Codice Penale art. 278 - Offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (1).

Angelo Valerio Lanna

Offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (1).

[I]. Chiunque offende l'onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni [290-bis, 292-bis, 301, 313] (2).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317. Il testo originario recitava: «Offesa all'onore del Re, del Reggente, della Regina, del Principe Ereditario e dei Principi della Famiglia Reale. [I]. Chiunque offende l'onore o il prestigio del Re o del Reggente è punito con la reclusione da due a sette anni. [II]. Se il fatto è commesso contro la Regina o il Principe Ereditario, il colpevole è punito con la reclusione da uno a cinque anni. [III]. Se il fatto è commesso contro un'altra persona della Famiglia Reale, ovvero è offesa la memoria di un ascendente o di un discendente o di un altro prossimo congiunto del Re, del Reggente o della Regina, il colpevole è punito con la reclusione da uno a tre anni».

(2) Cfr. per un'estensione del trattamento punitivo previsto dalla presente disposizione, in relazione alla persona del Sommo Pontefice, art. 82 Trattato 11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l'Italia.

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: con l'autorizzazione del Ministro della giustizia

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato. Il testo della norma è stato così novellato ad opera dell'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317. Si potrà esaminare il commento all'art. 276, per ciò che inerisce alla equiparazione — agli effetti della presente norma — della persona del Pontefice a quella del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 8 l 27 maggio 1929, n. 810, di ratifica del Trattato Lateranense. Giova rammentare come, ai sensi dell'art. 290-bis, debbano ritenersi integrati gli estremi costitutivi del reato in analisi, anche nel caso in cui l'azione delittuosa venga attuata nei confronti del Presidente del Senato allorquando questi — ex art. 86 Cost. — faccia le veci del Presidente della Repubblica.

Con riferimento al bene giuridico tutelato, si può sottolineare come si tratti di una norma che appresta una particolare tutela all'onore ed al prestigio del Capo dello Stato; ciò ovviamente avviene non per il tramite di un riferimento alla soggettività del Presidente, bensì in quanto questi è il simbolo e l'emblema dell'altissimo livello morale dell'istituzione rappresentata. Una lesione all'integrità di tale bene giuridico si risolverebbe infatti, evidentemente, in un pericolo di disgregazione dell'ordinamento democratico.

I soggetti

Soggetto attivo

La figura delittuosa in esame costituisce sicuramente un reato comune, visto che la condotta incriminata può esser messa in atto da chiunque; quindi, sia da un cittadino che da uno straniero.

Nel caso in cui della medesima condotta si renda protagonista un militare, troverà invece applicazione il disposto dell'art. 79 c.p.mil.p.

Soggetto passivo (rinvio)

Può qui farsi un integrale richiamo a quanto espresso in sede di commento all'art. 276.

È forse solo utile rimarcare come il succitato art. 8 l. 27 maggio 1929, n. 810, di ratifica del Trattato Lateranense, richieda che l'azione ingiuriosa nei confronti del Pontefice sia concretizzata non solo all'interno del territorio italiano, bensì anche che venga posta in essere pubblicamente. In carenza di tale ultimo elemento, alcuni interpreti pensavano di poter ricondurre l'offesa portata al Pontefice sotto l'egida normativa dell'art. 297 (Marconi, 249). Quest'ultima previsione delittuosa è stata però ormai abrogata, ad opera dell'art. 18, l. 25 giugno 1999, n. 205. Si è allora osservato come il Capo Quarto del Codice sia stato oggetto di profonda riforma, attuata appunto mediante l'intervento della succitata disposizione legislativa. L'elisione della previsione di una forma di protezione privilegiata — nei confronti dell'onore e del prestigio dei Capi di Stato esteri — non può che aver comportato l'affidamento della residua tutela penale, in via esclusiva, alle previsioni incriminatrici in tema di ingiuria o diffamazione, aggravate ai sensi dell'art. 300 comma 3 (Pelissero, 217).

Materialità

La condotta conforme al modello legale è rappresentata, naturalmente, da offese che siano effettivamente da considerare tali; sarebbe a dire, non da mere sgarberie o da semplici espressioni di cattiva educazione. Può però indifferentemente trattarsi tanto di offese indirizzate all'ambito, per così dire personale, soggettivo del Presidente, quanto di insulti più strettamente attinenti alla sfera funzionale (ossia alla veste ricoperta).

L’art. 301 (al quale si rimanda per un esame più specifico), stabilisce che — allorquando l’offesa contro la persona rappresenta elemento costitutivo di altro reato — si verifica la scissione del reato complesso. L’aggressione rivolta in danno dell’onore o del prestigio del Capo dello Stato resta pertanto punita ex art. 278, mentre la residua condotta viene ascritta in base alle modalità ordinarie di imputazione in tema di concorso fra reati.

