Codice Penale art. 589 - Omicidio colposo 1 2 .

Maria Teresa Trapasso
aggiornato da Angelo Salerno

Omicidio colposo 1 2.

[I]. Chiunque cagiona per colpa [43] la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [586] 3.

[II]. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni 456

[III].Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni7.

 

[IV]. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone [590], si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici 8.

 

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo

fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo e terzo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, l. 11 maggio 1966, n. 296.

[2] Per un caso di esclusione della punibilità, in materia di responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, vedi l'art. 3, comma 1, del d.l.  1 aprile 2021, n. 44, conv. con modif. in  l. 28 maggio 2021, n. 76V. anche art. 3-bis d.l. n. 44 cit.

[3] Per una riduzione delle pene in determinate ipotesi v. art. 81 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

[4] Le parole «sulla disciplina della circolazione stradale o di quelle» sono state soppresse dall'art. 1, comma 3, lett. c) l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8, l. n. 41, cit.

[5] Comma modificato, con l'aumento della pena da uno a due anni nel minimo, dall'art. 2 della legge 21 febbraio 2006, n. 102, e poi ulteriormente modificato con l'aumento della pena nel massimo da cinque a sette anni, dall'art. 1 d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla l. 24 luglio 2008, n. 125.

[6] Seguiva un comma dapprima inserito dall'art. 1 d.l. n. 92, cit., conv., con modif., dalla legge n. 125, cit. e successivamente abrogato art. 1, comma 3 lett. d), l. 23 marzo 2016, n. 41, con effetto a decorrere dal 25 marzo 2016, ai sensi dell'art. 1, comma 8,  l. n. 41, cit. Il testo del terzo comma era il seguente: «[III]. Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da: 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni; 2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope».

[8] Comma modificato, con l'aumento della pena da dodici a quindici anni nel massimo dall'art. 1 d.l. n. 92, cit., conv., con modif., dalla legge n. 125. cit.

Inquadramento

Il delitto è posto a tutela della vita umana. La fattispecie corrisponde sul piano oggettivo alla descrizione del fatto tipico di omicidio di cui all'art. 575, differenziandosi da esso nel senso che il delitto colposo viene tipizzato attraverso la combinazione della norma penale con le regole cautelari pertinenti all'attività svolta (Pulitanò, Omicidio, 67).

Soggetti

Soggetto attivo. Si tratta di un reato comune. Ordinariamente, tuttavia, i soggetti responsabili del delitto in commento rivestono il ruolo di “garanti”, ex art. 40 cpv., della vita e dell'incolumità personale del soggetto passivo (es., genitori, esercenti professioni sanitarie: titolari della c.d. posizione di protezione; esercenti attività rischiose, datori di lavoro: titolari della c.d. posizione di controllo, Pulitanò, 67).

Soggetto passivo è l'uomo (per la relativa nozione si v. sub art. 575). Nel concetto di “uomo” rientra anche il feto una volta che si sua distaccato dall'utero, divenendo autonomo (in dottrina, Dolcini-Gatta, 3088), così da risultare integrato il delitto di cui all'art. 589 nel caso in cui ne venga cagionata la morte durante il parto (Cass. IV, n. 7967/2013, che ha individuato nell'inizio del travaglio il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo; così anche Cass. IV, n. 35027/2009).

Materialità

La condotta consiste nella causazione per colpa della morte di un uomo (sull'accertamento del nesso eziologico tra la condotta e l'evento, si v. sub art. 575).

La distanza temporale della condotta colposa rispetto all'evento da essa causato non impedisce di riconoscere la responsabilità penale dell'agente. (la S.C. ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva riconosciuto la responsabilità, a titolo di omicidio colposo, del costruttore di una macchina, il cui difetto di costruzione aveva cagionato, sei anni dopo la messa in commercio della macchina, il decesso di un lavoratore, Cass. IV, n. 5541/2020).

Più di recente la Corte ha va inoltre valorizzato, ai fini del giudizio in ordine alla sussistenza della responsabilità colposa, l'omessa adozione di cautele da assumere con largo anticipo, idonee a prevenire gli eventi "imprevisti" a realizzazione istantanea od immediata, che non siano cioè preceduti da segnali, diversamente dagli eventi classificati "con preavviso" nel sistema della protezione civile. (Cass. IV, n. 5541/2020).

Campi di elezione dell'omicidio colposo sono: l'attività medico chirurgica; gli infortuni sul lavoro; la circolazione stradale. Il legislatore ha tuttavia disciplinato la responsabilità colposa medica e stradale in apposite disposizioni, di cui agli artt. 589-bis e ss. e 590-sexies, cui pertanto si rinvia.

