Codice Penale art. 98 - Minore degli anni diciotto.Minore degli anni diciotto. [I]. È imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità d'intendere e di volere; ma la pena è diminuita [65, 69 4, 70 2, 169, 222 4, 223-227]. [II]. Quando la pena detentiva inflitta è inferiore a cinque anni, o si tratta di pena pecuniaria, alla condanna non conseguono pene accessorie [19]. Se si tratta di pena più grave, la condanna importa soltanto l'interdizione dai pubblici uffici [28] per una durata non superiore a cinque anni, e, nei casi stabiliti dalla legge, la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale [32 2, 34 2, 4] (1). (1) L'art. 93, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito alle parole: «potestà dei genitori» le parole: «responsabilità genitoriale». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica entra in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. Il comma era stato modificato dall'art. 146 l. 24 novembre 1981, n. 689. InquadramentoL'articolo in commento completa la normativa che il codice penale ha dedicato agli imputati minorenni. Mentre l'art. 97 disciplina l'ipotesi del minorenne infraquattordicenne, l'art. 98 prende in esame la posizione del minorenne avente una età compresa fra i quattordici (compiuti) e diciotto anni (non ancora compiuti). La differenza fra le due ipotesi è notevole: - l'art. 97 stabilisce, come si è avuto modo di osservare, per il minorenne infraquattordicenne, una presunzione assoluta di incapacità d'intendere e di volere dalla quale deriva anche una assoluta incapacità processuale; - l'art. 98, al contrario, non prevede alcuna presunzione ma stabilisce che il giudice debba accertare, caso per caso, se il minore, al momento della commissione del fatto fosse o meno imputabile: quindi, il suddetto minore, è un soggetto che ha capacità processuale. Natura giuridicaL'articolo in commento, nella parte in cui stabilisce che se il minore, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva capacità d'intendere e di volere, la pena è diminuita, prevede, pacificamente, una circostanza attenuante (inerente alla persona del colpevole ex art. 70) soggetta a tutte le regole previste per le circostanze e in particolare a quella del bilanciamento (ex plurimis Cass. IV, n. 37884/2007; Cass. IV, n. 33792/2015; in dottrina Romano-Grasso, 83), ma con le seguenti peculiarità: a) è una circostanza che ha natura obbligatoria: Cass. III, n. 33004/2015; Cass. III, n. 42105/2007; b) va apprezzata con gli stessi criteri e parametri usati per ogni altra circostanza (Cass. III, n. 11368/1987; Cass. II, n. 21548/2008; Cass. I, n. 24497/2010), fatta eccezione, nella parte in cui l'art. 69, comma 4, prevede che nei confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma dell'articolo 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 c.p. e una o più circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonché nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 e una o più circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale è prevista la pena base dell'ergastolo (Corte Cost. n. 168/1994 che ha dichiarato, appunto, l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p. nei termini suindicati). In altri termini, la Corte Cost., n. 168/1994, da una parte, ha accertato l'incostituzionalità del giudizio di bilanciamento solo ove nei confronti del minore fosse possibile irrogare la pena dell'ergastolo, e, dall'altra, ha accertato l'incostituzionalità degli artt. 17 e 22 nella parte in cui non escludono nei confronti del minore la pena dell'ergastolo in quanto in contrasto sia con l'art. 31 comma 2, Cost., che con l'art. 27 comma 3, Cost. La medesima sentenza ha altresì stabilito che il sistema di irrogazione delle pene nei confronti di minori e quindi il giudizio di bilanciamento delle circostanze del reato è (con esclusione cioè della pena dell'ergastolo) del tutto coerente con il principio di uguaglianza in quanto il giudice, avvalendosi del bilanciamento è in grado di determinare in ogni fattispecie concreta la pena adeguata a tutte le condizioni