maggiore riprovevolezza dell'azione e di più accentuata pericolosità dell'agente: Cass. I, n. 39261/2010; Cass. I, n. 1489/2012; Cass. I, n. 59/2014; Cass. V, n. 41052/2014; Cass. I, n. 16889/2018; Cass. I, n. 49073/2019; Cass. V, n. 44319/2019; Cass. V, n. 25940/2020; Cass. I, n. 18365/2022; recentemente la sussistenza dell’aggravante è stata riaffermata da quella pronuncia secondo cui in tema di omicidio, sussiste l'aggravante dei motivi abietti o futili, caratterizzata dalla sproporzione tra movente e delitto, nel caso in cui la gelosia si manifesti nell'autore quale ingiustificata espressione di possesso e intento punitivo avverso la libertà di autodeterminazione della persona con la quale ha intrattenuto una relazione sentimentale (Cass. I, n. 5514/2024); — nel caso di omicidio commesso pur di conseguire il prezzo di una partita di stupefacente (Cass. I, n. 30291/2011; Cass. I, n. 12473/2001); — con riferimento a un omicidio rituale di persone indifese, in quanto il sacrificio umano è fermamente riprovato e considerato con orrore dalla comune coscienza (Cass. I, n. 32851/2008); — con riguardo al comportamento di colui che colpisce ripetutamente con un coltello una persona solo perché intervenuta in soccorso per ragioni di solidarietà (Cass. I, n. 5882/2011). — in relazione ad una rissa insorta per questioni di tifo calcistico in quanto la passione per una attività sportiva non può mai giustificare possibili manifestazioni di violenza (Cass. V, n. 41052/2014); — in una situazione in cui l'imputato non aveva esitato a risolvere a colpi di pistola una banale controversia condominiale (Cass. I, n. 29377/2009); — in relazione ad un omicidio commesso nel corso di una aggressione organizzata dall'imputato per costringere la vittima a ritirare una querela presentata a suo carico (Cass. I, n. 39261/2010); - nel caso di reato commesso da un minore, l'aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 1, può essere riconosciuta solo quando il motivo che ha determinato la commissione del reato sia meramente pretestuoso ed espressione dell'istinto criminale e della malvagità del reo e non quando esso trovi ragione nell'irrazionalità rappresentativa dell'immaturità ed emozionalità adolescenziale (Cass. I, n. 48162/2013; Cass. V, n. 21142/2017).
Connessione teleologica e consequenziale (art. 61, n. 2)Secondo la dottrina dominante (Romano, Commentario 664; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 550; Padovani, 216), l'art. 61, n. 2, contempla la c.d. aggravante della connessione (sostanziale) di reati, figura all'interno della quale sono comprese tre distinte ipotesi: 1) reato commesso per commetterne un altro; 2) reato commesso per occultarne un altro; 3) reato commesso per conseguire o assicurare a sé o ad altri il profitto o il prezzo ovvero l'impunità di un altro reato. In base a questa ricostruzione, la prima ipotesi indica la c.d. connessione teleologica, mentre le altre due vengono accorpate sotto la dizione unitaria di connessione consequenziale. Sul piano pratico, la distinzione assume rilievo in quanto l'aggravante del nesso teleologico presuppone che, al momento della consumazione del reato-mezzo, la volontà dell'agente fosse effettivamente diretta alla commissione del reato-scopo e che quest'ultimo sia stato oggetto di rappresentazione da parte dello stesso agente con chiarezza tale da consentire almeno l'identificazione della sua fisionomia giuridica (Cass. VI, n. 48552/2009; Cass. II, n. 29486/2009), mentre affinché ricorra l'aggravante del nesso consequenziale è necessario che il reato principale sia stato commesso o tentato (Cass. II, n. 4751/1990). Affinché ricorra l'aggravante in oggetto, basta che il reato sia commesso per uno dei fini indicati, non essendo necessario che il soggetto agente abbia conseguito lo scopo che si era prefisso (Antolisei, PG, 354). Segue. Natura giuridica, ratio e conseguenze applicativeAll'aggravante in parola viene unanimemente riconosciuta natura soggettiva, in quanto concerne l'elemento intenzionale del reato: in dottrina Romano, 665; Pagliaro, 303; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 551, secondo i quali attiene ai motivi a delinquere; in giurisprudenza Cass. V, n. 11497/2000; Cass. VI, n. 5797/1995). Essa, infatti, trova fondamento sulla maggiore insensibilità etica e nella più marcata pericolosità dimostrata dall'agente (Cass. VI, n. 5797/1995), ovvero, come precisato in letteratura, «nella maggiore pericolosità di colui il quale, pur di attuare il suo intento criminoso, non arretra di fronte alla commissione di un reato-mezzo» (Fiandaca-Musco, PG, 451; Antolisei, PG, 355, però, osserva che «ciò non è sempre vero, sia perché esistono reati che di regola non sono fine a se stessi, come il falso; sia perché il reato-mezzo è sovente in pratica l'unico modo o, per lo meno, il modo consueto per realizzare il reato-fine; sia, da ultimo, perché il reato consequenziale talvolta rappresenta quasi una necessità»). Proprio tale maggiore capacità criminosa, ai fini dell'applicabilità dell'aggravante è indifferente che il reato-fine sia stato solo tentato o consumato (Cass. V, n. 11497/2000), ovvero che allo stesso debba applicarsi una causa di non punibilità o di estinzione (ad es. per prescrizione: Cass. V, n. 6488/2005) o di improcedibilità (ad es. per mancanza di querela: Cass. II, n. 32862/2012), o se il reato fine viene giudicato separatamente (Cass. V, n. 12707/2003) in quanto ciò che rileva ai fini dell'applicabilità dell'aggravante è il rapporto che lega la commissione dei due reati (Cass. V, n. 32688/2003). L'aggravante, per contro, diviene inapplicabile nell'ipotesi in cui venga esclusa la sussistenza del reato fine per l'intervento di una pronuncia di assoluzione (Cass. V, n. 9084/1983) ovvero per una sopravvenuta abolitio criminis dello stesso (Cass. II, n. 31038/2008). Va segnalato che in alcuni casi la contestazione dell’aggravante del nesso teleologico determina la procedibilità d’ufficio di reati che altrimenti sarebbero procedibili a querela di parte; difatti, ai sensi dell'art. 582 secondo comma la procedibilità per il delitto di lesioni personali è a querela di parte ove non ricorra taluna delle aggravanti di cui agli artt. 583 e 585 c.p.; l'art. 585 a sua volta prevede un aumento di pena per tutte le ipotesi di circostanze aggravanti inserite nell'art. 576 c.p. che, al primo comma n. 1, indica espressamente proprio l'aggravante teleologica di cui al n. 2 dell'art. 61 c.p. Si è così affermato che il delitto di lesioni personali, commesso per eseguire il delitto di rapina, è procedibile d'ufficio e non a querela di parte, ricorrendo l'aggravante del nesso teleologico ai sensi del combinato disposto degli artt. 585, 576, comma 1, n. 1 e 61, comma 1, n. 2, c.p. (Cass. II, n.22081/2020). Le medesime conclusioni sono estensibili, altresì, all'ipotesi di connessione consequenziale, ma, in questo caso, il reato-presupposto deve essere stato concretamente posto in essere, non essendo sufficiente la realizzazione di un reato semplicemente putativo (Romano, 664). Atteso il carattere soggettivo, l'aggravante teleologica e l'aggravante consequenziale sono applicabili, ai sensi dell'art. 118, soltanto ai concorrenti nel reato che agiscono con quelle finalità (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 551). Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'aggravante del nesso teleologico è compatibile con il dolo d'impeto, in quanto l'ideazione e l'esecuzione del reato-mezzo e del reato-fine possono coincidere, mantenendo il collegamento strumentale e funzionale tra i due fatti di reato (Cass. VI, n. 34285/2012; Cass. I, n. 26702/2009; Cass. I, n. 31583/2009; Cass. VI, n. 7344/2002; Cass. I, n. 1319/1990), nonché con il tentativo (Cass. V, n. 16952/2010). La dottrina prevalente osserva che, per ragioni strutturali, la circostanza in esame risulta incompatibile con i delitti colposi commessi per eseguirne uno doloso (Romano, 664; Pagliaro, 302). Controversa, invece, è l'applicabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 2, ai delitti preterintenzionali commessi per eseguirne uno doloso: mentre la giurisprudenza la ritiene applicabile, in quanto il nesso si stabilisce non con l'evento non voluto, ma con la sua dolosa condotta, che è parte del reato commesso (Cass. I, n. 8285/1983), ad opposta conclusione perviene parte della dottrina (Pagliaro, 302). Con orientamento costante, la Suprema Corte ha inoltre statuito che, alla stregua della vigente formulazione dell'art. 118, introdotta dall'art. 3 l. n. 19/1990, deve escludersi la compatibilità tra l'aggravante del nesso teleologico e il concorso anomalo di cui all'art. 116 (Cass. I, n. 48219/2003; Cass. I, n. 3921/1995). Contrasti si registrano in merito alla necessità che i comportamenti integranti il reato-mezzo e il reato-fine siano diversi ovvero se l'aggravante di cui all'art. 61, n. 2, c.p. possa trovare applicazione anche qualora l'agente ponga in essere un'unica azione o omissione, concretizzando con tale condotta un'ipotesi di concorso formale di reati. Secondo una prima tesi , l'aggravante va esclusa poiché il rapporto di mezzo a fine richiesto da tale circostanza esige, invece, che «i due reati risultino da comportamenti ben distinti tra loro e susseguentisi nel tempo», ossia l'«autonomia» delle condotte e, pertanto, una loro «lontananza» cronologica (Pagliaro, 302; in senso adesivo, Romano, Commentario, 604); Cass. VI, n. 19700/2011; Cass. VI, n. 5738/2016. Ad avviso di una seconda tesi, invece, l'aggravante del nesso teleologico è configurabile indipendentemente dalla unicità o pluralità delle condotte criminose, o dalla contestualità di queste ultime (Cass. II, n. 29486/2009; Cass. VI, n. 6866/1994), anche se il reato-mezzo e il reato-fine sono integrati dalla stessa condotta materiale (Cass. VI, n. 32703/2014; Cass. VI, n. 4584/2014, «in quanto non vi è alcuna norma che ponga una preclusione oggettiva e, poi, non vi è alcun limite logico a ritenere che, con una azione contestuale, possano commettersi due reati con la specifica finalizzazione dell'uno alla realizzazione dell'altro»: Cass. VI, n. 14168/2020 che, sul punto, richiama e fa propria Cass. S.U., n. 19/1958, la quale aveva espressamente affermato che l'aggravante della connessione teleologica (art. 61 n.2 c.p.) è applicabile anche nel caso in cui il reato-mezzo ed il reato-fine siano commessi con unica azione (cosiddetti reati contestuali), giacché è irrilevante qualsiasi considerazione di ordine cronologico tra un reato e l'altro posto il fondamento essenzialmente soggettivo della aggravante stessa nel sistema legislativo: che anzi, per tale ragione che svincola la struttura dell'aggravante da qualunque elemento di carattere temporale, può anche accadere che l'esecuzione del reato che realizza lo scopo finale precede l'altro reato che si è previsto di dover necessariamente compiere in relazione al primo. I più recenti interventi giurisprudenziali sembrano avere consolidato tale tesi; partendo dal presupposto che il fondamento e la ragione giustificatrice dell'aggravamento della pena risiedono nella maggiore capacità a delinquere dimostrata da colui che, pur di attuare il suo intento criminoso, non arretra di fronte alla necessaria o eventuale commissione di un altro reato, si è affermato che la circostanza aggravante del nesso teleologico di cui all'art. 61, n. 2, c.p. è configurabile anche in ipotesi di concorso formale tra reati, non richiedendo una alterità di condotte quanto piuttosto la specifica finalizzazione dell'un reato alla realizzazione dell'altro; la pronuncia afferma non potersi escludere in radice la compatibilità di detta aggravante nell'ipotesi di unicità o contestualità delle condotte criminose, essendo centrale l'accertamento della relativo coefficiente psicologico, ovvero la sussistenza, nel caso concreto, della specifica volontà della gente di finalizzare il compimento del reato mezzo alla realizzazione del reato fine così da dovere affermare la compatibilità dell'aggravante in questione ed i delitti di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia (Cass. II, n. 27743/2024); ed analogamente si è affermata la compatibilità del nesso teleologico ed i reati di lesioni personali ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni in concorso formale (Cass. V, n. 22/2020) ovvero nei casi di lesioni personali ed atti persecutori (Cass. V, n. 38399/2017), lesioni personali e rapina impropria (Cass. II, n. 29486/2009). Un acceso dibattito è sorto in ordine alla compatibilità dell'aggravante in parola con il reato continuato. La giurisprudenza maggioritaria, invero, è ferma nel ritenere che non sussista una incompatibilità logico-giuridica tra la continuazione e l'aggravante del nesso teleologico, agendo la prima sul piano della riconducibilità di più reati ad un comune programma criminoso ed essendo la seconda connotata dalla strumentalità di un reato rispetto ad un altro (Cass. I, n. 16881/2018; Cass., II, n. 46638/2012 ; Cass. II, n. 48317/2004; Cass. I, n. 46270/2004). Alcuni Autori, al contrario, osservando che sarebbe assurdo e contraddittorio che due situazioni psicologiche analoghe (se non identiche) — quali la medesimezza del disegno criminoso ed il nesso teleologico — determinino la contemporanea applicazione di conseguenze sanzionatorie opposte (il reato continuato implica un trattamento di favore, l'aggravante teleologica un aumento di pena), giungono a teorizzare una interpretatio abrogans dell'art. 61, n. 2., da parte dell'art. 81, così come riformato dalla l. n. 220/1974 (per tutti, Fiandaca-Musco, PG, 451; Romano, Commentario, 665, il quale, tuttavia, non conclude nel senso della tacita abrogazione dell'art. 61). Segue. CasisticaLa circostanza aggravante del nesso teleologico è stata ritenuta configurabile in relazione al reato di falso commesso per eseguire una truffa, derivando maggiore gravità e allarme sociale dalla finalizzazione del falso alla perpetrazione di un ulteriore e nuovo reato (Cass. V, n. 35104/2013). Nello stesso senso si è affermato che la circostanza aggravante del nesso teleologico è configurabile in relazione al delitto di lesione personale commesso con il consenso della vittima con la finalità di realizzare il delitto di frode assicurativa, posto che la modalità commissiva della frode, costituita dalla lesione, non assorbe il profilo soggettivo dell'aggravante teleologica, costituito dall'aver previamente deliberato e messo in atto le condotte lesive (Cass. V, n. 7377/2024). La circostanza aggravante speciale dell'uso dell'arma nel delitto di rapina (Cass. II, n. 33435/2015; Cass. II, n. 44906/2008) o di estorsione (Cass. II, n. 42046/2011) non assorbe la circostanza aggravante comune del nesso teleologico in relazione ai reati connessi di detenzione o di porto illegale di armi, perché essa non implica che l'arma impiegata sia detenuta o portata illegalmente. Quanto alla configurabilità dell’aggravante fra rapina impropria, omicidio (consumato o tentato) o lesioni personali, secondo la tesi maggioritaria «qualora la violenza, esercitata immediatamente dopo la sottrazione dei beni oggetto dell'impossessamento, abbia cagionato la morte della persona offesa, tale autonomo reato concorre con quello di rapina e impone la configurazione della circostanza aggravante del nesso teleologico tra i due reati, ai sensi dell'art. 61, comma 1, n. 2, c.p.» e ciò in quanto «mentre la modalità violenta della condotta rapinosa non spiega autonoma rilevanza processuale quando non supera la soglia di intensità indispensabile a concretizzare tale azione criminosa, laddove trasmoda nell'omicidio e concretizza una figura di reato coesistente con quella della rapina impropria determina un'autonoma rilevanza del nesso di collegamento teleologico tra i due delitti, in alcun modo assimilabile al rapporto esistente tra gli elementi costitutivi della fattispecie della rapina»: non è, quindi, ipotizzabile, sotto il profilo evidenziato, «alcuna duplicazione processuale in quanto il dolo specifico del delitto di rapina impropria esaurisce la sua funzione nell'ambito di tale fattispecie, contenendo l'estensione della rilevanza penale dell'esercizio della minaccia o della violenza; viceversa, l'aggravante teleologica di cui all'art. 61, comma 1, n. 2, c.p., lega due autonome fattispecie di reato, tra di loro non sovrapponibili, in questo caso rappresentate dalla rapina impropria e dall'omicidio»: Cass. I, n. 18116/2017 ; Cass. I, n. 21730/2019; Cass. II, n. 21458/2019. Contra: Cass. I, n. 51457/2017; Cass. I, n. 42371/2006, in quanto, per il principio di specialità, l'aggravante teleologica deve ritenersi assorbita nel delitto di rapina impropria, atteso che la volontà dell'agente di assicurarsi, con violenza sulla persona, il prodotto del bene sottratto o l'impunità è di per sé elemento costitutivo di detto delitto. E si precisa che deve valorizzarsi la coincidenza tra le due disposizioni in rilievo - tanto della modalità commissiva (uso di violenza) che soprattutto del finalismo (assicurarsi l'impunità), posta la natura soggettiva dell'aggravante, che andrebbe, ove applicata, a duplicare un effetto sanzionatorio - già compreso nel delitto di rapina impropria - in modo non consentito per violazione del principio del ne bis in idem sostanziale (Cass. I, n.37070/2023). Colpa con previsione (art. 61, n. 3)L'art. 61, n. 3, contempla l'aggravante della c.d. colpa cosciente, che si applica alle ipotesi di delitti colposi, quando il soggetto abbia agito nonostante la rappresentazione della possibilità che l'evento colposo si verificasse. In via del tutto generale, si rammenta che la tesi tradizionale ritiene sussistente la circostanza in esame qualora l'agente abbia previsto l'evento antigiuridico, ma non lo abbia voluto, perché era sorretto dalla sicura fiducia che esso non si sarebbe verificato perché, per leggerezza, ha sottovalutato la possibilità del suo verificarsi ovvero ha sopravvalutato le proprie o altrui capacità di evitarlo: in terminis, Cass. IV, n. 11527/2020. La figura della colpa con previsione rileva, in particolare, in rapporto alla forma di dolo comunemente denominata “eventuale”. Quanto all'annosa problematica della distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente (su cui da ultimo Cass. S.U., n. 38343/2014), si rinvia al commento sub art. 43 Segue. Natura giuridica, ratio e conseguenze applicativeLa circostanza, avente natura soggettiva (Pagliaro, 303; Romano, Commentario, 665; Antolisei, PG, 355), «si giustifica con la non astensione dell'agente malgrado la rappresentazione dell'evento che poi si è verificato» (Romano, Commentario, 665). Muovendo dalla natura soggettiva concernente il grado della colpa, si è ritenuto che, ai sensi dell'art. 118 c.p., nel concorso di persone debba essere valutata soltanto nei confronti della persona a cui si riferisce (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 552). In giurisprudenza, da ultimo, è stata riconosciuta la suddetta aggravante in un caso di omicidio colposo e lesioni colpose causati da pratiche sado-masochistiche (cd. bondage) attuate da un imputato che si rivelò inesperto nell’utilizzo della suddetta pratica: Cass. V, n. 44986/2016. Cass. IV, n. 11527/2020 ha ritenuto la configurabilità dell’aggravante in una fattispecie in cui il macchinista di un treno, era stato ritenuto colpevole dei reati di disastro colposo, omicidio colposo e lesioni colpose per avere disattivato il sistema di sicurezza continuo ATP (automatic train protection) - che induce l'arresto del treno in caso di superamento del limite di velocità - accelerando la marcia fino a raggiungere una velocità di 52 km/h all'uscita della stazione. In tale condotta è stata ravvisata l’aggravante in questione in quanto era altamente elevato il grado di probabilità che le suddette manovre potessero cagionare l'incidente occorso. Segue. Compatibilità con altre fattispecieAttesa l'applicabilità ai soli delitti colposi, nelle contravvenzioni la colpa cosciente verrà tenuta in considerazione dal giudice, quale