Codice Penale art. 444 - Commercio di sostanze alimentari nocive.Commercio di sostanze alimentari nocive. [I]. Chiunque detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all'alimentazione, non contraffatte né adulterate, ma pericolose alla salute pubblica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a 51 euro. [II]. La pena è diminuita [65] se la qualità nociva delle sostanze è nota alla persona che le acquista o le riceve [448, 452 2; 381 2d, 4 c.p.p.]. competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita; v. art. 3915 c.p.p. altre misure cautelari personali: consentite; v. artt. 2902 e 3915 c.p.p.; procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa norma in commento prevede il caso del soggetto che detiene per il commercio, pone in commercio ovvero distribuisce per il consumo sostanze destinate all'alimentazione che, benché non contraffatte o adulterate, siano comunque pericolose per la salute pubblica. SoggettiSoggetto attivo Il delitto di commercio o somministrazione di sostanze alimentari nocive è un reato comune, potendo essere commesso da chiunque, non occorrendo, a tal fine, la qualità di commerciante (Cass., I, n. 980/1970). Bene giuridicoIl reato in esame tutela (quale bene giuridico) la salute pubblica in relazione alle condotte di soggetti che detengono per il commercio, pongono in commercio, ovvero distribuiscono per il consumo, sostanze destinate all'alimentazione che, benché non contraffatte o adulterate, siano comunque pericolose per la salute pubblica. In tal senso, il reato di commercio di sostanze alimentari nocive integra una fattispecie di pericolo concreto (Cass. IV, n. 3457/2014; Cass. I, n. 6930/1992; Cass. VI, n. 10020/19911991 ; v., più di recente, Cass. IV, n. 16108/2108; Cass. I, n. 54083/2017), dovendo ritenersi indispensabile la concreta verifica della pericolosità delle sostanze alimentari non contraffatte, né adulterate. In particolare, il pericolo è elemento che attiene, non solo alla qualifica dell'oggetto materiale del reato, ma anche all'offesa della salute pubblica (Patrono, 145; Angioni, 199; Parodi Giusino, 275). La norma in esame è dunque destinata a completare la tutela della salute, coprendo quella ‘zona grigia' lasciata libera dalle precedenti incriminazioni in tema di alimenti (Sciaudone, 59). Secondo la giurisprudenza, per l'esistenza del pericolo previsto dalla norma in commento è necessario che le sostanze alimentari abbiano effettiva idoneità a porre in pericolo la salute dei consumatori, pur non essendo richiesto che il nocumento si sia già verificato o debba necessariamente verificarsi. Ne deriva che la pericolosità delle sostanze non può essere valutata astrattamente, cioè come situazione meramente ipotetica, ma dev'essere accertata specificamente a mezzo di adeguati strumenti probatori (Cass., I, n. 41106/2004, Cass. I, n. 1367/1996), pur non richiedendosi ai fini della prova che vengano necessariamente svolte indagini peritali (Cass. I, n. 3532/2007). Sulla nozione di salute pubblica v. subart. 439. MaterialitàModalità della condotta Le condotte che integrano il reato in commento consistono nel detenere per il commercio, porre in commercio o distribuire per il consumo sostanze alimentari non contraffatte, né adulterate, ma comunque pericolose per la salute pubblica. Sulle attività consistenti nel detenere per il commercio, porre in commercio o distribuire per il consumo v. subart. 442. La norma in commento equipara diverse ipotesi ai fini della sussistenza del reato in esso contemplato, per cui è punibile sia chi detiene per il commercio sostanze alimentari pericolose alla pubblica salute, sia chi le pone in commercio o comunque le immette al consumo. Le condotte incriminate non hanno, di per sé, carattere fraudolento, né possono acquistarlo a contatto con l'oggetto materiale, giacché questo è sprovvisto di una qualifica idonea a conferire tale carattere a dette condotte. Si deve ritenere, tuttavia, che gli alimenti pericolosi per la salute pubblica debbano essere posti in commercio o