Codice Penale art. 164 - Limiti entro i quali è ammessa la sospensione condizionale della pena (1).

Angelo Valerio Lanna

Limiti entro i quali è ammessa la sospensione condizionale della pena (1).

[I]. La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'articolo 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati [444 3, 445 2, 460 2, 533 3, 599 1, 671 3 c.p.p.].

[II]. La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta:

1) a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione [178], né al delinquente o contravventore abituale [102-104] o professionale [105];

2) allorché alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale [215], perché il reo è persona che la legge presume socialmente pericolosa (2).

[III]. La sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, tranne che si tratti della confisca [240].

[IV]. La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volta. Tuttavia il giudice, nell'infliggere una nuova condanna, può disporre [445 2 c.p.p.] la sospensione condizionale qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall'articolo 163 (3).

(1) Articolo sostituito dapprima dall'art. 1, l. 24 aprile 1962 n. 191, e poi dall'art. 12 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv., con modif., nella l. 7 giugno 1974, n. 220. Il testo originario dell'intero articolo era così formulato: «[I]. La sospensione condizionale della pena è ammessa soltanto se, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'art. 133, il giudice presume che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. [II]. La sospensione condizionale della pena non può essere conceduta: 1) a chi ha riportato una precedente condanna per delitto, anche se è intervenuta riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale, e al delinquente per tendenza; 2) allorché alla pena inflitta deve essere aggiunta una misura di sicurezza personale, perché il reo è persona che la legge presume socialmente pericolosa. [III]. La sospensione condizionale della pena rende inapplicabili le misure di sicurezza, tranne che si tratti della confisca. [IV]. La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volt». La legge n. 191 del 1962, cit., oltre ad introdurre una limitazione nel n. 1 del comma 2 («a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, ecc.»), aveva aggiunto un quinto comma, così formulato: «Tuttavia, nel caso che per una precedente condanna a pena pecuniaria sia stata già ordinata la sospensione della esecuzione, il giudice può nell'infliggere una nuova condanna a pena detentiva, disporre la sospensione condizionale della pena, subordinando la concessione del beneficio al pagamento della predetta pena pecuniaria nel termine stabilito dal giudice stesso, salvo che il condannato si trovi nella impossibilità di adempiervi».

(2) Previsione non più attuale; v. nota sub art. 204.

(3) La Corte cost., con sentenza 28 aprile 1976, n. 95, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui non consente la concessione della sospensione condizionale della pena a chi ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto non sospesa, qualora la pena da infliggere cumulata con quella irrogata con la condanna precedente non superi i limiti stabiliti dall'articolo 163 del codice penale».

Inquadramento

Nel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; al Capo primo, tra le cause estintive del reato, si trova la sospensione condizionale della pena. L'articolo in commento detta limiti e presuppostilegittimanti in senso positivo, ma anche ostativi — per l'applicabilità dell'istituto.

Per tutto ciò che attiene alla natura ed alla ratio della sospensione condizionale della pena, nonché all'inquadramento dogmatico e sistematico dell'istituto, si può operare un rinvio al commento inerente all'art. 163.

La veste attuale della disposizione normativa in argomento è invece il risultato dell'intervento dell'art. 12 d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni in l. 7 giugno 1974, n. 220. Il riferimento poi alla pericolosità presunta dalla legge, contenuto nel secondo comma al n. 2), deve ritenersi ormai implicitamente abrogato; l'art. 204 — la cui rubrica era appunto intitolata «accertamento di pericolosità. pericolosità sociale presunta» è stato infatti abrogato dall'art. 31 l. 10 ottobre 1986, n. 663.

Profili generali (rinvio)

Anche con riferimento ai connotati essenziali dell'istituto della sospensione condizionale della pena, non vi sono ragioni perché debbano essere ripetute considerazioni già svolte in relazione alla disposizione precedente.

La formulazione normativa

Il testo della norma introduce una disposizione di ampio respiro, che stabilisce i criteri generalio entro i quali dovrà andare a collocarsi l’intera valutazione demandata al giudice.