più intenso “grado della colpa”, soltanto nel commisurare la pena all'interno della cornice edittale, ai sensi dell'art. 133, comma 1, n. 3 (Marinucci-Dolcini, 2015, 551). Si è ritenuto che l'aggravante sia incompatibile con le ipotesi di c.d. colpa impropria, poiché in tali casi l'evento non è soltanto preveduto ma addirittura voluto (Antolisei, PG, 356; Romano, 665; Malinverni, Circostanze, 80). L'«unicità del disegno criminoso» tipica del reato continuato può, in via eccezionale, verificarsi nel caso in cui l'agente realizzato il reato colposo agendo nonostante la previsione dell'evento ex art. 61, n. 3; trattasi, questa, dell'unica eccezione alla regola secondo cui la medesimezza del disegno criminoso non è configurabile nei reati colposi, nei quali l'evento non è voluto dall'agente, così che la condotta, genericamente voluta, non può considerarsi in alcun modo diretta a realizzare l'evento (Cass. IV, n. 3579/2007). Sevizie e crudeltà (art. 61, n. 4)Secondo la definizione più diffusa in dottrina, «le sevizie consistono nell'inflizione di sofferenze fisiche non necessarie alla realizzazione del reato», mentre la crudeltà si traduce nell'inflizione di sofferenze morali che oltrepassano i limiti del normale sentimento di umanità, e che appaiono superflue rispetto ai mezzi necessari per l'esecuzione del fatto delittuoso» (Fiandaca-Musco, PG, 452; Mantovani, PG, 416). Altri Autori, invece, tracciano la distinzione tra le due nozioni sul terreno qualitativo, ritenendo che si hanno sevizie quando si infliggono alla vittima sofferenze fisiche o anche semplicemente morali con mezzi tormentosi che non sono necessari per commettere il reato e crudeltà allorché venga realizzata un'azione particolarmente dolorifera, rivelatrice di una assoluta mancanza di sentimenti umanitari nell'agente (Antolisei, PG, 350; Padovani, 218). Dal canto suo, la giurisprudenza, con le S.U. n. 40516/2016 hanno delineato la differenza nei seguenti testuali termini: «Le sevizie costituiscono azioni studiate, specificamente indirizzate finalisticamente ad infliggere alla vittima sofferenze fisiche aggiuntive, gratuite. Talvolta esse, pur afferendo senza dubbio al contesto illecito, non attengono propriamente all'azione esecutiva, tipica, e sono caratterizzate dall'adozione di specifici gesti volti proprio ad infliggere patimenti efferati. Dunque, la figura è caratterizzata dalla specificità della misura afflittiva studiata, sadicamente indirizzata direttamente alla vittima, nonché dall'intenzionalità dell'agire. Parafrasando le classiche categorie del dolo d'evento, si può affermare che le sevizie richiedono dolo intenzionale: proprio la architettata, finalistica volontà di infliggere sofferenze perverse. Per contro, la condotta crudele è quella che, pur non mostrando una studiata predisposizione finalizzata a cagionare, per qualche verso, un male aggiuntivo, eccede rispetto alla "normalità causale" e mostra l'efferatezza che costituisce il nucleo della fattispecie aggravante. L'esperienza giuridica mostra illuminanti esempi delle fenomenologie di cui si parla. In un caso l'autore cagionò lesioni ai glutei e al fianco alla vittima quando era già agonizzante, per sadismo e sfregio. Nella sentenza di legittimità si parla genericamente di crudeltà; ma è verosimilmente più appropriato ritenere l'esistenza di sevizie, in considerazione del carattere sadico dell'azione di tagliuzzare i glutei, all'evidente quanto deliberato e studiato scopo (come si legge in sentenza) di infierire con patimenti umilianti e dolorosi (Sez. 1, n. 1894 del 18/01/1996, Fertas, Rv. 203808). In altro caso altrettanto emblematico sono state ritenute con piena evidenza le sevizie: la vittima venne legata, sottoposta ad una lenta, dolorosa e spasmodica asfissia da strangolamento; fu brutalmente pestata con frattura di alcune costole, sfregiata con una lunga ferita sulla guancia; venne pure stuprata (Sez. 1, n. 5901 del 14/02/1980, Iaquinta, Rv. 145246)»: conformi: Cass. V, n. 50208/2019; Cass. I, n. 36454/2021; Cass. VII, n. 40649/2021; Cass. I, n. 27907/2022. Con particolare riguardo all'aggravante consistente nell'avere agito con crudeltà verso le persone, è stato ritenuto che: - ai fini della sua sussistenza non è necessario che l'azione del colpevole sia diretta contro la vittima, essendo sufficiente che essa sia indirizzata verso una o più persone, anche diverse dalla vittima (Cass. I, n. 35187/2002); - la circostanza in tanto è configurabile, in quanto l'azione si diriga verso un individuo vivente (Cass. I, n. 35187/2002); - per la sua configurabilità è irrilevante che la vittima abbia potuto o meno percepire l'afflittività degli atti di crudeltà, essendo la circostanza in questione essenzialmente imperniata sulla considerazione dell'autore dell'illecito e sulla conseguente maggiore riprovevolezza di un modus operandi connotato da una particolare insensibilità, spietatezza o efferatezza (Cass. I, n. 16473/2006; Cass. I, n. 4678/1998; Cass. I, n. 2960/1997). In ogni caso, l'aggravante in commento esige la specifica coscienza e volontarietà del colpevole di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto al normale processo di causazione della morte, manifestando l'assoluta mancanza di sensibilità morale e di pietà (Cass. I, n. 19966/2013; Cass. I, n. 12680/2008). Segue. Natura giuridica e conseguenze applicativeLa natura giuridica dell'aggravante in parola è dibattuta soprattutto in letteratura: per alcuni, concernendo le modalità dell'azione, dovrebbe qualificarsi come oggettiva (Pagliaro, 304); per altri, si tratterebbe di una circostanza soggettiva, in quanto esprime una maggiore pericolosità dell'agente (Antolisei, PG, 356; Mantovani, PG, 410) e concerne prevalentemente (più che la condotta) la colpevolezza dell'agente medesimo (Romano, Commentario, 666, il quale, però, ammette che la circostanza partecipa di aspetti oggettivi). In tale ultimo senso è orientata anche la giurisprudenza in quanto l'aggravante trova ragione nella volontà di arrecare particolare dolore ed è espressione della intensità del dolo e della mancanza di sentimenti umanitari (Cass. I, 20185/2018; Cass. I, n. 2489/2015; Cass. S.U., n. 40516/2016) ed è estensibile anche al concorrente che, con il proprio volontario contributo, abbia dato adesione alla realizzazione dell'evento, rappresentandosi e condividendo gli sviluppi dell'azione esecutiva posta in essere dall'autore materiale del delitto e, perciò, maturando e facendo propria la particolare intensità del dolo che abbia assistito quest'ultima (Cass. I, n. 13596/2012). Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'aggravante prevista dall'art. 61, n. 4, è compatibile con l'attribuzione della responsabilità del reato a titolo di dolo eventuale, perché la circostanza attiene al modo di manifestarsi della condotta e non si riferisce all'evento (Cass. I, n. 9699/1980), nonché con l'attenuante della provocazione ex art. 62, n. 2 (Romano, Commentario, 666), nonché con il tentativo (Cass. I, n. 18136/2014). Pur non sussistendo in astratto alcuna incompatibilità logica tra l'aggravante di aver agito con crudeltà verso le persone e la diminuente del vizio parziale di mente, dato che operano su piani diversi (dolo e imputabilità), la giurisprudenza ha escluso la possibilità di configurare la circostanza in questione allorché la condotta inumana e crudele sia stata l'effetto della riscontrata malattia, vale a dire una manifestazione patologica del vizio di mente, la quale abbia sconvolto, in tutto o in parte, il processo intellettivo o volitivo del soggetto, identificandosi nel vizio medesimo (Cass. I, n. 20995/2012; Cass. I, n. 3748/1998; Cass. I, n. 6841/1984). La circostanza aggravante dell'aver agito con crudeltà e sevizie, implicando l'intenzionalità della condotta, non è estensibile al concorrente «anomalo» nel reato (Cass. I, n. 9883/2010). In giurisprudenza si è posto il quesito della compatibilità dell'aggravante della crudeltà col dolo d'impeto. Il contrasto è stato risolto da S.U., che, con sentenza n. 40516/2016, hanno affermato due principi di diritto: «Il dolo d'impeto, designando un dato meramente cronologico, non è incompatibile con la circostanza aggravante della crudeltà di cui all'art. 61, comma 1, n. 4, c.p.», « la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 4 è di natura soggettiva ed è caratterizzata da una condotta eccedente rispetto alla normalità causale, che determina sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore specialmente riprovevole, che deve essere oggetto di accertamento alla stregua delle modalità della condotta e di tutte le circostanze del caso concreto, comprese quelle afferenti alle note impulsive del dolo» : conforme: Cass. I, n. 20185/2018. Segue. Profili processualiAnche in fattispecie in cui l'efferatezza del delitto è in apparenza evidente, la giurisprudenza tiene un atteggiamento di speciale rigore probatorio, richiedendo un'accurata motivazione in ordine alla dimostrazione dell'intenzione del colpevole di arrecare sofferenze non necessarie rispetto al processo di causazione della morte. In particolare, quanto alla fattispecie della reiterazione dei colpi inferti: Cass. I, n. 12083/2000; Cass. I, n. 725/2013; Cass. I, n. 33021/2012; Cass. I, n. 8163/2015. Minorata difesa (art. 61, n. 5)La circostanza aggravante prevista dal numero 5) dell'art 61, comunemente denominata “minorata difesa”, comporta un aumento di pena qualora l'agente abbia profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare (non impedire o rendere impossibile: Cass. I, n. 50699/2017) la pubblica o privata difesa. Secondo le le Sezioni Unite, Cass. S.U. n. 40275/2021 «Il fondamento della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in riferimento a ciascuna delle tipologie di elementi fattuali che possono integrarla, è stato generalmente ravvisato nel maggior disvalore che la condotta assume nei casi in cui l'agente approfitti delle possibilità di facilitazione dell'azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui quest'ultima viene a svolgersi; tale ratio è chiaramente evincibile dalla Relazione del Guardasigilli al Re sul codice penale del 1930, dove si chiarisce che il concetto di "minorata difesa" "non ha che due limiti: la specie della circostanza (tempo, luogo, persona) e la potenzialità di essa ad ostacolare, diminuire la difesa pubblica o privata", e si precisa incisivamente, con rilievi che appaiono tuttora di estrema attualità, che "il tempo di notte, ad es., costituirà aggravante, solo se la difesa sia stata o ne potesse essere ostacolata; così il furto commesso di notte, ma in luogo ove vi sia concorso di gente, ad es., in una festa da ballo, non sarà aggravato" […..]. L'onere della prova della sussistenza in concreto delle ordinarie connotazioni del tempo di notte e dell'assenza di circostanze ulteriori, atte a vanificare l'effetto di ostacolo alla pubblica e privata difesa ricollegabile all'avere agito in tempo di notte, grava naturalmente sul pubblico ministero. Per quanto non emergente ex actis, tuttavia, spetta all'imputato fornire le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di circostanze fattuali altrimenti ignote che siano in astratto idonee, ove riscontrate, ad escludere la configurazione in concreto della circostanza aggravante» . Essa è integrata per il solo fatto, oggettivamente considerato, della ricorrenza di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa (ex multis, Cass. I, n. 1319/2010) e, ai fini della sua configurabilità, occorre che vi siano condizioni oggettive conosciute dall'agente e di cui questi abbia volontariamente approfittato, valutazione che deve essere fatta “in concreto”, “caso per caso" e secondo una “valutazione complessiva” degli elementi disponibili (Cass. II, n. 13933/2015), non essendo necessario che l'approfittamento di tali circostanze sia sorretto da dolo specifico, o, comunque, che la situazione determinata dalle stesse sia stata ad arte ricercata o indotta (Cass. I, n. 13387/2014). In tale ottica, è stato ritenuto che la presenza di una videocamera, anche visibile, non fa venir meno la vulnerabilità in cui versa il soggetto passivo in quanto, costituisce, al più, un mezzo per la più rapida identificazione dell'agente (Cass. IV, n. 10060/2019; Cass. V, n. 20480/2018). Nel dettaglio, le situazioni contemplate dall'art. 61 n. 5 sono: a) le circostanze di tempo, tra le quali particolare risalto, nella casistica giurisprudenziale, hanno assunto le condotte criminose realizzate in tempo di notte. Sul punto si registra, un contrasto di giurisprudenza. Parte della giurisprudenza, sostiene che, per ritenere la configurabilità dell'aggravante in esame il giudice debba indicare in motivazione gli elementi da cui emerga che la commissione del reato in tempo di notte, si sia in concreto realizzata per un difetto di vigilanza da parte del proprietario tale da diminuire la capacità di difesa sia pubblica che privata, non essendo, quindi, sufficiente l'idoneità astratta di una situazione, quale il tempo di notte, proprio perché la minorata difesa si fonda su una valutazione in concreto delle condizioni che hanno consentito di facilitare l'azione criminosa: Cass. V, n. 50500/2018; Cass. V, n. 53409/2018; Cass. IV, n. 15214/2018; Cass. IV, n. 53750/2017; Cass. IV n. 53343/2016. Ad opposta conclusione perviene altra giurisprudenza secondo la quale invece, la commissione di un reato in ora notturna integra di per sé l'aggravante in esame: Cass. V, n. 7433/2011; Cass. V, n. 19615/2011; Cass. V n. 32244/2015; Cass. V., n. 20480/2018. b) le circostanze di luogo, quali, ad esempio: - una località disabitata (Cass. V, n. 7433/2011), isolata (Cass. II, n. 44624/2011; Cass. I, n. 10268/1996) ovvero scarsamente illuminata (Cass. V, n. 19615/2011; Cass. I, n. 10268/1996); - la presenza di nascondigli per gli esecutori (Cass. II, n. 44624/2011); - il fatto che la vittima sedesse da sola all'interno nello stretto abitacolo di una automobile (Cass. I, n. 7249/1993; a diverse conclusioni, tuttavia, è pervenuta Cass. I, n. 40293/2013, che ha escluso la sussistenza dell'aggravante in relazione al reato di omicidio, in un'ipotesi in cui la vittima ed il suo aggressore si trovavano insieme all'interno di una vettura, in pieno giorno ed in assenza di prova di un preventivo blocco dei comandi d'apertura); acquisti on line: è stata ritenuta configurabile l'aggravante in esame - in relazione al reato di truffa ex art. 640, comma 2 n. 2-bis - sotto il profilo delle “circostanze di luogo” proprio perché « la distanza tra il luogo di commissione del reato, ove l'agente si trova (ndr: il luogo cioè dove viene conseguito il profitto) ed il luogo ove si trova l'acquirente del prodotto on line - che ne abbia pagato anticipatamente il prezzo, secondo quella che rappresenta la prassi di simili transazioni - è l'elemento che consente all'autore della truffa di porsi in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima, di schermare la sua identità, di fuggire comodamente, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell'acquirente; tutti vantaggi che non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta comodità, se la vendita avvenisse de visu»: Cass. II, n. 43705/2016 ; Cass. VI, n. 17937/2017; Cass. II, n. 40045/2018 che, pur ribadendo il suddetto principio di diritto ha precisato che «Il principio enunciato non comporta affatto la generalizzazione della ricorrenza dell'aggravante in tutti i casi di truffe on line, generalizzazione per la quale sì finirebbe, in realtà, per attribuire carattere "circostanziato" ad una delle possibili modalità della condotta di truffa; si richiede sempre la prova del concreto e consapevole approfittamento, da parte del colpevole, delle opportunità decettive offerte dalla rete, non potendosi escludere che nel singolo caso la truffa sia realizzata bensì con lo strumento on line, ma senza che ciò comporti una reale, specifica situazione di vantaggio per l'autore»; Cass. II, n. 7819/2022 ha ribadito che ««ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della minorata difesa, prevista dall'art. 61, comma 1, n. 5, c.p., le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente abbia profittato, devono tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilità del soggetto passivo del reato, non essendo sufficiente l'idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione dello stesso»; la commissione del reato “on line” è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta ”minorata difesa”, essendo peraltro sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto che può conseguirne»; va segnalato che l'art. 16, comma 1, lett. t) della l. 90/2024 ha introdotto uno specifico comma 2-ter) dell'art. 640 c.p. prevedendo che il reato è aggravato se il fatto è commesso a distanza attraverso strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la propria o altrui identificazione; si è voluto così tassativizzare la sussistenza della aggravante in relazione a quelle particolari circostanze di luogo idonee ad agevolare la consumazione del reato e di cui l'agente si sia avvalso; tuttavia, con valutazione che appare contraddittoria, al fine di mitigare la procedibilità di ufficio collegata alla contestazione della nuova aggravante si è contestualmente stabilito che nei suddetti casi di truffa on line rimane la procedibilità a querela della persona offesa. Deve pertanto ritenersi che l'introduzione di una specifica circostanza aggravante quale il citato comma 2 ter dell'art. 640 cit. escluda che per i fatti commessi successivamente la sua introduzione, per le sole ipotesi di truffa on line, possa essere ancora contestata e ritenuta l'ordinaria circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 5, c.p. c) le circostanze di persona, le quali attengono ad uno stato di debolezza fisica o psichica in cui il soggetto passivo del reato si trovi per qualsiasi motivo (ad es. età, mutilazione, deficienza psichica, gravidanza, ubriachezza, ecc.); ne consegue, quindi, che esse devono essere conosciute dall'agente e tali da ostacolare, in relazione alla situazione fattuale concretamente esistente, la reazione dell'Autorità pubblica o delle persone offese, agevolando la commissione del reato (Cass. II, n. 13933/2015, in una fattispecie nella quale l'aggravante è stata ritenuta sussistente in relazione ad una serie di truffe, connesse all'abusivo esercizio delle professioni di psicologo, psicoterapeuta e medico psichiatra, poste in essere dall'imputato in danno dei pazienti). E' controverso se le circostanze relative alla persona, si possano riferire anche all'agente: in senso negativo: Antolisei , PG, 357; Romano, 666; Malinverni, Circostanze, 81; Cass. II, n. 29499/2009 ; in senso affermativo: Pagliaro, 304; Mantovani, PG, 411; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 553; Padovani, 218. È stato anche chiarito che non è configurabile la minorata difesa per approfittamento delle condizioni personali ove, sotto il profilo oggettivo, la condotta dell'autore del reato, sebbene repentina, sia percepibile da terzi e, sotto quello soggettivo, la condizione personale di minorazione della vittima inerisca ad una situazione momentanea ed occasionale (Cass. I, n. 40289/2013, che ha escluso la sussistenza dell'aggravante in relazione ad un omicidio commesso in pieno giorno con una improvvisa aggressione della vittima alle spalle mentre questa era china dietro un'autovettura in modo da essere comunque visibile agli altri automobilisti in transito). Per effetto dell'integrazione operata dall'art. 1, comma 7, l. n. 94/2009, le circostanze di persona possono riferirsi, altresì, all'età della vittima. Quanto ai minori - in tema di violenza sessuale – è stata ritenuta sussistente la suddetta circostanza aggravante in tutti i casi in cui le particolari modalità dell'azione, connesse a situazioni oggettive o soggettive, consentano di approfittare della condizione di fragilità della vittima a prescindere dalla minore età in quanto tale (Cass. III, n. 38785/2015; Cass. III, n. 37135/2013, la quale ha ritenuto