Codice Penale art. 92 - Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata.Ubriachezza volontaria o colposa ovvero preordinata. [I]. L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce la imputabilità [688]. [II]. Se l'ubriachezza era preordinata al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa, la pena è aumentata [64, 69 4, 70 2, 87]. InquadramentoL'articolo in commento è strutturato in due commi: il primo disciplina l'ubriachezza volontaria o colposa; il secondo l'ubriachezza preordinata, che costituisce una species della regola generale stabilita nell'art. 87. Le due norme presentano presupposti diversi e l'unico punto in comune tra di esse è costituito dal dato naturalistico dell'ubriachezza dal quale, però, derivano conseguenze diverse: irrilevanza della medesima ai fini dell'imputabilità, nel caso di cui al primo comma; aggravamento della pena, nell'ipotesi di cui al secondo comma. L'art. 92 s'inserisce, a pieno titolo, nel complesso normativo che tende a combattere e reprimere l'abuso di alcool, considerato dal legislatore come un fattore criminogeno: cfr. artt. 613, 688, 689, 690, 691 al cui commento si rinvia. L'ubriachezza volontaria o colposaNozione: «si parla di ubriachezza volontaria per alludere all'assunzione di alcool sorretta dall'intenzione di ubriacarsi (Tizio decide di ubriacarsi e si ubriaca per festeggiare un avvenimento, per annegare nell'alcool un dispiacere, etc.), mentre l'ubriachezza è colposa quando il soggetto assume alcool in misura superiore alla sua capacità di ‘reggerlo', imprudentemente ignorando o sottovalutando gli effetti inebrianti che l'alcool produrrà su di lui (è l'ipotesi di chi — senza porsi interrogativi sugli effetti delle sue libagioni ovvero confidando irragionevolmente sulla sua resistenza all'alcool — durante una calda giornata estiva si disseta con diversi boccali di birra, si prepara poi alla cena con un paio di aperitivi alcoolici, accompagna quindi il pasto bevendo abbondantemente vini di tipo diverso, per passare infine ad un robusto ‘digestivo' seguito da più superalcoolici)» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 390). Ratio: la ragione della differente normativa tra ubriachezza derivata e ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore sta nell'intento del legislatore di prevenire e reprimere l'ubriachezza come male sociale e, soprattutto, come situazione che, in certi soggetti, può spingere al delitto; l'ubriaco, che abbia commesso un reato, risponde per una condotta antidoverosa, cioè per essersi posto volontariamente o colposamente in condizione di commetterlo (Corte Cost. n. 33/1970 che, proprio sulla base di tale considerazione, ha dichiarato la legittimità costituzione dell'art. 92 sollevata in relazione all'art. 3 Cost., perché l'ubriachezza volontaria o colposa, pur producendo incapacità — totale o parziale — di intendere e di volere, non esclude l'imputabilità, contrariamente a quanto é statuito per l'infermo di mente — artt. 88 e 89 — e per l'ubriaco accidentale — art. 91 —; negli stessi termini, in dottrina, Fiandaca-Musco, PG, 356). Segue. Il titolo della responsabilitàL'individuazione della ratio legis, non ha, però, risolto il problema fondamentale della norma in commento che può essere sintetizzato nel seguente interrogativo: se l'ubriaco (che pure si sia posto volontariamente o colposamente in tale condizione) al momento della commissione del reato, si trovava in stato di incapacità d'intendere e volere (e cioè in una situazione di non imputabilità che preclude la condanna), a che titolo è ritenuto ugualmente responsabile della propria azione e, quindi, se riconosciuto colpevole, è condannato come se fosse regolarmente imputabile? Varie sono state le tesi proposte ma sono due attualmente (disattese quelle risalenti secondo le quali l'art. 92 prevederebbe un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ovvero di responsabilità sempre e comunque a titolo di colpa) quelle che si contendono il campo. La tesi maggioritaria, sostiene che «la natura dolosa o colposa della