Codice Penale art. 544 ter - Maltrattamento di animali 1 .Maltrattamento di animali1 . [I]. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 5.000 a 30.000 euro2. [II]. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. [III]. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma e al secondo deriva la morte dell'animale3. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio [2] Pena modificata dall'art. 3, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 201, che ha sostituito alle parole «da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro» le parole «da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro». Comma successivamente modificato dall'art. 5, comma 2, lett. a) l. 6 giugno 2025, n. 82 che ha sostituito le parole: «da sei mesi a due anni e» alle parole: «da tre a diciotto mesi o». [3] Comma modificato dall'art. 5, comma 2, lett. b) l. 6 giugno 2025, n. 82 che aggiunto dopo le parole: «al primo» e seguenti: «e al secondo». InquadramentoIl delitto di cui all'art. 544-ter incrimina condotte di maltrattamento di animali, talune delle quali già previste dalla contravvenzione di cui all'art. 727, oggetto anch'essa di riformulazione. Per effetto delle modifiche introdotte dalla legge n. 82/2025 il bene offeso dalle condotte sono gli animali (non più l'umano sentimento provato per gli animali) la cui tutela, con l'introduzione della l. cost. n. 1/2022 è ora oggetto di previsione costituzionale all'art. 9, comma 3, Cost. SoggettiSi tratta di un reato comune. Quanto ai soggetti e alla nozione di “animale”, si veda sub art. 544-bis (in particolare, come precisato in sede di legittimità, nei delitti contro il sentimento degli animali, l'animale rileva non come corpo del reato o cosa ad esso pertinente, né come bene patrimoniale produttivo di frutti, ma esclusivamente come essere vivente dotato, in quanto tale, di una propria sensibilità psico-fisica: così Cass. III, n. 20934/2017, che ha affermato come la confisca potesse avere come oggetto solo l'animale maltrattato, non i suoi figli estranei al reato, anche se nati successivamente ed in costanza di sequestro). La condottaSi tratta di un reato a forma libera (alla stregua dell’art. 582), per l’integrazione del quale è sufficiente che l’azione sia causale rispetto all’evento tipico (Cass. III, n. 39159/2014). L'art. 544-ter è qualificabile come “norma a più fattispecie”: la pluralità delle condotte tipizzate (punite con la medesima sanzione), si presentano come modalità diverse di concretizzazione dell'offesa al bene giuridico, la cui eventuale plurima realizzazione configura comunque un solo reato (con esclusione pertanto della configurabilità del concorso di reati). La previsione del delitto di maltrattamento di animali si articola in tre commi. Nel primo comma vengono descritte le seguenti condotte: a) aver cagionato una “lesione” secondo le caratterizzazioni di cui all'art. 582. La S.C. ha ritenuto come la nozione di “lesione”, sebbene non necessariamente coincidente con quella prevista dall'art. 582, implichi comunque la sussistenza di un'apprezzabile diminuzione della originaria integrità dell'animale che, pur non risolvendosi in un vero e proprio processo patologico e non determinando una menomazione funzionale, sia comunque diretta conseguenza di una condotta volontaria commissiva o omissiva (si v. Cass. III, n. 32837/2013). Configura la lesione integrante il delitto di maltrattamento di animali, anche l'omessa cura di una malattia che determini il protrarsi e il significativo aggravamento della patologia quale fonte di sofferenze e di un'apprezzabile compromissione della integrità fisica (il caso riguardava le omesse cure ad un cane affetto da vari tumori mammari ulcerati, nonché da dermatite e artrosi, Cass. III, n. 22579/2019). In dottrina si è escluso che le percosse (da cui non derivi la malattia) rientrino nell'ambito applicativo delle “lesioni” (l'art. 581 prevede una pena inferiore); esse potranno rilevare, eventualmente, come “sevizie” (ex art. 544-ter, comma 2) (così Napoleoni, 1067) b) condotte di sevizie, comprensive di “tutte le forme di crudeltà verso animali, offensive del sentimento di pietà e compassione per gli stessi” (così, in dottrina, Dolcini-Gatta, 