ricorrere le aggravanti della minorata difesa e dell'abuso di autorità nel caso di atti sessuali posti in essere da un istruttore di arti marziali nei confronti dei suoi allievi minorenni). Cass. III, n. 11509/2019, nel ribadire il suddetto principio ha ritenuto che, nella fattispecie in esame (luogo privo di persone adulte a cui la minore avrebbe potuto chiedere aiuto) , la minorata difesa andava «ravvisata nel fatto che l'imputato avesse approfittato della circostanza che la minore, in quel momento, non si trovava sotto la vigilanza della madre e del particolare contesto ambientale in cui i fatti si verificavano.». Con riguardo, invece, all'età avanzata della vittima del reato, la giurisprudenza successiva alla riforma ha chiarito che la suddetta circostanza attribuisce al giudice di verificare in concreto, non prevedendo la norma una presunzione assoluta di minorata difesa, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri di normalità (Cass. II, n. 12801/2021; Cass. II, n. 47186/2019; Cass. V, n. 38347/2011; Cass. II, n. 35997/2010); cosicché, la circostanza aggravante di aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa deve essere oggi specificamente valutata anche in riferimento all'età senile e alla debolezza fisica della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità della quale l'agente trae consapevolmente vantaggio (Cass. II, n. 8998/2015). Proprio seguendo tale indirizzo si è più recentemente affermato che ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 5, c. p., l'età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza, dovendosi valutare, invece, la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità della vittima dalla quale l'agente trae consapevolmente vantaggio (Cass. II, n. 16017/2023). Sicchè applicando il suddetto principio ad una fattispecie relativa a una tentata truffa in danno di una donna di settantatré anni, si è ritenuta corretta la decisione con la quale, in ragione della vigile attenzione reattiva prestata dalla persona offesa e della prontezza nel raccogliere elementi utili all'identificazione dell'agente, era stata esclusa la sussistenza dell'aggravante. Va segnalato, peraltro, che la citata riforma del 2009 ha introdotto anche il comma 2- bis dell'art. 640, il quale prevede un'aggravante speciale nella ipotesi di truffa commessa in caso di c.d. minorata difesa («se il fatto è commesso in presenza della circostanza di cui all'art. 61 n. 5») e la cui ricorrenza comporta la procedibilità d'ufficio (art. 640, comma 3). Su tutte le suddette questioni sono intervenute le S.U. che, con sentenza n. 40275/2021, hanno esaminato il seguente quesito: «se la commissione del fatto in tempo di notte configuri, di per sé solamente, la circostanza aggravante della minorata difesa di cui all'art. 61, comma 1, n. 5, c.p.». I principi di diritto enunciati sono stati i seguenti: a) «ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della c.d. "minorata difesa", prevista dall'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l'agente ha profittato in modo tale da ostacolare la predetta difesa, devono essere accertate alla stregua di concreti e concludenti elementi di fatto atti a dimostrare la particolare situazione di vulnerabilità - oggetto di profittamento - in cui versava il soggetto passivo, essendo necessaria, ma non sufficiente, l'idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione del reato»; b) «la commissione del reato "in tempo di notte" può configurare la circostanza aggravante in esame, sempre che sia raggiunta la prova che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto». Le S.U., in via generale – dopo avere richiamato le norme che direttamente on indirettamente rinviano all'art. 61 comma 1 n. 5 c.p.(artt. 55, comma 2, 131bis, comma 2, 613 bis, comma 1 c.p. e 187comma 1 quater C.d.S.) - hanno stabilito che: «Secondo il pacifico orientamento di questa Corte, che si intende qui ribadire, ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, occorre che qualsiasi tipo di circostanza fattuale valorizzabile (di tempo, di luogo, di persona, anche in riferimento all'età) agevoli la commissione del reato, rendendo la pubblica o privata difesa, ancorchè non impossibile, concretamente ostacolata (Sez. 2, n. 6608 del 14/11/2013, dep. 2014, Di Guida, Rv. 258337; Sez. 6, n. 18485 del 15/01/2020, Cannata, Rv. 279302); peraltro, ai fini dell'integrazione di essa, occorre sempre verificare, sulla base di un giudizio di prognosi postuma, operato ex ante ed in concreto, il contesto e le peculiari condizioni che abbiano effettivamente agevolato la consumazione del reato, incidendo in concreto sulle possibilità di difesa (Sez. 5, n. 8004 del 13/01/2021, C., Rv. 280672)»; «ai fini dell'integrazione della circostanza aggravante della c.d. "minorata difesa" l'interprete deve rifuggire dalla prospettiva anche implicita della valorizzazione di presunzioni assolute [….] dovendo considerare lo specifico contesto spazio-temporale in cui si sono verificate le vicende storico-fattuali oggetto d'imputazione, sì da enucleare, in concreto, l'effettivo ostacolo alla pubblica e privata difesa che sia, in ipotesi, derivato dalla commissione del reato nella circostanza in concreto valorizzata (in questo caso, di tempo), nonché l'approfittamento di essa da parte del soggetto agente. Ne consegue [….] che l'interprete, al fine di configurare la circostanza aggravante de qua, è chiamato ad operare tre verifiche, riguardanti, nell'ordine: a) l'esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa"; b) la produzione in concreto dell'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che ne sia effettivamente derivato; c) il fatto che l'agente ne abbia concretamente "profittato" (avendone, quindi, consapevolezza). Le S.U., poi, in applicazione dei suddetti principi, in particolare, hanno ritenuto: 1. quanto al tempo di notte, che «costituisce di per sè circostanza di tempo astrattamente idonea ad ingenerare una situazione di "ostacolo alla pubblica o privata difesa", perchè di notte, secondo consolidate massime di esperienza, riconosciute come tali e generalmente accettate, più volte accreditate dal legislatore: - cala l'oscurità e le strade sono poco illuminate (il che favorisce la commissione di azioni delittuose, meno agevolmente visibili ab externo); - le persone (vittime che potrebbero meglio difendersi se sveglie; terzi, che potrebbero prestare soccorso alle prime) sono dedite al riposo; - la maggior parte delle attività (lavorative e ricreative) cessa, e di conseguenza le strade e gli uffici sono molto meno frequentati; - la vigilanza pubblica è meno intensa ed è quindi più difficile ricevere soccorso. Peraltro, come da epoca risalente evidenziato dalla Relazione del Guardasigilli al Re, tutto ciò non è necessariamente valido in assoluto, in ogni tempo ed in ogni luogo». Infatti, ad avviso delle S.U. , applicando alla questione specifica la regola generale innanzi enunciata, chiariscono che «Ai fini della sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p., comma 1, n. 5, non è, tuttavia, sufficiente ritenere l'astratta idoneità di una situazione, quale il tempo di notte, ad incidere sulle capacità di difesa, riducendole, ma occorre "individuare ed indicare in motivazione tutte quelle ragioni che consentano di ritenere che in una determinata situazione si sia in concreto realizzata una diminuita capacità di difesa sia pubblica che privata" (Sez. V, n. 8819 del 02/02/2010, Maero, Rv. 246160), ed, in particolare, che la commissione del reato in tempo di notte abbia in concreto agevolato il soggetto agente nell'esecuzione del reato stesso, ostacolando (pur senza annullarle del tutto) le possibilità di difesa pubblica o privata. L'interprete deve, pertanto, stabilire in concreto l'effetto di "ostacolo alla pubblica o privata difesa" che sia in ipotesi derivato dalla commissione del fatto in tempo di notte, ed, in particolare: - se le ordinarie connotazioni del tempo di notte ricorrano effettivamente nel singolo caso di specie (considerando, ad esempio, l'illuminazione e l'ubicazione del locus commissi delicti, il sonno delle vittime, la presenza di terzi in loco pronti ad intervenire, la presenza di vigilanza pubblica o privata intensa ed attiva); - se sussistano circostanze ulteriori, di qualunque natura, atte a vanificare il predetto effetto di ostacolo: a tal fine la giurisprudenza ha sinora valorizzato essenzialmente la predisposizione di un sistema di vigilanza privata e/o di un sistema di video sorveglianza», al qual proposito le S.U., dirimendo un ulteriore contrasto insorto, hanno stabilito che «L'esistenza di un siffatto impianto potrà essere valorizzata per escludere la circostanza aggravante de qua nei casi in cui l'impianto di videoripresa, atto di per sè a consentire ex post l'individuazione dei responsabili del reato, sia collegato alla centrale operativa di polizia o di un istituto di vigilanza privata, sì da consentire il tempestivo accorrere di soccorsi. In altri casi in cui l'impianto sia spento o altrimenti disattivato dal soggetto agente, o sia privo del collegamento con centrali operative delle forze dell'ordine o di istituti di vigilanza privati, la sua installazione non rileverà ai fini dell'esclusione della circostanza aggravante in esame (Cass. V, n. 12051/2021 cit.; Cass. V, n. 20480/2018, Lo Manto, in motivazione, in un caso nel quale l'impianto di videosorveglianza era disattivato)». Ad avviso delle S.U. la suddetta soluzione – che presuppone l'accertamento dell'effettiva incidenza dell'aggravante sulle possibilità di difesa nel caso concreto - «si colloca in una posizione intermedia tra i due orientamenti in contrasto, che presentano entrambi profili di criticità, se letti nelle loro espressioni estreme. Il primo orientamento finisce, infatti, col valorizzare inammissibilmente una presunzione assoluta di minorata difesa in caso di reati commessi in tempo di notte, e, nello svilire la necessità di accertare in concreto il ricorrere della predetta condizione, viola il principio di offensività. Il secondo non valorizza le ordinarie connotazioni del tempo di notte, non accontentandosi della verifica concreta della loro sussistenza, e richiede il concorrere di circostanze fattuali ulteriori, in tal modo giungendo all'erronea conclusione che la commissione del reato in tempo di notte non rientra di per sè tra le circostanza valorizzabili ex art. 61 c.p., comma 1, n. 5, o comunque che il ricorrere di una sola circostanza "di tempo, di luogo o di persona" non è sufficiente ad integrare la circostanza aggravante de qua». 2. Quanto all'età avanzata, le S.U. hanno ritenuto che la questione della configurabiltà o meno dell'aggravante va risolta, mutatis mutandis, alla stregua dei suddetti principi ossia non in astratto sulla base di una presunzione assoluta ma in concreto: è stata, quindi, accolta la tesi (ex plurimis Cass. II, n. 47186/2019; Cass. II, n. 37865/2020) secondo la quale «l'età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, in quanto deve essere valutato il ricorrere di situazioni che denotino la particolare vulnerabilità dell'anziano soggetto passivo dalla quale il soggetto agente abbia tratto consapevolmente vantaggio, ovvero la scarsa lucidità o incapacità di orientarsi secondo criteri di normalità da parte della vittima, con conseguente agevolazione della condotta criminosa in suo danno». Segue. Natura giuridicaControversa è la qualificazione dell'aggravante della minorata difesa pubblica o privata. In dottrina si registrano diversi indirizzi ermeneutici: per alcuni, sarebbe una circostanza oggettiva, in quanto concerne le modalità dell'azione, ragione per cui il reo può trarne vantaggio anche senza conoscere tale situazione favorevole (Pagliaro, 304; Mantovani, PG, 411; Manna, 9); per altri, invece, pur condividendo l'impostazione che attribuisce alla stessa natura oggettiva, ritengono che l'utilizzo del verbo «profittare» presupponga nell'agente la consapevolezza della situazione di vulnerabilità in cui versa il soggetto passivo e di cui volle avvantaggiarsi (Fiandaca-Musco, PG, 452; Romano, 666; Antolisei, PG, 56; Padovani, 218). Non manca, però, chi opta per una qualificazione della circostanza in senso soggettivo argomentando proprio dal verbo «profittare», il quale, significando avvantaggiarsi intenzionalmente di una condizione favorevole al fine di trarne un utile, implica necessariamente una volontà dell'agente caratterizzata da una marcata riprolevolezza (Vallini, 43; Malinverni, Circostanze, 82). Dal canto suo, la giurisprudenza propende per il carattere oggettivo dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 5 (Cass. I, n. 39349/2019; Cass. I, n. 48108/2008), soggiungendo che essa è integrata per il solo fatto, oggettivamente considerato, della ricorrenza di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa (Cass. I, n. 1319/2010), a nulla rilevando che la situazione che ostacola la difesa sia maturata occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell'agente (Cass. I, n. 712/2010; Cass. V, n. 14995/2005; Cass. II, n. 44624/2004; Cass. I, n. 10268/1996); difatti, affinché sia configurabile la circostanza aggravante della minorata difesa, è sufficiente la coscienza e volontà dell'agente di compiere l'azione in presenza di obiettive circostanze favorevoli o agevolatrici della condotta criminosa, mentre non è necessario che l'approfittamento di tali circostanze sia sorretto da dolo specifico, o, comunque, che la situazione determinata dalle stesse sia stata ad arte ricercata o indotta, ma solo che il colpevole tragga coscientemente ed obbiettivamente vantaggio dalle circostanze favorevoli all'incontrastato sviluppo della propria condotta illecita (Cass. I, n. 13387/2013; Cass. I, n. 2960/1997). La suddetta tesi è stata ribadita dalle S.U. n. 40275/2021 secondo le quali la circostanza aggravante in questione ha natura oggettiva, ed è, pertanto, integrata per il solo fatto, obiettivamente considerato, del ricorrere di condizioni utili a facilitare il compimento dell'azione criminosa, a nulla rilevando che dette condizioni siano maturate occasionalmente o indipendentemente dalla volontà dell'agente Segue. Compatibilità con altre fattispecieLa circostanza aggravante della minorata difesa è compatibile: — con il dolo d'impeto (Cass. I, n. 12930/2019; Cass. I, n. 48108/2008); — con il dolo eventuale (Cass. I, n. 39349/2019); — con la premeditazione (Cass. I, n. 1622/1971); — con il vizio parziale di mente (Romano, 666; Cass. I, n. 365/1969); — con il tentativo (Cass. V, n. 35616/2010); — con l'aggravante comune dell'abuso di relazioni di coabitazione ex art. 61, n. 11, qualora concorra il presupposto dell'abuso di ospitalità unitamente al comportamento diretto ad approfittare dell'incapacità di difesa del soggetto passivo del reato (Cass. I, n. 2189/1978; Cass. II, n. 666/1966): — con l'aggravante prevista dall'art. 625, n. 2 ( Cass. II, n. 47893/2011; Cass. II, n. 102/1965 ); — con l'aggravante dell'esposizione delle cose alla pubblica fede ex art. 625 n. 7, in quanto la prima concerne specificamente l'oggetto della sottrazione, commessa su cosa priva di custodia ed essenzialmente affidata al comune sentimento di rispetto verso la proprietà altrui, mentre la seconda attiene al concorso di circostanze tali da determinare uno stato di minorata difesa e quindi da facilitare l'impresa delittuosa; Cass. V, n. 33682/2010; Cass. II, n. 4285/1988; — con l'aggravante della minore età di cui all'art. 609-ter, comma 1, n. 1: Cass. III, n. 11509/2019 in quanto la prima attiene ad una condizione soggettiva della vittima che deriva dallo stato anagrafico, mentre la seconda attribuisce rilievo a modalità d'azione connesse a situazioni oggettive e soggettive che prescindono dalla minore età in quanto tale; Cass. III, n. 42682/2015; contra: Cass. III, n. 37381/2012 . In ordine al rapporto fra l’art. 61 n. 5 c.p. e le aggravanti di cui all’art. 628, comma 3, n. 3-bis e 3-quinquies, la giurisprudenza ha ritenuto che: l’aggravante in commento, sebbene abbia una portata più ampia rispetto a quella di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, c.p., tuttavia, con questa coincide (anche semanticamente) quando la condotta avvenga in un «luogo tale da ostacolare la pubblica o privata difesa». In tale ipotesi, è stata ritenuta applicabile l'aggravante di cui all'art. 628 c.p. e non quella prevista dall'art. 61, n. 5, c.p., in quanto quest’ultima è un'aggravante comune, laddove quella di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis, c.p. è un'aggravante speciale. Di conseguenza, ove la rapina sia commessa in un «luogo tale da ostacolare la pubblica o privata difesa» deve applicarsi l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p. (e non quella di cui all’art. 61 n. 5 c.p.) proprio perché il legislatore, per la rapina, ha inteso dare a quella determinata condotta una valenza particolarmente negativa, sanzionandola in modo più grave rispetto all’art. 61, n. 5 c.p.: Cass. II, n. 14489/2023; l'aggravante speciale dell'età della vittima eccedente i sessantacinque anni, prevista dall'art.628, comma 3, n. 3-quinquies c.p., esclude l'applicazione concorrente dell'aggravante comune, determinativa di un minore incremento sanzionatorio, di cui all'art. 61 n. 5, c.p., ove contestata in riferimento all'età senile della persona offesa e alla sua ritenuta minore capacità di resistenza, vietando l'art. 68 c.p., in tema di componenti accessorie del reato, l'addebito plurimo di un medesimo elemento fattuale: Cass. II, n. 3496/2023; Cass. II, n. 17320/2023. Latitanza (art. 61, n. 6)L'art. 61, n. 6, prende in considerazione, quale circostanza aggravante comune, la situazione di fatto della latitanza (art. 296 c.p.p.), che si verifica allorquando il colpevole abbia commesso il reato durante il tempo in cui si è sottratto volontariamente alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione, spedito per un precedente reato. I provvedimenti restrittivi devono essere emanati per un precedente reato (delitto o contravvenzione), a nulla rilevando che il soggetto sia stato in seguito assolto (Cass. I, n. 3780/1994); inoltre, poiché il legislatore si riferisce espressamente alla necessità che l'agente si sia volontariamente sottratto all'esecuzione di un mandato o di un ordine, ai fini della configurabilità della circostanza tali provvedimenti debbono essere conosciuti dal colpevole, il quale deve essere consapevole di essere ricercato (Cass. II, n. 49523/2019; Cass. II, n. 5983/1977; Cass. II, n. 6318/1986; Cass. VI, n. 3516/1983), mentre è irrilevante che il provvedimento restrittivo sia stato o meno notificato (Cass. V, n. 18983/2013; Cass. VI, n. 3516/1983). Segue. Natura giuridica, ratio e conseguenze applicativeRiferendosi alle condizioni e qualità personali del colpevole, la dottrina unanime riconosce alla circostanza natura soggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 453; Romano, 667; Pagliaro, 304). La ratio risiede «nella più accentuata volontà di ribellione manifestata da chi commette un nuovo reato dopo essersi sottratto al potere coercitivo dello Stato» (Fiandaca-Musco, 453; Mantovani, 416), oltre che nel maggiore allarme sociale e nella più intensa pericolosità del soggetto (Padovani, 263). La giurisprudenza ha ravvisato il fondamento dell'aggravante soprattutto nel diverso e più intenso grado di ribellione all'ordine costituito, insito nell'azione di colui che non si sottomette al potere coercitivo dello Stato, sottraendosi a provvedimenti restrittivi della libertà personale, e che, contemporaneamente, compia nuovi reati. Trattandosi, quindi, di una ragione che prescinde dalla colpevolezza o meno del soggetto così perseguito (tanto che l'aggravante non potrebbe essere esclusa neppure nel caso di intervenuta e successiva assoluzione dal delitto cui è conseguito il provvedimento restrittivo), la Suprema Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, comma 1, n. 6, sollevata sul rilievo che tale norma sarebbe in contrasto con i principi costituzionali posti negli artt. 3, 25, 27 Cost., ed in particolare con il principio della presunzione di non colpevolezza sino a sentenza irrevocabile di condanna, che renderebbe non illegittimo e quindi sprovvisto di valenza negativa lo stato di latitanza, con la conseguenza che tale condizione non potrebbe aggravare un reato commesso durante il suo tempo (Cass. I, n. 3780/1994). Sul presupposto che, alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 118, sono estendibili ai concorrenti, e sempre che questi ne fossero consapevoli, le sole aggravanti soggettive che, oltre a non essere «inerenti alla persona del colpevole» a norma dell'art. 70, comma 2, abbiano in qualche modo agevolato la realizzazione del reato, la giurisprudenza ha poi escluso l'estensione ad un concorrente della circostanza prevista dall'art. 61, n. 6, inerente ad altro concorrente, in quanto la stessa si era rivelata assolutamente improduttiva di effetti agevolativi in ordine alla realizzazione del reato concorsuale (Cass. II, n. 22136/2013). Segue. Ambito di applicazioneÈ discusso se la circostanza aggravante, riferibile solo a reati dolosi (Romano, 667), sia applicabile anche all'evaso, che è equiparato «per ogni effetto» al latitante dall'art. 296, comma 5, c.p.p. Infatti, per una prima tesi l'equiparazione normativa di cui all'art. 296 c.p.p. comporterebbe l'applicabilità dell'art. 61, n. 6, anche all'evaso (Romano, 667; Mantovani, PG 416; Padovani, 218; Cass. VI, n. 10313/1988; Cass. I, n. 1037/1985), mentre altra parte della dottrina si è schierata in senso contrario all'estensione, sull'assunto per cui gli effetti giuridici dell'aggravante conseguono non alla qualificazione giuridico-formale di latitanza ex art. 296 c.p.p., ma alla situazione di fatto corrispondente a tale qualifica giuridica (Pagliaro, 304; Fiandaca-Musco, 453). Si è escluso, poi, che l'aggravante possa applicarsi a chi si sia sottrae a un provvedimento che abbia disposto gli arresti domiciliari, il divieto di espatrio o l'obbligo di dimora, pena la violazione del divieto di analogia a sfavore del reo (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 553). Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'aggravante in commento è congiuntamente applicabile alla circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 2, in quanto, pur essendo entrambe subiettive, hanno una diversa ratio, e presuppongono differenti impulsi psicologici alla inosservanza delle norme penali che le distingue rendendole concettualmente autonome (Cass. V, n. 4013/1981). Non è configurabile la circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 6 nella condotta del latitante che commette il reato di resistenza a pubblico ufficiale per opporsi all'esecuzione della misura cautelare (Cass. VI, n. 2803/2006). Danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, n. 7)La circostanza prevista dall'art. 61, n. 7, pacificamente di natura oggettiva (Romano, Commentario, 668; Fiandaca-Musco, PG, 454; Pagliaro, 305; Mantovani, PG, 417) è inapplicabile alle contravvenzioni (Pagliaro, 305) e riguarda soltanto alcune categorie di delitti: a) i delitti contro il patrimonio, cioè quelli che, avendo per oggetto il patrimonio, necessariamente lo offendono (delitti previsti nel Titolo XIII del Libro II del codice penale); b) i delitti che comunque offendono il patrimonio, categoria sulla cui delimitazione vi è, in dottrina, discordanza di opinioni. Per alcuni, si tratterebbe di delitti che «tipicamente» offendono il patrimonio (Romano, Commentario, 667), mentre secondo altri, «occorrerà o che il reato possa ritenersi plurioffensivo, di modo che all'offesa di natura non patrimoniale sia affiancata quella di natura patrimoniale, ancorché in rapporto ad una persona diversa dalla prima (come ad es. nella malversazione), oppure che il reato ad unica offesa (non patrimoniale) comporti, per sua stessa natura, anche un'offesa patrimoniale nei confronti dello stesso soggetto passivo (come ad esempio nell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni)» (Padovani, 219); secondo una diversa dottrina, invece, poiché tale nozione non deve essere intesa con riferimento alla oggettività giuridica del reato, i delitti in questione sarebbero quelli dai quali, in concreto, discendano conseguenze pregiudizievoli a carico dell'altrui patrimonio (Fiandaca-Musco, PG, 454, il quale, per questa ragione, spiega l'applicabilità della circostanza ai reati di falso, alla malversazione o alla concussione). Assume una posizione mediana chi ritiene che, in virtù della latitudine della formula legislativa, vi rientrano non soltanto i «reati plurioffensivi che offendano, accanto ad un altro bene, anche un bene patrimoniale (ad es. il peculato)», ma «anche i reati nei quali l'offesa al patrimonio non è sempre presente, ma può esserlo nel caso concreto in quanto sviluppo potenzialmente insisto in quella figura di delitto (è il caso dell'incendio colposo ex art. 449, qualora il fuoco, diffondendosi, provochi, accanto al pericolo per la pubblica incolumità, ad es. la distruzione di una villa o di una fattoria o di un vigneto)» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 553). c) i delitti determinati da motivi di lucro, ossia quelli «dai quali il colpevole si riprometta un vantaggio di natura patrimoniale» (Antolisei, PG, 358). Segue. Criteri di valutazione della rilevante entità del dannoPerché ricorra l'aggravante in commento, occorre, poi, che il delitto abbia cagionato un danno di rilevante entità. Anzitutto, tanto per la dottrina (Romano, Commentario, 667; Pagliaro, 305; Malinverni 1960, 83) quanto per la giurisprudenza (Cass. V, n. 463/1982), il pregiudizio — di carattere solo patrimoniale — va inteso non soltanto come danno emergente, ma anche come lucro cessante. Neppure in merito ai criteri di accertamento della rilevante entità del danno si registrano significativi contrasti. In letteratura, infatti, è dominante l'orientamento che segue un criterio misto oggettivo-soggettivo, in forza del quale, in via principale, assume rilievo l'entità obiettiva del pregiudizio, mentre le condizioni economiche della vittima vengono valutate quale elemento sussidiario quando il valore intrinseco del danno non sia sufficientemente indicativo (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 553; Mantovani, PG, 417; Romano, Commentario, 667; Padovani, 219). In senso pienamente aderente, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l'entità oggettiva assume valore preminente, mentre la capacità economica del danneggiato costituisce parametro sussidiario di valutazione cui è possibile ricorrere soltanto nei casi in cui il danno sia di entità tale da rendere dubbia la sua oggettiva rilevanza (Cass. II, n. 48734/2016; Cass. IV, n. 5908/2013; Cass. II, n. 42351/2007); in altri termini, nel valutare l'applicabilità della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, può farsi riferimento alle condizioni economico-finanziarie della persona offesa solo qualora il danno sofferto, pur non essendo di entità oggettiva notevole, può essere qualificato tale in relazione alle particolari condizioni della vittima, che sono invece irrilevanti quando l'entità oggettiva del danno è tale da integrare di per sé un danno patrimoniale di rilevante gravità (Cass. II, n. 35163/2022; Cass. II, n. 29986/2022; Cass V, n. 2719/2022; Cass IV, n. 28722/2021; Cass V, n. 20298/2020; Cass. VI, n. 12717/2019; Cass. II, n. 33432/2015; Cass. VI, n. 8098/1987). Contra, vedi giurisprudenza relativamente al parallelo problema di cui all’art. 62 n. 4 c.p. cui si rinvia). È stato stabilito, poi, che l'entità del danno patrimoniale dev'essere valutata con riferimento al momento in cui il reato è stato commesso, e, pertanto, la sua diminuzione conseguente a fatti successivi (quali, ad esempio, la restituzione delle somme percepite truffaldinamente o la restituzione della cosa rubata) risulta irrilevante (Cass. IV, n. 47002/2021; Cass. II, n. 3369/2013; Cass. II, n. 1881/1965). In applicazione del suddetto principio, la giurisprudenza ha quindi chiarito che: - in materia di reati diretti al conseguimento di un titolo di credito, l'entità del pregiudizio patito dalla persona offesa va valutata con riguardo al momento in cui si verifica l'interversione del titolo del possesso, ovvero in cui il soggetto agente tiene consapevolmente un comportamento oggettivamente eccedente la sfera delle facoltà ricomprese nel titolo del suo possesso (Cass. II, n. 45993/2007), senza che rilevi se, per circostanze sopravvenute, il danno resti eliso o attenuato (Cass. II, n. 10663/1983; Cass. I, n. 1935/1974); - in tema di truffa contrattuale, l'ingiusto profitto, con correlativo danno del soggetto passivo, consiste essenzialmente nel fatto costituito dalla stipulazione del contratto, indipendentemente o meno dallo squilibrio oggettivo delle rispettive prestazioni, sicché la sussistenza dell'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità deve essere valutata con esclusivo riguardo al valore economico del contratto in sé, al momento della sua stipulazione, e non con riguardo all'entità del danno risarcibile, che può differire rispetto al valore, in ragione dell'incidenza di svariati fattori concomitanti o successivi, tra cui la decisione del deceptus di agire o meno in sede civile per l'annullamento del contratto (Cass. II, n. 55170/2018; Cass. fer., n. 51760/2013; Cass. V, n. 7193/2006; Cass. II, n. 12027/1997). Segue. Compatibilità con altre fattispecieLa circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 7 può essere riconosciuta anche in ipotesi di delitto tentato, ma soltanto se le modalità del fatto criminoso siano idonee a fornire concrete ed univoche indicazioni sull'entità del pregiudizio che si sarebbe determinato se l'azione delittuosa fosse stata portata a compimento (Cass. II, n. 17424/2015; Cass. fer., n. 33408/2009; Cass. V, n. 17275/2008; Cass. VI, n. 2070/1994; Cass. II, n. 548/1987). Tale interpretazione, seguita dalla giurisprudenza prevalente, viene tuttavia contestata da quella parte della dottrina secondo la quale una precisa scelta legislativa escluderebbe ogni spazio al danno potenziale, all'uopo valorizzando, da un lato, la lettera della legge (“danno cagionato”), e, dall'altro, taluni passaggi della Relazione del Guardasigilli (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 554). Del pari, essa è compatibile con il reato di pericolo, quale è l'incendio colposo, allorché il fatto costitutivo non abbia soltanto determinato il pericolo di pregiudizio per i beni tutelati, ma abbia prodotto una effettiva distruzione o menomazione di beni patrimoniali con danno valutato di rilevante gravità (Cass. IV, n. 8040/1984). Quanto al reato continuato, una prima tesi è ferma nel ritenere che, qualora il danno complessivamente cagionato dai delitti della medesima specie non si ripartisca tra più persone offese, ma resti confinato nel patrimonio della stessa vittima, nel quale si accumula ed accresce ad ogni episodio delittuoso della serie oggetto di giudizio, la scomposizione del danno unitariamente arrecato dalla vittima - e in tale misura complessiva dalla stessa sopportato - in ragione dei singoli episodi criminosi non corrisponderebbe alla realtà dei fatti, e dunque del pregiudizio effettivamente arrecato. Pertanto, si afferma che la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell'aggravante del danno di rilevante gravità deve essere effettuata con riferimento, non al danno cagionato da ogni singola violazione commessa nei confronti di un'unica persona offesa, ma a quello complessivo, causato alla stessa, dalla somma delle violazioni: Cass II, n. 40314/2023; Cass. III, n. 32706/2023; Cass. II, n. 18686/2023; Cass. II, n. 25030/2022; Cass. II, n. 34525/2021; Cass. V, n. 28598/2017; Cass. II, n. 45505/2015; Cass. II, n. 2201/2013; Cass. II, n. 49086/2012; Cass. VI, n. 33951/2005; Cass. II, n. 10811/2000; Cass. VI, n. 3065/1999. Altra giurisprudenza, invece, sulla scorta delle S.U. n. 3286/2009 (secondo la quale nella valutazione sulla sussistenza dell'aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, dell'attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità e di quella dell'intervenuto risarcimento del danno, «l'entità del danno e l'efficacia della condotta riparatoria devono essere valutate in relazione ad ogni singolo reato e non al complesso di tutti i fatti illeciti avvinti dal vincolo della continuazione»), partendo dal presupposto che la considerazione unitaria del reato continuato è limitata ai soli effetti espressamente previsti dalla legge, quali quelli relativi alla determinazione della pena, mentre per tutti gli altri effetti non espressamente indicati la valutazione cumulativa può essere ammessa esclusivamente a condizione che garantisca un risultato favorevole al reo, ha affermato il seguente principio di diritto: «Ai fini dell'applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 7, al reato continuato, la valutazione del danno di rilevante gravità deve essere operata non con riguardo al danno complessivamente causato dalle plurime violazioni unificate dal vincolo, ma con riguardo al danno patrimoniale cagionato da ogni singolo reato»: Cass. VI, n. 50792/2019; Cass. II, n.43677 del 2022. In tale senso, conclude anche la prevalente dottrina, secondo la quale la rilevante entità del danno dev'essere accertata prendendo in considerazione i singoli episodi criminosi (Fiandaca-Musco, PG, 454; Romano, Commentario, 668; Mantovani, PG, 412). Al che, si è replicato che il diverso principio di diritto enunciato dalle SSUU cit. trova una sua logica giustificazione nella fattispecie esaminata in cui vi erano una pluralità di persone offese e una pluralità di reati (rapina, lesioni, resistenza, danneggiamento, furto). Soluzione che, invece, non troverebbe alcuna giustificazione nella diversa ipotesi in cui il danno (sebbene derivante da una pluralità di reati) resti confinato nel patrimonio di una singola persona. In tale ultima fattispecie, quindi, deve continuarsi ad applicare il principio di diritto di cui si è detto e cioè che l'aggravante del danno di rilevante gravità deve essere effettuata con riferimento al danno complessivo causato alla persona offesa dalla somma delle singole violazioni (Cass. II, n. 2201/2014; Cass. II, n. 45504/2015; Cass. II, n. 15617/2019; Cass. VII, n. 34537/2020). Si è, quindi, concluso che «l'orientamento espresso in queste decisioni, non si pone in contrasto con il principio statuito dalle Sezioni Unite, ma lo precisa e integra secondo un criterio di ragionevolezza: «esemplificando, non sarebbe logico valutare in modo diverso gli elementi circostanziali del reato, qualora una vittima di una unica truffa subisse un danno di mille euro ovvero patisse il medesimo danno a seguito di dieci distinte truffe commesse dall'agente in un breve arco temporale»: Cass. n. 34525/2021; Cass. II, n. 25030/2022; Cass II, 40314/2023. In conclusione, pare potersi affermare che, sulla soluzione della questione, incidono due circostanze fattuali: a) quando il reato continuato è perpetrato in danno di una sola o più persone; b) quando il reato continuato è costituito da diversi reati (ad es. rapina, lesioni e sequestro di persona) o da uno solo che viene reiterato nel tempo (ad es. più reati di estorsione). La soluzione della prima delle due tesi illustrata è coerente con l’ipotesi in cui il reato continuato è unico e viene perpetrato in danno di una sola persona. Laddove, invece, il reato continuato o perché è costituito da reati di diversa specie o perché è perpetrato in danno di più persone, pare preferibile la diversa opinione. In tema di abuso d'ufficio, invece, l'aggravante del danno di rilevante gravità, prevista dal secondo comma dell'art. 323 c.p. (ora abrogato) , ha carattere di specialità rispetto a quella comune, di analogo contenuto, prevista dall'art. 61, n. 7 c.p., per cui deve escludersi che quest'ultima possa concorrere con l'altra (Cass. VI, n. 33933/2005). Segue. Profili processualiAi fini della contestazione dell'ipotesi di cui all'art. 61 n. 7 non è sufficiente la mera indicazione nel capo d'imputazione dell'importo della somma sottratta alla persona offesa, ma è necessario, ai fini della corretta formulazione dell'addebito, che sia esplicitata la valutazione circa la rilevante gravità del danno, così da consentire l'esercizio del connesso diritto di difesa (Cass. II, n. 29/2005; Cass. II, n. 43920/2015; contra: Cass.II, n. 13913/2016). Segue. CasisticaL'aggravante è stata ritenuta applicabile: - ai delitti di falso in scrittura privata (Cass. V, n. 10130/1999; Cass. II, n. 6005/1989); - al delitto di concussione (Cass. VI, n. 6140/1996; Cass. VI, n. 2019/1992); - al delitto di peculato mediante profitto dell'errore altrui (art. 316), ma soltanto qualora il danno patrimoniale sia stato cagionato alla pubblica amministrazione, vale a dire il soggetto al quale compete esclusivamente la qualità di persona offesa, essendo titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale (Cass. VI, n. 4074/1999). Di contro, la circostanza è incompatibile con il reato di associazione per delinquere, in quanto il requisito del danno patrimoniale è estraneo alla struttura del reato associativo, non derivando dalla mera costituzione di un sodalizio criminoso, ancorché ispirato da motivi di lucro, un danno patrimoniale (Cass. II, n. 35454/2010, che in motivazione ha precisato che è solo con l'attuazione del programma criminoso che si verifica la lesione di beni giuridici con conseguente prodursi di danni patrimoniali i quali, pertanto, derivano dalla commissione dei reati fine, sicché soltanto in relazione ad essi può ritenersi configurabile l'aggravante in esame). Aggravamento delle conseguenze (art. 61, n. 8)L'aggravante di cui all'art. 61, n. 8 viene integrata qualora l'agente, dopo aver commesso il delitto, ne abbia aggravato o tentato di aggravare le conseguenze. La norma presuppone, quindi, la commissione di un qualsivoglia delitto, doloso o colposo, consumato o tentato (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 554), e richiede una nuova iniziativa dell'autore del reato, ossia una condotta autonoma e posteriore rispetto a quella dell'illecito precedentemente commesso: in mancanza di applicazioni giurisprudenziali, si pensi, ad esempio, al «fatto di chi, dopo aver ferito gravemente taluno, rimuova (o tenti di rimuovere) la fasciatura per provocare un'emorragia» (Fiandaca-Musco, PG, 454) ovvero ostacoli o cerchi di ostacolare gli altrui soccorsi (Romano, Commentario, 668; Pagliaro, 305). Ai fini della sua sussistenza, occorre che il fatto di aggravare gli effetti prodotti dal pregresso reato consumato o tentato non costituisca un reato a sé stante o una circostanza speciale (Romano, 668) e la volontà diretta ad aggravare le conseguenze, come del resto si desume dalla espressa menzione anche del tentativo di aggravamento (Antolisei, PG, 359; Fiandaca-Musco, PG, 454; Pagliaro, 305; Mantovani, PG, 417). L'ampia formula legislativa «conseguenze del reato» ha indotto la dottrina a ricomprendervi «anche effetti diversi e ulteriori rispetto all'offesa al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice: ad es. le sofferenze morali che un omicidio produce ai familiari della vittima» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 555). Segue. Natura giuridicaControversa è la natura giuridica dell'aggravante in questione. Mentre la prevalente dottrina la considera una circostanza soggettiva, «perché denota una maggiore persistenza nel proposito criminoso» (Antolisei, PG, 359; Mantovani, PG, 413; Malinverni, Circostanze, 84; Romano, 668, il quale propende per la tesi soggettiva nonostante riconosca che sono presenti in tale aggravante aspetti oggettivi), secondo altri avrebbe natura oggettiva, in quanto concerne la gravità del danno o del pericolo (Pagliaro, 305; Padovani, 219). Segue. Ambito di applicazioneL'art. 61, n. 8 si può applicare, testualmente, ai soli delitti (Pagliaro, 305) e, secondo parte della dottrina, anche al delitto tentato, in quanto la