Codice Penale art. 252 - Frode in forniture in tempo di guerra.

Angelo Valerio Lanna

Frode in forniture in tempo di guerra.

[I]. Chiunque, in tempo di guerra [310], commette frode nell'esecuzione dei contratti di fornitura o nell'adempimento degli altri obblighi contrattuali indicati nell'articolo precedente è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni e con la multa pari al quintuplo del valore della cosa o dell'opera che avrebbe dovuto fornire, e, in ogni caso, non inferiore a 2.065 euro [268, 3132; 163 c.p.m.g.].

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio, se il reato è commesso a danno dello Stato italiano; con l'autorizzazione del Ministero della giustizia se il reato è commesso a danno di uno Stato estero

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice, tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato.

Per quanto attiene all'interesse protetto dalla norma, si ritiene che esso sia rappresentato dall'esigenza dello Stato, connessa alla sua posizione di belligerante, di impedire che, per effetto dell'inadempimento di forniture per le forze armate o la popolazione civile si indebolisca la potenza bellica o la forza civile di resistenza della nazione” (Ariolli, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 167). Si è anche scritto che: “oggetto della tutela è l'interesse dello Stato ad evitare che, per effetto della frode in contratti di forniture destinate alle forze armate o alla popolazione, venga diminuita, in tempo di guerra, la potenza militare o la capacità di resistenza dello Stato stesso” (Alpa-Garofoli, 32).

I soggetti

Soggetto attivo

Per la definizione degli obblighi contrattuali — ambito oggettivo nel quale si situa la condotta punita — il legislatore rimanda alla descrizione contenuta nell'articolo precedente. Per riassumere. Autore del reato può essere quindi soltanto il soggetto che — in tempo di guerra, ovvero anche quando vi sia un pericolo imminente che la stessa possa realizzarsi (art. 310) — non solo non adempia agli obblighi derivanti da contratti di fornitura (come invece si limita a richiedere la norma che precede), bensì commetta una vera e propria frode nella fornitura stessa. Nonostante l’utilizzo del termine chiunque, del fatto può rendersi protagonista solo colui che si trovi in un dato rapporto negoziale con la pubblica amministrazione; sembra pertanto corretto definire la figura in commento quale reato proprio.

Soggetto passivo

Il soggetto passivo del delitto in esame può essere sia lo Stato italiano, sia uno Stato estero che con questo sia alleato o associato, a fini di guerra.

Materialità

È in primo luogo richiesta l'esistenza di uno stato di guerra.

Sotto il profilo oggettivo, la figura delittuosa in esame si differenzia rispetto a quella prevista dall'art. 247, in quanto è qui assente la strumentalizzazione della condotta di frode al fine di portare vantaggi alle attività belliche del nemico.

La terminologia adoperata (“commettere frode”) richiama una condotta che si concretizzi nella indebita modifica unilaterale- a danno del contraente pubblico ed all'insaputa di questo — delle modalità attuative di un dato negozio giuridico; il dettato della norma postula, inoltre, l'adozione di un mezzo idoneo di tipo fraudolento, senza però che sia necessaria la perpetrazione di artifici o raggiri propriamente detti. Sotto il profilo logico e cronologico, la frode si situa inoltre in epoca antecedente — oppure anche in situazione di contestualità temporale — rispetto alla consegna delle cose o opere che sono oggetto del contratto di fornitura; ovvero anche prima o durante l'esecuzione delle obbligazioni gravanti sui subfornitori, mediatori e rappresentanti del fornitore ultimo (Manzini, 18).

Il delitto in esame si applica « ai fatti commessi in tempo di guerra, mentre quello preveduto dal codice penale militare di guerra (art. 163 c.p.mil.g.) riguarda anche i fatti commessi fuori del tempo di guerra nelle situazioni nelle quali si applica la legge penale militare di guerra» (Ariolli, in Rassegna Lattanzi-Lupo 2010, 70). È un reato di danno.

Il contesto nel quale viene a collocarsi la condotta tipica è esattamente identico a quello previsto dal reato di cui all'art. 251. La norma postula quindi l’esistenza di una condizione di guerra, nonché la conclusione di un contratto di fornitura (si possono allora semplicemente richiamare le nozioni enucleate nel corso dell'analisi dell'art. 251). L'elemento differenziale è qui costituito dal fatto che non viene punito il mero inadempimento — doloso o colposo — bensì una condotta genuinamente definibile fraudolenta.

Il concetto di frode — rilevante ai fini dell'integrazione del presente archetipo normativo — è da intendere secondo una accezione oltremodo ampia come “qualsiasi malizia, espediente o artificio, con cui l'obbligato alla fornitura si sottrae, in tutto o in parte, all'esecuzione del contratto” (Delpino-Pezzano, 22). Tale condotta è stata anche definita come “... qualsiasi espediente od artificio con cui l'obbligato alla fornitura si sottrae in tutto o in parte alla esecuzione del contratto” (Fiandaca-Musco, 100).

L'elemento psicologico

Il coefficiente psicologico richiesto è il solo dolo generico. Questo consiste nella coscienza e volontà di sottrarsi agli obblighi derivanti dalla stipula di un contratto, serbando un comportamento di tipo fraudolento.

Errore di fatto (art. 47 c.p.)

È altresì richiesta la consapevolezza — in capo all'agente — dell'esistenza di una condizione di guerra: la carenza di tale elemento costituirebbe, infatti, un errore di fatto in grado di escludere la punibilità, a norma dell'art. 47.

Consumazione e tentativo

Il delitto in esame si consuma allorquando — avvenuta la dazione della res ovvero delle opere — la frode riverberi i propri effetti nella sfera giuridica della controparte pubblica del contratto. E ciò, anche in assenza di un danno effettivo.

È immaginabile una sorta di sanatoria, mediante eventuale accettazione di quanto venga consegnato, pur se in maniera difforme rispetto agli obblighi contrattualmente assunti; a patto però che l'accettante sia titolato ad impegnare la P.A. contraente e l'accettazione risponda comunque agli interessi pubblici.

Non vi sono dubbi, circa la configurabilità del tentativo.

Casistica

Secondo il Supremo Collegio (sentenza del 20 dicembre 1946, riportata da Ariolli, in Lattanzi-Lupo, 69), si rende protagonista del reato de quo il socio in partecipazione di una ditta che, in tempo di guerra, aveva assunto l'obbligazione di fornire alle forze armate abbigliamento di tipo militare il quale, una volta assunta la veste di subfornitore — stante la cessione del contratto limitatamente al rapporto di partecipazione — e avuta la disponibilità di stoffa che era, per qualità e quantità, idonea al confezionamento del numero di divise da fornire, le produca e le fornisca invece di misura inferiore, lucrando poi anche la quantità di stoffa risparmiata, che non restituiva, non adempiendo anche qui ad un preciso obbligo negoziale. La Corte ha precisato, in tal caso, come il delitto ex art. 252 possa concorrere con quello di appropriazione indebita.

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è procedibile d'ufficio se commesso in danno dello Stato italiano; è invece procedibile solo a seguito di autorizzazione del Ministro di Giustizia, se perpetrato in « danno di uno Stato estero o alleato o associato, a fine di guerra, allo Stato italiano» (art. 313 comma 2); la competenza appartiene alla Corte d'Assise ed è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è obbligatorio; il fermo è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, t. I, Roma, 2015; Delpino-Pezzano, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Napoli, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale parte speciale, vol. 1, Bologna, 1993; Manzini, Istituzioni di diritto penale italiano, parte speciale, vol. II, Padova, 1955.

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