Elemento psicologico

Campi di elezione dell'omicidio colposo sono: l'attività medico chirurgica; gli infortuni sul lavoro; la circolazione stradale.

Infortuni sul lavoro e malattie professionali

L'omicidio colposo registra una frequente applicazione in relazione agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. Il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico per la sicurezza sul lavoro), ha individuato la titolarità della posizione di garanzia rispetto all'incolumità fisica dei lavoratori, nei seguenti soggetti: datore di lavoro, dirigente, preposto (ex artt. 2, comma 1, lett. b, d, e). “Garante” viene pure qualificato colui che, “pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti” (art. 299 d.lgs. n. 81/2008, che descrive il c.d. principio di effettività, che tuttavia non vale a rendere efficace una delega priva dei requisiti di legge, Cass. IV, n. 22606/ 2017). 

Nelle strutture aziendali complesse occorre far  riferimento  al soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio:  è generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto  l'infortunio  occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; al dirigente, il sinistro riconducibile al dettaglio dell'organizzazione dell'attività lavorativa; al datore di lavoro l'incidente derivante da scelte decisionali di fondo  (Cass IV, n. 22606/2017).

In sede di legittimità si è precisato come nell'accertamento degli obblighi gravanti sul soggetto garante e  dei limiti di gestione  dei rischi, il giudice  sia  chiamato a valutare la natura  giuridica del rapporto di lavoro e la situazione fattuale sottostante (Cass. IV,  n. 27305/2017 ). 

Invero, di recente, la Corte di Cassazione ha ravvisato l'ipotesi aggravata di omicidio colposo per violazione delle norme antinfortunistiche anche nel caso in cui l'attività sia prestata dal lavoratore a titolo di amicizia, riconoscenza o comunque in una situazione diversa dal rapporto di subordinazione, posto che la normativa a tutela della sicurezza sul lavoro deve essere rispettata ogni qualvolta la prestazione avvenga in ambiente suscettibile di essere definito di "lavoro" (Cass. IV, n. 7192/2024). 

Deve tuttavia evidenziarsi che, come precisato dai giudici di legittimità, ai fini dell'integrazione dell'aggravante del « fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro » , non è sufficiente che l'evento si sia verificato in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa, ma è necessario che sia stata violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione rischiosa dei predetti e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio lavorativo (Cass. IV, n. 30616/2024).

In ogni caso la casistica preponderante riguarda rapporti lavorativi professionali, spesso nell'ambito di strutture complesse, in relazione alle quali è possibile individuare  più titolari della posizione di garanzia ; in tal caso ,  ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l'omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (Cass. IV, n. 6507/2018).

Il d.lgs. n. 81/2008 ha altresì provveduto a disciplinare l'istituto della delega di funzioni  (artt. 16 e 17), prevedendone limiti e condizioni (essa, ex art. 16, deve risultare da atto scritto, recante data certa; deve essere accettata, sempre per iscritto, dal delegato; è richiesta una professionalità ed esperienza specifica per il delegato; e l'attribuzione ad esso dei poteri —organizzazione, gestione, controllo — necessari per svolgimento funzioni delegate, oltre che del potere di spesa). Vi sono tuttavia degli obblighi indelegabili, che concernono: la valutazione dei rischi e l'elaborazione del relativo documento; la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 17). Il rispetto di tali condizioni rende possibile il trasferimento della posizione di garanzia in capo al delegato (Cass. IV, n. 39158/2013; in sede di legittimità si è tuttavia precisato come la delega debba intendersi revocata, dunque il delegante “responsabile”, nel caso di mutamenti della situazione di fatto, che rendano impossibile l'esercizio della delega: es. trasferimento del delegato, Cass. IV, n. 15234/2008).

In sede di legittimità si è precisato come gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possano essere oggetto di delega di funzioni con conseguente subentro del preposto nella posizione di garanzia, a condizione che il relativo atto riguardi un ambito ben definito, effettivo ed espresso in maniera esplicita, e non l'intera gestione aziendale (Cass. IV, n. 33630/2016).

La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (quale soggetto svolgente il ruolo di consulente, privo di poteri decisionali)  non costituisce una delega di funzioni ;  essa pertanto non solleva il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive  responsabilità in tema di violazione degli obblighi antinfortunistici ( Cass. IV, n. 24958/2017). Il rilascio di deleghe in materia di prevenzione e sicurezza dei lavoratori all'interno di una struttura aziendale complessa, con conferimento del correlato potere di spesa, ai direttori di stabilimento non esonera gli amministratori dalla responsabilità per la condotta commissiva di impiego nelle lavorazioni dell'amianto, quali datori di lavoro ai quali sono da imputarsi le scelte "politico-imprenditoriali" (Cass. IV, n. 44943/2021).

