Codice Penale art. 384 - Casi di non punibilità (1).Casi di non punibilità (1). [I]. Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto [307 4] da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore (2). [II]. Nei casi previsti dagli articoli 371-bis, 371-ter, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini [362 c.p.p.] o assunto come testimonio [246, 247, 249 c.p.c.; 197, 201, 202 c.p.p.], perito [222 c.p.p.], consulente tecnico [61, 63 c.p.c.; 222 a, d, 225 3, 233 3 c.p.p.] o interprete [122-124 c.p.c.; 144 c.p.p.] ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni [199, 362 c.p.p.], testimonianza [199 c.p.p.], perizia, consulenza o interpretazione (3). (1) Articolo così sostituito dall'art. 11 7 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356. Il testo originario recitava: «[I]. Nei casi preveduti dagli artt. 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore. [II]. Nei casi preveduti dagli artt. 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere assunto come testimonio, perito o interprete, ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, perizia o interpretazione». (2) Comma così modificato dall'art. 22 4 l. 7 dicembre 2000, n. 397, che ha inserito le parole «371-ter». (3) La Corte cost., con sentenza 20 marzo 2009 n. 75, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui «non prevede l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente collegato - a norma dell'art. 371, comma 2, lettera b), codice di procedura penale - a quello, commesso da altri, cui le dichiarazioni stesse si riferiscono». Il presente comma era stato modificato dapprima dall'art. 224 l. n. 397, cit., e successivamente dall'art. 21 l. 1° marzo 2001, n. 63, che ha sostituito alla parola «ovvero», le parole «ovvero non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere o». Precedentemente la Corte cost., con sentenza 27 dicembre 1996, n. 416, ne aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevedeva l'esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell'art. 199 del codice di procedura penale. InquadramentoL'art. 384 prevede nel primo e nel secondo comma due diversi “casi di non punibilità” applicabili per parte dei delitti contro l'attività giudiziaria. Il primo comma esclude la punibilità, quanto ai reati di omissione di denuncia (artt. 361-365), rifiuto di uffici legalmente dovuti (art. 366), autocalunnia (art. 369), false dichiarazioni o perizia o interpretazione (artt. 371-373), frode processuale (art. 374) e favoreggiamento personale (art. 378), se il reo ha commesso il fatto perché costretto dalla necessità di salvare sé stesso od un prossimo congiunto da un “grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore”. Il secondo comma esclude la punibilità, quanto ai reati di false dichiarazioni o perizia o interpretazione (artt. 371-373), se chi ha commesso il fatto non poteva essere sentito o comunque non obbligato a deporre ovvero, ricorrendole le condizioni, non era stato avvisato della facoltà di astenersi. Il limite del “nocumento nella libertà o nell'onore” esclude che l'esimente possa trovare applicazione in caso di timore di subire conseguenze pregiudizievoli per la vita o l'incolumità, ambito invece della scriminante dello stato di necessità ex art. 54 (Cass. VI, n. 27411/2024). Prima ipotesi: necessità della condotta per evitare un nocumento
Per la prima ipotesi si rileva la somiglianza testuale alla scriminante dello stato di necessità. Tale dato non è, però, risolutivo al fine del corretto inquadramento della “causa di non punibilità” per il quale vi sono due tesi diverse. La tesi che ha ormai prevalso, come sviluppata nella sentenza S.U., n. 10381/2020, afferma che è in presenza di una causa di non punibilità di carattere soggettivo. La disposizione esclude la colpevolezza in ragione della particolare situazione soggettiva di chi ha commesso i reati, in applicazione della regola di inesigibilità di un comportamento diverso, sintetizzata nel principio secondo cui nemo tenetur se detegere e nella considerazione dei vincoli