Codice Penale art. 223 - Ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario.Ricovero dei minori in un riformatorio giudiziario. [I]. Il ricovero in un riformatorio giudiziario è misura di sicurezza speciale per i minori [227], e non può aver durata inferiore a un anno. [II]. Qualora tale misura di sicurezza debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni ventuno, ad essa è sostituita la libertà vigilata [228], salvo che il giudice ritenga di ordinare l'assegnazione a una colonia agricola, o ad una casa di lavoro [216] 1 .
[1] Il riferimento agli anni ventuno poteva ritenersi modificato ad opera dell'art. 1 l. 8 marzo 1975, n. 39, che, sostituendo l'art. 2 c.c., ha fissato la maggiore età al compimento del diciottesimo anno; tuttavia l'art. 24 att. min., nel testo originario, ha esteso la disciplina dell'esecuzione delle misure di sicurezza minorili a coloro che « abbiano compiuto il diciottesimo ma non il ventunesimo anno di età ». A seguito delle modificazioni operate dall'art.5, comma 1, d.l. 26 giugno 2014, n. 92, conv., con modif., in l. 11 agosto 2014, n. 117, e da ultimo dall'art. 9, comma 1, d.lgs. 2 ottobre 2018 n. 121, il suddetto art. 24 att. min. prevede l'applicazione della disciplina minorile in materia di esecuzione di provvedimenti limitativi della libertà a coloro che « abbiano compiuto il diciottesimo ma non il venticinquesimo anno di età, sempre che non ricorrano particolari ragioni di sicurezza valutate dal giudice competente, tenuto conto altresì delle finalità rieducative ovvero quando le predette finalità non risultano in alcun modo perseguibili a causa della mancata adesione al trattamento in atto». InquadramentoIl ricovero in un riformatorio giudiziario era la misura di sicurezza detentiva originariamente applicabile ai minori, imputabili e non, ritenuti socialmente pericolosi. La materia è stata profondamente innovata dal d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, recante disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, che da un lato ha circoscritto l'applicazione della misura solo a taluni gravi delitti, e dall'altro ha previsto, quale misura di sicurezza ordinaria nei confronti degli imputati minorenni, la libertà vigilata. Dopo la sentenza della Corte cost. n. 324/1998, non è più consentito il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario dell'imputato minorenne. Il collocamento in comunità. Conseguenze della violazione alle prescrizioni imposteCome premesso nella parte introduttiva, la materia minorile è stata profondamente innovata dal d.P.R. n. 448/1988. L'art. 36, comma 2, d.P.R. cit., stabilisce infatti che la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario è ora eseguita nelle forme dell'art. 22, norma, quest'ultima, che disciplina la misura cautelare del collocamento in comunità. Il comma 4 dell'art. 22 cit., applicabile anch'esso al riformatorio giudiziario in forza del detto rinvio, prevede che il giudice possa, con il provvedimento applicativo del collocamento in comunità, disporre a carico del minore specifiche prescrizioni inerenti alla attività di studio, o di lavoro, o ad altre attività ritenute utili per la sua educazione. La disposizione prevede che, nel caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte, o di allontanamento ingiustificato dalla comunità, il giudice possa applicare la misura della custodia cautelare per un tempo non superiore ad un mese, qualora si proceda per un delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Si è posto dunque il problema se l'art. 22 comma 4 cit. sia applicabile al caso delle violazioni alle prescrizioni commesse dal minore sottoposto a misura di sicurezza, o se in tal caso debba applicarsi l'art. 214, il quale prevede a titolo sanzionatorio che, ove il sottoposto si sottragga volontariamente alla esecuzione della misura, dal giorno del ripristino comincia a decorrere un nuovo periodo minimo di durata. La giurisprudenza ha risposto al quesito negativamente: a seguito della disciplina introdotta dall'art. 36 cit., in coerenza con le finalità rieducative e con le esigenze psicologiche dei minori, deve ritenersi non più applicabile — in presenza della specifica sanzione prevista dall'art. 22 comma 4 — l'art. 214 c.p., e ciò per una evidente incompatibilità sia con la disciplina di attuazione generale della misura, sia con la specifica previsione normativa (Cass., I, n. 4035/1990). Ma la misura di sicurezza non è diventata per questo una misura cautelare, poiché i due istituti rimangono ben differenziati per ciò che attiene