La delega non esclude in capo al delegante l'obbligo di vigilanza, che tuttavia può dirsi assolto nel caso di adozione dei modelli di verifica e controllo, di cui all'art. 30, comma 4 (art. 16, comma 3, modificato dal d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106, art. 2, comma 1). L'assolvimento dell'obbligo di vigilanza è stato inteso dalla giurisprudenza nei termini del controllo della correttezza della “complessiva gestione del rischio” da parte del delegato (Cass. IV, n. 10702/2012) e che, in quanto tale, «non può avere ad oggetto il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni» (Cass. IV, n. 51455/2023). 

La delega di funzioni in materia di sicurezza sul lavoro si atteggia in termini particolari per quanto concerne la Pubblica Amministrazione; in tale ambito, “datore di lavoro” è il dirigente che abbia autonomi poteri decisionali in ambito di spesa (Cass. III, n. 19634/2003).

La materia relativa all'appalto di lavori, con particolare riguardo alla ripartizione di responsabilità tra i vari soggetti coinvolti (committente, responsabile dei lavori, coordinatori per progettazione ed esecuzione), è oggetto di disciplina del d.lgs. n. 81/2008 (artt. 88 ss.). In sede giurisprudenziale, con riguardo al committente, si è affermato come la posizione di garanzia in capo ad esso permanga anche dopo l'affidamento dei lavori ad un'impresa: in caso d'infortunio, la sua responsabilità non è esclusa da quella dell'appaltatore (Cass. IV, n. 42131/2008). Presupposto per l'affermazione della titolarità degli oneri gravanti sul committente, l'effettiva sussistenza del contratto di appalto (o di uno degli altri rapporti contrattuali descritti dall'art. 26, d.lgs. n. 81/2008, così Cass. IV, n. 27306/2017). L'esclusione della responsabilità sarà condizionata invece dalla nomina di un direttore dei lavori, cui dovrà conferirsi la delega concernente gli adempimenti richiesti per l'osservanza della norme antinfortunistiche (Cass. IV, n. 23090/2008).

Anche in capo al responsabile dei lavori edili, è stata riconosciuta in sede giurisprudenziale la sussistenza di una posizione di garanzia (Cass. IV, n. 17634/2009). Il coordinatore per l'esecuzione dei lavori edili, in virtù della titolarità di poteri impeditivi, è stato riconosciuto titolare di una posizione di garanzia avente od oggetto gli obblighi di cui all'art. 92 d.lgs. n. 81/2008, a garanzia dell'incolumità dei lavoratori (Cass. IV, n. 18651/2013; egli ha tuttavia una funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo delle singole attività lavorative, che è demandato alle figure operative del datore di lavoro, del dirigente e del preposto, si v. Cass. IV, n. 2293/2021); così anche il coordinatore della sicurezza per l'esecuzione dei lavori (Cass. IV, n. 3809/2015). Il subappaltante è esonerato dagli obblighi di protezione solo nel caso in cui i lavori subappaltati rivestano una completa autonomia, sicché non possa verificarsi alcuna sua ingerenza rispetto ai compiti del subappaltatore (Cass. IV, n. 12440/2020). La previsione dell'art. 92 d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, relativa agli obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, si applica anche in caso di infortunio avvenuto nel corso di lavori subacquei di rimozione di un relitto, trattandosi di operazioni non ricomprese nella clausola di esclusione di cui all'art. 88, lett. f), d.lgs. citato (Cass. IV, n. 32233/2022).

Per valutare la responsabilità del committente, in caso di infortunio, occorre verificare in concreto l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonché alla agevole ed immediata percepibilità da parte del committente di situazioni di pericolo (Cass. IV, n. 5946/2020).L'amministratore che stipuli un contratto di affidamento in appalto di lavori da eseguirsi nell'interesse del condominio può assumere, ove la delibera assembleare gli riconosca autonomia di azione e concreti poteri decisionali, la posizione di "committente", come tale tenuto all'osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale della impresa appaltatrice, di informazione sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro e di cooperazione e coordinamento nella attuazione delle misure di prevenzione e protezione (Cass. IV, n. 10136/2021).