distribuiti per il commercio come innocui, per cui sussiste la condizione capace di far assumere alle condotte carattere fraudolento, cioè il carattere di una frode semplice per la quale è sufficiente la mera dissimulazione ( Sigismondi , 102). Le condotte descritte costituiscono una fattispecie mista alternativa; conseguentemente il reato si adempie quando una qualsiasi di esse sia realizzata e, in ipotesi di commissione di più condotte, non si ha pluralità di reati (Ardizzone, 490). Il termine commercio dev'essere inteso in senso lato e comprende, tanto lo scambio di cosa dietro corrispettivo, quanto l'approntamento e l'introduzione nei locali di vendita di cose destinate (con o senza manipolazione preventiva) ad essere vendute (Cass. I, n. 52/1972). Peraltro, non facendo riferimento, la norma in esame, ad atti di commercio in senso tecnico-giuridico (intendendo viceversa riferirsi a qualsiasi atto in forza del quale la cosa sia destinata o sia messa in circolazione), occorre ritenere configurabile il reato de quo anche là dove la destinazione alla circolazione della sostanza alimentare avvenga a titolo gratuito (es. per beneficenza pubblica), e anche nell'ipotesi di vendita della sostanza pericolosa a favore di una sola persona (Cass. I, n. 980/1970). Ai fini della consumazione del reato in esame, non essendo richiesta la sussistenza di atti effettivi di commercio della merce nociva destinata all'alimentazione, è sufficiente la detenzione per il commercio di tale merce. Ne deriva che non è necessaria l'esposizione della merce sui banchi di vendita, bastando che questa sia detenuta in qualsiasi luogo connesso con l'attività commerciale e quindi anche nella ghiacciaia o frigorifero (Cass. I, n. 16492/1989; Cass. I, n. 11615/1986). In tal senso, si è ritenuto che la detenzione di carne avariata nel frigorifero destinato alla conservazione delle sostanze in commercio integra di per sé l'ipotesi del delitto di commercio di sostanze alimentari nocive, essendo necessario e sufficiente, per l'imputabilità di tale reato, la consapevolezza del detentore che le sostanze sono pericolose (Cass. I, n. 118/1989; Cass. I, n. 1075/1985). Allo stesso modo, essendo il delitto di cui all'art. 444 un reato di mero pericolo (per la cui configurazione non si richiede il consumo in atto ma solo il consumo eventuale, e quindi la detenzione della sostanza alimentare in vista dell'atto di commercio futuro), ai fini dell'ipotizzabilità dell'illecito è ininfluente la circostanza che il prodotto alimentare pericoloso alla salute pubblica debba essere, prima della consumazione, manipolata e cotta (Cass. VI, n. 7992/1983); è comunque necessario che gli alimenti abbiano, in concreto, la capacità di arrecare danno alla salute, che deve costituire oggetto di specifica dimostrazione mediante indagine tecnica od altro mezzo di prova (Cass. I, n. 54083/2017). Sono sostanze alimentari nocive quelle che abbiano attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica. Tale attitudine non può essere meramente ipotetica, ma va giudizialmente accertata; l'inosservanza delle formalità dettate da leggi speciali in ordine alla commerciabilità di generi alimentari, di per sé non incide sulla configurabilità del reato in esame: ciò che assume rilevanza decisiva, in ogni caso, è la verifica dell'effettiva idoneità della sostanza a mettere a repentaglio la salute di eventuali consumatori (Fiandaca e Musco, 547; Cass. I, n. 5782/1987). Al riguardo, la tesi per cui la dichiarazione della legge o del regolamento toglierebbe ogni dubbio sulla pericolosità del prodotto si risolve in un'elisione dell'accertamento in concreto, perché inserisce una presunzione legale di pericolo, contro l'esplicito disposto dell'art. 444 che richiede un'indagine sull'effettiva lesione dell'interesse tutelato (Patrono, 147). Peraltro, nei casi di rilievo della pericolosità mediante richiamo di fonti normative estranee alla legge penale, la fattispecie in commento assume la fisionomia di un'ipotesi di norma penale in bianco, rivestita di