La concessione del beneficio è subordinata alla fondata previsione che il soggetto si asterrà in futuro dal reiterare condotte illecite. Ne consegue che una prognosi negativa sarà in radice impeditiva.

La norma stabilisce poi dei requisiti oggettivi negativi, in presenza dei quali la legge vieta la concessione del beneficio, evidentemente riconnettendo tali situazioni ad una presunzione legale di prognosi di vita infausta.

Infine, vi è un limite alla ammissibilità al beneficio, rappresentato dal caso in cui sia acclarata la condizione di pericolosità del soggetto, che risulti bisognevole dell’applicazione di una misura di sicurezza. I requisiti suddetti saranno ora oggetto di separata disamina.

Segue. La valutazione prognostica

La norma in esame rappresenta un'espressione della funzione special-preventiva caratterizzante la causa estintiva ex art. 163 c.p.. In particolare, il primo comma dell'art. 164 collega la concessione del beneficio alla formulazione di una prognosi di vita favorevole, delineando così i limiti e i criteri valutativi affidati al giudice.

Per quanto riguarda il primo profilo, la sospensione condizionale della pena - proprio perché agganciata ad una concreta previsione positiva, circa la futura condotta di vita del beneficiario - non potrà mai divenire oggetto di concessione consuetudinaria, frutto di valutazioni quasi di stile. Inoltre, l'ambito di valutazione discrezionale da parte del giudice trova il suo ancoraggio più sicuro proprio nel raggiungimento di una conclusione negativa, circa la propensione del soggetto alla perpetrazione futura di fatti illeciti; giudizio circa la tenuta comportamentale del soggetto che il giudice, testualmente, deve fondare sulla ponderazione dei parametri interpretativiexart. 133.

Si è giustamente evidenziata l'importanza del richiamo legislativo ai canoni di giudizio dettati dall'art. 133. Collegamento anzitutto originato dalla necessità di vincolare la valutazione prognostica non al pericoloso intuizionismo — ovvero a presunzioni o sensazioni di incontrollabile valenza e di genesi magari extra ordinem — bensì “ai coefficienti di pericolosità soggettiva desumibili in concreto dal reato commesso e dalla peculiare personalità dell'autore” (Giunta-Viscusi, 265).

Non si è mancato di rimarcare, in dottrina, come il primigenio impianto della norma sia stato gradatamente stravolto dai successivi interventi legislativi. E infatti, la norma si rivolgeva in origine al solo delinquente alla prima esperienza di reato, che apparisse certamente non incline alla reiterazione della condotta contra legem (c.d. delinquente primario occasionale). È poi intervenuta una declaratoria di illegittimità costituzionale, in relazione all'ultimo comma della disposizione in esame; la norma risultava dunque non conforme ai principi costituzionali, nella parte in cui non consentiva di fruire del beneficio de quo, a chi si fosse già visto infliggere una precedente condanna non sospesa per delitto, allorquando la pena da irrogare — cumulata con quella antecedente non sospesa — non oltrepassasse la soglia di ammissibilità stabilita per l'istituto (C. cost. n. 95/1976). Si è infine giunti alla veste definitiva dell'articolo in esame, conseguente alla succitata novella l. 7 giugno 1974, n. 220. E infine, vi è stata la sopra menzionata riforma della pericolosità presunta, ormai espulsa dall'ordinamento.

Tutto ciò ha comportato l'attribuzione di un ruolo ormai preponderante, alla valutazione prognostica demandata al giudice.

Molto si è agitata, fra gli interpreti, la questione inerente alla necessità di un ravvedimento da parte dell'interessato, quale criterio guida che orientasse la previsione favorevole demandata al giudice. La tesi prevalente tende però ad escludere la necessità di tale requisito. In primo luogo, sulla scorta del dato testuale della norma, laddove tale elemento non è contemplato; in secondo luogo, si osserva che la scarsa attitudine alla reiterazione di condotte criminose prescinde dal profilo — di carattere eminentemente psicologico, concernente quindi il foro interiore del soggetto — relativo alla resipiscenza (Bartulli, 133). Aggiungiamo come il concetto stesso di ravvedimento, contenendo esso evidenti contaminazioni soggettivistiche, sembra estraneo alla funzione stessa dell'istituto.