Devono peraltro venire in rilievo condotte che — laddove non rivolte in danno del Presidente della Repubblica — sarebbero comunque sussumibili sotto l'egida normativa degli artt. 341-bis, o 595. Si è infatti in dottrina sottolineato come il genere di offesa rivolta al Presidente della Repubblica non possa che essere costituita da una condotta in grado di integrare — ove non rivolta in danno di quest'ultimo — un reato comune, quale l'oltraggio, l'ingiuria (oggi depenalizzata) o la diffamazione (Manzini, Trattato, IV, 41).

La norma non postula poi che l'offesa sia arrecata con uno specifico mezzo di diffusione (stampa, televisione, internet), né che il fatto avvenga in ambiti o circostanze particolari.

Non possono infine operare — in ordine alla fattispecie criminosa in commento — le scriminanti previste dall'art. 599 in relazione ai delitti di ingiuria e diffamazione (reciprocità e provocazione). Queste presuppongono infatti una condizione paritaria, tra il soggetto agente ed il destinatario dell'offesa, che non è però immaginabile, in relazione alla disposizione codicistica de qua (Manzini, Trattato, IV, 417).

Elemento psicologico

L'elemento psicologico preteso dalla norma è il dolo generico. Si richiedono dunque la semplice coscienza e volontà di perpetrare la condotta offensiva, ossia di portare un insulto — mediante scritti, atti o parole — al soggetto investito della carica di Presidente della Repubblica, ovvero di Pontefice. La norma pretende però la consapevolezza della carica rivestita dalla vittima dell'offesa.

Si è poi scritto che: “Sono ininfluenti il particolare fine perseguito dal reo o i motivi che lo abbiano spinto all'azione e ne consegue che l'elemento soggettivo, il quale si esaurisce nella conoscenza dell'idoneità offensiva delle espressioni volontariamente adoperate, non è escluso dallo scopo di scherzo propostosi dall'agente” (Nuzzo, in Rassegna Lattanzi-Lupo, VI,  2010, 277).

Consumazione e tentativo

Il delitto giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui la condotta atta ad arrecare pregiudizio all'onore o al prestigio dell'istituzione venga a conoscenza di altre persone, senza necessità di un effettivo discredito nei confronti del soggetto passivo (Alpa-Garofoli, 97).

L'ininfluenza della materiale realizzazione di una lesione al bene giuridico protetto trova la sua scaturigine nella strutturazione della figura tipica, quale reato di pericolo concreto (in questo senso, tra gli altri, Dean, 1105, che non reputa indispensabile la verificazione di una “effettiva diminuzione del bene tutelato”).

I più accorti esegeti della norma ritengono ipotizzabile il tentativo, laddove però l'iter criminis si snodi attraverso varie fasi tra loro apprezzabilmente separabili.

Casistica

Si riportano alcune pronunce particolarmente interessanti, evidenziando il tema in esse affrontato:

a) questioni di legittimità costituzionale:

- la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, sul presupposto che la stessa non contrasti con il principio generale rappresentato dalla pari dignità sociale di tutti i cittadini. La previsione penalistica, in realtà, sanziona non la mera aggressione ai beni comuni riconducibili ad ogni soggetto, bensì il nocumento arrecato al prestigio della istituzione in quanto tale; la condotta illecita, infatti, offende la stessa personalità dello Stato, che il Presidente della Repubblica rappresenta (Cass. I, n. 1511/1969);

- è stata ritenuta parimenti manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale della norma de qua — posta in relazione al disposto dell'art 3 Cost. — muovendo dal concetto basilare secondo il quale essa non comporti alcuna violazione, rispetto al principio della pari dignità sociale di tutti i cittadini. Viene infatti colpita non l'aggressione ad interessi che siano riconducibili ad ogni soggetto in modo indifferenziato e paritetico, bensì la lesione condotta nei riguardi del credito spettante alla istituzione; l'agire del reo, in effetti, rappresenta un attacco diretto alla personalità dello Stato, simboleggiata dal Capo dello Stato. Inoltre, stando all'insegnamento della Corte, il diritto di critica — momento essenziale del diritto di libera espressione del pensiero, tutelato a livello costituzionale dall'art 21 Cost. — è legittimamente esercitabile anche nei riguardi delle più alte istituzioni dello Stato; incontra però una barriera insormontabile, rappresentata dall'esigenza che vengano mantenuti intonsi il prestigio, il decoro e l'autorevolezza delle istituzioni e quindi, anzitutto, proprio del Presidente della Repubblica (Cass. I, n. 5844/1978);