Anche nella materia degli infortuni sul lavoro, l'accertamento del nesso di causalità tra la condotta colposa dell'agente e l'evento letale, si svolge secondo i criteri dell'elevata probabilità razionale (confinante con la certezza) quanto alla produzione dell'evento lesivo; tuttavia in sede interpretativa (per i rinvii, Dolcini-Gatta, 3146) si è osservato come il modello di accertamento causale definito dalla sentenza Franzese, fondato sulla esclusione dei fattori causali alternativi, possa trovare applicazione rispetto a patologie riconducibili ad un solo fattore di rischio (l'amianto, rispetto all'asbestosi o al mesotelioma pleurico), mentre sia meno agevole per le patologie c. d. multifattoriali (es. tumore al polmone). Con particolare riguardo al tema delle patologie da esposizione ad amianto, si è posto il problema se la patologia debba considerarsi condizionata dalla durata e dalla intensità dell'esposizione — patologia c.d. dose-dipendente — ovvero attivato il processo patologico, le successive esposizioni non incidano più sul suo sviluppo (patologia c.d. dose-indipendente, Bartoli, 11).

Rispetto a tale questione, in sede di legittimità si è osservato come l'affermazione della sussistenza del nesso causale tra la morte del lavoratore e la sua esposizione all'amianto imponga la previa individuazione di una legge scientifica (per i criteri con cui il giudice è chiamato a verificare la fondatezza di tale parametro, Cass. IV, n. 43786/2014) in ordine “all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico” e che tale effetto si sia determinato nel caso concreto (Cass. IV, n. 43786/2010; Cass. IV, n. 40924/2008).

 Si è in particolare precisato come,  in tema di affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche e l'evento-morte dovuto a malattia professionale, il dato scientifico sulle proprietà oncogene di una sostanza non è sufficiente, dovendo il giudice di merito vagliare nel caso concreto la pertinenza di tale informazione nel passaggio dalla causalità generale a quella individuale, e dovendo esercitare un controllo critico sull'affidabilità delle basi scientifiche e sul grado di convergenza delle opinioni nella comunità scientifica (Cass. IV, n. 22022/2018, in tema di morte da esposizione ad amianto in cui la S.C. ha precisato che, ai fini dell'affermazione di responsabilità, il giudice è tenuto ad accertare se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all'effetto acceleratore della protrazione dell'esposizione dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico; in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico; nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali). 

In mancanza di una legge scientifica di copertura universale, la legge di copertura statistica in base alla quale taluni eventi possono essere ricondotti, con elevata probabilità, a determinati antecedenti causali, rappresenta un grave indizio a sostegno del nesso eziologico, la cui rilevanza è rapportata alla significatività dei dati e alla persuasività degli studi su cui si fonda e la cui ricorrenza va verificata dal giudice nel caso concreto, mediante l'esclusione, con alta probabilità logica, dell'esistenza di fattori causali alternativi. (Cass. III, n. 32860/2021, relativamente alla teoria dell'effetto acceleratore della cancerogenesi legata alla prolungata esposizione ad amianto).

Per affermare la responsabilità dell'imputato fondata sull'effetto acceleratore sul mesotelioma della esposizione ad amianto anche nella fase successiva a quella dell'insorgenza della malattia, il giudice, avendo la relativa legge scientifica di copertura natura probabilistica, deve verificare se l'abbreviazione della latenza della malattia si sia verificata effettivamente nei singoli casi al suo esame, essendo a tal fine necessarie informazioni cronologiche che consentano di affermare che il processo patogenetico si è sviluppato in un periodo significativamente più breve rispetto a quello richiesto nei casi in cui all'iniziazione non segua un'ulteriore esposizione e dovendo altresì essere noti e presenti nella concreta vicenda processuale i fattori che nell'esposizione protratta accelerano il processo. (Cass. IV, n. 16715/2017).

Il giudice, nell'individuare la legge scientifica di copertura da porre a base del ragionamento inferenziale, può discostarsi dalle conclusioni raggiunte da una "conferenza di consenso", che segna il grado di convergenza della comunità scientifica in un dato momento storico, solo mediante un'approfondita analisi degli studi e delle basi fattuali su cui si fonda la tesi antagonista, valutandone l'eventuale formulazione successiva al raggiungimento dell'accordo, l'indipendenza dei soggetti che hanno contribuito alla ricerca e l'eventuale diffusa condivisione scientifica susseguente alla sua enunciazione. (Cass. IV, n. 44943/2021; la Corte ha ritenuto insufficiente a smentire le conclusioni raggiunte da una conferenza di consenso, che ha validato la tesi della "dose correlata" quale causa di insorgenza del mesotelioma pleurico, la formulazione di una isolata opinione difforme, espressa all'interno del consesso da uno dei suoi partecipanti, che ricollegava l'innesco irreversibile della malattia alla inalazione in un determinato momento della "trigger dose", quantità non definibile di fibra di asbesto, ricollegando solo un effetto acceleratore alla successiva esposizione alle polveri nocive).