di solidarietà familiare (Cass. V, n. 18110/2018). La disciplina deve essere tutta interna all'art. 384, senza possibilità di fare riferimento alle disposizioni in tema di stato di necessità, con la conseguenza che non ha rilievo chi abbia cagionato il pericolo (Cass. n. 45233/2012) e non è richiesta la proporzionalità; inoltre, la non punibilità non opera per i concorrenti appunto perché causa esclusivamente soggettiva. Tale interpretazione, hanno chiarito le Sezioni Unite, esclude che si tratti di una norma di carattere eccezionale in quanto, anzi, applica le regole generali del nemo tenetur se detegere e del ad impossibilia nemo tenetur, che risultano applicazioni del principio di colpevolezza dell'art. 27, comma 1, Cost. «sotto il profilo della necessaria valutazione della possibilità per il soggetto di agire diversamente»; la conseguenza fondamentale è che la disposizione può essere interpretata in via analogica in bonam partem, affermandosi, come detto dopo, l'applicabilità al caso della convivenza di fatto. Ormai recessiva, invece, la diversa tesi, sinora assai diffusa sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo la quale ricorre una esimente tale da escludere la stessa antigiuridicità del fatto. Si tratterebbe, quindi, di una causa di giustificazione, di natura oggettiva, ovvero una chiara ipotesi speciale dello stato di necessità. La prima ed immediata conseguenza pratica di tale ricostruzione è che si deve far riferimento all'art. 54 per il completamento della disciplina, applicandosi le regole dello “stato di necessità” per quanto non espressamente disciplinato nell'art. 384. In particolare, si tratta di applicare anche nelle ipotesi del primo comma dell'articolo in questione quei requisiti che la norma non prevede espressamente ma che, appunto, derivano dall'essere una specificazione dello “stato di necessità”: ovvero 1) il non avere l'interessato volontariamente causato la situazione di pericolo (Cass. n. 7823/1999) nonché 2) la proporzionalità tra la conseguenza che si intende evitare e la condotta costituente reato. Un'ulteriore importante conseguenza di tale qualificazione è la regola in tema di onere della prova: in quanto elemento negativo del fatto, l'onere di dimostrarlo spetta all'imputato (Cass. VI, n. 1401/2015). Ciò, ovviamente, non esclude che l'esimente possa essere rilevata di ufficio se risulta con immediatezza dagli atti. Nel senso del carattere soggettivo della causa di non punibilità si veda, in dottrina, Fiandaca Musco che da tale inquadramento fa derivare anche la regola di non estensione ai concorrenti nel reato. In termini opposti, invece, Antolisei privilegia la interpretazione dell'art. 384 quale ipotesi speciale di esimente, con tutti i requisiti dello stato di necessità, risultandone, altrimenti, un ingiustificato ampio ambito di tolleranza del mendacio. In giurisprudenza si è anche osservato che in realtà, qualsiasi sia la configurazione giuridica dell'istituto, la questione relativa all'avere il soggetto interessato dato causa alla situazione di pericolo (principale conseguenza pratica del seguire l'una o l'altra tesi insieme alla possibilità di interpretazione analogica in bonam partem) rileva ben poco: la norma formula espressamente un giudizio di prevalenza dei diritti dell'individuo rispetto agli interessi tutelati dalle varie disposizioni cui l'istituto è applicabile senza riferimento ad altre condizioni (lo si è affermato in particolare per il diritto di difesa rispetto al rischio di accusare se stessi tenendo la condotta doverosa, per esempio in materia di falsa testimonianza: in tale caso, la norma risolve comunque la questione nel senso della prevalenza del diritto di difesa, senza che possa avere alcuna incidenza la scelta di inquadramento teorico). La dimostrazione che si tratta essenzialmente di una valutazione di comparazione degli interessi risulta dal diverso trattamento riservato alla calunnia (per cui non si applica la causa di non punibilità essendovi l'interesse leso del terzo, ritenuto prevalente) ed alla autocalunnia (cui, invece, si applica, non essendovi l'interesse leso del terzo). Si veda, ad esempio, Cass. n. 37398/2011 che svolge tale ragionamento per affermare la rilevanza dell'interesse al mantenimento del posto di lavoro rispetto al rischio di licenziamento in caso di testimonianza “vera” ma sfavorevole al datore di lavoro. Conseguente al principio della non rilevanza dell'avere la parte dato causa alla situazione da cui deriva il pericolo di danno è la affermazione che le false dichiarazioni non sono punibili quando siano giustificate dall'esigenza di sottrarsi al pericolo di essere incriminato per un reato in precedenza commesso (Cass. VI, n. 12817/2013); si afferma, inoltre, che una volta commesso un reato di false dichiarazioni, la successiva conferma delle stesse non rappresenta un nuovo fatto punibile perché la condotta stavolta è scriminata per l'esigenza del dichiarante di non offrire prova della precedente deposizione falsa. Nocumento nella libertà o nell'onore Una fondamentale differenza rispetto alla ipotesi dello stato di necessità, secondo decisioni precedenti la sentenza delle S.U. del 2020, che risultaevidente dalla formulazione testuale dell'art. 384, è che la condotta non è punibile quando sia necessaria per evitare un danno effettivo e non, invece, un “pericolo... di un danno” come previsto dall'art. 54. Ciò esclude la possibilità di giustificare un reato commesso per il mero timore di un danno (Cass. II, n. 7264/2020; Cass. n. 19110/2015), come avviene, ad esempio, quando si prospetti il generico condizionamento dovuto alla pervasività della criminalità organizzata nel dato territorio; la necessaria prognosi dovrà portare a ritenere “estremamente probabile” il verificarsi dell'evento di danno evitabile solo con la commissione di uno dei reati contro l'amministrazione della giustizia (Cass. VI, n. 1908/1997). Una tale regola, posta in termini pratici, ha portato all'affermazione che il soggetto chiamato a deporre in qualità di parte offesa su un reato di cui sia rimasto vittima da parte di una banda criminale, deve esprimere in maniera esplicita o, se allusiva, comunque inequivocabile, di essere stato fatto segno di attuale minaccia o violenza, in modo da consentire l'attivazione del meccanismo procedurale previsto dall'art. 500 c.p.p. (Cass. VI, n. 27604/2016). Si noti, però, come, secondo la dottrina che maggiormente avvicina l'esimente in oggetto allo stato di necessità, al di là delle differenze lessicali, in entrambe le ipotesi — art. 54 e art. 384 — si discute di un medesimo pericolo di danno (Antolisei) e, quindi, non vi sarebbero differenze significative sotto questo punto di vista tra scriminante generale e scriminante speciale. Il nocumento che la norma indica è definito, oltre che come “grave e inevitabile”, quale incidente sulla “libertà” o sull'”onore”. La disposizione è stata letta in termini di stretto riferimento a tale solo tipo di danni con esclusione, quindi, del danno per l'incolumità fisica (Cass. VI, 7006/2021; Cass. VI, n. 26560/2008). In altri casi, invece, si è affermato che anche il danno per l'incolumità fisica non possa che essere ricompreso nella formula della norma non essendovi giustificazione per una tale limitazione della portata della disposizione (Cass. VI, n. 26061/ 2011) e, del resto, il danno alla integrità fisica si riverbera negativamente sulla stessa libertà morale della persona minacciata (Cass. VI, n. 26606/2009). Nel senso dell'essere riferibile la disposizione anche alla incolumità fisica, si vedano, in dottrina, Fiandaca Musco nonché Antolisei. Invero, pur a fronte di una giurisprudenza apparentemente difforme, la questione in concreto si risolve in quanto il rischio per l'incolumità fisica rientrerebbe, comunque, nell'ambito dello stato di necessità dell'art. 54. Ad es. nel caso della falsa testimonianza tale scriminante risulterebbe applicabile nel caso in cui vi sia una situazione di pericolo concreto e attuale di ritorsioni derivanti dalla testimonianza (Cass. VI, n. 7006/2021) (e non semplice “percezione” soggettiva, ovvero