- è da ritenersi manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale della disposizione normativa in argomento, in relazione ai principi stabilita dagli artt. 3 e 27 Cost.: ciò con riferimento ad una pretesa irragionevolezza della sanzione, stante la asimmetria nei riguardi della pena prevista per i delitti di ingiuria (oggi depenalizzata) e di oltraggio a pubblico ufficiale. E infatti, la straordinaria importanza del bene giuridico oggetto di protezione mediante tale previsione, rende del tutto impropria la ricerca di qualsivoglia forma di equipollenza, tra quest'ultima ed i delitti comuni sopra richiamati. In conseguenza, la norma non deborda dai canoni ordinari della congruità, tanto con riferimento al versante della intima coesione sistematica, quanto per ciò che concerne il profilo dell'eventuale contrasto con i valori espressi dalla Costituzione (Cass. I, n. 3069/1996);

- nuovamente la Corte ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, per quanto attiene al versante della lesione al principio di uguaglianza, per una irragionevole severità della pena edittale, ove parametrata a quella invece prevista per i delitti di ingiuria e diffamazione, laddove il bene giuridico tutelato è rappresentato dall'onore e dal prestigio di un comune cittadino o di un pubblico ufficiale. La figura tipica ex art. 278, infatti, appresta una idonea ed elevata protezione non soltanto al bene giuridico rappresentato dal prestigio del Capo dello Stato — quindi della Istituzione da questi rappresentata — ma anche alla possibilità che sia possibile continuare serenamente ad espletare le funzioni collegate a tale qualità. Questa è appunto l'essenza della straordinarietà della figura del Presidente della Repubblica ed è anche la ragione di fondo, che è sottesa all'esistenza di un diverso trattamento in sede penale. Il Supremo Collegio — nella medesima decisione e facendo espressamente riferimento alla questione di legittimità costituzionale sollevata per asserito contrasto con gli artt. 21, 24, 25 e 111 Cost. — ha chiarito come la norma in commento punisca l'aggressione portata nei confronti di beni giuridici che hanno rilievo di rango costituzionale. Oggetto di protezione, infatti, sono qui l'onore ed il prestigio della istituzione repubblicana in re ipsa, nonché l'unità della Nazione, di cui il Presidente della Repubblica è rappresentante. L'importanza degli interessi oggetto di salvaguardia, dunque, legittima anzitutto l'impossibilità per l'imputato di prospettare l'exceptio veritatis (cosa che non confligge con le garanzie costituzionali inerenti all'esplicazione del diritto di difesa); ma tale importanza si pone, inoltre, a fondamento della costruzione della figura tipica quale reato a forma libera, senza che ciò possa esser considerato in conflitto con i principi costituzionali di tassatività e di libera espressione del pensiero (Cass. I, n. 12625/2004);

b) in punto di elemento soggettivo:

- secondo i Giudici di legittimità, la figura tipica non postula la sussistenza di dolo connotato da una finalità specifica, essendo invece bastevole la semplice volontà di serbare la condotta offensiva. È però ovviamente richiesto che il soggetto agente abbia la consapevolezza della veste ricoperta dalla vittima dell'azione; dunque, che sia conscio di ingiuriare colui che sia investito della carica di Capo dello Stato o di Sommo Pontefice (Cass. I, n. 7461/1972);

c) circa il tipo di condotta assoggettata a sanzione penale:

- la Corte riconduce all'alveo previsionale della norma in analisi ogni tipologia di offesa, che venga condotta in danno del Capo dello Stato, sia essa rivolta verso la persona — nell'esercizio o a causa delle funzioni connesse alla carica ricoperta — sia essa attinente alla individualità (anche laddove, quindi, l'offesa inerisca a fatti antecedenti rispetto all'assunzione della carica stessa). Le offese infatti — anche ove non siano portate contemplatione officii — riverberano concreti effetti negativi sul prestigio della istituzione (Cass. I, n. 5844/1978);

- il paradigma normativo non esige che la condotta insultante e lesiva nei confronti dell'onore e del prestigio del Presidente della Repubblica sia posta in essere per il tramite della stampa, bastando invece la mera comunicazione dell'offesa a terzi, con qualsiasi mezzo (Cass. I, n. 9880/1996).

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile a seguito di autorizzazione del Ministro della Giustizia e di competenza del Tribunale in composizione monocratica; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) non è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è previsto come facoltativo; il fermo non è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Alpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, Tomo I, 2015; Dean, voce Personalità interna dello Stato (delitti contro), in Nss. D.I., XII, Torino, 1965; Manzini, Istituzioni di Diritto Penale italiano, Padova, 1955; Marconi, voce Presidente della Repubblica (Reati contro il), in Enc. dir., XXXV, Milano, 1986; Pelissero, Reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico, in Trattato teorico/pratico di diritto penale, a cura di Palazzo-Paliero, Torino, 2010.

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