Codice Penale art. 452 quater - Disastro ambientale 1 .

Alessandro Trinci

Disastro ambientale 1.

[I]. Fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:

1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;

2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

[II].  Quando il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata da un terzo alla meta2.

 

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo introdotto dall'art. 1, l. 22 maggio 2015, n. 68.

[2] Comma così sostituito dall'art. 6-ter, comma  3, lett. c) d.l. 10 agosto 2023, n. 105, conv., con modif. in l. 9 ottobre 2023, n. 137, in sede di conversione. Il testo del comma era il seguente: «Quando il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata».

Inquadramento

Il delitto di disastro ambientale consiste nel fatto di chi cagiona abusivamente un disastro ambientale, inteso, alternativamente, come: 1) un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; 2) un'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) un'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Prima della novella in esame l'ipotesi del c.d. disastro ambientale veniva ricondotta dalla Corte di Cassazione, con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici, al paradigma punitivo del disastro c.d. innominato, previsto dalla clausola di chiusura — «altro disastro» — contenuta nell'art. 434 c.p. (cfr., ex multis, Cass. III, n. 9418/2008).

Mediante un'interpretazione creativa della giurisprudenza si assisteva pertanto ad un'estensione in via analogica dell'art. 434 c.p. a situazioni del tutto eterogenee ad esso, sia per la natura dell'evento lesivo preso in considerazione che per il bene giuridico leso.

Da tempo, però, la Corte costituzionale aveva auspicato che il disastro ambientale formasse «oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale, anche nell'ottica dell'accresciuta attenzione alla tutela ambientale ed a quella dell'integrità fisica e della salute, nella cornice di più specifiche figure criminose» (C. cost., n. 327/2008).

Anche buona parte della dottrina aveva espresso ampie riserve sull''utilizzo dell'art. 434 c.p. per l'incriminazione del disastro ambientale, evidenziando come i fatti di inquina-mento ambientale, quand'anche particolarmente gravi, di norma non presentano quei tratti che ricorrono in tutti i disastri tipizzati, ossia l'impatto violento sulla realtà materiale, il macro-danneggiamento e la tendenziale contestualità della condotta e dell'evento.

Raccogliendo tale suggerimento, la norma in commento ha provveduto a tipizzare un'autonoma figura di reato.

Soggetti

Soggetto attivo

Il disastro ambientale è un reato comune, che può essere commesso da «chiunque».

Materialità

Condotta

L'elemento materiale che caratterizza il delitto in esame consiste nel cagionare un disastro ambientale, rappresentato, alternativamente, da un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; da un'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; da un'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Il disastro ambientale è un reato:

a) a forma libera: la rilevanza della condotta è determinata esclusivamente dalla verificazione di un'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; oppure di un'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; oppure di un'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

b) che può essere integrato da condotte attive, od anche meramente omissive, cioè dal mancato impedimento dell'evento da parte di chi, secondo la normativa ambientale, è tenuto al rispetto di specifici obblighi di prevenzione rispetto a quel determinato fatto inquinante.

c) di evento, in quanto la condotta deve aver provocato pregiudizio per l'ambiente così come descritto dal legislatore.

Assume, pertanto, rilievo la sussistenza e il consequenziale accertamento giudiziale di un nesso di derivazione causale, sia pure in termini di concausa, fra l'azione (o l'omissione) del soggetto agente e l'evento di inquinamento, valutando anche l'eventuale preesistente (rispetto alla condotta) compromissione delle matrici ambientali.

Evento

Il delitto in commento è caratterizzato da un evento — il disastro ambientale — definito dal legislatore, alternativamente, come: a) alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema; b) alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; c) offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Giova sin da subito osservare come la ricca aggettivazione utilizzata dal legislatore nel descrivere il nuovo reato («irreversibile», «onerosa», «eccezionali») e gli avverbi utilizzati («particolarmente») se, da un lato, dimostrano lo sforzo del riformatore — in conformità alla Direttiva 2008/99/CE — di caratterizzare con precisione la fisionomia del disastro ambientale, dall'altro, denotano forme linguistiche di notevole vaghezza, che non sembrano fornire un contributo in termini di precisione della norma migliore rispetto alla definizione giurisprudenziale degli artt. 434 e 449.