che il teste si “senta” minacciato). Ulteriore tema riguarda la definizione del pregiudizio significativo. Da questo, innanzitutto, si tendono ad escludere i profili di esclusiva rilevanza economica che non comporterebbero alcun pregiudizio all'onore o alla libertà. Un pregiudizio rilevante è, invece, quello che, come detto sopra, riguarda il “diritto all'occupazione”, che è di natura non esclusivamente patrimoniale, essendo quindi rilevante il pericolo di perdere il posto di lavoro (Cass. VI, n. 16443/2015). È, poi, sempre rilevante, a parte l'ambito coperto dal secondo comma della disposizione, il pericolo consistente nella esposizione a responsabilità penale in caso di condotta conforme a legge; in tale caso, si ritiene, facendo l'esempio delle mendaci dichiarazioni, che queste siano scriminate anche laddove vi possano essere diverse possibilità di difesa (Cass. VI, n. 52118/2014). Si è però chiarito che una tale esenzione da pena non può operare quando, con riferimento alla falsa testimonianza, la parte sia stata messa in condizioni di evitare di rendere dichiarazioni, venendo avvisata della facoltà di astenersi, ma non se ne sia avvalsa (si veda Cass. S.U. n. 7208/2008). Una particolare conseguenza del rilievo del pregiudizio penale quale nocumento è che, dopo che siano state rese dichiarazioni false, le ulteriori dichiarazioni false sono scriminate in quanto dire il vero rappresenterebbe l'autoaccusa di aver commesso un reato (falsa testimonianza, calunnia, autocalunnia) (Cass. n. 30830/2013). Una tale applicabilità della causa di non punibilità è stata estesa anche al caso in cui la parte abbia interesse a rendere dichiarazioni false per evitare un procedimento disciplinare (Cass. III, n. 45444/2014). L'interesse a non confessare un grave reato non è solo riferito alle conseguenze dirette: va scriminata anche la condotta tenuta per non confessare un reato quale la usura dal quale si è stati assolti perché la confessione integrale rappresenterebbe, comunque, un nocumento all'onore (Cass. VI, n. 28631/2007). Un caso di possibile “nocumento” particolarmente ricorrente nella casistica riguarda l'ipotesi dell'acquirente di droga ad uso personale che, sentito dalla polizia giudiziaria, neghi l'acquisto di stupefacente da parte dello spacciatore. Sul punto, si rinvia al commento dell'art. 378. Prossimo congiunto La definizione normativa di “prossimo congiunto” ai fini penali di cui all'art. 307apparentemente sembra risolvere ogni problema di individuazione dell'ambito dell'esimente; si consideri anche la modifica apportata da d.lgs. n. 6/2017 dell'art. 307, comma 4, che ha inserito “la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso”. Va, però, considerato il tema della possibile applicabilità al convivente more uxorio, che certamente non rientra, almeno testualmente, nella citata definizione; ancor di più dopo la riforma dell'art 307, essendo anzi significativo che, dovendo il d.lgs. n. 6/2017adeguare il sistema alla l. 76/2016 (”Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”) non abbia esteso la disposizione ai rapporti di fatto. Invero la linea interpretativa più attuale, rappresentata dalla citata decisione delle Sezioni Unite del 2020 (che ha ritenuto corrette le conclusioni cui erano già giunte Cass. VI, n. 11476/2019; Cass. VI, n. 34147/2015) ritiene che, al riguardo, debba farsi applicazione nell'ordinamento interno della più ampia tutela della famiglia di cui all'art. 8 Cedu, che secondo la giurisprudenza della Corte EDU ricomprende anche i rapporti di fatto, privi di formalizzazione legale, in tale modo ritenendo applicabile la disciplina in esame anche al convivente more uxorio sulla scorta di una interpretazione analogica; analogia resa possibile dalla interpretazione della disposizione nei termini detti di scusante soggettiva, senza che rappresenti alcun ostacolo la mancata previsione di tali rapporti personali nell'ambito del D.Lgs. n. 6/2017 e, quindi, nell'art. 307. Questa disposizione, difatti, intendeva disciplinare le sole unioni tra persone dello stesso