responsabilità, dipenderà dalla presenza del dolo o della colpa nel momento della commissione del fatto (e non dal carattere volontario o colposo dello stato di ubriachezza)» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 390). L'art. 92, infatti, prevede un caso di finzione legale di imputabilità a carico di un soggetto che tale non è nel momento in cui commette un reato (Bricola, 496), sicché, «quello che decide per stabilire la responsabilità ai fini dell'art. 92 è l'atteggiamento psichico, quantunque abnorme, del momento in cui fu commesso il fatto specifico che costituisce il reato e non l'atteggiamento della fase precedente in cui il soggetto si è ubriacato» (Antolisei, PG 1975, 516; Romano-Grasso, 61; Crespi, 779; Marini § 24). Negli stessi termini, Corte cost. n. 33/1970, cit., secondo la quale «[...] il genus colpevolezza (distinto nelle due species del dolo e della colpa in senso stretto) sussiste nel comportamento iniziale (che ha provocato l'ubriachezza) [...] Spetterà al giudice di merito [...] accertare di volta in volta, secondo la giurisprudenza corrente, il titolo di colpevolezza (dolo o colpa), sulla base dell'atteggiamento psicologico in concreto assunto dall'ubriaco al momento nel quale commise il fatto». Anche la giurisprudenza opta, compatta, per la suddetta tesi. Si ritiene, infatti, che nel caso di ubriachezza volontaria, colposa o preordinata, la presunzione legale d'imputabilità non è sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità penale. Occorre, infatti, accertare la colpevolezza dell'ubriaco secondo i normali criteri d'individuazione dell'elemento psicologico del reato e, poiché l'art. 92 nel disciplinarne l'imputabilità nulla prevede in ordine alla di lui colpevolezza, questa va valutata alla stregua delle regole dettate dagli artt. 42 e 43. È, dunque, necessario prendere in considerazione la condotta del soggetto ubriaco, al momento della commissione del fatto, per stabilire se egli abbia agito con dolo o colpa (non con riferimento dunque al momento della messa in opera della situazione che ha determinato la perdita o la menomazione dell'imputabilità: Cass. I, n. 1925/1973). Ciò perché, secondo il vigente sistema penale, l'ideazione e la volizione dell'ubriaco vanno indagate e valutate dal giudice, nonostante la perturbazione psichica e la riduzione del senso critico determinate dall'alcool (Cass. I, n. 7157/1990; Cass. I, n. 5175/2012 e Cass. I, n. 39957/2008; Cass. I, n. 18220/2015; Cass. VI, n. 31749/2015; Cass. V, n. 45997/2016), perché, «diversamente opinando, il reato verrebbe posto a carico dell'ubriaco a titolo di responsabilità oggettiva, contro il disposto dell'art 42, primo e secondo comma, c.p. e senza un'espressa previsione al riguardo, che sarebbe, d'altro canto, di dubbia costituzionalità» (Cass. I, n. 5495/1976). La tesi minoritaria, ritiene, invece che il soggetto agente risponda a titolo di dolo o di colpa a seconda che l'ubriachezza sia stata provocata con dolo o colpa. L'autore che ha rinverdito la suddetta tesi (risalente al Leone) la motiva nei seguenti termini: l'art. 92, comma 1, prevede «una deroga alla regola della capacità al momento del fatto, quando la ubriachezza volontaria o colposa rientra nella colpevolezza per il fatto commesso. L'art. 92, comma 1, si noti bene, si limita poi soltanto ad affermare che tale ubriachezza lascia sussistere la piena imputabilità. Ma non dice affatto che tale imputabilità implichi anche l'automatica colpevolezza per il fatto commesso, che è altra cosa e la cui esistenza e titolo (doloso o colposo) vanno accertati sulla base dei principi generali rapportati alla particolare ipotesi in esame (al più si tratta di analogie in bonam partem dell'art. 43). Pertanto, interpretando l'art. 92, comma 1, alla luce del principio della responsabilità personale, occorre concludere che in caso di ubriachezza piena, l'agente risponde: a) a titolo di dolo (eventuale) se si è ubriacato nonostante la previsione della commissione del reato ed accettandone il rischio. Così, ad es., può essere nel caso