Le ricerche epidemiologiche sul tempo di latenza della malattia asbesto-correlata non sono idonee all'accertamento del nesso di causalità individuale nei confronti dei lavoratori già esposti in passato a sostanze nocive in ambito lavorativo e non lavorativo, in quanto costituiscono mere descrizioni e proiezioni probabilistiche, non universali, del dato relativo all'incremento di incidenza della malattia nella popolazione osservata ed all'abbreviazione della latenza media, senza alcuna implicazione sul ruolo causale del protrarsi dell'esposizione nel caso concreto (Cass. IV, n. 44943/2021).

Quanto alle ipotesi di patologie c.d. multifattoriali (in un caso di morte per adenocarcinoma del lavoratore, fumatore, esposto ad amianto nel corso della sua esperienza lavorativa), riconducibile cioè ad una pluralità di possibili fattori causali, l'affermazione della causalità della condotta omissiva del datore di lavoro nell'insorgenza del tumore polmonare del lavoratore, richiederà la dimostrazione che esso “non abbia avuto esclusiva origine dal prolungato ed intenso fumo delle sigarette” e che l'esposizione all'amianto sia stata un “condizione necessaria per l'insorgenza o per la significativa accelerazione della patologia” (Cass. IV, n. 11197/2011; Cass. IV, n. 16715/ 2017).

Con riguardo al ruolo della condotta colposa del lavoratore rispetto all'interruzione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'infortunio occorso, ne è stata riconosciuta l'incidenza come serie causale autonoma solo ove qualificabile come imprevedibile ed abnorme; si è tuttavia precisato in sede di legittimità, come il comportamento avventato del lavoratore posto in essere mentre è dedito al lavoro (e pertanto non esorbitante), possa essere invocato come imprevedibile o abnorme, solo se il datore di lavoro ha adempiuto a tutti gli obblighi che gli sono imposti in materia di sicurezza sul lavoro, consistenti nel dovere di prevenzione tecnica ed organizzativa; doveri di prevenzione informativa; doveri di vigilanza e controllo. Tutti obblighi, questi, miranti ad evitare l'abnorme e l'imprevedibile (cioè che il lavoratore per eseguire il proprio lavoro si avvalga di accorgimenti diversi da quelli imposti dalla legge; Cass. IV, n. 12115/1999). La condotta abnorme del lavoratore, idonea ad esonerare da responsabilità il produttore, può verificarsi solo in caso di uso improprio e del tutto anomalo della macchina, e non in quello di uso collegato alla sua funzione, neppure se ad opera di un terzo estraneo all'organizzazione aziendale (Cass. IV, n. 42110/2021; Cass. IV, n. 35858/2021).

Il principio enucleabile è pertanto quello secondo il quale l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non esime il datore di lavoro che si sia reso responsabile di specifiche violazioni in materia antinfortunistica, posto che rientra tra gli obiettivi di tale normativa anche quello di prevenire gli effetti della condotta colposa dei lavoratori, per la cui tutela è adottata (Cass. IV, n. 3580/1999). Il datore di lavoro deve vigilare per impedire l'instaurazione di prassi "contra legem" foriere di pericoli per i lavoratori, con la conseguenza che, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Cass. IV, n. 10123/2020; Cass. IV, n. 20092/2021).

Si è altresì precisato come, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non possa considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, in quanto l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro (Cass. IV, n. 15174/ 2017).

In tal prospettiva, anche l'ambito operativo del principio di affidamento è assai ristretto. Il principio, infatti, che governa la materia è quello secondo il quale il datore di lavoro, quale garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare e prevenire i rischi, non potendo invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui (Cass. IV, n. 22622/2008). Ciò vale anche con riguardo alla relazione con il preposto, qualora questi consenta a prassi contra legem, rischiose per i lavoratori: in caso di infortunio del dipendente, il datore di lavoro risponde a titolo di colpa ove sia venuto meno ai doveri di formazione del lavoratore ed abbia omesso ogni forma di sorveglianza sulla pericolosa prassi operativa instauratasi (Cass. IV, n. 18638/2004).

In sede di legittimità si è tuttavia di recente precisato come il sistema della normativa antinfortunistica si sia evoluto, passando da un modello “iperprotettivo”, interamente incentrato sulla figura del datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello “collaborativo”, in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (Cass. IV, n. 24139/2016).

Costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale possa ascriversi in capo al datore di lavoro una responsabilità a titolo di colpa generica — anche laddove non vi siano profili di rimproverabilità quanto al rispetto di specifiche prescrizioni in materia antinfortunistica — sulla scorta del criterio della prevedibilità, intesa non come specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, ma come potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno (Cass. IV, n. 4675/2006; Cass. IV, n. 21513/2009 ; in senso critico rispetto alla prassi giurisprudenziale di contestazione della “colpa generica” come equivalente di “colpa generale” integrabile da qualsiasi inosservanza di norme cautelari collegabile astrattamente all'evento, Castronuovo, Fenomenologie della colpa in ambito lavorativo, in penalecontemporaneo.it ,  20 s.). Il giudizio di prevedibilità rispetto ai rischi dell'attività svolta è legato all'obbligo, positivamente stabilito dall'art. 2087 c.c. a carico dell'imprenditore, di adozione delle prescrizioni cautelari indicate dalla “migliore tecnologia”, sulla base delle acquisizioni scientifiche in grado di escludere o minimizzare il rischio per l'incolumità del lavoratore, di cui l'imprenditore è garante (Cass. IV, n. 7402/2000, Cass. IV, n. 20176/2001).

L'accertamento della causalità della colpa impone la verifica che l'evento concretizzi il rischio che la norma cautelare — antinfortunistica — intendeva prevenire, oltre il riscontro che il rispetto della regole cautelari (c.d. comportamento alternativo lecito), avrebbe impedito la produzione dell'infortunio. Quanto al primo profilo, con particolare riguardo alle malattie professionali, in sede di legittimità si è affermata la necessità di accertare che l'evento concreto, quale conseguenza dell'agire, rientrasse tra gli eventi che la regola cautelare inosservata mirava a prevenire (Cass. IV, n. 4675/2006). Quanto al secondo profilo, la S.C. ha affermato la necessità ai fini dell'ascrizione dell'evento a titolo di colpa, dell'accertamento della sua evitabilità, cioè della verifica che il comportamento alternativo corretto sarebbe stato in concreto idoneo ad evitare l'evento (Cass. IV, n. 10170/1994, Cass. IV, n. 36857/2009). In sede di legittimità, la Corte ha precisato come, ai fini della integrazione della circostanza aggravante di cui all' art. 589, secondo comma (e 590, terzo comma) cod. pen., debbano ricorrere i seguenti presupposti: la violazione di una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione di rischio e pertanto assimilabili ai lavoratori; che l'evento sia concretizzazione di tale rischio che la regola cautelare violata era volta ad eliminare, non essendo all'uopo sufficiente che l'evento si verifichi in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa (Cass. IV, n. 32899 /2021; in applicazione di tale principio la Corte ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante in questione in relazione ai reati di omicidio colposo ascritti, quali datori di lavoro, ad esponenti di Trenitalia s.p.a. e di Ferrovie dello Stato s.p.a., per le morti di soggetti estranei all'organizzazione di impresa, causate dall'incendio derivato dal deragliamento e successivo ribaltamento di un treno merci trasportante GPL, durante l'attraversamento della stazione di Viareggio, determinato dal cedimento di un assile dovuto al suo stato di corrosione, ritenendo le vittime non esposte al rischio “lavorativo” bensì a quello attinente alla sicurezza della circolazione ferroviaria). Non è configurabile la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui l'incidente sia avvenuto sì "in occasione dello svolgimento di un'attività lavorativa" ma non con "violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro", ponendosi il rischio fuori della sfera di gestione del datore di lavoro (Cass. IV, n. 31478/2022).

Più di recente, i giudici di legittimità hanno ribadito la necessità che sia stata violata una regola cautelare volta a eliminare o ridurre lo specifico rischio, derivante dallo svolgimento di attività lavorativa, di morte o lesioni in danno dei lavoratori o di terzi esposti alla medesima situazione rischiosa dei predetti e che l'evento sia concretizzazione di tale rischio lavorativo, escludendo la configurabilità dell'aggravante e della violazione dell'art. 2087 cod. civ., contestate con riferimento al delitto di omicidio colposo, sul rilievo che non ricorreva alcuna situazione di pericolo dalla quale proteggere i lavoratori (Cass. IV, n. 30616/2024).