contenuti in base a norme extrapenali integratrici del precetto penale, che possono essere emanate anche da autorità amministrative o sovranazionali, le quali dettano disposizioni regolatrici od impongono divieti anche in base ad accertamenti scientifici relativi a situazioni storiche determinate; dal carattere eccezionale e dall'efficacia temporanea di tali disposizioni consegue che la punibilità della condotta non dipende dal momento in cui viene emessa la decisione, ma dal momento in cui avviene l'accertamento, con esclusione dell'applicabilità del principio di retroattività della legge più favorevole (Cass., I, n. 19107/2006). In tal senso, si è rilevato come la pericolosità per la salute pubblica del latte proveniente da vaccine affette da mastite catarrale contagiosa è stabilita dalla stessa legge e precisamente dall'art. 113 del d.P.R. n. 320/1954 (contenente il regolamento di polizia veterinaria) il quale, in caso di bovini affetti dalla predetta malattia, impone al sindaco di prescrivere, tra l'altro, il divieto di utilizzare il latte proveniente da animali infetti, sia per l'alimentazione umana sia per l'allattamento dei vitelli (Cass., I, n. 7387/1977). In tali ultimi casi, si sarebbe di fronte a una presunzione relativa di pericolo per cui è da ritenersi sempre ammissibile un'indagine di fatto che riconosca in concreto l'effettiva lesione dell'interesse tutelato. Non ha, quindi, alcuna rilevanza l'inosservanza di precetti e regole dettate da leggi speciali in ordine alla commerciabilità di alcune sostanze alimentari, potendosi giungere, in concreto all'accertamento della non pericolosità della sostanza. Né, nel caso opposto, spiega effetti l'osservanza di un decreto ministeriale, qualora il giudice accerti in concreto la pericolosità della sostanza e perciò l'illegittimità del decreto stesso (Patrono, 148; Devoto, 517; v. anche Nappi, 667, il quale distingue il caso in cui è la stessa legge a qualificare dannose o pericolose alcune sostanze alimentari da quello nel quale vi è la violazione delle norme che disciplinano il commercio di sostanze alimentari ove è necessario accertarsi se in conseguenza di quella violazione o indipendentemente sussista un'effettiva dannosità del prodotto). Si è sostenuto in dottrina che la norma in esame prende in considerazione anche le fasi di non commestibilità (Correra, 87; contra Agnoli, 35 e Angioni, 126). La previsione della norma si estende alle sostanze genuine divenute pericolose a seguito di processi naturali, ad es. mediante la decomposizione o la putrefazione, o per l'immaturità, o per qualsiasi altra causa (per es. animali morti per malattia) (Lai, 15; Nappi, 665), oppure per opera dell'uomo, come attraverso la somministrazione di estrogeni agli animali da carne (Rodriguez, Introna, 193). La pericolosità per la salute consiste nella nocività immediata dell'alimento, cioè nella sua concreta ed effettiva capacità di produrre immediatamente effetti patologici, ad esito potenzialmente letale, o comunque gravi (v. Pica, 485, per cui la rilevanza di tale pericolosità deriva dalla diffusività del rischio, conseguente alla destinazione al consumo delle sostanze da parte di un numero indifferenziato di persone, nel momento in cui è attuata l'azione pericolosa). L'integrazione della fattispecie criminosa di commercio di sostanze alimentari nocive richiede dunque che le sostanze destinate all'alimentazione siano già potenzialmente e concretamente nocive al momento della vendita o della detenzione per la vendita, a nulla rilevando, invece, che lo diventino in un secondo momento per cause successive ed estranee alla volontà del reo (Cass., III, n. 11500/2010). In tal senso, è ravvisabile il reato in esame quando, indipendentemente dal fatto che siano stati raccolti o meno, si detengano ortaggi già maturi risultati pericolosi per la salute pubblica (Cass. IV, n. 4160/1977). In generale, in materia di delitti di comune pericolo mediante frode, deve escludersi ogni rilievo della distinzione tra alimenti e sostanze destinate