Va detto che il legislatore deve tipizzare condotte che non solo siano precisamente descritte, ma altresì corrispondenti a fenomeni riscontrabili nella realtà. Invero, la norma in esame tipizza un evento il cui accertamento richiede complesse valutazioni scientifiche (alterazione dell'equilibrio di un ecosistema) e complesse valutazioni tecnico-economiche (costi e fattibilità operativa della bonifica), le quali, oltre a richiedere conoscenze tecniche extragiuridiche (sembra inevitabile ricorrere ad una consulenza tecnica e/o perizia), necessitano di un contradditorio scientifico tra le parti, tenuto conto che l'ecologia è una scienza relativamente giovane che pone problemi epistemologici di non poco conto.

A questo punto analizziamo singolarmente i singoli eventi di disastro ambientale.

L'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema può definirsi irreversibile non solo quando la sua eliminazione non è possibile, ma anche quando, pur essendo possibile, richiede tempi talmente ampi da non poter essere rapportabile alle categorie dell'agire umano. Ciò induce a ritenere che i casi «dubbi» slitteranno sull'evento alternativo dell'alterazione a reversibilità onerosa ed eccezionale (art. 452-quater, n. 2).

Integra infatti il reato anche un'alterazione che, pur non essendo irreversibile, richiede, per essere rimossa, interventi particolarmente onerosi e provvedimenti eccezionali. Poiché le due condizioni devono ricorrere congiuntamente, vanno ricondotte alla minore fattispecie di inquinamento le situazioni di gravissima compromissione ambientale, bonificabile solo con ingentissimi impegni economici, ma che tuttavia non richiedono l'emanazione di provvedimenti amministrativi deroganti alla disciplina ambientale ordinaria.

Va poi osservato che i «provvedimenti eccezionali» o la «particolare onerosità dell'eliminazione dell'alterazione» sono elementi che possono essere apprezzati soltanto dopo la commissione del fatto. Ne consegue che l'agente saprà solo successivamente — in base cioè all'eccezionalità del provvedimento o alla onerosità dell'intervento — di aver posto in essere un disastro ambientale (Telesca, 26).

Quest'ultimo evento (l'alterazione a reversibilità onerosa ed eccezionale) dovrebbe dunque marcare il confine con il reato di inquinamento ambientale (v. art. 452-bis), integrato da alterazioni reversibili con costi non particolarmente onerosi e con provvedimenti non eccezionali. Emerge con evidenza un preoccupante calo di tassatività dato dall'estrema vaghezza delle formule utilizzate dal legislatore, che aprono le porte ad un'eccesiva discrezionalità valutativa del giudice, con conseguenti problemi di confine tra le due fattispecie delittuose.

Non è poi chiaro se il riferimento all'onerosità vada inteso in senso oggettivo o soggettivo: ci si chiede in sostanza se i costi devono essere particolarmente onerosi in assoluto o con riferimento alle capacità economiche dell'inquinatore. Aderendo alla prima impostazione — preferibile dal punto di vista della certezza normativa e per evitare pericolose letture abrogatrici della norma — resta in ogni caso aperto il problema di individuare quali siano gli eventuali parametri di riferimento pervalutare l'onerosità del costo (la media dei costi storici di bonifica? Ma in questo caso si pone il problema di come calcolarli: sulla base di quale periodo storico e di quale territorio e di che tipo di contaminazioni?).

Analoga imprecisione affligge la locuzione «provvedimenti eccezionali», dal momento che ci si chiede se per tali debbano intendersi quelli che fuoriescono dall'ordinario procedimento di bonifica.

Va infine precisato che l'alterazione resta un concetto relazionale, che impone necessariamente un confronto con la situazione pregressa, creando pertanto dei problemi pratici laddove non vi sia la disponibilità di studi e dati antecedenti il fenomeno di contaminazione.

Si ha disastro ambientale, infine, quando l'agente ha provocato un'offesa alla pubblica incolumità con un fatto rilevante o per l'estensione della compromissione all'ambiente o per la diffusività degli effetti lesivi o, infine, per il numero delle persone offese o poste in pericolo.