oggettive e soggettive del fatto realizzato. Sul punto, Cass. IV, n. 33792/2015, ha affermato l'inapplicabilità del divieto del bilanciamento di cui all'art. 589-bis nei confronti dell'imputato minorenne, enunciando il seguente principio di diritto: «in tema di giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, quando tra le circostanze attenuanti concorrenti con l'aggravante di cui all'art. 589, comma 3, ovvero con l'aggravante di cui all'art. 590, comma 3, ultimo periodo vi sia quella prevista dall'art. 98 o quella di cui all'art. 114, non opera il divieto di equivalenza o di prevalenza delle attenuanti previsto dall'art. 590-bis». La decisione è stata motivata per tre ragioni: «il tenore della disposizione, che non esprime una preclusione limitata all'ipotesi di ricorrenza delle sole attenuanti di cui all'art. 98 e/o 114 c.p.; detto altrimenti, l'art. 590-bis non condiziona espressamente il ripristino della regola della comparazione al caso che ricorrano solo le attenuanti in parola; la preferenza da accordare, tra le astrattamente plausibili, all'interpretazione più favorevole al reo in mancanza di una esplicita e non ambigua presa di posizione del legislatore; infine, ma non per importanza, la natura derogatoria della esclusione del bilanciamento al principio della comparazione tra circostanze eterogenee, che impone un'interpretazione restrittiva della deroga». In ordine alla suddetta attenuante, è stato, inoltre, deciso che: - non può ricorrere quando l'imputato abbia iniziato la sua attività delittuosa prima del compimento del diciottesimo anno di età e poi l'abbia reiterata successivamente. (fattispecie relativa a reato continuato) (Cass. II, n. 353/1984); - ove il minore sia imputato di più reati, dev'essere accertata per ogni singolo reato in considerazione della maggiore o minore avvertibilità del disvalore etico-sociale del reato e dell'immoralità secondo il comune modo di sentire (Cass. I, n. 16003/1989); - pur se non è configurabile una incompatibilità assoluta ed astratta tra motivi a delinquere e condizioni inerenti alla persona, implicanti una diminuita imputabilità, (quale la minore età e il vizio parziale di mente), è necessario, tuttavia, distinguere la futilità del motivo, sintomatica di capacità a delinquere, dalla irrazionalità del motivo, che è soltanto rappresentativa d'ingenuità, immaturità ed emozionalità adolescenziale. L'aggravante, quindi, deve essere individuata con criterio sia oggettivo che soggettivo, onde rendere possibili scelte razionali, non arbitrarie ed astratte, concretamente ancorate ai fatti ed alla personalità dell'individuo, nella quale la futilità, qual espressione di malvagità, trova ragione di aggravamento della pena: (Cass. V, n. 8450/1997). L'accertamento della capacità d'intendere e volereLa problematica intorno a cui ruota la disciplina dell'art. 98 consiste, sostanzialmente, nello stabilire quando il minore si possa considerare capace d'intendere e volere e, quindi, quali siano i parametri che occorre utilizzare per il suddetto giudizio. Il concetto che si utilizza a tal fine è quello della immaturità «intesa in senso globale come comprensiva non soltanto del carente sviluppo delle capacità conoscitive, volitive ed affettive, ma anche dell'incapacità d'intendere il significato etico-sociale del comportamento e dell'inadeguato sviluppo della coscienza morale» (Fiandaca-Musco, PG, 348; Marini, 261). Segue. CasisticaLa giurisprudenza in proposito ha elaborato i seguenti criteri. Nozione La capacità del minore ultraquattordicenne è un concetto identificabile con il discernimento che si sviluppa con l'età, in virtù del quale il minore è in grado di rendersi conto delle proprie azioni, sì che per il suo accertamento non si possono stabilire schemi astratti, occorrendo valutare la capacità del soggetto in concreto, in relazione alla natura del reato; ne consegue che l'imputabilità di uno stesso soggetto può essere ritenuta per alcuni reati ed esclusa per altri, in considerazione della maggiore o minore avvertibilità del disvalore etico-sociale del reato e