Segue. Le situazioni oggettive ostative

I limiti normativi all'operatività dell'istituto — posti dal legislatore e quindi sottratti ad ogni forma di valutazione, ad opera del giudicante — sono quelli indicati dal secondo comma della norma. Non si potrà quindi concedere la sospensione condizionale della pena: 1) a chi annoveri un precedente pregiudizio per pena detentiva, anche laddove sia intervenuta la riabilitazione, né a chi sia stato colpito da declaratoria quale delinquente o contravventore abituale o professionale; 2) nel caso in cui si debba aggiungere alla pena inflitta una misura di sicurezza personale.

Cass. V, n. 2144/2023 ha ritenuto illegittima la revoca, disposta in executivis , della sospensione condizionale della pena, che sia stata accordata in violazione dell'art. 164, comma quarto, c.p., dunque in presenza di una causa ostativa non conosciuta dal giudice di primo grado, ma nota al giudice d'appello, anche se non sia stato investito dell'impugnazione o da una formale richiesta del p.m. in ordine all'illegittimità del beneficio (vi è contrasto giurisprudenziale; in senso conforme all'orientamento di Cass. V, n. 2144/2023, infatti, si sono espresse Cass. V, n. 2144/2023 e Cass. V, n. 22134/2022; in senso difforme, segnaliamo Cass. I, n. 39190/2021; Cass. I n. 24103/2021; Cass. I, n. 18245/2023; Cass. I, n. 29876/2023; Cass. I, n. 26061/2023; Cass. V, n. 8159/2023; Cass. VII, n. 7157/2022; Cass. I n. 9498/2022; Cass. I, n. 6270/2022; Cass. I, n. 46910/2022; Cass. I, n. 36362/2022; Cass. I, n. 25199/2022; Cass. I, n. 25198/2022; Cass. I, n. 9500/2022; Cass. I, n. 13192/2022; Cass. I, n. 36518/2021; Cass. V, n. 84/2020; Cass. I, n. 31998/2020; Cass. I, n. 917/2019; Cass. I, n. 30709/2019; Cass. I, n. 30710/2019).

Il massimo consesso nomofilattico ha quindi risolto un'annosa diatriba giurisprudenziale. Come si legge nella pronuncia poc'anzi citata, “il profilo dirimente è dunque costituito dall'esistenza o meno di un potere di cognizione in capo al giudice di appello in assenza di una devoluzione sul punto della sospensione condizionale”.

La recente pronuncia delle S.U. (Cass. S.U. n. 36460/2024)ha affermato che è legittimo revocare la sospensione condizionale della pena in fase esecutiva, se questa è stata concessa in violazione dell'art. 164, comma 4, c.p., a causa della presenza di un motivo ostativo che il giudice di primo grado ignorava, anche se il giudice d'appello ne era a conoscenza. Tuttavia, poiché su questo aspetto non era stata presentata impugnazione, il giudice d'appello non poteva revocare d'ufficio il beneficio, rispettando così il principio devolutivo. Di conseguenza, non ha espresso alcuna valutazione al riguardo, nemmeno in modo implicito.