2647). c) condotte consistenti nella sottoposizione dell'animale ad attività insopportabili per le sue caratteristiche etologiche. I “comportamenti insopportabili” imposti all'animale, idonei ad integrare il reato, sono quelli incompatibili con il comportamento proprio della specie di riferimento dello stesso, così come ricostruito dalle scienze naturali (così Cass. III, n. 5979/2012). Il parametro delle “caratteristiche etologiche” viene fatto consistere nello “stile di vita” e nelle caratteristiche comportamentali dell'animale individuati dalle scienze naturali (Napoleoni, 1075). In sede di legittimità si è precisato come la nozione di “comportamenti insopportabili per le caratteristiche etologiche” non assuma un significato “assoluto” (inteso come raggiungimento di un limite oltre il quale l’animale sarebbe annullato), ma un significato “relativo”, nel senso del contrasto con il comportamento proprio della specie di riferimento come ricostruita dalla scienza naturale (Cass. III, n. 39159/2014, che ne precisa il contenuto riferendolo alla collocazione degli animali in ambienti non adatti alla loro naturale esistenza, inadeguati dal punto di vista delle dimensioni, della salubrità, delle condizioni tecniche). Il testo del primo comma stabilisce la necessità che la condotta di “lesioni” venga realizzata per crudeltà ed assenza di necessità (per una descrizione di tali requisiti, si v. sub art. 544-bis; la S.C. ha precisato come rientri nella nozione di necessità anche lo stato di necessità previsto dall'art. 54 c.p., ed ogni altra situazione che induca al maltrattamento dell'animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l'aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile uccisione (Cass. III, n. 44822/2007). Ci si è chiesti se tali requisiti debbano limitarsi alla previsione concernente la condotta di lesioni o debbano invece estendersi anche per le altre modalità di realizzazione dei maltrattamenti. La dottrina prevalente ritiene che la formulazione letterale della norma imponga l'estensione della richiesta della “crudeltà e dell'assenza di necessità” a tutte le condotte descritte dal comma 1 (per una ricostruzione dei termini della questione, Napoleoni, 1079) La giurisprudenza ha invece sostenuto come il requisito della crudeltà e dell'assenza di necessità sia previsto per la sola ipotesi della condotta che cagioni “lesioni”, escludendo così le altre condotte descritte nel primo comma dell'art. 544-ter (così Cass. III, n. 32837/2013). Nel comma 2 vengono incriminate le condotte di: a) Somministrazione di “sostanza stupefacente o vietate”. Benché la previsione sia stata introdotta, nelle intenzioni del legislatore, per contrastare la pratica del doping, non vi è nel testo alcun richiamo a tale o altra finalità, che dunque è irrilevante al fine della configurazione del tipo. L'individuazione delle sostanze stupefacenti per animali non è stata affidata ad apposita tabella; in dottrina vi è chi ritiene di dovere richiamare gli elenchi di cui al d.P.R. n. 309/1990, in senso contrario si è osservato come un tale rinvio si baserebbe sull'erroneo presupposto che le sostanze richiamate in dette fonti per “l'uomo”, abbiano identici effetti sull'animale. In assenza di un'indicazione normativa espressa, si è ritenuto che la nozione di “sostanza stupefacente” debba intendersi in senso descrittivo come “ogni sostanza, naturale o sintetica, che, somministrata agli animali, risulti idonea a determinare in essi uno stato di alterazione fisica o psichica con effetto drogante” (Dolcini-Gatta, 2650). Quanto alle sostanze vietate, per esse il richiamo vale alle norme che proibiscono la somministrazione di determinate sostanze agli animali (vi rientrano la norme che puniscono l'utilizzo di estrogeni nell'allevamento del bestiame, di cui alla d.l. n. 336/1999, art. 32). Anche per esse, la finalità per la quale è avvenuta la somministrazione è irrilevante. In dottrina si è qualificata la fattispecie come “reato di pericolo astratto” (Napoleoni, 1077) b) Sottoposizione a trattamenti che procurano un danno alla salute. La condotta esige la verificazione del danno alla salute, che costituisce l'evento del reato. L'elemento del “danno alla