ai loro presupposti, alle rispettive finalità e alla disciplina loro propria, che non riguarda le modalità esecutive. Pertanto, la restrizione prevista dall'art. 22, comma 4, cit., costituisce un inasprimento sanzionatorio della misura di sicurezza prevista per reprimere gravi e ripetute inosservanze alla disciplina nel corso dell'esecuzione della misura o di allontanamenti ingiustificati (Cass. I, n. 4035/1990). Di diverso avviso la dottrina, secondo cui il richiamo all'art. 22 d.P.R. n. 448/1988 deve essere esclusivamente limitato alla fase di esecuzione della misura, e non si estende al comma 4 cit., che, come s'è visto, attiene alle conseguenze della violazione della misura cautelare (Romano-Grasso-Padovani, Commentario). Ambito applicativo e presuppostiL'art. 36, d.P.R. n. 448/1988, ha ristretto l'ambito applicativo della misura ai soli delitti previsti dall'art. 23, comma 1, per i quali è consentita la custodia in carcere: delitti non colposi per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a nove anni, nonché altri delitti, consumati o tentati, previsti dall'art. 380, comma 2, lett. e), f), g), h) c.p.p., nonché, in ogni caso, per il delitto di violenza carnale (art. 23 d.P.R. cit.; il riferimento deve intendersi, evidentemente, al delitto di violenza sessuale). Per i criteri di determinazione della pena ai fini della applicazione della misura, si rinvia sub art. 222. Durata minima della misura. A norma dell'art. 223, comma 1, la misura in esame non può avere durata inferiore ad un anno, ma è pur sempre consentita la revoca anticipata di essa, allorché — a seguito di riesame — la pericolosità sociale risulti venuta meno. Durata massima della misura. Quanto alla durata massima, ove si ritenga che anche il collocamento in comunità — modalità con la quale è ormai applicata la misura del riformatorio giudiziario — è misura detentiva, vale il principio introdotto dalla riforma (d.l. n. 52/2014, conv., con modif. in l. n. 81/2014), secondo cui essa non può avere durata superiore al massimo della pena edittale prevista per il reato in relazione al quale viene applicata. Età massima per l'applicazione della misura. A norma dell'art. 223, comma 2, la misura non può essere applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni ventuno: secondo la dottrina, tale limitazione esprime la consapevolezza del legislatore che, oltrepassato tale limite d'età, sarebbe vana ogni finalità rieducativa del riformatorio giudiziario, relativamente a soggetti ultraventunenni che hanno ormai raggiunto un certo grado di sviluppo caratteriale. Ciò comporta che, ove per i fatti commessi da minorenne si dovesse far luogo alla misura del riformatorio giudiziario, in tutto o in parte, dopo i ventuno anni, a tale misura si sostituisce la libertà vigilata e, nei casi più gravi, l'assegnazione ad una colonia agricola o casa di lavoro (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 544). La libertà vigilataSecondo l'art. 223, ultimo comma, quando la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario deve essere applicata o eseguita, in tutto o in parte, dopo il compimento del ventunesimo anno d'età, ad essa è sostituita la misura della libertà vigilata, salvo che il giudice ritenga di ordinare l'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro. Dunque la libertà vigilata è la misura applicabile in via ordinaria a coloro i quali, minorenni al momento del fatto, abbiano compiuto gli anni ventuno al momento della applicazione o esecuzione della misura (Gallucci, 1232). La legge prevede due modalità esecutive: • La prima, prevista dall'art. 20 d.P.R. n. 448/1988, a mezzo della imposizione al minore, da parte del giudice, di precisi obblighi comportamentali, in relazione ai quali è previsto l'intervento di sostegno dei servizi sociali minorili. Tali obblighi ineriscono all'attività di studio o di lavoro o ad altre attività utili per l'educazione del minore, e sono identiche — nei contenuti — a quelle che possono essere imposte dal giudice al minore nel caso di collocamento in comunità. • La seconda, prevista dall'art. 21 d.P.R. n. 448/1988, è costituita dall'imposizione al minore dell'obbligo di permanenza in casa, ovvero nell'abitazione familiare o in altro luogo di privata dimora. Ma non sempre la forzata permanenza in casa può rivelarsi utile ai fini del recupero del minore, posto che molto spesso vi è un rapporto di grave conflittualità con i genitori (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 545). La scelta tra le due forme di esecuzione della libertà