all'alimentazione. Infatti, mentre l'art. 440, sotto la rubrica «adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari”, fa indistintamente riferimento alle »sostanze destinate all'alimentazione« (primo comma) e alle »sostanze alimentari« (secondo comma), l'art. 444, sotto la rubrica »commercio di sostanze alimentari nocive«, si riferisce nel suo testo alle »sostanze destinate all'alimentazione" senza in alcun modo menzionare le sostanze alimentari (Cass., VI, n. 11395/1993). Tra le sostanze alimentari nocive vietate dalla norma in commento rientrano i cosiddetti integratori alimentari, mentre sono escluse da tale nozione le sostanze medicinali (Cass., III, n. 26518/2008). Si è peraltro ritenuto che la nocività di un prodotto non può essere determinata facendo riferimento alla sua azione in persone affette da particolare stato patologico, ma dev'essere individuata in assoluto (Cass., VI, n. 2134/1973; in dottrina, v. Ardizzone, 492). Forma della condotta Il reato in esame è un reato a forma vincolata, nel senso che valgono a integrarlo le sole condotte espressamente descritte dalla norma (detenere per il commercio, porre in commercio, distribuire per il consumo). Natura della condotta Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa de qua sono attive. Può ammettersi l'ipotesi omissiva ove l'evento di cui all'art. 40, comma 2, si interpreti in senso giuridico: in tal ultimo caso, ai sensi dell'art. 40, comma 2, il reo risponde del delitto là dove, avendone l'obbligo giuridico, abbia consapevolmente e volontariamente omesso di impedire i fatti di detenzione per il commercio, di offerta commerciale, o di distribuzione per il consumo descritti dalla norma. Evento Il reato in esame è un reato di mera condotta, consistente nel compimento delle condotte di detenzione per il commercio, di offerta commerciale, o di distribuzione per il consumo richiamati dalla norma. Elemento soggettivoIl dolo Il delitto in esame richiede il dolo generico, ossia la coscienza e volontà di realizzare le condotte descritte dal legislatore, unitamente alla consapevolezza che le sostanze alimentari nocive detenute, poste in commercio o distribuite per il consumo, sono nocive per la salute pubblica (Fiandaca e Musco, 547; Cass., I, n. 118/1989; Cass., I, n. 1654/1965), senza tuttavia che sia richiesta anche la certezza della dannosità del prodotto v. Cass., I, n. 1729/1988; Cass., I, n. 963/1986). Trattasi di dolo che può essere anche eventuale, quando l'autore del fatto abbia accettato il rischio che le sostanze dannose messe in commercio vengano effettivamente destinate all'alimentazione umana (Cass., I, n. 1367/1996; Cass., I, n. 6329/1986). La colpa Per l'esame del reato in forma colposa v. art. 452, il quale prevede un'ipotesi delittuosa autonoma e non già — come nel caso dal capoverso dell'articolo 444 — una figura attenuata del reato doloso di commercio di sostanze alimentari nocive (Cass., I, n. 8653/1980). Consumazione e tentativoConsumazione Il reato si consuma nel momento in cui si compiono le condotte di detenzione, di offerta o di distribuzione per il consumo di sostanze alimentari nocive. Tentativo Può configurarsi il tentativo in caso di compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a detenere per il commercio, porre in commercio o distribuire per il consumo sostanze alimentari nocive (contra per l'inconfigurabilità del tentativo, Ardizzone, 493). Forme di manifestazione
Circostanze Il comma 2 della norma in commento prevede una circostanza attenuante là dove la nocività della sostanza sia nota alla persona che le acquista o le riceve. Peraltro, deve ritenersi insufficiente che l’alterazione delle sostanze alimentari detenute, poste in commercio o distribuite per il consumo sia facilmente riconoscibile da parte di eventuali acquirenti, o che comunque il compratore si avveda che il prodotto è guasto o imperfetto, essendo bensì necessaria la consapevolezza della pericolosità per la salute (Fresa, 433). Deve tuttavia escludersi del tutto l’applicazione dell’art. 444, comma 