Con tale previsione il legislatore ha voluto punire le condotte che, pur non avendo cagionato un'alterazione irreversibile di un ecosistema o un'alterazione reversibile ma ineliminabile dello stesso, hanno dimostrato una portata offensiva tale da porre in pericolo l'incolumità delle persone. In tali casi, la lesione all'ambiente viene in rilievo come evento prodromico alla successiva messa in pericolo dell'incolumità pubblica (Siracusa, 19).

Anche in tal caso appare con evidenza come la formulazione della norma risulti davvero ambigua e singolare, tanto da suscitare le maggiori perplessità nei primi commentatori.

Occorre infatti premettere che una lettura isolata di tale fattispecie sembra, a prima vista, incriminare il pericolo per l'incolumità pubblica tout court, senza alcun riferimento alla contaminazione ambientale. Appare tuttavia evidente come tale lettura atomistica sia da respingere, posto che una tale forma di offesa (una sorta di disastro sanitario che punisce il pericolo per l'incolumità pubblica, a prescindere dal fatto che tale pericolo sia o meno la conseguenza di un danno all'ambiente) rientra già nell'art. 434, di talché il «fatto» a cui allude la norma non può che essere un fatto di grave contaminazione ambientale.

A conferma di tale lettura sovvengono inoltre sia la rubrica della norma che associa l'attributo «ambientale» al disastro, sia la circostanza che la norma, nell'indicare gli indici di rilevanza del pericolo, fa riferimento alla «rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione», dando quindi per implicito che una compromissione debba esserci stata.

In tal senso si è, infine, orientata la giurisprudenza. La Suprema Corte, infatti, dopo aver stabilito che l’ipotesi in esame consiste in qualsiasi comportamento che, ancorché non produttivo degli specifici effetti descritti nei numeri precedenti, determini un'offesa alla pubblica incolumità di particolare rilevanza per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo, ha chiarito che l’offesa per l’incolumità pubblica deve costituire diretta conseguenza di un’aggressione all’ambiente, sia pur meno pregnante di quelle idonee a integrare le ipotesi sub n. 1 e 2. A suffragio di questa lettura, la Corte adduce la collocazione sistematica della fattispecie all’interno del Titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente; l’esigenza di distinguere la fattispecie corrente da quella di disastro c.d. innominato; il tenore della disposizione, la quale subordina il pericolo ad una compromissione «evidentemente dell’ambiente o di una sua componente» (Cass. III, n. 29901/2018).

Va detto che, nonostante il legislatore utilizzi l'espressione “offesa alla pubblica incolumità”, per sua natura comprensiva tanto della lesione quanto della messa in pericolo, la disposizione va intesa come messa in pericolo dell'integrità fisica di un numero indeterminato di persone, posto che, essendo impossibile immaginare un danno per la salute di una collettività, la concretizzazione del pericolo in veri e propri danni alle singole persone configurano eventualmente un'ipotesi di concorso del disastro con i reati contro la persona (omicidio, lesioni) di cui sono state vittime gli esposti al pericolo. Del resto, se nell'offesa dovessimo far rientrare sia la morte che le lesioni, il disastro ambientale — che abbia causato la morte e/o le lesioni di più persone — sarebbe punito con una pena inferiore a quella del delitto (meno grave) di inquinamento doloso aggravato da eventi di morte o lesioni colposamente causati, la cui pena può arrivare fino a 20 anni.

Sulla base delle predette argomentazioni va, altresì, escluso che nell'endiadi «persone offese o esposte a pericolo» rientrino anche morti o lesioni «effettive», salvo eventualmente quelle ipotesi di lesioni lievissime non ricomprese nell'art. 452-ter, oppure lesioni a persone indeterminate.

Detto questo, va rilevato che la fattispecie si atteggia come un delitto di mera condotta (mettere in pericolo la pubblica incolumità), senza tuttavia una dettagliata descrizione del comportamento incriminato, posto che il legislatore utilizza formule evanescenti come “rilevanza del fatto”, “estensione della compro-missione o dei suoi effetti lesivi”.