di chi volutamente si ubriaca mentre sta per intraprendere un viaggio in auto o lavora in un cantiere con sostanze o mezzi pericolosi o sta per scadere il termine per la denuncia dei redditi. Se il soggetto si fosse ubriacato allo specifico fine di commettere il reato o di prepararsi una scusa rientriamo nella ubriachezza preordinata. b) a titolo di colpa se il reato, al momento in cui si ubriacò, fu da lui previsto ma non accettato o, comunque, era prevedibile ed evitabile come conseguenza dell'ubriachezza, sempre che si tratti di reato previsto dalla legge anche come colposo»: Mantovani, PG 1979, 617. Contro la suddetta tesi, sono stati, però, addotti due argomenti: a) essa viola il principio di legalità perché ingloba nella struttura del reato un comportamento ad esso antecedente ed estraneo (il porsi in stato di ubriachezza dolosa o colposa) facendo retroagire l'inizio della condotta criminosa al momento dell'ingestione delle bevande alcoliche; b) la suddetta tesi «sviluppata coerentemente, porterebbe a conseguenze a dir poco paradossali quanto al titolo della responsabilità (dolo o colpa). Risponderebbe ad esempio di omicidio doloso chi, essendosi ubriacato volontariamente, si metta poi alla guida di un'auto, investendo involontariamente un pedone. Per converso, risponderebbe di omicidio colposo chi, essendosi ubriacato colposamente, volontariamente colpisca a morte, sotto i fumi dell'alcool, una persona infastidita dal suo stato di ubriachezza. Infine, risponderebbe o di omicidio doloso o di omicidio colposo, a seconda che si sia ubriacato volontariamente o colposamente, chi in stato di ubriachezza si metta alla guida di un'auto e, mentre attraversa un incrocio col semaforo verde, cagioni la morte del conducente di un'altra auto che non si è arrestata al semaforo rosso»: Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 390; Fiandaca-Musco, PG, 357. Segue. Il rapporto dell'art. 92, comma 1, con altri istituti giuridiciLa peculiarità della norma ha fatto sorgere il problema del rapporto: a) con gli artt. 88,89,95,97,98; b) con la disciplina dell'errore ex art. 47; c) con la compatibilità con alcune circostanze. Quanto ai rapporti con gli artt. 88,89,95,97 e 98, si è osservato che, essendo la sfera operativa dell'art. 92, comma 1, limitata «alla negazione di efficacia dirimente all'intossicazione «non accidentale», restano ferme le eventuali situazioni naturalistiche considerate negli artt. 88,89,95,96,97, 98. Quindi, ad esempio, nel caso del “sordomuto non educato”, che assuma in modo non accidentale le sostanze alcooliche o stupefacenti, con le conseguenze di cui all'art. 92, comma 1, ferma l'irrilevanza dirimente prevista da questa disposizione, dovrà comunque il giudice procedere all'accertamento della capacità naturalistica nei termini voluti dall'art. 96. Gli esempi potrebbero continuare» (Marini § 25). Nello stesso senso, la giurisprudenza ritiene che «l'ubriachezza può costituire anche il fenomeno rivelatore di una infermità psichica, la quale importi di per sé una particolare valutazione dell'imputabilità, indipendentemente dalla regola dell'art 92 manifestazioni di epilessia o di altre malattie incidenti sulla mente possono sprigionarsi anche dopo una lieve ingestione di alcool, costituente piuttosto l'occasione e non già la causa di esse ed in tali casi il giudice è tenuto a disporre perizia per accertare la sussistenza dell'infermità psichica»: Cass. VI, n. 1265/1969; Cass. VI, n. 1391/1974. Le norme contenute negli artt. 90 e 92 sono dettate da considerazioni di politica criminale valide nei confronti di tutti i destinatari della norma penale e quindi anche nei confronti dei minori infradiciottenni sicché la norma di cui all'art. 98 prevale su quella dell'art. 92 solo ove il minore sia ritenuto immaturo: Cass. I, n. 1315/1980. Quanto ai rapporti con la disciplina dell'errore, si ritiene che il medesimo assuma rilevanza solo se non dipenda dallo stato di ubriachezza: in altri termini, la valutazione del fatto commessa dall'ubriaco dev'essere effettuata come se fosse