In ordine al primo profilo — ossia la situazione ostativa determinata dalla esistenza di precedente condanna per pena detentiva — evidenziamo quanto segue. La condizione preclusiva è testualmente costituita dall'esistenza di una precedente condanna a pena detentiva per delitto. Non ostano alla concessione del beneficio, pertanto, le condanne che siano susseguenti alla commissione di contravvenzioni, ovvero quelle in relazione alle quali sia stata inflitta la pena della multa (pena pecuniaria per delitto). Anche la condanna a pena detentiva, inflitta in relazione ad un reato militare, impedirà la concessione della sospensione condizionale della pena. Pacifico è, al contrario, come non possa svolgere tale funzione ostativa una precedente condanna per reato successivamente depenalizzato; trattasi infatti di effetto penale conseguente alla sentenza di condanna, destinato a cessare a seguito di abolitio criminis. La Corte di Cassazione ha infatti chiarito come non possa influire in senso negativo per il reo — in sede di applicazione del beneficio de quo — la precedente condanna per reato depenalizzato, del quale devono ritenersi ormai cessati tutti gli effetti penali a norma dell'art. 2. Inoltre, il giudice del merito è libero di giungere ad una prognosi favorevole, pur in presenza di precedenti dattiloscopici e pur avendo riguardo alle complessive condizioni di vita di soggetto straniero (elementi che in astratto potrebbero invece essere considerati come evocativi di una propensione alla reiterazione di condotte delinquenziali). Trattasi infatti di condizioni che ben possono essere adeguatamente controbilanciate — laddove ovviamente l'iter concettuale seguito dal giudice sia sorretto da adeguato apparato motivazionale — dall'opposta considerazione della non particolare caratura delinquenziale del fatto e della non ostatività dei pregiudizi penali (si veda Corbetta, 283).

Allorquando si verifichi l'applicazioneexart. 444 c.p.p. di pena detentiva, di questa si dovrà comunque tener conto, ai fini della nuova ammissibilità al beneficio della sospensione condizionale; ciò al fine di controllare il possibile superamento delle soglie di ammissibilità indicate dall'art. 163, nonché di verificare il ricorrere dei presupposti preclusivi di cui all'art. 164. Tale situazione permarrà anche dopo che si sia prodotto l'effetto estintivo, che l'art. 445 riconnette al trascorrere del periodo di tempo di anni due o cinque (secondo che si sia in presenza di una contravvenzione o di un delitto). L'effetto ostativo derivante dall'applicazione di pena ex art. 444 c.p.p., pertanto, si produrrà anche dopo il decorso del suddetto periodo ed il consolidarsi dell'effetto estintivo.

Segnaliamo poi che la tipologia di riabilitazione che è ostativa al beneficio è quella penale prevista dall'art. 178, la quale estingue la sola pena; non impedisce invece la nuova concessione del beneficio la riabilitazione civile del fallito, intervenuta in relazione ad una precedente condanna per il reato di bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 241 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (l. fall.). È stato giustamente sottolineato in dottrina come sia preclusiva a fortiori la condanna coperta da amnistia impropria ; questa si limita infatti a far cessare l'esecuzione delle pene principali ed accessorie, lasciando intonsi gli ulteriori effetti penali. Si è dunque scritto che: “In questo caso, a maggior ragione che nel caso della riabilitazione, che presuppone comunque prove effettive e costanti di buona condotta, sono state ritenute ostative ad una prognosi favorevole all'imputato tutte le altre cause che, come l'amnistia impropria, non richiedono per la loro applicazione i criteri previsti dall'art. 179” (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 673, Giunta, 87)

Non è poi consentito applicare il beneficio a chi sia stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale. Il testo normativo non precisa se tale status debba necessariamente essere preventivamente cristallizzato in una pronuncia di condanna (o anche in un provvedimento emesso dal magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 679 c.p.p.), oppure se basti l'esistenza dei requisiti giuridici sui quali poggia tale qualifica. Alcuni Autori hanno ritenuto necessaria la sussistenza di una qualificazione di tipo formale. Chiaramente, i pregiudizi penali potranno comunque sempre rilevare – anche in assenza di una declaratoria formale a carico del soggetto, quale delinquente o contravventore abituale o professionale — alla stregua di elementi impeditivi, rispetto all'ammissione al beneficio (Martini, 1294).

Disposizioni in tema di misure di sicurezza

Linee generali

La necessità di applicare una misura di sicurezza — quale condizione ostativa rispetto alla concedibilità del beneficio — è cristallizzata nel disposto del secondo comma, all'ipotesi n. 2). Agli effetti dell'abrogazione dell'art. 204, in tema di pericolosità presunta, si è già sopra accennato. È dunque venuta meno ogni preclusione alla concessione del beneficio, derivante dalla necessità di applicazione di misura di sicurezza discendente da pericolosità presunta (ipotesi come detto ormai espulsa dal sistema).