La dottrina (Siracusa, 20) osserva come non si comprenda se l'estensione della compromissione vada intesa in termini spaziali/materiali, valorizzandone cioè le dimensioni naturalistiche, ovvero se debba essere interpretata in termini temporali, come prolungamento e permanenza nel tempo del pregiudizio ambientale. Non manca chi (Bell-Valsecchi, 9) ritiene che proprio tali incertezze interpretative tradiscano un difetto di tassatività della fattispecie in esame, che difficilmente potrebbero permetterle di uscire indenne da un eventuale vaglio di legittimità costituzionale da parte del Giudice delle leggi.

Occorre osservare che la Corte costituzionale, nella già citata sentenza n. 327/2008, recuperando l'analisi dottrinale dei delitti compresi nel capo I del titolo VI del codice penale, ha ritenuto di delineare una nozione unitaria di “disastro”, i cui tratti qualificanti si apprezzano sotto un duplice e concorrente profilo. Da un lato, sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi. Dall'altro lato, sul piano della proiezione offensiva, l'evento deve provocare — in accordo con l'oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la “pubblica incolumità”) — un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone; senza che peraltro sia richiesta anche l'effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti.

Nella formulazione del nuovo art. 452-quater, invece, l'elemento «dimensionale» e quello «offensivo» dell'evento non sono richiesti congiuntamente ma disgiuntamente (“alternativamente”, recita la norma), soluzione dettata dalla diversa oggettività giuridica della fattispecie delittuosa, che tende a proteggere l'ambiente piuttosto che la pubblica incolumità.

Tuttavia, l'aver posto l'“offesa alla pubblica incolumità” come forma di disastro autonoma e alternativa rispetto all'“alterazione di un ecosistema” comporta che oggi può aversi disastro ambientale sia in presenza di un macro-danneggiamento all'ambiente che non metta in pericolo l'incolumità pubblica (ipotesi di cui ai numeri 1) e 2) dell'art. 452-quater), sia in presenza di un pericolo per l'incolumità pubblica che non derivi da un macro-danneggiamento dell'ambiente (ipotesi di cui al numero 3) della norma in esame.

È evidente che siamo in presenza di una struttura che non ha nulla a che vedere con le fattispecie di disastro di cui al Titolo VI del codice penale, dove il pericolo per la pubblica incolumità è sempre richiesto, ai fini della consumazione del delitto, come conseguenza di un macro-danneggiamento delle cose (Bell-Valsecchi, 5).

Illiceità speciale (“abusivamente”)

Il disastro ambientale deve essere cagionato abusivamente.

Quanto alla natura giuridica della clausola in esame — presente anche nel delitto di inquinamento ambientale — occorre segnalare che si riscontra un'ampia varietà di posizioni tra i primi commentatori.

La dottrina prevalente (Bell-Valsecchi, 12; Ruga Riva, 9) la qualifica come una clausola di illiceità speciale, il cui scopo è quello di evitare che rimangano fuori dalla norma i casi di disastro ambientale provocati da condotte che non abbiano violato specifiche prescrizioni a tutela dell'ambiente, vuoi perché non ancora emanate al momento della realizzazione della condotta, vuoi perché contenute in codici deontologici di comportamento non vincolanti. Di diverso avviso quella dottrina (Siracusa, 17) che ritiene la clausola in parola un elemento costitutivo della condotta, di talché la presenza dell'avverbio «abusivamente» qualificherebbe il disastro ambientale come reato a condotta vincolata.

Premesso quanto sopra, ciò che più rileva è il significato sostanziale da attribuire all'espressione in esame.

Secondo l'opinione più radicale, l'avverbio sembrerebbe alludere alla mancanza di un autorizzazione amministrativa, di talché in presenza di provvedimenti che auto-rizzano l'attività dannosa, quest'ultima — rientrando nel c.d. rischio consentito — non potrebbe mai definirsi abusiva e il reato non dovrebbe trovare integrazione; secondo invece una tesi più riduttiva, l'avverbio avrebbe soltanto la funzione di richiamare il giudice alla verifica che l'attività da cui è derivato il danno non rientrasse fra quelle pericolose, ma consentite dall'ordinamento — entro i limiti stabili dalla legge — in con-siderazione della loro rilevanza socio-economica.