salute” consente di distinguere tale previsione dalla condotta di “sottoposizione dell'animale ad attività insopportabili per le sue caratteristiche etologiche” (comma 1) e da quella del cagionare “lesioni” all'animale: il “danno alla salute” deve essere inteso come evento minore rispetto alle lesioni, affinché possa essere riconosciuto un ambito applicativo autonomo alla disposizione. Pertanto esso non deve configurare una “malattia”; ma neanche “la sofferenza” (benché grave), che farebbe qualificare la condotta come riconducibile alla contravvenzione di cui al secondo comma dell'art. 727 (ricorrendone gli altri presupposti) (Dolcini-Gatta, 2651). Le condotte non devono essere realizzate “per crudeltà” o “senza necessità” (si veda supra). Il secondo comma non richiede che le condotte in esso tipizzate siano poste in essere per crudeltà o senza necessità. Per la previsione di cui al terzo comma dell'art. 544 ter, si veda infra. Elemento soggettivoIl delitto è punito a titolo di dolo. La trasformazione della fattispecie da delitto a contravvenzione ha comportato irrilevanza penale dei maltrattamenti “colposi”. La S.C. ha affermato come la fattispecie di maltrattamento di animali configuri un reato a dolo specifico, nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale sia tenuta “per crudeltà”; mentre, quando la condotta è tenuta “senza necessità”, integra invece un reato a dolo generico (Cass. III, n. 44822/2007). Consumazione e tentativoIl delitto si consuma al verificarsi: della lesione; della condotta di sottoposizione dell'animale alle sevizie, ai comportamenti, fatiche o lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche (comma 1); della somministrazione delle sostanze stupefacenti o vietate; al verificarsi del danno alla salute (comma 2); alla morte dell'animale (comma 3). In dottrina si è ritenuto come, benché la formulazione della norma paia alludere alla necessità di plurime condotte per la realizzazione del reato, sia sufficiente un solo atto (di sevizia; di fatica, etc.) al fine di configurare la fattispecie (Napoleoni, 1096). Nel caso di realizzazione di più condotte tipizzate dalla fattispecie, dottrina minoritaria ritiene configurabile il concorso di reati (escluso invece dalla dottrina prevalente, secondo la quale le condotte realizzate in un medesimo contesto di azione configurano un reato unico; sul punto, si v. Napoleoni, 1096). Quanto al tentativo, esso è ritenuto configurabile per tutte le ipotesi descritte nella fattispecie, salvo che per la previsione di cui al comma 3: laddove infatti l'evento “morte” fosse voluto, si configurerebbe la fattispecie di cui all'art. 544 bis (Dolcini-Gatta, 2645) Circostanze e trattamento sanzionatorioIl terzo comma dell'art. 544-ter prevede un aumento di pena nel caso di morte dell'animale. Prima della entrata in vigore della legge n. 82/2025 si riteneva che l'esclusivo riferimento alle ipotesi del primo comma fosse frutto di una svista del legislatore, la morte infatti potrebbe conseguire anche alle condotte descritte nel secondo comma della norma. Il legislatore del 2025 vi ha posto rimedio estendendo, mercè l'art. 5, comma 2, lett. b), l. n. 82/2025, la applicazione della circostanza aggravante anche alle condotte tipizzate dal secondo comma. Si discute se questa previsione integri una circostanza aggravante (applicabile ai soli fatti previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 544-ter) ovvero un'autonoma figura di reato (in tal senso, Dolcini-Gatta, 652 s.). Le conseguenze della qualificazione come circostanza inciderebbero sulla possibilità che la “morte” dell'animale possa essere sottoposta a giudizio di bilanciamento ex art. 69. Dal punto di vista dell'ascrizione soggettiva, l'imputazione dell'evento “morte”, benché non coperta dal dolo (neanche “eventuale”, configurandosi altrimenti il delitto di cui all'art. 544-bis), deve comunque, secondo le regole fissate dall'art. 59, comma 2, essere ascrivibile almeno a colpa (dunque porsi come conseguenza prevedibile della condotta). Se invece le sevizie vengono poste in essere allo scopo di cagionare la morte dell'animale si applica l'art. 544-bis. In dottrina si è affermata l'incompatibilità della condotta di sottoposizione