sesso senza alcuna finalità di dare una disciplina esaustiva escludendo implicitamente l'estensione ai casi non previsti. Si consideri che in precedenza tale applicabilità in via analogica era già stata affermata da Cass. VI. n. 22398/2004. E' quindi definitivamente superata la interpretazione in termini di inapplicabilità, in base al dato testuale e con il conforto della Corte Costituzionale che aveva ritenuto non irrazionale una diversa forma di tutela per la famiglia “tradizionale”, si veda Cass. n. 16121/2014. Un'ulteriore questione riguarda i casi in cui il nocumento non riguardi direttamente il congiunto bensì i suoi correi o comunque i soggetti aventi posizioni strettamente connesse alla sua. La regola, affermata per la ipotesi della falsa testimonianza, è che ciò che è discriminato in tal caso riguarda le dichiarazioni rese su posizioni strettamente connesse a quelle del congiunto che non potrebbe non esserne danneggiato (Cass. VI, n. 12600/2013). Analogamente, in caso di sviamento degli inquirenti per la ricerca di latitanti (Cass. VI, n. 32578/2022). Infine, va considerato che secondo la giurisprudenza l'applicazione della causa di non punibilità di cui al primo comma viene, però, esclusa quando il procedimento nei confronti del congiunto nasca proprio su iniziativa di chi invoca la causa di non punibilità (Cass. VI, n. 40018/2012). Anche con riferimento ad una tale ultima ipotesi, però, va considerato come, per le false dichiarazioni, vi siano maggiori ambiti di non punibilità, tenuto conto dell'applicabilità delle due diverse ipotesi del primo e del comma 2. Non punibilità del soggetto irregolarmente sentito o incaricatoLa causa di non punibilità del secondo comma riguarda i soli reati di false dichiarazioni, perizia ed interpretazione commesse dal soggetto che: - non poteva essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini; - non poteva essere sentito come testimone, penale o civile; - non poteva essere incaricato quale perito o consulente tecnico o interprete; - comunque non avrebbe potuto essere obbligato a rendere testimonianza oppure a rispondere; - avrebbe dovuto essere (ma non lo è stato) avvisato della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni, svolgere attività di perito, consulente od interprete. Da tale disposizione si trae, quindi, la regola generale che i reati di cui agli artt. 371 - 373 presuppongono che il soggetto sia stato legittimamente assunto come persona informata sui fatti, testimone, consulente, perito od interprete, secondo le specifiche disposizioni processuali applicabili nei vari casi. Ricorrendo la situazione prevista dal secondo comma il dichiarante non è punibile, quale che sia la dichiarazione falsa e la situazione che l'ha determinata. La disposizione è, comunque, ritenuta una causa di non punibilità soggettiva e non una ragione di esclusione della antigiuridicità, per cui è applicabile la disciplina del primo comma dell'art. 111: del reato risponde chi ha determinato alla commissione del delitto una persona che si trovi nella condizione prevista dalla disposizione in esame (Cass. VI, n. 21913/2012). Le questioni controverse nonché ragione di difficoltà applicativa, derivano dalla necessità di verificare in termini “sostanziali” la sussistenza delle varie situazioni che, nei vari tipi di processo, rendono il soggetto incompatibile a testimoniare, etc. In termini generali è agevole l'applicazione per quanto riguarda consulente ed interprete in quanto è richiesta l'investitura formale ed i vari limiti alla nomina, anche quanto a profili di segreto professionale, sono chiaramente individuati. Le questioni si pongono con riferimento ai testimoni e alle persone informate dei fatti per le quali i limiti alla esclusione dell'obbligo di astensione derivano anche da condizioni sostanziali non necessariamente formalizzate. Con riferimento, in particolare, al processo penale, in cui il problema tipico è quello della possibile condizione di indiziato di reato del testimone o della possibilità che le dichiarazioni a lui richieste possano