vigilata è rimessa alla discrezionalità del giudice che applica la misura, in via provvisoria o in esito al dibattimento, il quale dovrà orientarsi tenendo presenti innanzitutto le specifiche esigenze educative del minore, e scegliendo le prescrizioni più adatte alla sua personalità. - In caso di reiterate violazioni degli obblighi comportamentali, a norma dell'art. 20, comma 3, d.P.R. cit., il giudice può disporre la misura della permanenza in casa. - In caso di gravi e ripetute violazioni degli obblighi imposti, o nel caso di allontanamento ingiustificato dalla abitazione, a norma dell'art. 21, comma 5 d.P.R. cit., il giudice può disporre la misura del collocamento in comunità. La dottrina ha osservato che tale ultima disposizione suscita non poche perplessità, posto che consente di sostituire ad una misura non detentiva, qual è la libertà vigilata, una misura detentiva, come il collocamento in comunità, per giunta fuori delle ipotesi elencate nell'art. 23 d.P.R. cit., e ciò in contrasto con il principio di legalità. La soluzione potrebbe essere il ricorso all'art. 231, che, in caso di trasgressione degli obblighi imposti con la libertà vigilata, prevede l'applicazione della cauzione di buona condotta e, in caso di mancata prestazione della cauzione, la sostituzione della libertà vigilata con la colonia agricola o casa di lavoro e, per quanto riguarda i minori, con la misura del riformatorio giudiziario (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 546). La pericolosità sociale del minoreA norma dell'art. 37, comma 2, d.P.R. n. 448/1988, la misura di sicurezza è applicata se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 224 c.p. e quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale, ovvero gravi delitti di criminalità organizzata. Secondo la dottrina, sulla base della norma su richiamata, la pericolosità sociale del minore rileva ed è definita in relazione a due profili: • Un primo profilo, attinente alla gravità del fatto commesso, che deve rientrare in una delle categorie suddette (delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale, ovvero gravi delitti di criminalità organizzata). • Un secondo profilo, attinente al concreto pericolo che l'imputato possa commettere i delitti elencati nella norma suindicata. Il concorso dei due elementi, dovrebbe limitare l'area di applicazione della misura di sicurezza ad ipotesi del tutto eccezionali (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 548). Profili processualiL'applicazione della misura di sicurezza a carico dei minori è regolata dagli artt. 37-39 d.P.R. n. 448/1988. L'applicazione provvisoria è regolata dagli artt. 37-38 e si differenzia da quella dell'art. 206 e degli artt. 312-313 c.p.p., potendo avere luogo solo all'esito della fase delle indagini preliminari, mediante provvedimento del Gup, sottoposto al vaglio del tribunale dei minori. Secondo la migliore dottrina, è più in generale esclusa l'applicabilità della misura di sicurezza in oggetto (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 549): - con il decreto di archiviazione; - con la sentenza emessa nel corso delle indagini preliminari ex art. 26 d.P.R. n. 448/1988; - con la sentenza di condanna all'esito di giudizio abbreviato. In caso di applicazione provvisoria della misura (e anche di rigetto della relativa richiesta), gli atti vanno trasmessi al tribunale per i minorenni, ma la misura provvisoriamente applicata cessa di avere effetto decorsi trenta giorni dalla pronuncia, senza che abbia avuto inizio il procedimento dinanzi al Tribunale. Competente a disporre l'esecuzione della misura applicata è il tribunale di sorveglianza per i minorenni del luogo dove la misura deve essere eseguita (art. 40 d.P.R. n. 448/1988). CasisticaLa misura di sicurezza applicata con sentenza dal tribunale per i minorenni cui il G.i.p. abbia trasmesso gli atti ai sensi dell'art. 37, comma 3, d.P.R. n. 448/1988, non è definitiva fino a che nei confronti del destinatario della stessa non sia pronunciata sentenza di condanna irrevocabile (Cass. III, n. 15381/2010, in ipotesi di ricovero in riformatorio giudiziario da ritenersi provvisorio, stante la pendenza dei termini per la presentazione dell'appello avverso la sentenza di condanna). BibliografiaAlessandri, Pena e infermità mentale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1976, 227; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano, 1970, 577; Piccione, Libertà dall'ospedale psichiatrico in dismissione e rischi di regressione istituzionale, in Riv. Aic, 2014, n. 4. |