Pare tuttavia da escludere — anche alla luce della giurisprudenza relativa a reati in cui compare la clausola in esame (art. 260, D.Lgs. n. 192/2006) — che la presenza di un'autorizzazione valga di per sé a impedire che il disastro ambientale possa dirsi abusivamente cagionato, posto che l'autorizzazione potrebbe essere stata concessa in violazione dei requisiti di legge o essere addirittura il frutto di un patto corruttivo. Va poi aggiunto che possono ritenersi abusive anche quelle condotte sorrette da titoli scaduti, quelle non commisurate alla tipologia di attività richiesta, ovvero ancora quelle poste in essere in violazione dei limiti e delle prescrizioni delle autorizzazioni stesse, così che l'attività non sia più giuridicamente riconducibile al titolo abilitativo rilasciato dalla competente autorità amministrativa. Infine, dovrebbero ritenersi abusive anche quelle situazioni nelle quali l'attività — pur apparentemente ed esteriormente corrispondente al contenuto formale del titolo — presenti una sostanziale incongruità con il titolo medesimo. Ciò può avvenire non solo quando si rinvenga uno sviamento dalla funzione tipica del diritto/facoltà conferiti dall'autorizzazione, ma anche quando l'attività costituisca una non corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti l'autorizzazione in questione, superandosi, in tal caso, i confini dell'esercizio lecito.

Una lettura alternativa della clausola modale in esame rischia di svuotarne il con-tenuto precettivo effettivo, attribuendole — come spesso avviene nell'interpretazione di altre clausole di illiceità espressa — il significato di un sorta di “promemoria” per il giudice, che deve verificare che il fatto tipico non sia imposto o facoltizzato da un'altra norma dell'ordinamento.

Il vero problema si pone eventualmente nei casi in cui l'attività, oltre ad essere autorizzata, sia anche conforme alle prescrizioni normative. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il gestore dell'attività fosse a conoscenza che tali prescrizioni, in ragione della loro obsolescenza, non potevano più ritenersi adeguate a garantire la sicurezza dell'ambiente: in tal caso potrebbe configurarsi una responsabilità penale a titolo di colpa, a prescindere da una violazione formale della disciplina amministrativa di settore.

Elemento psicologico

Il dolo

Il dolo richiesto è generico e consistente nella coscienza e volontà di provocare un disastro ambientale con le caratteristiche viste sopra.

Sul piano teorico non può escludersi la configurabilità del dolo eventuale. Tuttavia, dal punto di vista dell'accertamento, non è semplice rinvenire gli indici distintivi indicati dalle Sezioni Unite (in sintesi: la lontananza dalla condotta standard negli ambiti governati da discipline cautelari; la personalità, la storia e le precedenti esperienze; la durata e ripetizione della condotta; la condotta successiva al fatto; il fine della condotta e la sua motivazione di fondo; la probabilità di verificazione dell'evento; le conseguenze negative anche per l'agente in caso di verificazione dell'evento; i tratti di scelta razionale; la verifica controfattuale) perché il disastro ambientale è frutto di comportamenti stratificati nel tempo e da valutare in rapporto a discipline normative di elevata complessità tecnica. Quindi, poiché la novella ha previsto anche la versione colposa del delitto di disastro ambientale, è facile prevedere che i casi più dubbi finiranno per essere inquadrati come ipotesi di colpa con previsione.

La colpa

Il disastro ambientale è punibile anche a titolo di colpa, poiché l'art. 452-quinquies, dedicato ai delitti colposi contro l'ambiente, richiama anche la norma in esame: v. sub art. 452-quinquies.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto di disastro ambientale si consuma nel momento (di non facile identificazione) e nel luogo in cui si verifica il disastro ambientale, ciò che può avvenire anche a notevole distanza di tempo rispetto all'ultima condotta di materiale immissione di sostanze o comunque di fisica alterazione o manomissione dell'assetto preesistente.

Gli eventi tipici del delitto in esame sono costituiti da fenomeni di cui non è agevole fissare precisi limiti temporali, ma che sicuramente non sono riducibili ad un accadimento istantaneo. Ci si chiede quindi se il permanere dell'evento tipico del reato possa rilevare ai fini della fissazione del momento consumativo, anche quando la condotta da cui l'evento deriva è stata interrotta. La Corte di Cassazione, nel procedimento Eternit, a proposito del disastro innominato, ha fornito una risposta negativa a tale interrogativo, affermando che la fase consumativa si esaurisce con il cessare della condotta. Data la contiguità strutturale dei nuovi delitti rispetto a quello su cui si sono espressi i giudici di legittimità, si è sostenuto (Masera, 15) che tale conclusione debba essere tenuta in considerazione anche al fine della fissazione del momento consumativo del delitto in commento.