comportare una sua incriminazione, si afferma che, al di fuori del riscontro di indici formali (come è l'eventuale iscrizione nominativa nel registro degli indagati), spetta al giudice il potere di verificare l'attribuibilità alla persona della qualità di indagato al momento in cui le dichiarazioni vengono rese. E tale condizione sussiste quando la persona può oggettivamente, e non per mero arbitrario convincimento dell'interessato, essere incriminata in ragione dei fatti su cui è chiamata a riferire (Cass. n. 12514/2012) o essere già raggiunto da indizi di reità, dovendosi valutare i dati già acquisiti che non abbiano carattere di mero sospetto (Cass. n. 48764/2012). Ed anzi, proprio perché si discute di un profilo sostanziale (nessuno può essere obbligato a testimoniare contro sé stesso) l'esimente va applicata anche a colui che abbia deposto il falso su fatti per i quali poteva essere incriminato, anche se legittimamente escusso come teste, perché al momento non vi erano a suo carico indizi di reità (Cass. n. 25621/2012). L'esimente è applicabile all'imputato di delitto di falsa testimonianza per dichiarazioni rese in un processo civile qualora, a causa dell'interesse nella causa, egli non avrebbe dovuto essere assunto come teste ai sensi dell' art. 246 c.p.c. (Cass. n. 7839/2012). Passando con tali ultimi argomenti al processo civile, si consideri come la punibilità della falsa testimonianza in tale sede non è esclusa in presenza di un interesse di mero fatto non sorretto da una posizione di diritto sostanziale giuridicamente tutelabile, ove cioè manchi un interesse giuridico personale, concreto e attuale a proporre la domanda o a contraddire, sia sotto l'aspetto della legittimazione primaria, sia sotto quello della legittimazione secondaria, mediante intervento adesivo indipendente (Cass. n. 18800/2013). Casistica relativa alla seconda ipotesi Per le persone indicate nell'art. 200 c.p.p., la causa di non punibilità è applicabile nel caso in cui esse siano state obbligate a deporre o comunque a rispondere su quanto hanno conosciuto per ragione del loro ministero, ufficio o professione, al di fuori dei casi in cui può essere imposto tale obbligo. Non è invece applicabile in caso di scelta di rendere dichiarazioni nonostante il segreto poiché non è ipotesi in cui spetti l'avviso della facoltà di astensione (Cass. VI, n. 9866/2009). La non punibilità è stata quindi applicata al giornalista che si astiene dal deporre opponendo il segreto professionale in ordine all'indicazione di informazioni (Cass. VI, n. 22397/2004). Questa esimente è certamente applicabile al convivente «more uxorio» per le false o reticenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria senza essere stato previamente informato, ai sensi dell'art. 199 c.p.p., della facoltà di astenersi dal rilasciarle (Cass. V, n. 40912/2012). Per quanto riguarda il processo penale, la causa di non punibilità opera nei casi di mancato rispetto delle disposizioni (art. 63, 64, 197, 197-bis c.p.p. etc.) che disciplinano gli ambiti di capacità di testimoniare. Si è così applicata nel caso di indagato di un reato connesso o collegato per cui sia già intervenuto decreto d'archiviazione chiamato ad assumere l'ufficio di testimone senza che gli siano mai stati rivolti gli avvisi sulla facoltà di non rispondere anche sui fatti concernenti la responsabilità d'altre persone (Cass. VI, n. 44274/2008), nei confronti delle persone sottoposte alle indagini preliminari nei cui confronti sia stato pronunciato decreto di archiviazione (Cass. VI, n. 30174/2004). Ove il soggetto sia stato obbligato a deporre, essendosi ritenuti ingiustificata la sua dichiarazione di astenersi, il giudice, nel successivo giudizio di falsa testimonianza, può e deve rivalutare la sussistenza delle condizioni per l'astensione (Cass. VI, n. 12600/2013). BibliografiaAndreazza, Considerazioni a margine della sentenza sez. un. Genovese: la causa di non punibilità dell'art. 384 c.p. e la rinuncia alla facoltà di astenersi (Nota a Cass., sez. un., 29 novembre 2007, Genovese), in