a sevizie dell'animale (art. 544-ter, comma 1) con la circostanza aggravante di cui all'art. 61 c.p. (“l'aver adoperato sevizie”), in quanto le sevizia costituisce elemento costitutivo del delitto (così Dolcini-Gatta, 2648). L'art. 4, l. n. 82/2025, ha aggiunto nuove circostanze aggravanti applicabili a tutti (e solo) i delitti contro gli animali (si veda il commento dell'art. 544-septies). L'art. 5, comma 2, lett. a), l. n. 82/2025 ha inasprito il trattamento sanzionatorio aumentando la pena detentiva e prevedendone l'applicazione congiunta con quella pecuniaria. La modifica riguarda i fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge, quindici giorni dopo, cioè, la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 16 giugno 2025 e, dunque, il 1 luglio 2025. Art. 19-ter disp. att. c.p.: ipotesi di non punibilitàAi fini della configurabilità del reato di cui all'art. 544-ter, non assumono effetto esimente le disposizioni di cui alla l. n. 157/1992 di disciplina della caccia, atteso che tale legge non esaurisce la tutela della fauna nell'espletamento delle pratiche venatorie (Cass.III, n. 46784/2005 che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto integrato il reato de quo in caso di uso di richiami vivi detenuti con modalità incompatibili con la loro natura). Nel caso di concorso con le leggi speciali, esse, a norma dell'art. 19-ter disp. att., prevalgono sulla fattispecie in parola, integrando un concorso apparente di norme. L'art. 19 ter disp. coord. esclude l'applicabilità del reato previsto dall'art. 544-ter e delle altre disposizioni del titolo IX bis, libro II, c.p., all'attività circense ed alle ulteriori attività ivi menzionate, purché siano svolte nel rispetto della normativa di settore (Cass. III, n. 11606/2012). Rapporti con altri reatiE' configurabile l'ipotesi di cui all' art. 544-ter, comma 3, c.p. quando la morte dell'animale, ancorché costituisca una conseguenza prevedibile della condotta dell'agente, non sia riferibile ad un suo comportamento volontario e consapevole, mentre ricorre la fattispecie di cui all'art. 544-bis c.p. quando si accerti che l'agente ha agito con la volontà, diretta o anche solo eventuale, di cagionare la morte dell'animale (Cass. V, n. 8449/2020) . La S.C. ha affermato come il concetto di deterioramento di cui all'art. 638 implichi la sussistenza di un danno giuridicamente apprezzabile, mentre per le lesioni all'integrità fisica di cui all'art. 544-ter sia necessario il verificarsi di una malattia atta a determinare un'alterazione anatomica funzionale, anche non definitiva, dell'organismo (così Cass. II, n. 43791/2011 a proposito di cane sbattuto a terra e preso a calci). Sussiste un rapporto di continuità normativa tra le nuove fattispecie inserite dalle l. n. 189/2004 e le condotte prima contemplate dall'art. 727 (contravvenzione che punisce oggi il solo abbandono degli animali), sia con riferimento al bene protetto, sia per l'identità delle condotte (Cass. III, n. 44822/2007). In sede di legittimità si è precisato come il delitto di cui all'art. 544-ter si differenzi dall'ipotesi di cui all'art. 727, comma 2 – avente natura residuale rispetto al primo – in quanto è punito solo a titolo di dolo e caratterizzato dal presupposto della crudeltà e della mancanza di necessità, nonché dalla causazione di lesioni e sottoposizione a sevizie, comportamenti, fatiche, lavori insopportabili (così Cass. III, n. 10163/2017). Cass. V, n. 20221/2022 ha affermato la susisstenza del delitto di cui all’art. 544-ter e non della contravvenzione di cui all’art. 727 c.p. in un caso di detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dagli artt. 4 e 5 della l. n. 157/1992, trattandosi di sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'avifauna. Con riferimento alla condotta di somministrazione ad un cavallo delle sostanze di cui all'allegato 1 del regolamento UNIRE (d.m. n. 797/2002), a prescindere dalla relative quantità, integra sia il reato previsto dall'art. 1, l. n. 401/1989, che quello di cui all'art. 544-ter, in quanto non solo compromette il corretto e leale svolgimento della competizione alla quale l'animale deve prendere parte, ma mette a rischio anche la sua salute (Cass. III n. 