Il terzo comma detta poi la disciplina di uno degli effetti conseguenziali della causa estintiva in commento, la quale rende inapplicabili le misure di sicurezza, a meno che non si tratti della confisca (si veda, per una più diffusa trattazione del tema, il commento all'art. 240).

Secondo giurisprudenza consolidata, il riferimento testuale alle misure di sicurezza personali, da aggiungere alla pena in ragione della pericolosità sociale del condannato, deve qui intendersi rivolto soltanto alle misure di sicurezza applicabili discrezionalmente. La lettera del terzo comma della disposizione in esame prevede poi, come sopra già accennato, la non applicabilità — in caso di concessione della sospensione condizionale della pena — delle misure di sicurezza (con la sola eccezione della confisca). Tale parte della norma deve dunque leggersi come riferita, oltre che alle misure di sicurezza patrimoniali diverse dalla confisca, alle misure personali la cui applicazione sia consentita discrezionalmente (sarebbe a dire, che non sia imposta da una specifica norma di legge quale effetto necessitato).

Tematiche applicative

Alla luce di quanto precede, devono reputarsi non compatibili con l'istituto della sospensione condizionale della pena le seguenti misure di sicurezza:

a. l'espulsione dallo Stato dello straniero condannato per reato concernenti le sostanze stupefacenti, ai sensi dell'art. 86, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309;

b. la necessità di applicare la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una casa di cura e custodia ex art. 219, che presenta un marcato contenuto di obbligatorietà, laddove venga formulata nei confronti dell'infermo o seminfermo di mente una valutazioni in termini di pericolosità sociale;

c. l'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, che discende per legge dall'art. 300 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 in materia di contrabbando nel caso in cui sia inflitta una pena detentiva superiore ad un anno di multa; ciò in ragione della evidente inconciliabilità esistente, fra la pericolosità sociale del reo e la prognosi di non commissione di nuovi fatti costituenti reato.

La possibilità di reiterazione del beneficio

La regola basilare è nel senso che non sia concedibile il beneficio, a chi ne abbia già fruito in un'occasione. Tale previsione originaria appariva coerente con la natura stessa dell'istituto, che risulta comunque connotato dall'intento di “mettere alla prova” la condotta di vita del colpevole beneficiario. L'alveo applicativo della norma, come sopra visto, si è poi ampliato mediante la previsione della possibilità di ulteriore concessione del beneficio, nel caso in cui l'operazione di cumulo tra la pena precedentemente sospesa e quella in relazione alla quale venga nuovamente concesso il beneficio, non comporti lo sforamento dei limiti imposti dall'art. 163. Si è giustamente scritto che tale riforma si è resa indispensabile, in ragione della “constatazione della sussistenza di forme di recidivismo che non possono essere ricollegate ad un'effettiva pericolosità del reo e quindi non richiedono la necessità che la pena venga comunque posta in esecuzione, al fine di raggiungere gli obiettivi specialpreventivi posto dal legislatore” (Diotallevi, 676).

In giurisprudenza non si dubita però del fatto che sia inammissibile concedere il beneficio per più di due volte. E ciò, indipendentemente dal fatto che vi sia stata o meno l'applicazione del beneficio in relazione a precedente condanna a pena detentiva per delitto; ed anche a prescindere dal fatto che, eventualmente, le pene complessivamente irrogate e cumulate tra loro non superino le soglie di ammissibilità al beneficio dettate dall'art. 163.

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione sono recentemente intervenute, con la sentenza n. 36460 del 2024, sul tema delle possibilità di revoca del beneficio in esame, stabilendo come sia legittima la revoca, in executivis, della sospensione condizionale della pena illegittimamente accordata, in quanto disposta in violazione dell'art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di una causa ostativa ignota al giudice di primo grado e nota a quello d'appello, a cui il punto inerente alla possibilità di revoca non sia stato devoluto mediante gli ordinari strumenti di impugnazione.