norma si riferisce al «delitto commesso» anziché al «delitto consumato», nonché ai delitti colposi (Romano, 668; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 554). Abuso di poteri e violazione di doveri (art. 61, n. 9)L'art. 61, n. 9, trova applicazione quando il fatto sia stato commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di un culto. Affinché l'aggravante ricorra, è necessario che il reato-base a cui accede non preveda tra i suoi elementi costitutivi l'abuso o la violazione (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 555; Fiandaca-Musco, PG, 455. Nello stesso senso, Cass. III, n. 37839/2014. La norma indica tre categorie di soggetti in possesso di una determinata qualifica: - pubblici ufficiali (art. 357); - incaricati di pubblico servizio (art. 358); - ministri di culto; tale nozione deve intendersi riferita non soltanto ai ministri del culto cattolico, ma anche a quelli di qualsiasi altro culto ammesso dallo Stato, nonostante il legislatore — contrariamente a quanto avviene nell'art. 61 n. 10 — non lo abbia specificato (Romano, 668; Padovani, Circostanze, 219). Secondo altra dottrina, «potrà trattarsi di ministri di una qualsiasi confessione religiosa, tale ai sensi dell'art. 8 Cost.» (Marinucci-Dolcini, Manuale, 2015, 555). Resta, invece, certamente escluso dall'ambito di applicazione soggettiva l'esercente di un servizio di pubblica necessità (Romano, Commentario, 668). Tuttavia, ai fini della configurabilità della circostanza in esame, non basta il mero possesso di una delle suddette qualifiche, ma occorre che l'agente operi con l'abuso dei poteri o con la violazione dei doveri inerenti a tale qualità: il primo consiste nell'uso dei poteri per finalità diverse da quelle per le quali gli sono stati conferiti (c.d. sviamento), la seconda nella inosservanza di uno specifico dovere concernente l'attività del suo ufficio, servizio o ministero (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 555), in quanto, se fosse sufficiente violare generici doveri di correttezza e probità correlati ad una certa qualifica, « ogni reato commesso da un tale soggetto finirebbe col risultare eo ipso aggravato» (Padovani, Circostanze, 219). Su punto, si segnala però che, con particolare riferimento alla qualità di ministro di culto, la giurisprudenza ha assunto una posizione alquanto rigorosa, difforme dalla prevalente interpretazione dottrinaria: e così, si è ritenuta sussistente l'aggravante dell'abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro del culto, anche se il reato non sia stato commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, in quanto è sufficiente, da un lato, che a facilitarlo siano serviti l'autorità ed il prestigio connessi alla qualità di sacerdote e, dall'altro, che vi sia stata violazione dei doveri anche generici nascenti da tale qualità (Cass. III, n. 37068/2009). Tra l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri e la commissione del reato deve sussistere una connessione, che la dottrina dominante ricostruisce in termini anche di mera occasionalità, ritenendo sufficiente che la qualifica posseduta dall'agente abbia reso possibile o almeno agevolato l'esecuzione dell'illecito (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 555; Fiandaca-Musco, PG, 455; Antolisei, PG, 359; contra, Padovani, 219, che richiede la presenza di un nesso funzionale tra qualifica e reato; in terminis: Cass. V, n. 9102/2020; Cass. III. n. 24979/2018; Cass. I, n. 24894/2009. È necessario, infine, che «il soggetto sia consapevole di strumentalizzare indebitamente i poteri o violarne i doveri... per la commissione del reato» (Romano, 668): la nozione di abuso suppone infatti l'intenzionalità dell'agire, sicché l'aggravante, avendo una struttura dolosa, si applica solo se conosciuta e voluta dall'agente, in deroga al regime generale di imputazione delle circostanze cui all'art. 59, comma 2 (Pagliaro, 306; Fiandaca-Musco, PG, 455; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 555). Segue. Natura giuridica e conseguenze applicativePrevale, in dottrina, l'opinione di quanti riconoscono alla circostanza natura soggettiva, perché concerne qualità personali del colpevole (Fiandaca-Musco, PG, 455; Romano, 669; Antolisei, PG, 361), mentre minoritaria è la posizione assunta da chi ritiene sia di natura oggettiva, in quanto basata su una modalità dell'azione (Pagliaro, 306). in ordine alla questione dell'estensibilità della circostanza ai compartecipi nel reato, ai sensi dell'art. 118 c.p., la giurisprudenza più recente, sul presupposto della natura oggettiva dell'aggravante - in quanto, applicandosi a taluno perché ha abusato dei propri poteri e non per la qualifica rivestita, riguarda una modalità dell'azione – ha riconosciuto la comunicabilità della medesima ad eventuali concorrenti (Cass. II, n. 8620/2021;Cass. V., n. 13802/2020, sebbene relativamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 219 l. fall.; Cass. VI, n. 53687/2014): contra: sul presupposto della natura soggettiva, Cass. I, n. 336/1990. Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'aggravante risulta incompatibile con i reati che presentino come elemento costitutivo l'abuso o la violazione (Romano, 669). Ad esempio i reati di concussione o di induzione indebita a dare o promettere utilità, in quanto l'abuso dei poteri configura anche elemento costitutivo dei delitti di cui agli artt. 317 e 319- quater(Cass. III, n. 37839/2014). Chiamata a delineare i rapporti tra reati comuni aggravati ai sensi dell'art. 61 n. 9 e reati propri dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio, la giurisprudenza ha deciso quanto segue: a) è configurabile il reato di concussione quando la costrizione (ossia la minaccia) del pubblico ufficiale si concretizzi nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, strumentalizzato per perseguire illegittimi fini personali; mentre sussiste il delitto di estorsione aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 9, quando l'agente ponga in essere, nei confronti di un privato, minacce diverse da quelle consistenti nel compimento di un atto o di un comportamento del proprio ufficio, sicché la qualifica di pubblico ufficiale si pone in un rapporto di pura occasionalità, avente la funzione di rafforzare la condotta intimidatoria nei confronti del soggetto passivo (Cass. II, n. 12736/2014); b) l'elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata, ai sensi dell'art. 61, n. 9, va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (ex multis, Cass. VI, n. 46799/2018; Cass. VI, n. 5087/2014; Cass. VI, n. 15795/2014; Cass. VI, n. 41599/2013; Cass. VI, n. 39010/2013; Cass. VI, n. 32863/2011; Cass. VI, 35852/2008). Si evidenzia, tuttavia, che incertezze interpretative in relazione alla condotta appropriativa del curatore fallimentare: secondo un primo orientamento, integra il delitto di truffa aggravata dall'abuso di poteri o dalla violazione di doveri inerenti una pubblica funzione, e non quello di peculato, la condotta del curatore fallimentare il quale, falsificando dei mandati di pagamento mediante l'apposizione della firma apocrifa del giudice delegato, si appropria di somme relative all'attivo fallimentare depositate sui conti bancari intestati alla procedura concorsuale (Cass. VI, n. 5447/2010; negli stessi termini, Cass. VI, n. 13800/2015, relativamente ad una condotta simile realizzata dal curatore dell'eredità giacente); altra parte della giurisprudenza, invece, sostiene che sia integrato il delitto di peculato, e non quello di truffa aggravata, nel caso in cui il curatore fallimentare si sia appropriato del denaro di cui abbia avuto la preventiva disponibilità in forza del provvedimento giudiziario di autorizzazione al pagamento dei creditori, dovendosi ritenere irrilevante a tal fine la successiva, parziale, falsificazione degli importi delle somme oggetto delle originarie autorizzazioni al prelievo da parte del giudice (Cass. VI, n. 16980/2008). c) analogo criterio discretivo è stato fissato tra il delitto di peculato e quello di frode informatica aggravata ai danni dello Stato; anche in questo caso, l'elemento distintivo va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o d'altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, cosicché è configurabile il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropri delle predette «res» avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragioni dell'ufficio o servizio, mentre è integrata la frode informatica quando il soggetto attivo si procuri il possesso delle predette «res» fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per procurarsi un ingiusto profitto con altrui danno (Cass. II, n. 18909/2013, relativamente ad una fattispecie in cui la Suprema Corte ha ravvisato gli estremi della frode informatica pluriaggravata — ai danni dello Stato, nonché ex art. 61, comma 1, n. 9, — nella condotta del gestore di una sala giochi che, in concorso con altri soggetti, aventi qualifica di incaricati di pubblico servizio, si era appropriato della quota spettante a titolo di prelievo erariale all'Erario sul costo di ogni partita effettuata dagli utenti sulle «slot machines»). d) l'esecuzione di una perquisizione con modalità violente, tali da provocare lesioni sulla persona del soggetto perquisito, integra unicamente il reato di lesioni personali volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale, restando in esso assorbito il delitto di perquisizione arbitraria (Cass. III, n. 25709/2011). e) l’esecuzione di una perquisizione con modalità violente, tali da provocare lesioni sulla persona del soggetto perquisito, integra unicamente il reato di lesioni personali volontarie aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale, restando in esso assorbito il delitto di perquisizione arbitraria (Cass. III, n. 25709/2011). Segue. Profili processualiÈ orientamento consolidato quello secondo cui la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici è applicabile in caso di condanna per un reato di falso commesso da un pubblico ufficiale, anche se non sia stata contestata la circostanza aggravante dell'abuso di pubblica funzione di cui all'art. 61, n. 9, trattandosi di pena accessoria relativa «ope legis» a tutti i reati commessi in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (Cass. V, n. 1450/2011; Cass. II, n. 13435/1989; Cass. II, n. 4243/1982; Cass. V, n. 871/1978). Segue. CasisticaL'aggravante in questione è configurabile nel caso di reato ascrivibile a un dipendente dell'amministrazione finanziaria con mansione di addetto allo sportello, la cui attività infatti, non si esaurisce in incarichi meramente manuali o d'ordine, poiché le funzioni svolte implicano conoscenza di regolamenti propri dell'amministrazione di appartenenza e costituiscono, quindi, complemento ed integrazione delle funzioni pubbliche proprie dell'amministrazione finanziaria (Cass. II, n. 20039/2011). Non ricorre, al contrario, nel caso di atti osceni compiuti, all'interno di un ambulatorio privato e nell'esercizio di attività libero professionale, da medico legato da rapporti di lavoro di natura non esclusiva con una struttura sanitaria pubblica (Cass. III, n. 46184/2013); al contrario, è stata ritenuta configurabile l'aggravante in commento in relazione alla condotta di reato (violenza sessuale) commessa dal medico ospedaliero in occasione dello svolgimento dell'attività "intra moenia", trattandosi di soggetto che riveste la qualifica di pubblico ufficiale, in virtù del regime di convenzione che lo lega all'azienda sanitaria pubblica: Cass. III, n. 36784/2017. La Cass. III, n. 1949/2017, chiamata a pronunciarsi su un ricorso presentato da un imputato condannato per diversi episodi di pedofilia commessi abusando dell'autorità derivante dal suo ruolo e dalla sua posizione di sacerdote e coadiutore presso l'oratorio, nel richiamare precedente giurisprudenza (Cass. III, n. 37068/2009) ha affermato il principio di diritto secondo cui nei reati sessuali, è configurabile l'aggravante dell'abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro del culto cattolico, non solo quando il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale ma anche quando la qualità sacerdotale abbia facilitato il reato stesso, essendo il ministero sacerdotale non limitato alle funzioni strettamente connesse alla realtà parrocchiale ma comprensivo di tutti quei compiti riconducibili al mandato evangelico costitutivo dell'ordine sacerdotale; tale mandato comprendendo le attività svolte a servizio della comunità e, senza carattere esaustivo, quelle ricreative, di assistenza, di missione, di aiuto psicologico ai fedeli ed a chiunque ne abbia bisogno, ivi comprese le relazioni interpersonali che il sacerdote intraprenda nello svolgimento di tali attività. Fatto commesso contro persona qualificata (art. 61, n. 10)La norma prevede un aggravamento di pena qualora il fatto sia commesso contro uno dei soggetti ivi tassativamente indicati, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio. In particolare, l'aggravante si applica quando il reato è realizzato contro persone che rivestono (o hanno rivestito) la qualifica di: - pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio, nozioni per la quale è necessario far riferimento agli artt. 357 e 358; - ministro del culto cattolico o di culto ammesso nello Stato, nozioni da individuarsi alla luce dei rispettivi ordinamenti religiosi; - agente diplomatico o consolare di uno Stato estero, nozioni che devono essere determinate in base alle norme del diritto internazionale. Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 10, il capo e i funzionari di uno stato estero, non essendo assimilabili agli agenti diplomatici e consolari accreditati presso il governo italiano, non possono essere considerati equiparati ai pubblici funzionari o agli incaricati di pubblico servizio (Cass. II, n. 237/1981). Del pari, la circostanza aggravante in parola non è configurabile se il fatto è commesso in danno di un agente assicurativo, poiché la l. n. 990/1969 [ora d.lgs. n. 209/2005] non ha modificato la natura giuridica delle compagnie di assicurazione, che resta eminentemente commerciale, anche se ad uno dei rami in cui tale attività si esplica (assicurazione della responsabilità civile connessa alla circolazione dei veicoli a motore) è collegato un interesse di carattere generale (Cass. II, n. 39301/2009). La ricorrenza dell'aggravante necessita di un nesso tra il reato commesso e la funzione svolta, nel senso che il fatto illecito dev'essere compiuto nell'atto in cui il soggetto qualificato esercita la funzione o il servizio, ovvero che il fatto stesso venga compiuto a causa della funzione o del servizio (Romano, 669; Padovani, 219, secondo cui può consistere o in una connessione occasionale, purché l'attività sia in corso, o in una connessione finalistica, anche se l'attività non sia in quel momento tenuta). Alla stregua di tale principio, Cass. II, n. 10238/2021, ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante in un caso di truffa in danno di alcuni parroci, in quanto individuati e più facilmente raggirati «proprio in quanto ministri del culto cattolico; la condotta fraudolenta è stata agevolata dalla propensione delle persone offese, derivante dal precetto religioso, di aiutare il prossimo». Sul punto, per la sussistenza della circostanza, la giurisprudenza ha ritenuto sia sufficiente un semplice rapporto di contestualità o di contemporaneità, non rilevando affatto che il reato sia determinato da motivi estranei alle mansioni del soggetto passivo (Cass. V, n. 8290/1986). Alcuni Autori richiedono, altresì, che l'agente sia consapevole della qualifica soggettiva della persona offesa e che tali qualità personali non integrino di per sé un elemento costitutivo di un determinato reato (Marinucci-Dolcini, 556). Segue. Natura giuridica e ratioL'aggravante trova il proprio fondamento nella necessità di apprestare una tutela rafforzata di determinati soggetti in ragione dello speciale ruolo rivestito (Fiandaca-Musco, PG, 455; Romano, Commentario, 669; Padovani, 219). Proprio per questo motivo, poiché la circostanza riguarda la persona offesa e il peculiare ruolo che essa ricopre, l'orientamento prevalente riconosce alla stessa natura oggettiva (Romano, Commentario, 669; Fiandaca-Musco, PG, 456; Mantovani, PG, 418; Pagliaro, 306); resta minoritaria l'opinione di quanti la considerano una circostanza soggettiva (Antolisei, 361; Santoro, 276). Segue. Compatibilità con altre fattispecieL'art. 61, n. 10 è ritenuto, in dottrina, compatibile con la provocazione (Romano, Commentario, 669). Un intenso dibattito giurisprudenziale hanno suscitato i rapporti tra il reato di resistenza a pubblico ufficiale e l'aggravante in commento. Secondo la giurisprudenza maggioritaria, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche degli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al medesimo lesioni personali, nel qual caso è configurabile il reato di lesioni personali aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, che può concorrere con il primo (Cass. VI, n. 24554/2013; Cass. VI, n. 7195/2013; Cass. II, n. 12930/2012; Cass. II, n. 1420/2012); contra: sul presupposto che il fatto in cui si sostanzia la suddetta aggravante già integra un elemento costitutivo di quest'ultimo reato: Cass. VI, n. 11780/2010; Cass. II, n. 19669/2008; Cass. I, n. 713/2011. La Suprema Corte, inoltre, ha affermato che non integrano il reato di minaccia a pubblico ufficiale (art. 336) le espressioni di minaccia rivolte nei confronti di un pubblico ufficiale come reazione alla pregressa attività dello stesso, in quanto difetta la finalità di costringere la persona offesa a compiere un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ovvero quella di influire comunque su di esso, potendosi, piuttosto, configurare il reato di minaccia aggravata ex art. 612, aggravato ai sensi dell'art. 61, n. 10, (Cass. VI, n. 22453/2009; Cass. VI, n. 335/2008; Cass. VI, n. 26819/2006). Abuso di autorità o di particolari relazioni (art. 61, n. 11)La circostanza in commento concerne gli abusi di autorità o di relazione non rientranti nell'ipotesi di cui al n. 9 dell'art. 61 c.p. (Antolisei, PG, 360) e ricorre allorquando si verifichi uno sviamento dai limiti e dai fini propri del rapporto che viene di volta in volta in rilievo (Padovani, 220). Si è precisato, tuttavia, che, nonostante l'abuso di fiducia sia un elemento comune alla maggioranza delle ipotesi contemplate dalla norma, ai fini dell'applicabilità dell'aggravante non occorre né che l'abuso della relazione fiduciaria sussista in concreto né la prova della sua esistenza (Fiandaca-Musco, 457; Pagliaro, 307; Mantovani, PG, 419). a) Abuso di autorità. Si ha abuso di autorità quando l'agente abbia sfruttato una situazione di superiorità o di preminenza, nell'ambito di un rapporto privatistico, nei confronti del soggetto passivo (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 556; Fiandaca-Musco, PG, 457; Romano, Commentario, 669, che a titolo esemplificativo menziona il rapporto genitoriale). Anche la giurisprudenza ha specificato che questo tipo di abuso riguarda principalmente l'autorità privata e presuppone l'esistenza di un rapporto di dipendenza tra il soggetto passivo ed il soggetto attivo del reato, come, ad esempio, quello intercorrente tra soggetto interdetto e tutore (Cass. II, n. 45742/2003). Se la relazione tra il soggetto attivo e quello passivo ha carattere pubblicistico, ricorre la diversa aggravante di cui all'art. 61, n. 9. b) Abuso di relazioni domestiche. La dottrina (Marinucci-Dolcini, 556; Fiandaca-Musco, 457; Mantovani, 419; Romano, 669) concorda sul fatto che per relazione domestica si debba intendere il rapporto che unisce persone appartenenti ad un medesimo nucleo familiare, anche in assenza di vincoli di parentela (ad es., la convivente) o di coabitazione (ad es., la domestica). La giurisprudenza vi ha ricompreso il rapporto di abituale frequentazione dell'abitazione della vittima da parte del reo (Cass. III, n. 