38647/2017). Con recente sentenza, la Corte di legittimità ha ribadito l'orientamento secondo il quale la detenzione di volatili in condizioni di privazione di acqua, cibo, aria, integri il reato di cui al secondo comma dell'art. 727 cp (e non il delitto di maltrattamenti di animali, di cui all'art. 544 ter cp); in tal sede si è tuttavia precisato come la detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dagli artt. 4 e 5 l. 11 febbraio 1992, n. 157, costituiscano sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'avifauna, tali da integrare non già la contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., ma il delitto di maltrattamento di animali di cui all'art. 544-ter c.p. (Cass. V, n.20221/2022). La previsione di cui al comma 2 dell'art. 544-ter — che descrive la condotta di sottoposizione dell'animale ad attività insopportabili per le sue caratteristiche etologiche — si differenzia dall'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 727 — che incrimina la detenzione di animali “in condizioni incompatibili con la loro natura”, in quanto la contravvenzione è di portata più ampia, e sanziona la violazione del dovere di custodia conforme alla natura dell'animale; mentre l'art. 544-ter c.p. incrimina la costrizione dell'animale a comportamenti contrari alle sue caratteristiche etologiche (Napoleoni, 1073). Il delitto di maltrattamenti può concorrere con i reati previsti dalla legge sulla caccia (in particolare con le contravvenzioni di “uccellagione” e di “esercizio della caccia con l'ausilio di richiami vietati”, rispettivamente, artt. 30, comma 1, lett. e, e lett. h, l. n. 157/1992). Tale conclusione è stata sostenuta da parte della dottrina anche sulla base dei diversi beni giuridici tutelati: le norme della legge speciale sulla caccia, salvaguardano il corretto esercizio dell'attività venatoria; quelle del codice penale, invece, gli animali, quali autonomi esseri viventi capaci di sofferenza (Napoleoni, 1098) Nel caso di sperimentazione scientifica su animali senza anestesia, trova applicazione, per il principio di specialità, unicamente l'art. 4, comma 8, l. n. 116/1992. In sede di legittimità si è affermato come l'art. 19-ter disp. coord. c.p. escluda la configurabilità del reato previsto dall'art. 544-ter per le attività di allevamento di animali destinati alla sperimentazione scientifica ed alla ulteriori attività ivi indicate, purché svolte nel rispetto della normativa di settore (Cass. III, n. 10163/2017). In dottrina si è affermata che, quando la condotta di cui all'art. 544-ter sia stata commessa dal proprietario al fine di conseguire per sé o per altri l'indennità di un'assicurazione, il delitto possa concorrere con quello di cui all'art. 642 (così Dolcini-Gatta, 2655). CasisticaSi è ritenuto integrato il delitto di maltrattamento di animali nella condotta di chi, esercitando in modo abusivo la caccia mediante l'installazione di trappole illegali idonee a colpire e ferire o uccidere appartenenti alla specie animale automaticamente e senza un preventivo comando da parte del cacciatore, abbia provocato lesioni ad un qualsiasi animale, trattandosi di una condotta compiuta “senza necessità” e con piena accettazione del rischio di tale evento (Cass. III, n. 17012/2015). Il mantenimento in cattività di delfini in vasche con dimensioni e caratteristiche tecniche non conformi alle prescrizioni del d.m. 6 dicembre 2001 n. 469, configura il delitto di cui all'art. 544-ter, integrando tale condotta un comportamento incompatibile con il benessere dell'animale e con le sue caratteristiche etologiche (Cass. III, n. 39159/2014). Non è configurabile il delitto di maltrattamento di animali, nella specie di cavalli, in caso di mancato rispetto delle indicazioni e prescrizioni contenute nel c.d. “Codice per la tutela e la gestione degli equidi” redatto nel 2009 dal Ministero della salute, in quanto privo di efficacia cogente, non essendo stato adottato con un atto normativo né primario né secondario (Cass. III, n. 19594/2011). L'abuso nell'uso del collare coercitivo di tipo elettrico “antiabbaio” integra il delitto di maltrattamento di animali, atteso che ogni comportamento produttivo nell'animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del