Cass. pen. 2008; Aprati: Sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria e favoreggiamento personale: la corte costituzionale estende la causa di non punibilità dell'art. 384, 2º comma, c.p. (Nota a Corte cost., 20 marzo 2009, n. 75, M. M.), in Giust. pen. 2009; Ariolli e Magnanensi: Favoreggiamento dichiarativo e non punibilità: l'estensione dell'ambito di operatività dell'esimente di cui all'art. 384, 2º comma, c.p. ad opera della corte costituzionale (Nota a Corte cost., 20 marzo 2009, n. 75, M. M.), in Cass. pen. 2009; Barbieri, In tema di applicabilità dell'esimente di cui all'art. 384, 1º comma, c.p. ai testimoni prossimi congiunti dell'imputato (Nota a Cass., sez. VI, 8 ottobre 2002, Miazza), in Giur. it. 2004; Bartoli, Con una lezione di ermeneutica le Sezioni Unite parificano i conviventi ai coniugi. (Diritto penale della famiglia e coppie di fatto), in Dir. Pen. Proc. 2021, 1078; Conti, Profili penalistici della testimonianza assistita: l'esimente dell'art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e diritto a confrontarsi con l'accusatore, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2002; Esposito, La suprema corte e la malcelata diffidenza verso l'art. 384 c.p. (Nota a Cass. pen., sez. V, 8 febbraio 2017, n. 13529, C.), in Cass. pen., 2017, 4453; Fornasari, Applicazione dell'art. 384 c.p. e famiglia di fatto: brusco overruling delle Sezioni unite, in Giur. It. 2021, 1725; Gallucci, Le Sezioni Unite risolvono la questione dell'applicabilità dell'articolo 384, comma 1, c.p. ai conviventi more uxorio, in Cass. Pen. 2021, 1929; Lepera, Segreto professionale e esimente di cui all'art. 384, 2º comma, c.p. (Nota a Cass., sez. 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(Nota a Corte cost., 18 gennaio 1996, n. 8, Brussolo), in Giur. costit. 1996; Mazzone, Lineamenti della non punibilità ai sensi dell'art. 384 c.p.; Mezza, Unioni civili e convivenze di fatto nelle cause di non punibilità: l'ambito applicativo dell'art. 384, comma 1, c.p., in Cass. pen., 2018, 2738; Palazzo, Conviventi more uxorio e analogia in bonam partem: prima lettura di una sentenza "giusta" più che ardita, in Sistema Penale 22 marzo 2021; Pastorelli, La convivenza more uxorio non esclude la punibilità del favoreggiamento personale (Nota a Corte cost., 8 maggio 2009, n. 140, C. C.), in Giur. costit. 2009; Perdonò, Ancora sull'esimente della necessità di «salvamento» (art. 384, 1º comma, c.p.): si applica anche all'agente di polizia giudiziaria che non denuncia lo spacciatore per salvare se stesso (Nota a T. Rovigo-Adria, 18 marzo 2008, G. C.), in Giur. merito 2009; Perdonò, Prime applicazioni, nella giurisprudenza di merito, dei più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità e costituzionale sulla causa di non punibilità dell'art. 384 c.p. (Nota a T. Lucera-Apricena, 29 aprile 2009), in Giur. merito 2010; Pittaro, Il convivente more uxorio, a differenza del coniuge, rimane punibile per il reato di favoreggiamento personale (Nota a Cass., sez. VI, 28 settembre 2006, Cantale), in Famiglia e dir. 2007; Ramundo, Gli effetti applicativi dell'art. 384 c.p., tra funzione di garanzia e rischi di formalismo, in Giust. pen. 2015; Ritrovato, Responsabilità dell'autore mediato nell'ipotesi di falsa testimonianza commessa da persona non punibile ex art. 384, 2º comma, c.p. (Nota a Cass. pen., sez. VI, 13 gennaio 2012, n. 21913), in Riv. Nel Diritto 2012; Rosa, Sull'applicabilità dell'art. 384, 1º comma, c.p. al testimone che non si è avvalso della facoltà di astensione (Nota a Cass., sez. VI, 4 ottobre 2001, Mariotti), in Cass. pen. 2002; Schirò, Le Sezioni Unite sul comma 1 dell'art. 384 c.p.: il "sentimento affettivo" può escludere esigibilità e colpevolezza. In Foro It. 2021, II, 389; Spena, Sul fondamento della non punibilità nei casi di necessità giudiziaria (art. 384 c.p.), in Riv. it. dir. e proc. pen. 2010; Turchetti, Un'altra estensione della non punibilità prevista dall'art. 384, 2º comma, c.p. (Nota a Corte cost., 20 marzo 2009, n. 75, M. M.), in Giur. it. 2010. |