27044/2010). c) Abuso di relazioni d'ufficio. La relazione d'ufficio si configura tra chi opera in uno stesso ambiente di lavoro, pubblico o privato, retribuito o gratuito, avente carattere permanente o temporaneo, purché il rapporto non sia riconducibile ad una prestazione d'opera (Romano, 669), ovvero tra il soggetto che svolge l'ufficio e chi frequenti l'ufficio stesso (Mantovani, 419). In giurisprudenza è stato chiarito che il termine «ufficio» cui fa riferimento la disposizione, va inteso tanto nel suo senso soggettivo, come esercizio di mansioni da parte dell'agente, quanto in senso oggettivo, come luogo in cui le stesse sono svolte; con la conseguenza che le relazioni di ufficio possono consistere anche in rapporti di mero fatto, indipendentemente dalla qualificazione giuridica degli stessi (Cass. II, n. 44868/2004). La circostanza aggravante dell'abuso di ufficio (al pari di quella della prestazione d'opera) non si riferisce soltanto ai rapporti derivanti dalla comune appartenenza dell'autore del fatto e del soggetto passivo ad un medesimo ufficio (o dall'esistenza tra gli stessi di un rapporto di prestazione d'opera), ma si configura anche quando l'agente si avvale di tali situazioni per commettere il reato, strumentalizzando l'ufficio ricoperto o la prestazione svolta (Cass. II, n. 42790/2003). La Suprema Corte ha qualificato come appropriazione indebita aggravata dall'abuso di relazioni d'ufficio: - la condotta appropriativa posta in essere da un dipendente dell'ente Poste italiane che opera nel reparto di smistamento della corrispondenza, con il compito di sopperire all'episodico malfunzionamento delle macchine: lo stesso, infatti, non riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio — necessaria per integrare il diverso delitto di peculato — poiché svolge attività di semplice esecuzione e di prestazioni meramente materiali, ordinariamente compiute dal sistema meccanizzato e prive di ogni carattere di discrezionalità o autonomia decisionale (Cass. VI, n. 5064/2014); - la condotta dell'amministratore, socio unico di una società a responsabilità limitata, che si appropri di denaro della società stessa distraendolo dallo scopo cui è destinato (Cass. II, n. 50087/2013); - la condotta di un sindaco che abbia distratto somme denaro, che gli erano state consegnate, in via fiduciaria, dalla ragioneria comunale, per provvedere al versamento dei corrispettivi trimestrali dell'Iva dovuti dall'Ente (Cass. VI, n. 9933/2003); - la condotta del dipendente di una banca che si impossessi dei beni contenuti in una cassetta di sicurezza, avendone ottenuto dal cliente la chiave (Cass. V, n. 44942/2011). d) Abuso di relazione di prestazione d'opera L'espressione «abuso di relazioni di prestazione di opera» non coincide con la nozione civilistica di locazione d'opera (Cass. II, n. 26850/2013), ma abbraccia, oltre all'ipotesi di un contratto di lavoro, tutti i rapporti giuridici che a qualunque titolo comportino un vero e proprio obbligo — e non una mera facoltà — di facere e che instaurino, comunque, tra le parti un rapporto di fiducia dal quale possa essere agevolata la commissione del fatto (Cass. VI, n. 11631/2020; Cass. II, n. 49523/2019;Cass. II, n. 25912/2018; Cass. II, n. 6350/2015; Cass. II, n. 42352/2005; Cass. VI, n. 2717/1995), a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza (Cass. II, n. 14651/2013; Cass. II, n. 38498/2008; Cass. II, n. 895/2004; Cass. II, n. 895/2003). A titolo esemplificativo, vi sono ricompresi, quindi, i rapporti tra committente e commesso, tra mandante e mandatario, ovvero i contratti di trasporto o di agenzia (Romano, Commentario, 670). Di conseguenza, sul presupposto che l'abuso in parola deve avere ad oggetto un obbligo di facere, si è esclusa l'aggravante in riferimento al reato di appropriazione indebita di merce acquistata a rate con patto di riservato dominio, di cui l'acquirente, una volta conseguito il possesso, ometta di pagare le rate pattuite (Cass. II, n. 6947/2010), ovvero nell'ipotesi di appropriazione indebita di un bene detenuto in locazione finanziaria (Cass. II, n. 28145/2008); Cass. II, n. 36113/2017; contra: Cass. II, n. 10991/2013, in relazione ad un contratto di noleggio; Cass. II, n. 36897/2011, in relazione ad una locazione di immobili a seguito della quale il conduttore si era appropriato del mobilio di proprietà del locatore). Queste due ultime sentenze, per giustificare l'applicabilità dell'aggravante, fanno leva sull'obbligo che grava sul detentore del bene «di conservarlo in buono stato in vista della futura restituzione, che in questo caso costituisce una prestazione non meramente accessoria, ma che certamente caratterizza l'essenza del contratto». Ma, sul punto, si è condivisibilmente obiettato (Cass. II, n. 28145/2008; Cass. II, n. 36113/2017) che oggetto del negozio è l'utilizzazione del bene concesso dietro il pagamento di un canone, sicché l'obbligo dell' accipiens di conservarlo in buono stato in vista della futura (eventuale) restituzione, costituisce una prestazione del tutto accessoria e strumentale rispetto all'adempimento della principale obbligazione di riconsegna del bene locato nel medesimo stato in cui lo stesso era stato ricevuto. Manca perciò una relazione di prestazione d'opera, sotto il profilo di un obbligo di fare caratterizzante in via principale il rapporto negoziale, che giustifichi l'applicazione dell'aggravante contestata. In materia, è stato poi precisato che rilevano i soli rapporti giuridici che abbiano instaurato tra le parti un rapporto di fiducia non meramente occasionale o estemporaneo, ovvero di semplice amicizia o favore (Cass. II, n. 11078/2000). Per la sussistenza della aggravante di abuso di relazioni di prestazione d'opera, non è necessario che il rapporto intercorra direttamente tra l'autore del fatto e la persona offesa, essendo sufficiente che l'agente si sia avvalso della esistenza di tale relazione che gli ha dato l'occasione di commettere il reato in danno di altri soggetti, agevolandone la esecuzione (Cass. II, n. 44343/2013, in relazione ad una fattispecie nella quale l'imputato, abusando della sua qualità di addetto alle vendite presso una concessionaria auto, si era appropriato delle somme versate dai clienti a titolo di acconto per l'acquisto delle vetture; Cass. V, n. 10460/1999). Inoltre, la prestazione di servizio, alla cui base sia riscontrabile un rapporto di fiducia tra le parti, non può costituire l'oggetto materiale del delitto, ma deve essere allo stesso preesistente e tale da agevolarne la commissione (Cass. II, n. 43729/2010, la quale ha escluso la sussistenza dell'aggravante, osservando che il contratto di servizi sottoscritto dalle parti aveva costituito l'oggetto del delitto di truffa). Secondo un certo orientamento, l'aggravante, presupponendo un rapporto di lavoro in atto (Cass. II, n. 2001/1967; Romano, 670), non sussiste quando il reato sia stato commesso dopo la cessazione del rapporto lavorativo fra imputato e persona offesa dal reato, essendo in tal caso venuta meno quella particolare situazione su cui il legislatore ha fondato la ragione dell'aggravamento e ciò anche nell'ipotesi in cui il colpevole si sia potuto giovare delle cognizioni e delle esperienze derivanti dall'estinto rapporto (Cass. II, n. 1047/1970); di diverso avviso, invece, altra parte della giurisprudenza, secondo la quale è irrilevante che l'imputato non sia più alle dipendenze della persona offesa, qualora sia stato agevolato per la commissione del reato dalle condizioni favorevoli create dal preesistente rapporto di lavoro (Cass. V, n. 7317/2015, relativamente ad una fattispecie di furto commesso in un negozio di articoli di lusso da un ex magazziniere, introdottosi nel negozio da una porta sul retro tramite un duplicato delle chiavi; Cass. II, n. 7714/1989). Casistica. Integra il reato di violenza privata, aggravato dall'abuso della relazione di prestazione d'opera, e non il reato di maltrattamenti in famiglia o quello di atti persecutori ex art. 612-bis, la condotta violenta e minacciosa reiteratamente posta in essere da un capo officina nei confronti di un meccanico, in modo da costringere il lavoratore, nel contesto di un'azienda organicamente strutturata, a tollerare una situazione di denigrazione e deprezzamento delle sue qualità lavorative (Cass. VI, n. 44803/2010, in riferimento ad una fattispecie in cui la Suprema Corte ha escluso, nell'ambito del rapporto di lavoro, la presenza di una posizione di supremazia formale e sostanziale nei confronti del soggetto passivo, con forme e modalità tali da assimilarne i caratteri a quelli propri di un rapporto di natura para-familiare). Inoltre, l'aggravante è stata ritenuta configurabile: - in relazione all'appropriazione indebita commessa dal mandatario che, in violazione del mandato a vendere, trattenga per sé definitivamente le cose affidategli per la vendita (Cass. II, n. 11570/2012; Cass. II, n. 46586/2011; Cass. II, n. 5900/1984); - nell'ambito di un mandato di fatto che sia stato soltanto occasionato dall'esercizio dell'attività professionale del soggetto agente (Cass. II, n. 24093/2011, relativamente ad una fattispecie in cui l'autore del fatto, dipendente della banca presso la quale la persona offesa era titolare di conti correnti, aveva instaurato con la stessa persona offesa stretti rapporti fiduciari, sì che questa gli aveva affidato aspetti inerenti all'amministrazione del suo patrimonio); - in relazione all'appropriazione indebita di un bene noleggiato, in quanto il contratto di noleggio (Cass. II, n. 10991/2012); - qualora il conduttore di un immobile si appropri degli oggetti e suppellettili, costituenti corredo e mobilio (Cass. II, n. 36897/2011); - nell'ambito del rapporto di mediazione (Cass. V, n. 24997/2001; Cass. I, n. 35/1985); - nel caso in cui il reato di truffa venga commesso ricorrendo all'artificio della costituzione di uno studio professionale in apparenza legittimamente operante, cui i clienti si siano affidati con minorata cautela (Cass. II, n. 15463/2012); - in caso di fraudolento utilizzo, da parte del lavoratore, del proprio cartellino elettronico di ingresso al fine di alterare i dati relativi alla presenza in ufficio. (Cass. VI, n. 30177/2013, in relazione ad una truffa commessa in danno di Poste Italiane s.p.a. da alcuni dipendenti, il cui cartellino elettronico veniva utilizzato da un collega per farli risultare falsamente presenti). - in una fattispecie in cui l'imputato – dipendente pubblico – aveva falsificato le risultanze dei cartellini segnatempo tramite l'utilizzazione del "badge" da parte di altre persone. Nel caso posto all'esame della Corte, la difesa aveva invocato la sentenza pronunciata da Cass. II, n. 1938/1998 secondo cui “Poiché attraverso i cartellini segnatempo il datore di lavoro si assicura il controllo sull'attività lavorativa effettivamente svolta dai dipendenti al di là e al di fuori di un qualsiasi affidamento alla loro lealtà o coscienza e quindi in assenza di qualsiasi substrato fiduciario, non è configurabile l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p. nell'ipotesi di truffa commessa mediante alterazione dei cartellini predetti, realizzata dal personale dipendente allo scopo di percepire retribuzioni maggiori di quelle dovute per le ore effettivamente lavorate”. La Corte, nel richiamare Cass. VI, n. 30177/2013, ha disatteso la tesi difensiva osservando che “il sistema di controllo dell'accesso è del tutto diverso (ndr. rispetto a quello di cui alla fattispecie decisa da Cass. n. 1938/1998): qui si è in presenza di un sistema che registra informaticamente il dato dell'ingresso del singolo lavoratore. La prova della presenza non è il "badge" a disposizione del lavoratore (ovvero, questo non è l'equivalente digitale del vecchio tesserino cartaceo destinato a provare le presenze al lavoro) ma la prova è costituita dalle annotazioni nella base dati del sistema. Nel caso di specie, quindi, il sistema di rilievo della presenza mediante "strisciatura" del badge sostituisce il personale addetto all'ingresso che effettuava l'annotazione dei lavoratori che entravano rilevandone il nome dal documento di identità o in base alla conoscenza diretta. È invece evidente che, nel primo precedente giurisprudenziale evocato, il datore di lavoro non ha modo di controllare chi sia la persona in ingresso che utilizza il badge; quindi, la funzionalità di tale sistema è fondata sulla fiducia nella condotta in buona fede del prestatore d'opera cui è affidata la predetta scheda, equivalente di un tesserino di riconoscimento. Questa è, peraltro, la esatta ragione per la quale è stato possibile il tipo di frode in questione, estremamente semplice perché unico ostacolo alla ovviamente prospettabile utilizzazione del "badge" da parte di altre persone è proprio la buona fede del singolo lavoratore. Quindi, con riferimento al caso qui in esame, non può che confermarsi l'abuso di fiducia da parte del prestatore d'opera»: Cass. II, n. 22972/2018; - in relazione ad un'appropriazione indebita della quota scommesse che il titolare di una ricevitoria, avrebbe dovuto corrispondere alla licenziataria, trattandosi – alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità: Cass. II, n. 16651/2013; Cass. II, n. 6350/2015 – di un rapporto giuridico fondato: sulla reciproca fiducia; agevolativo della commissione del reato, anche in difetto di un vincolo di subordinazione o di dipendenza; e comportante, a qualunque titolo, un vero e proprio obbligo (e non una mera facoltà) di facere: Cass. II, n. 25912/2018. e) Abuso di relazioni di coabitazione. Il concetto di coabitazione, ai fini dell'aggravante prevista dall'art. 61 n. 11, non si esaurisce con quello di convivenza, ma comprende anche la permanenza non momentanea in un medesimo luogo, idoneo allo svolgimento della vita privata, indipendentemente dalla volontaria o necessitata instaurazione delle specifiche relazioni (Cass. I, n. 9288/1985; Cass. I, n. 4229/1982). In quest'ampia accezione, vi rientrano pertanto anche le ipotesi in cui il reato venga commesso all'interno di un istituto penitenziario da un detenuto ai danni di un altro detenuto (Cass. I, n. 4229/1982), in un ospedale da un ricoverato ai danni di un altro ricoverato (Cass. II, n. 10277/1974) ovvero in un collegio da un convittore ai danni di un altro convittore (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 556), in un convento, in un dormitorio pubblico, su una nave (Mantovani, 419), in un albergo in occasione di un viaggio organizzato (Romano, Commentario, 670) ecc. In applicazione di tali principi, l'aggravante è stata ritenuta configurabile: - nei confronti di un uomo, convivente della madre dei minori abusati, il quale aveva approfittato di tale situazione ponendo in essere atti lesivi della loro sfera sessuale (Cass. III, n. 6433/2008); - nell'ipotesi di appropriazione indebita di energia elettrica destinata ai servizi comuni da parte di un condomino che aveva effettuato un allaccio abusivo a valle del contatore condominiale (Cass. II, n. 4316/1996; in senso contrario, però, Cass. II, n. 13551/2002, la quale ha escluso la configurabilità dell'abuso di relazioni di coabitazione tra inquilini di uno stesso stabile condominiale, lo stesso ricorrendo soltanto tra quelli di essi che vivono nella stessa abitazione). È dibattuto, invece, la relazione di coabitazione debba sussistere al momento di commissione del reato: secondo una parte della giurisprudenza, la circostanza è configurabile anche se, prima dell'esecuzione dell'illecito, lo stato di coabitazione sia cessato per la morte del coabitante, atteso che la ratio legis è quella di punire più gravemente chi sia comunque agevolato nel commettere il reato da tale situazione (Cass. II, n. 21875/2001; Cass. II, n. 1588/1979); nel panorama giurisprudenziale non mancano, tuttavia, posizioni di segno nettamente opposto (Cass. II, n. 814/1970). f) Abuso di relazioni di ospitalità L'abuso di relazioni di ospitalità ricomprende tutte le ipotesi di permanenza, anche occasionale, momentanea o di breve durata, in un determinato luogo (ad es., casa di abitazione, studio, ambulatorio, barca, automobile), con il consenso, anche tacito, del proprietario o possessore (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 556; Mantovani, PG, 419; Romano, Commentario, 670). In senso non dissimile, la giurisprudenza ha precisato che il concetto di ospitalità, di cui all'art. 61, n. 11, va inteso nel senso di un rapporto, anche provvisorio, momentaneo od occasionale, di ospitalità (Cass. I, n. 1693/1981), cosicché deve considerarsi ospite chi è accolto, anche occasionalmente, saltuariamente o momentaneamente, nella sfera domestica di altra persona o in luogo da questa destinato all'esplicazione delle attività della vita privata con il suo consenso (Cass. I, n. 35187/2002), purché ciò avvenga con il consenso, sia pur tacito, dell'ospitante (Cass. I, n. 11186/1980). La ratio viene ravvisata nella maggiore intensità criminale dell'ospite che tradisce la fiducia in lui riposta dalla persona ospitante e nella agevolazione al delitto che il rapporto gli offre (Cass. I, n. 5901/1980). La circostanza è configurabile indipendentemente dai motivi da cui ha tratto origine la relazione di ospitalità (Cass. II, n. 11195/1983) e anche nel caso in cui autore del reato sia la persona ospitante (Cass. III, n. 1859/2011, la quale motiva sulla scorta della sopra ricordata ratio). In materia, si è ritenuto aggravato dall'abuso del rapporto di ospitalità il reato commesso in uno studio professionale dal cliente che vi e ricevuto (Cass. V, n. 820/1967); in altra occasione, si è stabilito che, qualora sussista un nesso meramente occasionale tra l'ingresso nell'abitazione e l'impossessamento della cosa mobile, integrato dallo sfruttamento di un'occasione propizia, sussistono gli estremi costitutivi della fattispecie di furto aggravato dall'abuso di ospitalità anziché quelli del reato di furto in abitazione (Cass. V, n. 21293/2014). Segue. Natura giuridica e ratioLa dottrina maggioritaria le riconosce natura soggettiva, in quanto concerne i rapporti tra il colpevole e l'offeso (Fiandaca-Musco, PG, 457; Mantovani, PG, 419; Antolisei, PG, 361; Romano, Commentario, 670), anche se non manca chi, considerandola inerente alle modalità dell'azione, ritiene si tratti di una circostanza oggettiva (Pagliaro, 307). In tale ultimo senso, la giurisprudenza: Cass. I, 6587/2010; e Cass. I, n. 41586/2017 secondo cui la circostanza aggravante dell'abuso di relazioni domestiche, prevista dall'art. 61, comma 1, n. 11, c.p., ha natura oggettiva ed è finalizzata a punire più gravemente i delitti commessi nell'ambito di un rapporto di coabitazione o nel contesto di una relazione derivante anche solo dall'abituale frequentazione dell'abitazione della vittima. Il tema è stato accuratamente chiarito da una recente pronuncia secondo cui la circostanza aggravante di avere commesso il fatto con abuso di prestazione d'opera, prevista dall'art. 61, comma 1 , n. 11, c.p., è di natura soggettiva, ma riguarda i rapporti tra il colpevole e l'offeso (art. 70, comma 1 , n. 2, c.p.) e non rientra, pertanto, fra quelle che sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono (art. 118, comma 1 , c.p.); per tale circostanza, dunque, vale il criterio generale di imputazione di cui all'art. 59, comma 2, c.p., a mente del quale l'aggravante si estende ai concorrenti se conosciuta o ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa (Cass. II, n.45077/2023). La ratio dell'aggravante «consiste nell'abuso di fiducia commesso da chi compie un reato a danno di persone legate da particolari relazioni col soggetto attivo» (Fiandaca-Musco, PG, 457), vale a dire nell'ambito di relazioni interpersonali in grado di facilitare la commissione del reato e di rendere il bene giuridico tutelato particolarmente vulnerabile (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 556). Segue. Compatibilità con altre fattispecieLa giurisprudenza ha ritenuto la compatibilità con la circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 11 nei seguenti casi: - con l'aggravante di cui all'art. 577 n. 1 (abuso del rapporto di paternità), dati il diverso fondamento oggettivo e la diversa ratio che caratterizzano le due fattispecie circostanziali in questione, la prima avente natura oggettiva e consistente in una relazione di fatto tra l'imputato e la parte offesa che agevola la commissione del delitto, la seconda avente natura soggettiva ed incentrata esclusivamente sul legame genitoriale preso in considerazione di per sé e al di fuori di altre condizioni quali la coabitazione e l'ospitalità: Cass. I, n. 6587/2010; Cass. I, n. 5378/1990, la quale si è espressa negli stessi termini, ma in riferimento all'aggravante del rapporto di coniugio di cui all'art. 577; - con la circostanza aggravante di cui all'art. 609-quater, comma 4, in quanto quest'ultima è relativa all'età della persona offesa, mentre l'altra afferisce al fatto oggettivo dell'abuso delle relazioni derivante dalla coabitazione: Cass. III, n. 30548/2011; è stata ritenute, invece, l'incompatibilità con l'aggravante in commento, nei seguenti casi: - con l'art. 609-bis, in quanto l'espressione «abuso di autorità» ivi previsto. ricomprende non solo le posizioni autoritative di tipo pubblicistico, ma anche ogni potere di supremazia di natura privata, di cui l'agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali (Cass. III, n. 33049/2016; Cass. III, n. 49990/2014; Cass. III, n. 36704/2014; Cass. III, n. 19419/2012); contra, sul rilievo che l'abuso di autorità rilevante ai sensi dell'art. 609-bis, comma 1, presuppone nell'agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico: Cass. III, n. 16107/2015; Cass. IV, n. 6982/2012; Cass. III, n. 47869/2012; ; Cass. III, n. 14837/2010; Cass. III, n. 32513/2002; - con l'art. art. 314 in quanto l'abuso del rapporto di prestazione professionale integra un elemento costitutivo del delitto: Cass. VI, n 55753/2018; - con l'art. 576, comma 1 n. 5: «In tema di lesioni personali, l'aggravante dell'abuso di relazioni domestiche ex art. 61, comma 1, n. 11 deve ritenersi assorbita, per specialità, in quella di cui all'art. 576, comma primo, n. 5, relativa all'aver compiuto il fatto in occasione della commissione del reato di maltrattamenti, dal momento che l'abuso di relazioni di convivenza è elemento costitutivo del reato di cui all'art. 572 c.p.»: Cass. VI, n. 16576/2019. Fatto commesso dallo straniero irregolare (art. 61, n. 11- bis )La c.d. aggravante della clandestinità di cui al n. 11-bis), introdotta dal d.l., n. 92/2008, conv. in l. n. 125/2008, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 3, comma 1 (principio di uguaglianza) e 25, comma 2 (principio di offensività), Cost.: Corte cost. n. 249/2010, la quale, con la la medesima pronuncia, ha anche dichiarato, in via consequenziale, l'illegittimità costituzionale della norma interpretativa di cui all'art. 1, comma 1, l. 15 luglio 2009, n. 94, secondo cui la censurata aggravante si intende(va) riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi, nonché dell'art. 656, comma 9, lett. a), c.p.c.. Delitto contro la persona ai danni di un minore all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazioneLa circostanza aggravante comune prevista dal n. 11-ter dell'art. 61 è stata introdotta dall'art. 3, comma 20, l., n. 94/2009, e richiede la sussistenza dei seguenti presupposti applicativi: 1) la commissione di un “delitto contro la persona”; mentre nessun dubbio sorge in merito alla riconducibilità alla categoria in questione dei delitti previsti dal Titolo XII, Libro II del codice penale nonché di quelli contro la persona previsti nelle leggi speciali, è controverso se vi rientrino anche i delitti plurioffensivi, che tutelano anche la persona (in senso contrario, Gatta, 12, il quale motiva l'esclusione sul rilievo che, laddove il legislatore ha voluto estendere l'ambito applicativo di aggravanti comuni a delitti posti a protezione di beni diversi da quelli direttamente tutelati, lo ha fatto in modo esplicito: l'Autore porta quale esempio l'art. 61, n. 7 c.p.); 2) il delitto deve essere commesso ai danni di un soggetto di età inferiore ai 18 anni; 3) il fatto deve essere realizzato all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione (scuole d'infanzia, primarie o secondarie, pubbliche o private) o di formazione, per tali dovendosi intendere tutti quei luoghi proposti all'educazione dei minori, sia essa di carattere religioso (oratori parrocchiali), sportivo (scuole di danza, ginnastica o calcio ecc.), culturale (scuole di musica), assistenziale (case famiglia) ovvero ricreativo (centri estivi, colonie) (per tutti, Gatta, 12). La norma si riferisce soltanto agli episodi criminosi compiuti all'interno o nelle adiacenze dei predetti istituti. L'aggravante è configurabile se il fatto è realizzato all'interno dei luoghi indicati dalla norma, anche se da soggetti che vi si trovino in ragione di una presenza solo occasionale. Ad aver sollevato i maggiori dubbi interpretativi è però il concetto di “adiacenza”: sul tema, in dottrina ha escluso che tale nozione equivalga a mera vicinanza e contiguità spaziale, richiedendo piuttosto che tra l'istituto nelle cui adiacenze viene commesso il reato e la presenza sul posto del minore sussista un nesso funzionale (Gatta, 14, il quale nega l'applicabilità dell'aggravante qualora il minore si trovi occasionalmente nei pressi dell'istituto). Segue. Natura giuridica e ratioLa circostanza in esame, di natura oggettiva (Fiandaca-Musco, PG, 457), rinviene la propria ratio nella preoccupazione politico-criminale contingente di fronteggiare il fenomeno del c.d. bullismo, cui larga eco è stata data dai media negli ultimi anni a fronte delle sempre più frequenti aggressioni all'integrità fisica o al corretto sviluppo della personalità dei minori. Rispondono, d'altronde, alla stessa logica di tutela rafforzata dei minorenni le analoghe fattispecie circostanziali — parimenti introdotte dalla l. n. 94/2009 — previste agli artt. 527, comma 2, e 609-ter, comma 1, n. 5-bis nonché all'art. 82 d.P.R. n. 309/1990. Segue. Compatibilità con altre fattispecieLa circostanza è inapplicabile ai reati di violenza sessuale aggravata su minori (art. 609-ter c.p.) e di atti osceni commessi all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione (art. 527), in relazione ai quali la l. n. 94/2009 ha previsto aggravanti del medesimo tenore di quella in commento (cfr. supra). Delitto commesso durante una misura alternativa (art. 61, n. 11- quater )La circostanza in commento è stata introdotta dalla l. n. 199/2010, recante "Disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno" e prevede un inasprimento del trattamento sanzionatorio qualora l'agente abbia commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere. La norma è stata predisposta in funzione deterrente alla commissione di delitti (non colposi) da parte dei beneficiari di tali misure, onde rafforzarne l'efficacia e l'effettività (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 557; Fiandaca-Musco, PG, 457). La circostanza riguarda qualsiasi misura alternativa alla detenzione, anche se applicata in via provvisoria: si pensi all'affidamento in prova al servizio sociale, alla detenzione domiciliare, alla semilibertà, all'affidamento in prova previsto per i soggetti affetti da Aids conclamata, per i tossicodipendenti e per gli alcool dipendenti, ovvero alla detenzione presso il domicilio di cui all'art. 1, l. n. 199/2010 (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, , 557). Affinché sia configurabile l'aggravante in questione, occorre che, dopo l'allontanamento dal domicilio, il condannato commetta un reato diverso dall'evasione: la circostanza, infatti, non può applicarsi a chi, trovandosi in stato di detenzione nel proprio domicilio, se ne allontani (art. 47-ter, comma 8, l. n. 354/1975 — ord. penit.), in quanto il trovarsi in stato detentivo nel domicilio è già elemento costitutivo del delitto di evasione. E’ stato ritenuto l'ambito applicativo dell'aggravante in esame limitato «ad ipotesi residuali ovvero nei soli casi in cui non si faccia applicazione della recidiva, sia perché la misura alternativa alla detenzione, durante l'esecuzione della quale viene commesso un delitto non colposo, consegue alla condanna per un precedente delitto colposo o per una contravvenzione; sia quando il giudice ritenga in concreto di non applicare la contestata recidiva»: Cass. VI, n. 52545/2016. Delitto in danno o in presenza di minore o in danno di donna in stato di gravidanza (art. 61, n. 11- quinquies )Il n. 11-quinquies — aggiunto dall'art. 1, comma 1, d.l., n. 93/2013, conv. con modif., in l. n. 119/2013 — fa conseguire un aumento di pena qualora l'agente abbia commesso delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572), in presenza o in danno di un minorenne ovvero in danno di una persona in stato di gravidanza. Quanto alla sua ratio, la circostanza mira a «proteggere in maniera rafforzata le vittime di reato considerate vulnerabili», come i minori e le donne (Fiandaca-Musco, PG, 458). Sul punto, la giurisprudenza ha chiarito che, con la suddetta norma «il legislatore ha inteso attribuire specifica valenza giuridica alla c.d. “violenza assistita”, intesa come il complesso di ricadute di tipo comportamentale, psicologico, fisico, sociale e cognitivo, nel breve e lungo termine, sui minori costretti ad assistere ad episodi di violenza e, soprattutto, a quelli di cui è vittima la madre. La disposizione è, infatti, volta, nell'ambito del rafforzamento della tutela delle vittime di violenze domestiche, o, più in generale, di reati contro l'incolumità individuale e la libertà personale, a sanzionare, attraverso l'aggravamento del trattamento punitivo, l'esposizione del minore alla percezione di atti di violenza, sia nei confronti di altri componenti del nucleo familiare, sia di terzi, tra l'altro attuando una specifica indicazione contenuta in tal senso nell'art. 46 d) della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica»: Cass. III, n. 45403/2016 (in una fattispecie in cui un soggetto era imputato di avere costretto la convivente a subire con violenza un rapporto sessuale completo, costringendo la figlia minorenne ad assistere alla violenza). L'aggravante non è applicabile se la qualità di persona minore o di donna in stato di gravidanza costituisce già elemento costitutivo di una norma incriminatrice (ad es., gli atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater) ovvero è già considerata quale circostanza aggravante, speciale (ad es. in relazione agli atti persecutori ex art. 612-bis c.p., oppure alla violenza sessuale ai danni di donna in stato di gravidanza ex art. 609-ter, comma 5-ter) o comune (ad esempio, se il delitto non colposo contro la persona è commesso ai danni di un minore all'interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione ex art. 61, n. 11-ter). La Cass. I, 20185/2018, ha stabilito che «In tema di omicidio, l'aggravante comune dell'avere agito con crudeltà di cui all'art. 61, comma primo, n. 4, c.p., può concorrere con quella specifica della commissione del fatto alla presenza di minore, prevista dall'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies, essendo diversi gli elementi costitutivi delle circostanze ed i loro nuclei di lesività. Sempre nel senso della compatibilità tra fattispecie comunque dotate di caratteri comuni si è affermato che l'aggravante comune prevista dall'art. 61, comma primo, n. 11-quinquies), c.p. in caso di delitto non colposo contro la vita, l'incolumità individuale o la libertà personale commesso in danno di persona in stato di gravidanza, concorre con quella della minorata difesa di cui all'art. 61, comma primo, n. 5), c.p., poiché la prima è connessa allo stato, di natura soggettiva, di gravidanza della vittima del reato, ed è tesa a proteggere, oltre all'autonomia psicologica e fisica della stessa vittima, anche l'incolumità del nascituro, mentre la seconda presuppone che l'azione sia stata favorita dalla maggiore fragilità psicologica e fisica della vittima, di cui l'agente ha profittato per realizzare la condotta lesiva: Cass.I n. 21525/2025. La circostanza aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies è configurabile tutte le volte che il minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato e anche quando la sua presenza non sia visibile dall'autore il quale, tuttavia, ne abbia la consapevolezza o avrebbe dovuto averla usando l'ordinaria diligenza: Cass. I., n. 12328/2017, Cass. VI, n. 2003/2019, e non è necessario che il minore, esposto alla percezione della condotta illecita, abbia la maturità psico-fisica necessaria per comprendere la portata offensiva o lesiva degli atti commessi in sua presenza (Cass. VI, n. 55833/2017). L'art. 61 numero 11-quinquies, del codice penale, a seguito della Legge 19 luglio 2019, n. 69 – G.U. 25 luglio 2019, n. 173 (cd. Codice Rosso) - in vigore dal 9 agosto - è stato così modificato dall'art. 9 della suddetta legge: «l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà personale commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza». Come si può notare, ad un semplice raffronto con il previgente art. 61 numero 11-quinquies, è stato soppresso il richiamo all'art. 572 c. p. (“nonché nel delitto di cui all'articolo 572”). Tuttavia, la suddetta aggravante, a norma dell'art.9/2, è stata inserita, nell'art. 572 c.p., al quale, dopo il primo comma è stato aggiunto il seguente comma «La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi». Quindi, l'aggravante - prima di natura “comune” (fino ad un terzo) - ora è diventata un'aggravante ad effetto speciale (aumento fino alla metà) della pena prevista dal primo comma (aumentata da tre a sette anni, a fronte della precedente pena da due a sei anni). Per le ulteriori modifiche si rinvia al commento dell'art. 572 c. p. «In tema di maltrattamenti in famiglia, stante la natura abituale del reato, che si consuma con la cessazione delle condotte vessatorie, è sufficiente che anche solo una di esse sia stata posta in essere alla presenza di un minore dopo l'entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69, perché trovi applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 572, comma 2, c. p., introdotta da tale legge, in luogo di quella, previgente, di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-quinquies, c. p.»: Cass. VI, n. 19832/2022. Delitto commesso in danno di persone ricoverate presso strutture socio-sanitarie o socio-educative (art. 61, n. 11- sexies )L’art. 14 della l. n. 3/2018, entrata in vigore il 15 febbraio 2018, ha introdotto una nuova aggravante (11-sexies) per i reati contro la persona commessi in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali. Ratio: La circostanza in esame, ha natura oggettiva, e rientra fra quelle che, tendono a rafforzare la tutela – e, quindi, a reprimere in modo più severo la condotta criminosa – di quelle categorie di persone che, per condizioni soggettive od oggettive (es: art. 61 n. 5, 9, 11, 11-ter), si trovano nei confronti dell'agente in condizioni di minorata difesa. Presupposti applicativi: la norma individua tre requisiti per l'applicazione dell'aggravante: a) persona offesa; b) luoghi; c) la tipologia dei reati ai quali si applica l'aggravante. A) Persona offesa: il delitto non colposo deve essere commesso in danno di persone ricoverate: la legge, quindi, richiede, come unica condizione, che si tratti di persona ricoverata, rimanendo, pertanto, irrilevanti altri requisiti afferenti al soggetto passivo come, ad es., l'età; B)Luoghi: ulteriore requisito richiesto è che il delitto non colposo dev'essere commesso in danno di chi sia ricoverato presso “strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali, pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative”; C) La tipologia dei reati: va subito notata ed evidenziata una discrasia fra la rubrica che si legge nell'art. 14 della legge cit. (“Circostanza aggravante per i reati contro la persona [...]”) ed il testo della norma che, invece, in modo molto più asettico, stabilisce l'aggravamento, sic et simpliciter, per i «delitti non colposi» commessi «in danno di persone ricoverate [...]. Ora, è del tutto evidente che, se si privilegia il testo della rubrica, l'aggravante dev'essere limitata ai soli reati contro la persona; al contrario, ove si privilegi il testo della norma, l'aggravante si applica a tutti i reati non colposi di cui siano rimaste vittime «persone ricoverate [….]». A nostro avviso è quest'ultima la soluzione preferibile non solo perché, secondo i notori canoni interpretativi, la rubrica costituisce un minus rispetto al testo della legge il quale, quindi, in caso di contrasto, prevale, ma anche perché un preciso indice interpretativo si desume (a contrario) ad es. dal similare n. 11-ter il quale, invece, limita l'aggravante ai soli delitti «contro la persona» o dal n. 11-quinquies che la restringe ai «delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale, nonché nel delitto di cui all'art. 572 [...]». L'aggravante, quindi – ove si concordi con la soluzione prospettata - si applica a tutti quei delitti che siano commessi nei luoghi di cui alla precedente lett. B) e che abbiano arrecato un danno alla persona offesa e che, in via generale, la legittimino a costituirsi parte civile ex art. 74 c.p.p.: quindi ad es. delitti contro la persona (ad es. percosse, lesioni), contro il patrimonio (furto, rapina), ma anche abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571), maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.). Compatibilità con altre fattispecie: l'aggravante in commento presenta punti comuni con quelle previste al n. 5 (“l'avere profittato di circostanze di luogo”) e con il n. 9 (ove il delitto sia commesso da chi, nei luoghi indicati nel n. 11-sexies, eserciti una pubblica funzione o un pubblico servizio o il ministero di culto), sicchè potrebbe sorgere il problema della compatibilità fra di esse. In considerazione della modalità “aperta” con la quale la norma è stata formulata, riteniamo che l'aggravante in esame sia compatibile sia con quella di cui al n. 5 [quando l'agente, pur commettendo il fatto all'interno di quelle determinate strutture, abbia profittato di circostanze di tempo (ad es. di notte) o di persona (ad es. nei confronti di una persona anziana, o di un bambino, o di un disabile) o di luogo (ad es. un luogo appartato dove la vittima si sia recata) che siano tali da ostacolare la pubblica o privata difesa; infatti, commettere il reato all'interno di determinate strutture e per giunta profittando di determinate condizioni, aumenta il disvalore dell'azione sotto i due distinti profili presi separatamente in considerazione dai nn. 5 e 11-sexies che, quindi, possono concorrere]; sia con quella del n. 9 che limita l'aggravante a una determina cerchia di persone per reati che possono essere commessi ovunque, laddove il n. 11-sexies prevede l'aggravante solo se il reato sia commesso in determinati luoghi e, quindi, non solo a carico di chiunque ma, a fortiori, anche a carico di chi, in quelle strutture, eserciti “una pubblica funzione o un pubblico servizio” o sia un ministro di culto: anche in tali ipotesi, il disvalore dell'azione commesso da determinati soggetti e per giunta in quei determinati luoghi dove essi svolgono funzioni importanti, in danno di persone che, proprio per quelle funzioni, di essi si fidano e ad essi sono affidati, aumenta il disvalore della condotta criminosa rendendo, quindi, compatibili le due aggravanti. Delitto commesso durante manifestazioni sportive (art. 61, n. 11- septies )Questa nuova aggravante è stata prevista dall'art. 16, comma 1, lett. a), del d.l. n. 53/2019, conv. in legge 8 agosto 2019, n. 77. La norma si trova inserita nel Capo III del suddetto d.l. intitolato “Disposizioni urgenti in materia di contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive” ed è coerente con tutta una serie di disposizioni il cui intento è quello di