Questioni di costituzionalità

Il Supremo Collegio ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame — per asserita violazione dell'art. 3 Cost. — nella parte in cui consente di fruire nuovamente del beneficio a chi sia stato condannato una sola volta per più reati e non, invece, a chi abbia riportato una pluralità di condanne a pene detentive anche modeste. Ha infatti osservato la Corte come sia sempre riservata al condannato la possibilità di attivarsi per giungere alla unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, ricorrendone i presupposti, anche in executivis. E quindi, non vi sarebbe una disparità di trattamento stabilita dalla legge, essendo eventualmente la difformità di trattamento una mera conseguenza dell'incuria dell'imputato stesso (Cass. VI, n. 9796/1992).

Essendo poi il potere di concedere la sospensione condizionale riconosciuto al giudice ex officio, al fine di agevolare la funzione rieducativa della pena, non vi è necessità di richiesta di parte. Tale meccanismo non concretizza, infatti, alcuna violazione del principio generale di uguaglianza e la relativa questione deve reputarsi manifestamente infondata (Cass. I, n. 10791/1999).

Casistica

Verranno ora riportate solo alcune pronunce del Supremo Collegio, scelte fra quelle inerenti ad argomenti maggiormente pregnanti.

a. La condanna a pena detentiva, inflitta a seguito della perpetrazione di un reato previsto da uno dei codici penali militari, è comunque ostativa alla concessione del beneficio in commento (Cass. III, n. 2694//1985).

b. Il soggetto nei cui confronti siano state irrogate due condanne, una delle quali inerente a reato successivamente depenalizzato, è nuovamente nelle condizioni di poter fruire del beneficio. E infatti, l'espulsione di una data fattispecie tipica dall'area del penalmente rilevante comporta — quale effetto immediato e consequenziale — anche il venir meno dell'efficacia preclusiva della condanna stessa, in relazione alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (Cass. IV, n. 21730/2004 ; conf. Cass. V, n. 18/2007 e Cass. VI, n. 16363/2008). Secondo la Corte di Cassazionenon deve procedersi alla revoca delle sospensioni condizionali precedentemente concesse per condanne relative a reati che non sono più considerati tali dalla legge, poiché la ”abolitio criminis” interrompe l'esecuzione e gli effetti penali della condanna; tra questi effetti vi è anche l'impossibilità della condanna di costituire un precedente che ostacoli la ripetizione della sospensione condizionale della pena (Cass. I, n.22277/2020). Si veda però Cass. II, n. 21169/2003, laddove è anzitutto confermato come l'iscrizione nel casellario giudiziale di condanna per reato successivamente abrogato non esplichi una valenza ostativa, rispetto alla possibilità di accordare il beneficio in esame; è però anche indicata la valutabilità di tale condanna colpita da abolitio criminis, sia pure ai più limitati fini della formulazione della valutazione prognostica di cui all'art. 163 comma 1. Si tenga poi a mente il principio di diritto enunciato da Cass. I, n. 7652/2004, secondo la quale — pacifico il fatto che l'abrogazione della norma penale comporti la cessazione degli effetti penali della condanna, tra cui pure l'effetto ostativo de quo — deve attribuirsi alla declaratoria di revoca della condanna ex art. 673 c.p.p. un mero valore di sentenza dichiarativa, visto che l'effetto susseguente alla depenalizzazione si produce immediatamente, oltre che indipendentemente dalla statuizione del giudice. Sarebbe dunque illegittima una revoca della sospensione condizionale, concessa per la terza volta, laddove tale revoca venisse adottata sul presupposto della non ancora avvenuta revoca formale di precedente condanna inerente a fatti depenalizzati.

c. La precedente condanna attinente a reato estinto per amnistia è ostativa alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena — alla stessa stregua della riabilitazione — atteso che essa fa venir meno l'esecuzione delle pene, ma non estingue gli effetti penali connessi alla condanna (Cass. III, n. 1486/1993).

d. La riabilitazione penaleex art. 178 estingue la pena ed è pertanto ostativa alla concessione del beneficio della sospensione condizionale; non così la riabilitazione civile del fallito di cui all'art. 241 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che estingue il reato di bancarotta semplice. Legittimamente, dunque, viene concesso il beneficio in esame a chi abbia ottenuto — in relazione ad una precedente condanna per bancarotta semplice — la riabilitazione fallimentare (Cass. IV, n. 411/1969).