1, là dove la nocività della sostanza sia stata resa nota a tutti gli acquirenti e riceventi, perché in tal caso difetta la diffusibilità del pericolo per la difficoltà di difesa, essenziale al comune pericolo (Sigismondi, 103). Rapporti con altri reati e concorso di reatiIn tema di reati contro l'incolumità pubblica, tra l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 440 e quella di cui all'art. 444 la differenza sostanziale non risiede nella natura delle sostanze prese in considerazione, bensì nell'attività posta in essere dal soggetto agente, considerato che l'elemento materiale della prima ipotesi è costituito dall'opera di corruzione o adulterazione delle sostanze alimentari destinate all'alimentazione o al commercio, mentre l'elemento oggettivo della seconda consiste nella detenzione per il commercio o nella distribuzione per il consumo di sostanze che non siano state contraffatte o adulterate ma che siano, comunque, pericolose per il consumatore (Cass. I, n. 5536/2000), di guisa che il carattere nocivo della sostanza non dipende in quest'ultima ipotesi da una immutatio tra quelle descritte nella prima ipotesi (alterazione, corruzione, adulterazione), ma da altre cause, quali ad esempio il cattivo stato di conservazione la provenienza delle carni da animali malati. Ne consegue che, pur costituendo entrambe le fattispecie criminose delitti di pericolo concreto che richiedono l'accertamento in concreto dello stato di pericolo — ancorché la sostanza pericolosa non abbia causato danno — trattasi di ipotesi non compatibili nel senso che esse possono ricorrere solo in via alternativa (Cass. V, n. 17979/2013). In tal senso, si è evidenziato come il reato di adulterazione di sostanze alimentari, previsto dall'art. 440, esiga una condotta direttamente destinata a determinare modifiche alla composizione chimica o alle caratteristiche delle sostanze alimentari, con esclusione di processi modificativi di carattere biologico o putrefattivo; con la conseguenza che la nocività delle carni bovine poste in commercio discende, non già da un intervento modificativo diretto sulle stesse carni, bensì dal trattamento dell'animale vivo con estrogeni, idoneo a rendere dette carni pericolose per una modificazione di tipo biologico, sì da escludere il ricorso di un'ipotesi di adulterazione punibile ai sensi dell'art. 440, dovendo invece ritenersi ravvisabile in tal caso il reato di commercio di sostanze alimentari nocive, ai sensi dell'art. 444 (Cass. I, n. 4765/1991). Sono configurabili, e concorrono tra loro, i reati di contraffazione di sostanze alimentari (art. 440), commercio di sostanze alimentari nocive (art. 444) e falso per soppressione di certificati commesso da privato (artt. 477, 482 e 490), nella condotta di chi, disponendo di animali bovini regolarmente muniti di marchio identificativo auricolare e del corrispondente “passaporto” cartaceo, attestanti l'avvenuta sottoposizione ai prescritti controlli sanitari, asporti il suddetto marchio per applicarlo, abbinandolo al relativo “passaporto”, ad altri animali destinati alla macellazione ed al successivo impiego alimentare, non sottoposti ai summenzionati controlli (Cass. I, n. 20999/2004). È configurabile il concorso tra il reato di messa in commercio di sostanze alimentari nocive e quello di messa abusiva in commercio di sostanze dopanti, in quanto si tratta di fattispecie poste a tutela di beni giuridici diversi (Cass. III, n. 26518/2008). Integra il delitto ex art. 444 — e non già la contravvenzione prevista dall'art. 5 l. 30 aprile 1962, n. 283, per il suo carattere di sussidiarietà rispetto al primo — il porre in vendita carne che manifesti segni di decomposizione anche incipiente, sussistendo l'ipotesi delittuosa in esame allorquando la sostanza alimentare abbia attitudine ad arrecare nocumento alla salute pubblica (Cass. I, n. 2583/1983). In generale, nel caso in cui sussista il delitto previsto dall'art. 444 (anche nell'ipotesi colposa di cui all'art. 452), deve ritenersi assorbita la contravvenzione di cui