L'omicidio colposo (oltre che le lesioni colpose gravi o gravissime) commesso con violazione delle norma antinfortunistiche costituisce un c.d. reato-presupposto ai fini della responsabilità degli enti (ex art. 25-septies, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231). L'inserimento di tale previsione (operata con l'art. 9, d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231) ha sollevato dapprincipio, in sede interpretativa, incertezze quanto alla compatibilità tra l'ascrizione a titolo di colpa del reato e il criterio di imputazione (del reato all'ente) consistente nell'“interesse o vantaggio”, di cui all'art. 5 d.lgs. n. 231/2001, apparendo non agevole individuare in capo all'ente un interesse o vantaggio per la morte del lavoratore. L'impasse è stata superata riferendo la valutazione dell'interesse o vantaggio non all'evento, ma alla condotta inosservante delle regole cautelari (Pulitanò, Omicidio, 68; come nel caso di risparmio sui costi della sicurezza): in tal senso anche le Sezioni Unite della corte di legittimità (Cass.  S.U., n. 38343/2014). Il criterio di imputazione oggettiva del vantaggio, rappresentato dalla ricezione di un compenso, dall'aumento di fatturato e dall'ampliamento dei settori di operatività, ricorre anche a fronte di una singola condotta illecita, ove il vantaggio sia oggettivamente apprezzabile e ad essa eziologicamente collegato, a condizione che tale condotta integri la realizzazione di una delle fattispecie di reato previste dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 e sia riferibile a una persona che abbia agito per conto dell'ente a norma dell'art. 5 del medesimo d.lgs (Cass. III, n.20559/2022).

Consumazione

Il reato si consuma al verificarsi dell'evento-morte del soggetto passivo.

Forme di manifestazione

Circostanze aggravanti

L'art. 1, comma 3, lett. c), l. n. 41/2016, con cui si è introdotto il reato di “omicidio stradale”, art. 589-bis, ha modificato il testo dell'art. 589, comma 2, disciplinante originariamente l'aggravamento di pena anche per le ipotesi di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, eliminandone il richiamo. Nella formulazione attuale dell'art. 589 cpv., l'aggravamento di pena è stabilito solo per il fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (da intendersi, sia come quelle contenute nelle leggi specificamente dirette ad essa, sia quelle che, direttamente o indirettamente, perseguono il fine di prevenire malattie professionali e che, in genere, tendono a garantire i lavoratori in relazione ad agenti nocivi presenti nell'ambiente di lavoro, Cass. IV, n. 22022 /2018)La disposizione di cui all'art. 2043 c.c.non integra norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, perché priva di ogni indicazione cautelare e perché inidonea, per il carattere generale del dovere di non ledere l'altrui sfera giuridica previsto a carico di chiunque, a fondare un posizione di garanzia, la quale è invece caratterizzata dalla relazione intercorrente tra uno o più titolari di beni giuridici, non in grado di tutelarli, e categorie predeterminate di soggetti cui una fonte giuridica assegni poteri per l'impedimento degli eventi offensivi di tali beni (Cass. IV, n. 32899/2021; la Corte - in relazione agli omicidi colposi ascritti per le morti verificatesi nel disastro ferroviario di Viareggio ha escluso la configurabilità della circostanza aggravante del "fatto commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" a carico del dipendente e del direttore generale dell'officina che aveva materialmente eseguito la revisione di tale assile senza rilevarne lo stato di corrosione nonché dell'amministratore delegato della società proprietaria di tale officina, diversa dalla società proprietaria e fornitrice del mezzo). La disposizione di cui all'art. 2050 cod. civ. non integra norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, perché non ha come presupposto lo specifico rischio lavorativo - cioè quello di nocumento del lavoratore in conseguenza dell'attività lavorativa espletata o del terzo che si trovi in analoga situazione di esposizione - ma il generico rischio connesso all'esercizio di attività pericolose, e ha quindi un più ampio spettro preventivo. (Cass. IV, n. 32899/2021, decisione relativa alla c.d. “strage di Viareggio”).

L'art. 8 del d.lgs. n. 162/2007, non integra una norma per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto attiene alla sola sicurezza della circolazione ferroviaria il cui rischio, gravante sull'imprenditore ferroviario, va tenuto distinto dal rischio lavorativo, e dalle connesse competenze e regole comportamentali, che può gravare su tale imprenditore quale datore di lavoro. (Cass. IV, n. 32899/2021, “strage di Viareggio”).

La l. n. 41/2016 (art. 1, comma 3, lett. d), ha altresì abrogato il comma 3 dell'art. 589, con cui era previsto un notevole incremento sanzionatorio nel caso in cui la condotta fosse stata realizzata da soggetto in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. L'ipotesi è ora disciplinata dall'art. 589-bis, comma 2, che descrive un'aggravante speciale ad effetto speciale, per la quale i limiti sanzionatori, più consistenti, prevedono la reclusione da otto a dodici anni. La previsione attuale, di cui all'art. 589-bis, comma 2, si differenzia tuttavia dall'originaria, in quanto menziona come soggetto attivo il solo conducente il veicolo a motore o un natante: per i conducenti gli altri veicoli, essendo stato abrogato il comma 3 dell'art. 589, potrà ora trovare applicazione l'ipotesi-base di cui all'art. 589-bis (dunque una pena corrispondente a quella di cui all'art. 589, senza alcun aggravamento di pena).