reprimere, con maggiore efficacia, le violenze poste in occasione di manifestazioni sportive. Infatti: a) all'art. 13 è stata riscritta in pejus la l. n. 401/1989 sul Daspo; b) all'art. 14 è stato previsto l'ampliamento del fermo di indiziato di delitto, di cui all'art. 77 d.lgs. n. 159/2011, «di coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive»; c) l'art. 16 prevede oltre l'introduzione dell'aggravante in commento, anche una parallela norma che, modificando l'art. 131-bis c.p. stabilisce che: «L'offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive»; d) l'art. 15, agisce a livello processuale rendendo definitivo il cd. arresto in flagranza differito, previsto dall'art. 8, comma 1-ter della l. n. 401/1989 a norma del quale, nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali e' obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale «quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro le quarantotto ore dal fatto»; l'efficacia di tale norma, a seguito di vari decreti legge succedutesi nel tempo (ultimo il d.l. n. 14/2017 conv. in l. n. 48/2017) avrebbe dovuto avere efficacia fino al 30 giugno 2020. Con la disposizione in esame, l'arresto differito, invece, diviene definitivo. Questo è, dunque, il contesto di diritto processuale, sostanziale e amministrativo (l'art. 17 incide sull'illecito amministrativo del cd. bagarinaggio) in cui s'inserisce la norma in commento che, a prima lettura, non pare porre particolari questioni applicative o interpretative. La norma, prevede tre situazioni fattuali in grado di coprire tutte le potenziali fattispecie ipotizzabili: a) l'avere commesso il fatto in occasione di manifestazioni sportive; b) l'avere commesso il fatto a causa di manifestazioni sportive; c) l'avere commesso il fatto durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni. Le prime due ipotesi, prevedono fattispecie il cui il reato (ad es. rissa o lesioni fra opposte tifoserie; danneggiamenti) sia commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive: quindi, oltre che durante la manifestazione sportiva anche quando la manifestazione sportiva si sia già svolta o debba ancora svolgersi: l'aggravante, in pratica, si applica, a qualsiasi reato commesso prima, durante e dopo la manifestazione sportiva e sempre che, ovviamente, abbia origine da essa. La terza ipotesi, prende in considerazione, una fattispecie ben delimitata nel tempo e nel luogo e cioè i reati commessi “durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni”. L'aggravante ha sicuramente natura oggettiva (art. 70, comma 1 n. 1 c.p.), ed è soggetta – come tutte le aggravanti – ai limiti degli aumenti (artt. 63-64-66 c.p.) e del giudizio di bilanciamento (art. 69 c.p.). Delitto commesso nei confronti di esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni (art. 61, n. 11- octies )Con la l. n. 113/2020, intitolata “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni”, è stata introdotta - sull'onda di gravi fatti di cronaca che avevano registrato numerose aggressioni a sanitari a causa o nell'esercizio della propria funzione – una nuova aggravante. Ambito di applicazione: l'aggravante si applica a tre categorie di persone: a) gli esercenti le professioni sanitarie; b) gli esercenti le professioni socio-sanitarie; c) chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni. L'art. 1 della legge chiarisce quali siano le professioni sanitarie e socio-sanitarie, in quanto stabilisce che «Ai fini della presente legge si intendono quali professioni sanitarie quelle individuate dagli articoli 4 e da 6 a 9 della legge 11 gennaio 2018, n.3, e quali professioni socio-sanitarie quelle individuate dall'articolo 5 della medesima legge n.3 del 2018». La legge, poi, ha inteso accordare tutela anche a chi (“chiunque”) pur non rientrando in una delle due suddette categorie, rimanga vittima di un delitto commesso con violenza o minaccia nel mentre svolga attività ausiliaria di cura, assistenza sanitaria o soccorso, funzionali allo svolgimento di dette professioni. Presupposti oggettivi: due sono i presupposti per l'applicazione dell'aggravante: a) il reato dev'essere un delitto (quindi non una contravvenzione) commesso con violenza o minaccia; b) il reato dev'essere commesso in danno di una delle suddette categorie “a causa o nell'esercizio” delle professioni (sanitarie o socio-sanitarie) o attività (ausiliarie). Completano il quadro repressivo: - la previsione di un'autonoma pena prevista per le lesioni gravi o gravissime, per effetto di un nuovo comma inserito nell'art. 583-quater c.p. la cui rubrica è stata anche appositamente modificata (art. 4, commi 1 e 2 della legge in commento); - la previsione della procedibilità d'ufficio per i reati di cui agli artt. 581, comma 1 e 582, comma 2, c.p. (art. 6 della legge in commento); - nel caso in cui la condotta non costituisca reato, è stata prevista una sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000 nei confronti di «chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive o moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria o di chiunque svolga attività ausiliarie di cura, assistenza sanitaria o soccorso funzionali allo svolgimento di dette professioni presso strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche o private» (art. 9 della legge in commento). La giurisprudenza di legittimità con i primi interventi interpretativi della norma suddetta ha ritenuto applicabile l'aggravante anche ai fatti commessi ai danni di farmacisti durante l'esercizio dell'attività professionale; si è in particolare affermato (Cass. II n. 4244/2024) che ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61, comma primo, n. 11-octies, c.p. non è necessario che la condotta del soggetto agente sia determinata da motivi attinenti all'esercizio dell'attività professionale del sanitario o presupponga un rapporto tra quest'ultimo e il paziente, essendo sufficiente che l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata contestualmente all'esercizio in atto dell'anzidetta attività. La pronuncia afferma la ratio della più energica tutela penale apprestata dall'aggravante si deve ritenere risiedere: a) nel primo caso, nello scopo di impedire vendette o, comunque, ingiuste reazioni minacciose o violente, cui possa avere dato luogo lo svolgimento dell'incarico svolto da sanitario; b) nel secondo caso, nello scopo di garantire la sicurezza dell'esercizio della funzione o del servizio sanitario nel momento in cui esso si trova in fase di svolgimento. Questo secondo caso richiede dunque, alla luce della lettera e della ratto della norma, esclusivamente che l'aggressione violenta o minacciosa sia realizzata contestualmente all'esercizio in atto dell'attività professionale del sanitario, senza che sia necessario, ai fini della sussistenza della circostanza aggravante, che la stessa aggressione sia determinata da motivi che attengono all'esercizio della suddetta attività o presupponga un rapporto paziente/sanitario. Anche in questo secondo caso, la più energica tutela penale apprestata dall'aggravante non deriva unicamente e di per sé da una maggior tutela soggettiva di chi rivesta una determinata qualifica professionale ma dal collegamento della condotta di reato con l'esercizio in atto della correlativa attività professionale. Il quale esercizio è tale da esporre particolarmente gli operatori sanitari ai rischi di aggressione che derivano dal fatto di essere gli stessi, a cagione della loro attività, in costante relazione con una pluralità indeterminata di persone, che si rapporta con loro senza alcun filtro, e con ridotte possibilità di limitare le occasioni di incontro con un pubblico indifferenziato e di apprestare delle difese dai rischi che derivano da tale situazione di particolare esposizione. Delitto commesso nei confronti del personale scolastico (art. 61, n. 11- novies )L'art. 4 della l. n. 25/2024 intitolata:” Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico” ha introdotto il comma 11-novies dell'art. 61 stabilendo la sussistenza di una circostanza aggravante comune nei casi di “delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio delle loro funzioni”. L'ambito applicativo della aggravante è delimitato innanzi tutto dalla qualità soggettiva della persona offesa del reato; e difatti nei soli delitti commessi con violenza o minaccia si applica l'aggravante quando i fatti siano stati commessi in danno di: - dirigenti scolastici e personale docente; - membri del personale educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario. Sotto il profilo oggettivo è rilevante invece la previsione che l'atto di violenza o minaccia sia posto in essere ai danni di tale categoria di soggetti: - a causa dello svolgimento di tali funzioni (connessione finalistica); - ovvero nell'esercizio delle funzioni stesse (connessione contestuale). Analogamente a quanto previsto a tutela del personale socio-sanitario anche nel caso della previsione della aggravante per il personale scolastico la ratio va individuata, nel caso della connessione finalistica, nello scopo di impedire vendette o, comunque, ingiuste reazioni minacciose o violente, cui possa avere dato luogo lo svolgimento dell'incarico svolto da sanitario; nel caso della connessione contestuale, nello scopo di garantire la sicurezza dell'esercizio della funzione o del servizio scolastico nel momento in cui esso si trova in fase di svolgimento. Le previsione della rilevanza oggettiva anche della sola causa delle funzioni estende la punibilità delle condotte di aggressione violenta o minacciosa avvenute anche al di fuori dello stretto perimetro scolastico solo che l'atto illecito trovi movente nelle attività svolte dalla vittima. L'aggravante sussiste a carico di chiunque compia l'attività violenta o minacciosa indipendentemente dalla propria qualifica e quindi oltre che a tutti i discenti anche ai loro familiari od a qualunque soggetto che compia l'azione in ragione della qualità professionale scolastica della vittima. Delitto commesso nei luoghi di trasporto pubblico (art. 61, n. 11- decies )L'art. 11 del d.l. n. 48/2025, convertito con la legge n. 80/2025 pubblicata nella G.U. del 9 giugno 2025, intitolato:” Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonche' di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario” pubblicato nella GU Serie Generale n. 85 dell'11 aprile 2025, ed entrato in vigore dal giorno successivo (12 aprile 2025), ha introdotto una nuova circostanza aggravante comune mirante a reprimere i fatti commessi nei luoghi destinati al trasporto pubblico modificando ancora un volta il testo dell'art. 61 in commento. In particolare si è disposto che: all'articolo 61 del codice penale, dopo il numero 11-novies) e' aggiunto il seguente: «11-decies) l'avere, nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumita' pubblica e individuale, contro la liberta' personale e contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio commesso il fatto all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri». Trattasi di aggravante dalla natura essenzialmente oggettiva e mirante alla repressione dei fatti commessi o all'interno dei mezzi di trasporto pubblico destinati al trasporto passeggeri ovvero all'interno dei convogli destinati al trasporto passeggeri di metropolitane e servizi ferroviari. La tutela è stata estesa anche ai fatti commessi nelle immediate adiacenze con ciò dovendosi ritenere le aree limitrofe a stazioni delle ferrovie e delle metropolitane ove avviene il consueto transito dei passeggeri. Tuttavia poiché è punito maggiormente qualsiasi fatto commesso in detti luoghi indipendentemente dalla qualità della persona offesa non si ritiene che elemento essenziale della circostanza sia la qualità di passeggero od esercente il pubblico servizio, ben potendo l'aggravante applicarsi anche ad altri soggetti che per qualunque ragione si trovino nei predetti luoghi. L'aggravante si applica ai delitti contro la persona ed ai delitti che offendono comunque il patrimonio; la ratio risiede evidentemente nella volontà di arrecare maggiore tutela a tutti i soggetti che si trovino a frequentare luoghi che per loro natura sono destinati al transito di numerosi soggetti e che, proprio per tale ragione, presentano condizioni di “favore” per la consumazione di delitti di tale genere. La nuova aggravante dell’uso di sistemi di intelligenza artificialeLa l. n. 132 del 23 settembre 2025, significativamente intitolata, Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale, ha introdotto una prima disciplina organica delle attività connesse all’uso dei sistemi di intelligenza artificiale; nell’ambito di uno sforzo diretto a limitare i rischi di un uso distorto dei sistemi di IA il legislatore ha introdotto alcune misure repressive con varie modifiche al codice penale tra, le quali, riveste certamente particolare centralità per la sua riferibilità ad ogni reato la nuova circostanza aggravante comune di cui all'articolo 61 n.11-decies. Va in primo luogo segnalato che la numerazione prevista dalla legge n.132 costituisce una ripetizione della precedente disposizione in materia di fatto commesso all’interno di luoghi di trasporto pubblico, si è così imposto un nuovo intervento attuato con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2025 e con il quale alla aggravante in commento è stata attribuita la successiva numerazione art. 61 n.11-undecies. Secondo il testo dell’art. 26 della suddetta legge, aggrava il reato, quando non ne costituisce elemento costitutivo ovvero circostanza speciale: « l'avere commesso il fatto mediante l'impiego di sistemi di intelligenza artificiale, quando gli stessi, per la loro natura o per le modalità di utilizzo, abbiano costituito mezzo insidioso, ovvero quando il loro impiego abbia comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa, ovvero aggravato le conseguenze del reato ». La norma non detta alcuna precisazione o limitazione della aggravante a determinate categorie di reati sicché la stessa è certamente applicabile a tutte le fattispecie penali ove ne sussistano i presupposti. La definizione di IA L’art. 2 della stessa legge n. 132/2025 richiama per la nozione di IA ogni sistema così definito dall'articolo 3, punto 1), del regolamento (UE) 2024/1689; tale disposizione del 2024 definisce un «sistema di IA: un sistema automatizzato progettato per funzionare con livelli di autonomia variabili e che può presentare adattabilità dopo la diffusione e che, per obiettivi espliciti o impliciti, deduce dall'input che riceve come generare output quali previsioni, contenuti, raccomandazioni o decisioni che possono influenzare ambienti fisici o virtuali». In concreto un sistema di intelligenza artificiale (IA) è un insieme di tecnologie e metodi che permette a un computer o una macchina di simulare abilità cognitive umane come l'apprendimento, il ragionamento e la percezione, per risolvere problemi o compiere azioni; i sistemi di IA vengono addestrati su grandi quantità di dati per riconoscere schemi e prendere decisioni. A seconda dell'approccio, può eseguire compiti specifici (IA debole o ristretta) o, in teoria, mostrare un'intelligenza generale pari o superiore a quella umana (IA forte o generale). Le principali componenti di un sistema di IA includono: apprendimento automatico; abilità di migliorare le proprie prestazioni in un compito specifico attraverso l'esperienza, senza essere esplicitamente programmato; elaborazione del linguaggio naturale; comprensione, interpretazione e generazione del linguaggio umano; visione artificiale che consente alle macchine di "vedere" e interpretare immagini e video. E’ chiaro ed evidente che l’utilizzo di questi sistemi così sviluppati può facilitare la consumazione di reati principalmente contro la persona ed il patrimonio permettendo la generazione di messaggi o immagini ovvero la sistematica ricerca di codici per l’accesso a sistemi finanziari. Rapporti con altre fattispecie Con la stessa l. n. 132/2025 è stata introdotta una nuova fattispecie di delitto contro la persona diretto a tutelare maggiormente la libertà morale all'art. 612-quater (Illecita diffusione di contenuti generati o alterati con sistemi di intelligenza artificiale c.d. deep fake) per la diffusione illecita di contenuti (immagini, voci, video) generati o alterati con l'IA, se tali contenuti sono idonei a trarre in inganno e arrecare un danno ingiusto. La pena prevista è da 1 a 5 anni di reclusione; ancora la stessa novella ha previsto una nuova aggravante speciale del delitto di attentato contro i diritti politici del cittadino (art. 294 c.p.) se l'inganno è posto in essere mediante l'impiego di sistemi di intelligenza artificiale, ulteriori aggravanti speciali per i delitti di manipolazione di mercato (art. 2637 c.c.) e manipolazione finanziaria (art. 185 TUF), ed una nuova fattispecie di reato in materia di protezione del diritto d'autore con l'introduzione dell'art. 171 lett. a-ter) della legge 22 aprile 1941, n.633 per chiunque riproduce o estrae testo o dati da opere o altri materiali disponibili in rete o in banche di dati in violazione degli articoli 70-ter e 70-quater, anche attraverso sistemi di intelligenza artificiale. Ora proprio per l'operatività della clausola di riserva prevista in apertura del primo comma dell'art. 61 c.p. e secondo cui le fattispecie indicate nello stesso articolo 61 aggravano il reato quando non ne costituiscano elemento costitutivo o circostanze aggravanti speciali, fa ritenere che in tali particolari ipotesi il concorso tra detti delitti specifici o aggravanti speciali e la nuova ipotesi di aggravante generica introdotta dall'art. 61 comma 11-decies è escluso. Ratio della norma e suoi presupposti L'obiettivo del legislatore è quello di inasprire la risposta penale nei confronti di quei crimini che sfruttano le capacità dell'IA per rendere più difficile per la vittima difendersi o per aumentare il danno causato sia esso alla persona che al patrimonio o ad altri beni giuridici protetti quali l’ordine pubblico, i diritti politici ovvero l’ordine economico. Sotto questo profilo deve, quindi, subito evidenziarsi che non essendovi alcuna limitazione di fattispecie penali di riferimento, l’aggravante in questione è per definizione applicabile a tutte le fattispecie di reato. I presupposti, tutti alternativi per l’operatività della stessa sono: se l'IA è utilizzata come mezzo insidioso, ostacola la difesa della vittima o aggrava le conseguenze del reato. L'uso dell'IA è considerato «insidioso» quando inganna la vittima o la coglie di sorpresa, sfruttando la sua fiducia o la sua impreparazione tecnica. Detta ipotesi appare tipicamente rivolta ai reati che hanno quale elemento costitutivo l’inganno e cioè attuati con la cooperazione della vittima quali la truffa o frode informatica, dove l'IA può generare contenuti iperrealistici per manipolare la vittima o imitare persone o servizi legittimi per carpire dati sensibili. Il secondo presupposto, alternativo, per l’ operatività dell’aggravante è quello dell’uso di sistemi di IA che: «abbiano comunque ostacolato la pubblica o la privata difesa». In detti casi l'IA viene utilizzata per rendere più difficile per la vittima o per le forze dell'ordine reagire o difendersi, attraverso la creazione di profili soggettivi falsi ovvero altre schermature dell’autore del fatto, ovvero attraverso la creazione sistemica di contenuti falsi. Infine ulteriore presupposto è quello dell’avere i sistemi di IA «aggravato le conseguenze del reato». Questa clausola è molto ampia e permette di considerare l'IA un'aggravante quando il suo utilizzo aumenta l'entità del danno causato dal reato, non solo in termini materiali, ma anche in termini di pericolosità sociale o di impatto sulla vita della vittima. Un esempio potrebbe essere un attacco informatico automatizzato che, grazie all'IA, riesce a diffondersi su vasta scala, causando un danno patrimoniale o alla salute pubblica enormemente superiore rispetto a un attacco manuale.
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