dell'immoralità secondo il comune modo di sentire dell'azione»: Cass. I, n. 4808/1986; Cass. I, n. 43953/2010; Cass. I, n. 2083/1990; Cass. I, n. 24271/2006, che ha ribadito che immaturità — ossia l'incapacità di distinguere il bene dal male e il lecito dall'illecito — e «infermità mentale» sono concetti ontologicamente diversi, e che i due stati possono, in un minore di età, coesistere o meno. Caratteristiche Mentre l'incapacità di intendere e di volere derivante da causa psicopatologica, presenta carattere assoluto, nel senso che prescinde dalla natura e dal grado di disvalore sociale della condotta posta in essere, l'incapacità di intendere e di volere dovuta ad immaturità ha carattere relativo trattandosi infatti di una qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici, ma anche socio-pedagogici, relativi all'età evolutiva, l'esame della maturità mentale del minore va compiuto con stretto riferimento al reato commesso, attraverso speciali ricerche sui precedenti personali e familiari del soggetto sotto l'aspetto fisico, psichico, morale ed ambientale, senza trascurare di considerare i tempi di commissione del fatto commesso e di cui il minore è imputato lungo l'arco evolutivo della personalità del soggetto e quindi con un maggior rigore valutativo, allorché tale fatto si colloca nella fase finale dell'età evolutiva»:Cass. I, n. 2140/1987; Cass. V, n. 18084/2010. Nell'ipotesi in cui il minore di diciotto anni sia imputato di più reati, l'accertamento dell'imputabilità ex art. 98 deve essere svolto in relazione a ciascun reato, giacché il livello di discernimento è suscettibile di variare a seconda della natura dell'illecito, del bene giuridico offeso e della struttura della fattispecie criminosa, con la conseguenza che la facoltà del minore di rendersi conto della propria azione può essere affermata per un reato e negata per altri»: Cass. VI, n. 3235/1986; Cass. I, n. 16003/1989. Criteri di valutazione Al fine di valutare se il minore fosse o meno imputabile al momento della commissione del reato, sono stati individuati i criteri di seguito indicati in relazione ai quali va però effettuata una precisazione molto importante: la giurisprudenza, di solito, richiede una valutazione globale di una serie di indici, perché, raramente (tranne che, ad es. per il criterio della natura dei reati o quando l'età del minore è prossima a quella della maggiore età) si ritiene sufficiente un solo criterio. La dottrina (Moro, 382 ss., 408), è molto critica in merito ai criteri elaborati dalla giurisprudenza, perché ritiene che costituiscano spesso “inaccettabili stereotipi”, ritenendo, invece, che, al fine di accertare l'imputabilità, si debba valorizzare il combinato disposto degli artt. 11 r.d.l. n. 1404/1934 e l'art. 9 d.P.R. n. 448/1988, che, nel prescrivere al giudice per i minorenni l'obbligo di svolgere “speciali ricerche” rivolte ad «accertare precedenti personali e familiari dell'imputato, sotto l'aspetto fisico, psichico, morale e ambientale» e, quindi, lo sviluppo, nella sua globalità della personalità in formazione, «è principalmente e teleologicamente indirizzato ad individuare quale sia la risposta più adeguata alla difficoltà personale e sociale che il minore ha evidenziato attraverso al commissione di un fatto penalmente rilevante». Tanto premesso, occorre dare atto degli indici che la giurisprudenza utilizza per accertare se il minore fosse o meno imputabile al momento della commissione del reato: a) la natura dei reati, sicché di fronte a determinati reati (furto; delitti contro la persona, la proprietà, la libertà dell'individuo) perché il minore sia riconosciuto imputabile è sufficiente un grado di maturità meno spiccato rispetto a quello richiesto da altre condotte penalmente sanzionate la cui contrarietà alle esigenze della vita di relazione non è immediatamente evidente: Cass. I, n. 6535/1979; Cass. II, n. 3739/1983; Cass. II, n. 1230/1983; Cass. I, n. 7454/1989; Cass. I, n. 14674/1990; Cass. IV, n. 1510/1990, ha annullato, invece la sentenza di merito per non avere mostrare di distinguere tra la