stato commesso da una persona non ubriaca. Di conseguenza, risponde di furto chi, proprio a causa dell'ubriachezza, s'impossessi di una cosa ignorando (in modo inescusabile) che appartenga ad altri (Bricola, 496). Anche secondo la giurisprudenza «non può attribuirsi rilevanza scusante all'errore che sia determinato unicamente da uno stato di ubriachezza volontaria, nel quale la presunzione di sopravvivenza della capacità di intendere (e di volere) non può non estendersi alle possibilità di percezione e di rappresentazione della realtà in cui l'agente opera»: Cass. I, n. 1123/1970; «perché possa escludersi il dolo è necessario che l'errore sul fatto (nella specie, sulla qualità di pubblico ufficiale del soggetto passivo dell'oltraggio) sia stato determinato da una causa indipendente dall'ubriachezza»: Cass. VI, n. 8873/1975. Quanto, infine, al rapporto con le circostanze, in giurisprudenza, si registra la seguente casistica: - la circostanza aggravante del motivo futile può essere applicata anche nel caso in cui il colpevole abbia agito in stato di ubriachezza. Infatti, ai sensi dell'art. 92 l'ubriachezza volontaria o colposa non esclude l'imputabilità, di guisa che i motivi che hanno determinato l'ubriaco al delitto debbono essere valutati con criteri analoghi a quelli adottati per la persona normale (Cass. I, n. 2553/1995; Cass. I, n. 466/1993); - lo stato di ubriachezza volontaria non può automaticamente tradursi nelle attenuanti generiche, poiché ciò equivarrebbe alla introduzione, per altra via, di una diminuente che il principio contenuto nella prima parte dell'art 92 esclude espressamente. Ciò non impedisce, peraltro, che la stessa ubriachezza possa, in determinate condizioni o circostanze di fatto, apprezzabili caso per caso dal giudice di merito, trovare favorevole considerazione ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche» (Cass. I, n. 154/1971). L'ubriachezza preordinataÈ opinione consolidata che la norma di cui all'art. 92, comma 2, costituisce un'applicazione specifica dell'actio libera in causa, di cui all'art. 87, con l'unica peculiarità dell'aggravamento della pena (Fiandaca-Musco, PG, 356; Antolisei, PG 1975, 517; Mantovani, PG 1979, 618). È stato precisato che la differenza rispetto al primo comma consiste nel fatto che «nell'ipotesi di ubriachezza volontaria o colposa il soggetto in un primo momento si ubriaca (per il puro piacere di farlo o per causa involontaria) e successivamente commette un reato (non programmato in anticipo al momento di porsi in stato di ubriachezza). Nel caso di ubriachezza “preordinata” invece il soggetto si ubriaca proprio allo scopo di commettere un reato [...]» (Fiandaca-Musco, PG, 359). Così come per l'ipotesi generale di cui all'art.87, anche nella fattispecie di cui all'art. 92, comma 2, l'ubriachezza dev'essere preordinata alla commissione di uno specifico e determinato reato (cfr commento subart. 87). Tuttavia, mentre nell'ipotesi di cui all'art. 87 il soggetto agente va prosciolto, al contrario «ove l'incapacità sia dovuta all'alcool o a stupefacenti, la diversità del reato commesso rispetto a quello programmato non escluderà l'imputabilità: l'agente risponderà ex art. 92, comma 1, ma non sarà applicabile la circostanza aggravante prevista dall'art. 92, comma 2» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 392). L'aggravamento previsto è una circostanza aggravante (sotto il profilo del “mezzo” usato ex art. 70 n. 1) e, quindi, è soggetto a tutte le regole della normativa sulle circostanze. Quanto ai rapporti fra ubriachezza preordinata e cause di giustificazione ed errore, si rinvia al commento dell'art. 87. BibliografiaBricola, Finzione di imputabilità ed elemento soggettivo nell'art. 92, comma 1 c.p., in Riv. it. dir. e proc. pen. 1961, 496; Crespi, voce Imputabilità (diritto penale), in Enc. dir., XX, Milano, 1970; Leone, Il titolo della responsabilità per i reati commessi in stato di ubriachezza volontaria o colposa, in Giust. pen. 1935, II, 1332; Marini, voce Imputabilità, in Dig. d. pen., VI, Torino, 1992. |