Individuare nella cessazione dell'attività inquinante il momento consumativo del reato può creare problemi di “denegata giustizia”, come ha posto in evidenza proprio il caso Eternit. Consapevole di ciò, il legislatore ha previsto il raddoppio degli ordinari termini di prescrizione per i nuovi delitti ambientali (art. 157, comma 6).

Tentativo

Il disastro ambientale è un delitto di evento quindi il tentativo è configurabile e consiste nel porre in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare uno degli eventi descritti dal legislatore.

Forme di manifestazione

Circostanze

Il capoverso della norma in commento prevede una circostanza ad effetto speciale (aumento della pena da un terzo alla metà) se il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.

L'art. 452-decies, al cui commento si rinvia, prevede due circostanze attenuanti ad effetto speciale per colui che si adopera per evitare che l'attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi.

Rapporti con altri reati

 

Disastro “innominato”

La norma in esame — per espressa previsione normativa — dovrebbe operare fuori dai casi in cui la condotta abbia cagionato un disastro innominato ex art. 434, norma, quest'ultima, che finora, in assenza del delitto di disastro ambientale, aveva assolto ad una funzione di supplenza e chiusura del sistema. Il legislatore, introducendo tale clausola di riserva, mostra di aver ben presente possibili profili di contrasto tra la vecchia e la nuova figura di reato, al fine di evitare il rischio che l'introduzione del delitto di disastro ambientale possa interferire con i processi in corso per disastro innominato.

Tuttavia, dal punto di vista tecnico, la formulazione della norma è a dir poco infelice.

Innanzitutto, è dubbia l'operatività della clausola di riserva prevista dal legislatore, in quanto o si è in presenza di un crollo o altro fatto traumatico che non abbia cagionato uno degli eventi del nuovo art. 452-quater, e allora troverà applicazione l'art. 434, oppure il crollo (o altro fatto) ha cagionato un disastro ambientale, e in questo caso è lecito dubitare che possa prevalere l'art. 434, avendo il legislatore introdotto il delitto in esame proprio per evitare il ricorso al disastro innominato, prevedendo, per quello ambientale, un trattamento sanzionatorio molto più grave.

Inoltre, se — come sembra dire tale clausola — il nuovo disastro ambientale non dovesse trovare applicazione tutte le volte in cui i fatti integrano gli estremi del disastro innominato, la nuova fattispecie rischia di vedere eccessivamente ristretto il proprio raggio d'azione, tenuto conto che tutte le ipotesi riconducibili all'evento di cui all'art. 452-quater, n. 3 (offesa alla pubblica incolumità) rientrano nella nozione di disastro inno-minato accolta dalla giurisprudenza di legittimità, quale contaminazione ambientale pericolosa per la salute pubblica.

La più attenta dottrina (Bell-Valsecchi, 10) osserva come la clausola di riserva finisca per regolare i rapporti fra le due figure di reato in maniera paradossale — con importanti ricadute nel caso del concorso apparente di norme — in quanto obbliga l'interprete ad applicare ai fatti più gravi la fattispecie meno severa di disastro innominato e ai fatti meno gravi la fattispecie più severa di disastro ambientale. Ciò in quanto la fattispecie di disastro innominato (punita con la reclusione da tre a dodici anni e da uno a cinque anni nell'ipotesi colposa), per costante interpretazione giurisprudenziale, richiede, per la sua integrazione, accanto a un fatto di grave compromissione ambientale anche il pericolo per l'incolumità pubblica; al contrario, la nuova fattispecie di disastro ambientale (punita con la reclusione da cinque a quindici anni e da un anno e otto mesi a dieci anni nell'ipotesi colposa), nelle ipotesi contemplate dai numeri 1 e 2, si “accontenta” dell'alterazione di un ecosistema, senza che sia necessario, ai fini della consumazione del reato, che si registri anche la verificazione di un pericolo per la pubblica incolumità, ipotesi, quest'ultima, cui la nuova norma attribuisce autonoma incriminazione all'art. 452-quater, n. 3.

