Codice Penale art. 250 - Commercio col nemico.Commercio col nemico. [I]. Il cittadino [4 1, 242 3], o lo straniero dimorante nel territorio dello Stato [4 2], il quale, in tempo di guerra [310] e fuori dei casi indicati nell'articolo 248, commercia, anche indirettamente, con sudditi dello Stato nemico, ovunque dimoranti, ovvero con altre persone dimoranti nel territorio dello Stato nemico, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa pari al quintuplo [27] del valore della merce e, in ogni caso, non inferiore a 1.032 euro [313 2]. competenza: Corte d'Assise arresto: obbligatorio fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.) altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio, se il reato è commesso a danno dello Stato italiano; con l'autorizzazione del Ministero della giustizia se il reato è commesso a danno di uno Stato estero InquadramentoDelitto compreso nel Capo I del Titolo I del Libro II del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. Per ciò che attiene al bene giuridico, la dottrina ha osservato che la norma tutela l'interesse (e, quindi, la sicurezza) dello Stato nella sua qualità di belligerante; essa è dunque volta ad evitare che, mediante scambi commerciali privati, siano incrementate le disponibilità economiche del nemico, con conseguente potenziamento dei mezzi di resistenza e di lotta contro lo Stato italiano (Ariolli, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 44). I soggettiSoggetto attivo. L'autore del reato è qui indicato con il termine il cittadino, ovvero lo straniero, purché dimorante in territorio italiano: si è, quindi, in presenza di un reato proprio. Trattasi di un reato necessariamente plurisoggettivo, visto che lo stesso concetto di commercio presuppone intrinsecamente la partecipazione di almeno due soggetti. MaterialitàPresupposto necessario per la astratta realizzazione della fattispecie delittuosa in esame è l'esistenza di una condizione di guerra (v. art. 310). La condotta tipica indicata dal legislatore consiste nel cd. favoreggiamento bellico, in particolare in campo economico. Questo si realizza mediante il commercio — anche in via indiretta, ossia mediante intermediari magari appartenenti a Nazioni non belligeranti, ovvero tramite successivi passaggi delle merce oggetto di negoziazione — con il nemico. Il termine commercio deve qui essere inteso nella sua massima estensione, potendo evidentemente esservi ricompreso qualsiasi scambio, trasporto, trasferimento materiale o consensuale di beni, merci, materiale bellico e non, a qualsiasi titolo ed in qualunque modo effettuato. Elemento psicologicoSi richiede il semplice dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di commerciare con soggetti facenti parte dello Stato in guerra con l'Italia o che in esso siano dimoranti. Errore di fatto (art. 47) È altresì richiesta la consapevolezza — in capo all'agente — della qualità personale del soggetto con il quale si trovi a commerciare: la carenza di tale elemento costituirebbe, infatti, un errore di fatto in grado di escludere la punibilità ex art. 47. Consumazione e tentativoIl delitto viene a consumazione attraverso la mera conclusione di un atto in grado di integrare un commercio (ossia, ogni tipo di traffico concernente beni o servizi), non apparendo necessario il passaggio materiale tra i contraenti delle cose che costituiscono l'oggetto dello scambio. Secondo la dottrina, il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui l'agente ha commesso il primo fatto di commercio, indipendentemente dalla circostanza che le cose siano poi effettivamente entrate nella disponibilità dei soggetti indicati dalla norma (Alpa-Garofoli, 29; Malizia). Il tentativo è ammissibile (Beltrani, 147). Rapporti con altri reatiArt. 248 c.p Per quanto concerne il rapporto tra la previsione in esame ed il dettato dell'art. 248 — rispetto al quale la norma in esame riveste una funzione residuale — la sottile differenza esistente tra le due figure sembra risiedere non tanto nell'oggetto delle negoziazioni (non aprioristicamente determinato nella fattispecie de qua ed invece indicato con i termini provvigioni e altre cose nel corpo dell'art. 248) e nemmeno nelle modalità attraverso le quali avviene la traditio (il legislatore ha adoperato — nel descrivere la condotta punita dall'art. 248 il verbo somministrare, laddove si è qui affidato al generico concetto di commercio). Si noterà invece come i rapporti dell'autore del reato si debbano svolgere — nella figura delittuosa di cui all'art. 248 — con lo Stato nemico (dunque con organi, enti, strutture, organizzazioni che possano essere in qualche modo rappresentativi dello Stato nemico nel suo complesso), laddove l'art. 250 richiede che il commercio si debba svolgere direttamente con soggetti ben individuati (ossia con sudditi dello Stato nemico, ovvero con altre persone dimoranti nel territorio dello Stato nemico). Ciò che è qui punito, dunque, è l'instaurazione — o anche il mantenimento in atto — di un rapporto negoziale, commerciale, di relazioni d'affari (quelle che in tempo di pace normalmente si intrecciano a ritmo vorticoso, soprattutto al tempo attuale, caratterizzato da rapidissima ed agevole comunicazione a livello planetario). La dottrina ha, con fondamento, sostenuto che oggetto giuridico della figura tipica in esame è l'interesse dello Stato ad evitare che commerci dei privati col nemico ne possano rafforzare le potenzialità di lotta e resistenza. Tale fattispecie costituisce quindi un'ipotesi di favoreggiamento economico (Trinci-Farini, 61). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio, se è commesso in danno dello Stato italiano; è invece necessaria l'autorizzazione del Ministro della Giustizia, se perpetrato in « danno di uno Stato estero o alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano » (art. 313, comma 2). La competenza è della Corte d'assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è obbligatorio, il fermo è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaAlpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, I, Roma, 2009; Beltrani, Il delitto tentato. Parte generale e parte speciale, Padova, 2003; Delpino-Pezzano, Manuale di Diritto Penale- Parte speciale, Napoli, 2015; Malizia, voce Distruzione e danneggiamento di opere, di edifici o cose militari, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964; Trinci-Farini, Diritto Penale - Parte speciale, Roma, 2015. |