e. Il comma 3 della disposizione normativa in esame, laddove è prevista la impossibilità di concedere il beneficio quando sia necessario applicare misure di sicurezza diverse dalla confisca, deve intendersi riferito alle sole misure personali applicabili in via discrezionale (Cass. I, n. 9824/2014). La Corte — ancora in tema di misure di sicurezza — ha chiarito come non sia concedibile il beneficio in commento, allo straniero condannato per reati concernenti le sostanze stupefacenti, nei confronti del quale sia stata applicata la misura di sicurezza della espulsione dallo Statoexart. 86, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (Cass. VI, n. 12867/2007).

f. La misura di sicurezza di cui all'art. 219, comma 3, ossia l'assegnazione ad una casa di cura e di custodia impedisce la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Qui il Supremo Collegio ha spiegato come la possibilità di sostituire l'applicazione del ricovero in casa di cura con la libertà vigilata non elida il connotato di obbligatorietà della suddetta misura di sicurezza, che deriva proprio dalla valutazione di pericolosità sociale emessa nei confronti del soggetto infermo o seminfermo di mente (Cass. VI, n. 23061/2009). I Giudici di legittimità hanno però anche spiegato come debba ritenersi illegittimo un diniego di concessione della sospensione condizionale, che si fondi in via esclusiva sulla ponderazione degli aspetti esecutivi materiali della condotta – magari anche collocata molto tempo addietro – senza tener conto di quegli elementi che, in sede di valutazione prognostica exart. 164, vengano parimenti reputati dal giudice atti a condurre alla revoca della misura di sicurezza in precedenza adottata a carico dell'imputato (Cass. III, n. 48580/2016).

g. Impedisce la concessione del beneficio in commento l'applicazione — che discende ex lege dall'irrogazione di pena superiore ad un anno di reclusione — della libertà vigilataexart. 300 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 in materia doganale (Cass. III, n. 12277/2013)

h. Il limite massimo di condanne sospendibili è due. L'accesso al beneficio è precluso a chi abbia già riportato almeno due condanne a pene detentive per delitto, anche nel caso in cui la prima condanna non sia stata condizionalmente sospesa ed anche laddove — effettuando il cumulo fra tutte le pene irrogate — non risultino oltrepassati i limiti di ammissibilità al beneficio (Cass. V, n. 41645/2014).

i. Allorquando venga applicata una pena concordata e — stante il decorso del termine previsto dall'art. 445 (rispettivamente di due anni per le contravvenzioni e di cinque in ordine ai delitti) — si consolidi l'estinzione degli effetti penali, tale effetto, ai fini della concedibilità del beneficio della sospensione condizionale della pena, deve intendersi limitato ai soli casi in cui vi sia stata l'irrogazione di una pena solo pecuniaria o sostitutiva.

Laddove invece vi sia stata una applicazione ex art. 444 di pena detentiva, di quest'ultima si dovrà comunque tener conto, ai fini della nuova ammissibilità al beneficio della sospensione condizionale; ciò al fine di verificare l'eventuale sforamento dei limiti imposti dall'art. 163 ed il ricorrere dei presupposti preclusivi di cui all'art. 164. Nella medesima statuizione, la Corte ha altresì spiegato come una sentenza di applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. non costituisca titolo idoneo, perché possa pronunciarsi la revoca di una precedente concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. A tale conclusione conduce la considerazione che la sentenza di patteggiamento non implica quella verifica completa circa la penale responsabilità del colpevole, atta a rappresentare il presupposto indefettibile perché si possa legittimamente revocare il beneficio (Cass. S.U. n. 31/2000; si veda però la giurisprudenza riportata sub art. 168).