La soluzione più coerente con la sistematica della riforma impone ancora una volta un intervento da parte dell'interprete, tale da restringere l'operatività della clausola ai casi in cui il pericolo è derivato da un evento distruttivo che non abbia causato un danno ambientale; viceversa, si applicherà la nuova disposizione qualora l'offesa alla pubblica incolumità sia stata determinata da una compro-missione ambientale.

Quanto ai processi in corso per il disastro innominato (si pensi al processo all'Ilva di Taranto), il problema dell'applicabilità del nuovo disastro si risolve — a prescindere dalla clausola di riserva — sulla base dei principi generali di cui all'art. 2. Essendo la nuova fattispecie punita più gravemente rispetto alla precedente, si applicherà tendenzialmente solo ai disastri successivi alla sua entrata in vigore. Tale regola generale subisce tuttavia un'eccezione costituita dalla misura premiale prevista dall'art. 452-decies, la quale, prevedendo nel suo complesso un trattamento più favorevole al reo, potrà trovare applicazione in via retroattiva ai sensi dell'art. 2, comma 4.

In tal senso si è orientata anche la Suprema Corte, che ha ritenuto applicabile la previsione di cui all'art. 434 nei processi in corso per fatti commessi nel vigore della previgente disciplina in forza della clausola di riserva contenuta nell'art. 452-quater  (Cass. I, n. 58023/2017).

Inquinamento ambientale

Si ha inquinamento ambientale (v. art. 452-bis) quando la compromissione delle matrici ambientali non ha raggiunto un livello di gravità tale da configurare un disastro ambientale, ossia un danno caratterizzato dalla definitività o comunque della particolare difficoltà della sua rimozione (Molino, 5; Masera, 4). Infatti, gli eventi integrativi il delitto in esame hanno ad oggetto ipotesi particolarmente gravi di danneggiamento dell'ambiente, rappresentando una sorta di progressione criminosa rispetto alle forme di danneggiamento dell'ambiente descritte dalla norma sull'inquinamento (Masera, 10).

Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale

La spazio di operatività del delitto di cui all'art. 452-ter c.p. è destinato ad essere schiacciato dal delitto in esame. Infatti, il primo trova applicazione solo nei casi, pressoché impossibili da immaginare (Masera, 8), in cui l'inquinamento abbia cagionato delle morti o delle lesioni, ma non un pericolo per la pubblica incolumità, configurandosi in tale ipotesi la più grave figura del disastro, la cui contestazione impedisce l'applicazione dell'art. 452-ter c.p. (se dal disastro derivano delle morti, si applicherà la norma generale di cui all'art. 586 c.p.). Va aggiunto che nei casi in cui trova applicazione, la norma risulta irragionevole perché conduce alla comminazione di una pena meno severa (20 anni di reclusione) di quella (21 anni di reclusione) che, in sua mancanza, sarebbe derivata, secondo i principi generali, dall'applicazione della norma sull'inquinamento in concorso con il reato di omicidio colposo plurimo (Ruga Riva, 21; Masera, 8).

Termini di prescrizione

I termini di prescrizione per i delitti di cui al titolo VI-bis del codice penale sono raddoppiati (art. 157, comma 6). Ne consegue che per il delitto in esame la prescrizione matura in trent'anni (trentasette anni e sei mesi in caso di atti interruttivi).

Responsabilità dell'ente

L'art. 25-undecies, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 231/2001, così come modificato dall'art. 1, comma 8, l. n. 68/2015, prevede, per la violazione dell'art. 452-quater, la sanzione pecuniaria da quattrocento a ottocento quote. Si applicano inoltre le sanzioni interdittive previste dall'art. 9 d.lgs. n. 231/2001 (art. 25-undecies, comma 1-bis, d.lgs. n. 231/2001).

Profili processuali

Il disastro ambientale è reato procedibile d'ufficio, e di competenza della Tribunale in composizione collegiale.

Per il delitto di disastro ambientale:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) sono consentiti l'arresto facoltativo in flagranza e il fermo;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

v. sub art. 452-bis.

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