delitto in parola (Cass. III, n. 15061/2007; nello stesso senso Cass. III, n. 3290/2018). L'utilizzo del “collare elettronico” non integra il reato di cui all'art. 544-ter (configurabile nella diversa ipotesi di abuso del collare coercitivo di tipo elettrico “antiabbaio”), ma la contravvenzione di cui all'art. 727, comma 2, poiché concretizza una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull'integrità psicofisica dell'animale (Cass. III, n. 21932/2016). Non integra il reato di maltrattamento di animali, in relazione alla sottoposizione degli stessi a comportamenti insopportabili per le loro caratteristiche etologiche, la detenzione di volatili all'interno di gabbie di ampiezza insufficiente (Cass. III, n. 6656/2010; nello stesso senso Cass. III, n. 16042/2018,con riguardo alla detenzione di undici cani di varie razze all'interno di una gabbia di dimensioni anguste, in condizioni igienico-sanitarie gravemente deficitarie, a causa delle quali taluni di essi avevano contratto infezioni e riportato lesioni. Si v. pure, Cass. III, n. 8036/2018). Non integra il reato di “maltrattamento degli animali” bensì quello di detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze, previsto dall'art. 727, comma 2, la detenzione di volatili in condizioni di privazione di cibo, acqua e luce (Cass. VI, n. 17677 /2016). La detenzione di uccelli in gabbie talmente piccole da cagionare il danneggiamento e l'avulsione del piumaggio, ed il loro impiego nell'attività venatoria quali richiami vivi, fuori dai casi e dai modi consentiti dagli artt. 4 e 5 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, costituiscono sevizie insopportabili per le caratteristiche etologiche dell'avifauna, tali da integrare non già la contravvenzione di cui all'art. 727 cod. pen., ma il delitto di maltrattamento di animali di cui all'art. 544-ter c.p.(Cass. V, n. 20221/2022). Integra il reato in commento l'utilizzo di animali vivi come esca per la pesca sportiva, non potendosi ritenere tale condotta scriminata ai sensi dell'art. 19-ter disp. coord. c.p., che trova applicazione solo ove le attività in esso menzionate siano svolte nel rispetto della normativa di settore (il caso riguardava l'utilizzo, non contemplato dalla normativa speciale in materia di pesca, di piccioni vivi quale esca per la pesca del pesce “siluro”, Cass . III, n. 17691/2019). Integra il delitto di cui all'art. 544-ter, comma secondo, prima ipotesi, c.p. la condotta di chi somministri agli stessi vaccini vietati, a prescindere dall'accertamento della dannosità per la loro salute, trattandosi di un reato di pericolo presunto (Cass.III, n. 32602/2021; si v. pureCass. III, n.19141/2020). Profili processualiIl reato di maltrattamenti di animali è procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico. Per il reato di cui all'art. 544-bis non è consentito né l'arresto, né il fermo, né altre misure cautelari personali. Quanto alla costituzione di parte civile, ex art. 91 c.p.p., degli enti e delle associazioni animaliste, si v. sub art. 544-bis. La S.C. ha osservato come, benché la ratio della previsione di cui all'art. 727 sia quella di tutelare il sentimento di comune pietà verso gli animali e di promuovere l'educazione civile, la qualifica di persona danneggiata dal reato compete al proprietario dell'animale che abbia subito sevizie da parte di altri, anche se non abbia assistito personalmente alla commissione del fatto, avendo egli ricevuto un danno morale per il vincolo d'affetto che lo lega all'animale (Cass. III, n. 36059/2004, fattispecie in cui è stata riconosciuta la costituzione di parte civile nel procedimento penale) Le competenza di polizia giudiziaria spettanti, quali agenti di P.G., alle guardie particolari giurate delle associazione protezionistiche e zoofile riconosciute (art. 6, l. n. 189/2004), si estendono alla protezioni di animali anche diversi da quelli di affezione (Cass. III, n. 28727/2011; la S.C. ha riconosciuto la legittimazione ad eseguire il sequestro di animali esotici, per violazione dell'art. 544-ter, agli agenti della L.I.D.A.). Sul sequestro degli animali sottoposti a maltrattamento, si veda sub art. 544-sexies. Bibliografiasi veda sub art. 544 bis |