all'art. 5 l. n. 283/1962, attinente alla disciplina igienica e alla composizione nutritiva delle sostanze alimentari (Cass. IV, n. 44779/2007; Cass. IV, n. 36345/2005). In senso contrario, si è ritenuto che il reato di cui all'art. 21, comma 1, d.P.R. n. 236/1988, ipotizzabile a carico di chi fornisce al consumo umano acque non potabili, ha natura sussidiaria rispetto ad altri reati più gravi eventualmente configurabili, integrando un aspetto sanzionatorio residuale posto a tutela dei requisiti dell'acqua destinata al consumo umano. Poiché la nozione di non potabilità dell'acqua non va confusa con quella di nocività dell'acqua, ne consegue che, qualora ricorrano gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 444, l'applicazione di tale ultima norma non può ritenersi esclusa in base al principio di specialità: e ciò, non solo perché trattasi di ipotesi delittuosa più grave rispetto a quella contravvenzionale di cui al cit. d.P.R. n. 236/1988, ma anche perché le due norme sono preordinate ad assolvere una funzione legale diversa, essendo la prima diretta alla tutela del bene giuridico della salute pubblica, e la seconda a garantire la qualità dell'acqua anche sotto il profilo della potabilità (Cass. I, n. 9823/1995). Deve ritenersi ammissibile il concorso tra il reato di cui all'art. 444 e la fattispecie contravvenzionale di cui al d.lgs. n. 219/2006, art. 147, comma 1, che sanziona la condotta di importazione di medicinali o di materie prime farmacologicamente attive in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 55 dello stesso decreto. Distinta è la fattispecie della messa in commercio senza autorizzazione di medicinali di cui all'art. 147, comma 2, che contiene una clausola di riserva per cui trova applicazione se il fatto non costituisce un più grave reato (Cass. I, n. 39114 /2016). È configurabile il concorso materiale tra il reato di frode in commercio e il reato di commercio di sostanze nocive. Al riguardo, giova ribadire il principio secondo cui, in presenza della clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, la maggiore o minore gravità dei reati concorrenti presuppone che essi siano posti a tutela dello stesso bene giuridico; solo in tal caso il reato meno grave può ritenersi assorbito nel reato più grave posto a tutela dello stesso interesse. Nel caso in esame, l'elemento materiale del reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515) consiste nel consegnare all'acquirente una cosa mobile non conforme a quella convenuta e l'interesse tutelato è quello del leale esercizio e dell'onesto svolgimento del commercio, mentre l'interesse tutelato dal reato di commercio di sostanze alimentari nocive è costituito dalla salute pubblica. Le due norme si pongono, dunque, in una relazione di concorso reale (non apparente) per la diversa obiettività giuridica e per il diverso interesse protetto: tutela della correttezza e lealtà commerciale, nel primo caso; tutela della salute pubblica, nel secondo (Cass. I, n. 39114 /2016). CasisticaLa condotta del gestore di un bar che somministri, per mero errore, al posto di un bicchiere d'acqua, uno contenente liquido per lavastoviglie, custodito in una bottiglia recante l'etichetta di una nota acqua minerale, non integra alcuna ipotesi di reato di comune pericolo mediante frode (artt. 439, 440, 441, 442, 444) in quanto manca la condotta tipica consistente nell'attività di avvelenamento, contraffazione o messa in commercio di sostanze alimentari, trattandosi invece di somministrazione per mero errore di fatto di una sostanza nociva per la salute ma non destinata all'alimentazione (Cass. I, n. 20391/2005). Profili processualiGli istituti Il reato di commercio sostanze alimentari nocive è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Tribunale monocratico. Per tale reato: a) l' arresto in flagranza è facoltativo; b) il fermo non è consentito; c) l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita solo in caso di arresto in flagranza. 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