normale intelligenza di un ragazzino e la sua capacità di rendersi conto della situazione di pericolo e di valutare le possibili conseguenze della propria condotta, cosa tanto più necessaria trattandosi di un reato colposo; Cass. I, n. 396/1978 ha ritenuto imputabile il minore imputato per i delitti di rapina e porto abusivo di armi ma non per il delitto di calunnia, rilevando che «la comune esperienza dimostra, infatti, che il minore, anche prima del raggiungimento dell'età di quattordici anni, apprende che taluni atti interessanti la sfera personale e quella patrimoniale, non devono essere compiuti: sicché il minore e sin da allora perfettamente consapevole dell'illiceità anche giuridica di alcune condotte; mentre altre condotte, di portata morale meno elementare, richiedono, per la imputabilità, un discernimento più elevato, cioè una maggiore capacita di intendere» b) il comportamento post factum: Cass. III, n. 1407/1985; c) il ruolo specifico che ha svolto nell'attività criminosa, la sua effettiva capacità organizzativa, il contegno che ha assunto nel corso dell'impresa delittuosa e nel processo (Cass. II, n. 9265/1991) e le modalità del fatto (Cass. V, n. 27243/2011; Cass. II, n. 10478/2017); d) la futilità dei motivi, sintomatica di capacità a delinquere, che va distinta dalla irrazionalità del motivo, che è soltanto rappresentativa d'ingenuità, immaturità ed emozionalità adolescenziale:Cass. V, n. 8450/1997; e) le condizioni socio-ambientali e familiari, il grado di istruzione e di educazione (Cass. I, n. 7454/1989); Cass. II, n. 3739/1983 — in una fattispecie che vedeva imputato un minore cresciuto in ambiente nomade — ha, però, ritenuto che la consapevolezza del disvalore di un'azione da parte di un minore non è affatto esclusa dall'influenza negativa esercitata dall'ambiente socio-familiare il quale può favorire l'insorgenza di propositi delittuosi, ma non vale certo ad escludere la imputabilità del minore stesso; Cass. V, n. 5264/1985 ha ritenuto che «Le anomalie del carattere o del sentimento e le crisi da adattamento o emarginazione non influiscono sulla capacità di intendere e di volere»; f) l'età: se l'imputato è prossimo al diciassettesimo anno, e quindi in tempo ormai lontano dalla non imputabilità ex lege, ed ha commesso reati contro la persona, la cui natura è facilmente percepibile, è sufficiente la mancanza di elementi relativi a tare suscettibili di influire sui processi volitivi ed intellettivi per ritenerne e affermarne la responsabilità (Cass. I, n. 706/1988; Cass. V, n. 5264/1985). Profili processualiIn linea di massima, anche per l'imputato infradici ottenne, valgono i principi illustrati nel commento dell'art. 97, cui si rinvia. In questa sede, vanno solo rammentati i seguenti ulteriori principi: - l'onere della prova della capacità, sia cognitiva che volitiva, del minore, non essendo stata stabilita dalla legge alcuna presunzione, né di capacità né di incapacità, spetta all'accusa: Cass. I, n. 33750/2011; - nel caso in cui, per il tempo trascorso dal fatto e per l'età frattanto raggiunta dall'imputato, l'accertamento della capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne al momento del fatto non possa essere più effettuata utilmente o si riveli addirittura impossibile, l'imputato deve essere assolto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 85 e 98 c.p., quale persona non imputabile, senza aggiunte o specificazioni»: Cass. III, n. 1407/1985; Cass. V, n. 27243/2011; Ai fini dell'accertamento dell'imputabilità derivante da immaturità, l'indagine sulla personalità del minore non richiede necessariamente l'audizione di esperti o di soggetti che abbiano avuto rapporti con l'imputato — attività indicate dall'art. 9, comma 2, d.P.R. n. 448/1988 solo quali strumenti eventuali (Cass. V, n. 27243/2011; Cass. I, n. 23006/2009). Ai fini della determinazione della pena astrattamente applicabile agli effetti dell'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di indagati minorenni è necessario computare anche l'attenuante della minore età, tenendo conto però della