l. Segnaliamo l'esistenza di un contrasto in tema di condanna inerente a reati edilizi, con particolare riferimento all'onere di motivazione richiesto in caso di subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione dell'opera abusiva. Stando dunque a un primo orientamento, sposato da Cass. III, n. 33414/2021 e da Cass. III, n. 39471/2017, sussiste in capo al giudice una facoltà - e non un obbligo - di subordinare il suddetto beneficio, che venga accordato per la prima volta, alla demolizione dell'opera abusiva; tale subordinazione sarebbe funzionale all'elisione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ma comporterebbe l'onere, per il giudicante, di esporre dettagliatamente i motivi in base ai quali – in sede di formulazione della valutazione prognostica ex art. 164 - ritenga indispensabile condizionare la fruizione del beneficio all'adempimento rispetto a tale ordine. Altro filone interpretativo, emerso nella giurisprudenza di legittimità, considera invece del tutto legittima la sentenza mediante la quale il giudice ponga - quale condizione per la fruizione del beneficio - l'elisione delle conseguenze dannose del reato, attraverso la demolizione del manufatto illecitamente edificato, ma ritiene anche che tale decisione non necessiti di una specifica motivazione. L'esposizione delle ragioni poste a fondamento di tale provvedimento sarebbe infatti pleonastica, in quanto già implicita nell'emanazione dell'ordine di demolizione adottato con la sentenza. Tale ordine di demolizione, proprio per la sua natura accessoria rispetto alla condanna del responsabile, è intrinsecamente fondato sull'accertamento della persistente offensività dell'opera stessa, in danno dell'interesse protetto. La stessa natura discrezionale che connota la decisione ex art. 165, co. 1 esige l'assolvimento di un onere di motivazione in ordine al rafforzamento della statuizione accessoria, ma tale onere motivazionale non si estende alle ragioni in base alle quali – nella formulazione del giudizio prognostico - si ritenga necessario condizionare la fruizione del beneficio alla demolizione dell'edificazione abusiva (in questi sensi si sono espresse Cass. III, n. 16157/2019 e Cass. III, n. 51014/2018). 

m. Le Sezioni Unite penali della Corte di cassazione hanno stabilito la legittimità della revoca, in executivis, della sospensione condizionale della pena che sia stata accordata in violazione del disposto dell'art. 164, comma quarto, c.p., perché in presenza di una causa ostativa al tempo non conosciuta dal giudice di primo grado e divenuta nota, successivamente, al giudice di appello, il quale non sia stato investito - sul punto specifico della concessione del beneficio, ad onta della presenza di tale causa ostativa - dell'impugnazione del pubblico ministero né, quantomeno, di una formale sollecitazione da questi proveniente, circa la natura illegittima del beneficio.

Profili processuali

In tema di effetti discendenti ex lege dalla sospensione condizionale della pena, ricordiamo anzitutto l'importantissimo disposto dell'art. 300 comma 3 c.p.p.; è qui infatti previsto che le tutte le misure cautelari personali, eventualmente in vigore al momento dell'emissione di una sentenza di condanna, perdano immediatamente efficacia in caso di sospensione condizionale della pena irrogata.

Laddove venga concessa la sospensione condizionale della pena applicata con decreto penale di condanna e si verifichi, in seguito, il meccanismo estintivo ex art. 460 comma 5 c.p.p., sarà comunque poi possibile la nuova concessione del beneficio. E ciò anche nel caso in cui la nuova pena da irrogata, aggiunta a quella inflitta con decreto e poi estinta, oltrepassi il limite di ammissibilità dell'istituto (Cass. I, n. 24852/2010).

Con riferimento al tema della sussistenza dell’interesse ad impugnare da parte dell’imputato - nel caso di concessione della sospensione condizionale in assenza di esplicita richiesta - si veda la giurisprudenza riportata nell’analogo paragrafo, in sede di commento all’art. 163.

Bibliografia

Bartulli, La sospensione condizionale della pena, Milano, 1971; Corbetta, Precedente penale depenalizzato: è ostativo alla concessione della sospensione condizionale?, in Dir. pen. e proc., 3/2003; Giunta, voce Sospensione condizionale della pena, in Enc. giur. XIII, Milano, 1990; Giunta-Viscusi, in Il Diritto Enciclopedia giuridica, 15, Milano, 2007; Martini, in Codice Penale Padovani, Milano, 2011; Messina-Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2018.

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