diminuzione minima prevista per la stessa (Cass. IV, n. 37884/2007). Il proscioglimento per estinzione del reato a seguito di amnistia è da ritenersi prevalente rispetto a quello per incapacità di intendere e di volere, ex art. 98, che è il presupposto dell'imputabilità del minore infradiciottenne, in quanto l'amnistia, estinguendo il reato, fa venir meno l'occasione e la utilità di accertare la predetta imputabilità, che assume Rilevanza solamente in costanza di un fatto costituente reato e cioè quando, accertata l'esistenza del reato, occorre stabilire se questo è imputabile al suo autore: Cass. IV, n. 107/1987. Quanto ai rapporti fra seminfermità mentale ex art. 89 e incapacità ex art. 98, si è ritenuto che: a) ove l'infermità mentale abbia ostacolato lo sviluppo mentale del minore impedendogli di raggiungere la capacità d'intendere e volere, dev'essere pronunciata sentenza di proscioglimento per non imputabilità. Infatti, «l'infermità mentale che determina il vizio parziale di mente nel minore di anni diciotto e maggiore dei quattordici in tanto può sfociare in un giudizio di responsabilità diminuita dal vizio stesso in quanto sia accertato che essa sia venuta a innestarsi su un soggetto normalmente evoluto. Nel caso, invece, in cui l'infermità abbia ostacolato lo sviluppo mentale del minore, la conclusione logica non può essere la responsabilità, attenuata dall'infermità stessa, ma la non imputabilità, dal momento che, quale ne sia la causa, il soggetto non ha raggiunto quella capacità d'intendere e di volere, di cui per disposizione di legge dev'essere data la prova per poterlo ritenere imputabile»: Cass. II, n. 1339/1971; b) ove, invece, il vizio parziale di mente si sia innestato su un soggetto normalmente evoluto, «la seminfermità mentale opera sul minore nello stesso modo e con gli stessi limiti con i quali incide sul maggiorenne, sicché al minorenne possono essere congiuntamente applicate le diminuzioni previste dagli artt. 89 e 98 c.p.»: Cass. I, n. 13531/1986; contra, in dottrina, Marini, 263. Cass. I, n. 49673/2019, ha ritenuto che «n tema di circostanze attenuanti, l'età del minore può essere valutata al duplice fine di riconoscere l'attenuante della minore età di cui all'art. 98 e per fondare il giudizio sulla concessione delle circostanze attenuanti generiche, in cui il riferimento alla età del minore non rileva in sé ma in ragione degli elementi familiari ed ambientali che ne hanno influenzato la crescita nella fase adolescenziale». Il divieto di concessione della sospensione condizionale della pena quando sia applicata una misura di sicurezza (art. 164, comma 2 n. 2 c.p.), sussiste anche nei confronti dei minori, poiché l'art. 20 r.d.l. n. 1404/1934, estende la sospensione condizionale ai minori oltre i limiti stabiliti dall'art. 164 c.p., ma non elimina la condizione posta dal comma secondo n. 2 dello stesso articolo. Non può tantomeno desumersi una pretesa conciliabilità del beneficio della sospensione condizionale e delle misure di sicurezza, per i soli imputati minorenni, dagli artt. 25 e 26 r.d.l. n. 1404/1934 cit., né dall'art. 7 delle relative norme di attuazione (r.d. 20 settembre 1934, n. 1579). Tali disposizioni, infatti, attengono a misure amministrative di prevenzione, e, salvo espresso richiamo, non possono essere estese alle misure di sicurezza, che trovano la loro espressa regolamentazione, anche per il minore imputabile, nelle norme generali e particolari del codice penale (artt. 223 ss.): Cass. II, n. 2454/1983. Al minore infradiciottenne, se riconosciuto colpevole e socialmente pericolo, si applicano le medesime misure di sicurezza che si applicano al minore degli anni quattordici (cfr. commento sub art. 97). Nel processo a carico dei minorenni, non è ammessa la costituzione di parte civile, ex art. 10 d. P.R. n. 448/1988, sicché del fatto da lui commesso, rispondono, in sede civile, ex art. 2048 c.c., il padre, la madre o il tutore. BibliografiaMarini, voce Imputabilità, in Dig. d. pen., VI, Torino, 1992; A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, Bologna, 1996. |