La l. n. 3/2018 (art. 12, comma 2) ha introdotto nel testo dell'art. 589 il nuovo comma 3, secondo il quale il reato di omicidio colposo è punito con la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale sia richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria.

In relazione al delitto di omicidio colposo può trovare applicazione la circostanza attenuante del concorso del fatto doloso della persona offesa, di cui all'art. 62, n. 5), che ricorre quando quest'ultima preveda e voglia il medesimo evento dannoso conseguenza della condotta colposa del soggetto agente (Cass. IV, n. 5714/2023).

 Non è invece prevista alcuna circostanza attenuante per il caso di concorso di colpa della persona offesa, come invece per il delitto di omicido stradale o nautico (v. sub art. 589-bis). Tale scelta legislativa è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione espressione di discrezionalità legislativa che, non sconfinando nell'irragionevolezza, è insindacabile sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto alla previsione relativa all'omicidio stradale, con conseguente dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 3 Cost. (Cass. IV, n. 9455/2023).

Concorso di reati

La previsione di cui all'ultimo comma descrive un concorso formale di reati nel caso di omicidio/lesioni personali plurime a carico di soggetti passivi diversi, stabilendo il limite massimo della pena di quindici anni (“diciotto anni” è il limite per l'omicidio stradale, art. 589-bis, comma 8). Come precisato in sede giurisprudenziale, non trattandosi di un reato unico, ma di un concorso (formale) di reati unificati solo quoad poenam, la prescrizione rispetto a ciascun evento troverà applicazione avuto riguardo al momento in cui ciascuno si è verificato (Cass. IV, n. 47380/2008).

Casistica

In sede di legittimità è stata confermata al condanna per omicidio colposo dell'amministratore delegato della società da cui dipendeva il lavoratore deceduto per infortunio sul lavoro (in applicazione del principio secondo il quale nelle società di capitali, gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro, possono gravare indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salvo delega della posizione di garanzia, Cass. IV, n. 49402/2013).

È stato ritenuto responsabile di omicidio colposo il capo-cantiere per non aver impedito l'uso di un escavatore ribaltatosi per l'elevata pendenza dei luoghi (la S.C. ha assimilato la sua posizione a quella del preposto, Cass. IV, n. 9491/2013 ; da ultimo, Cass. IV, n. 4340/2015). 

A carico del titolare di un'autofficina (che si impegni ad esaminare un veicolo al mero fine di individuare le riparazioni necessarie e redigere un preventivo di spesa) è configurabile una posizione di garanzia di fonte contrattuale dalla quale deriva l'obbligo di informare il cliente, all'atto della consegna del preventivo e della contestuale restituzione del mezzo, sui rischi connessi alla circolazione derivanti dalle riparazioni da effettuare, conosciute o ignorate per colpa da parte dell'agente (Cass. IV, n.79/2022; la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di assoluzione dell'imputato, titolare di un'autofficina, che, pur avendo rilevato un malfunzionamento dell'impianto frenante di un'autovettura e redatto un preventivo di spesa per la sua riparazione, aveva riconsegnato il veicolo senza dare avviso al committente del pericolo derivante dal guasto rilevato, che aveva cagionato il sinistro stradale con decesso del conducente).

Integra la condotta di omicidio colposo la condotta del direttore di un albergo che non inibisca materialmente ai clienti l'accesso alla piscina negli orari in cui non è garantito il servizio di salvataggio, ma si limiti ad esporre il regolamento di utilizzo della medesima contenente un divieto in tal senso, qualora gli ospiti vi anneghino facendo il bagno nell'orario non consentito (Cass. IV, n. 45698/2008). Il soggetto responsabile del servizio di manutenzione delle strade non risponde degli eventi che costituiscano la concretizzazione di un rischio eliminabile soltanto con un continuo intervento di manutenzione ordinaria che eviti qualsiasi anomalia della strada, risentendo la posizione di garanzia dei limiti collegati alle disponibilità di spesa (Cass. IV, n. 6513/2021).

Risponde di omicidio colposo  del detenuto il dirigente preposto alla  direzione sanitaria dell'Istituto di pena,  che non abbia impartito specifiche direttive volte ad effettuare periodici controlli sanitari nei confronti del detenuto, che tenessero conto del regime di isolamento  cui era sottoposto (Cass. IV, n. 25576/2017).

Il bagnino addetto ad un impianto di piscina è titolare, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., di una posizione di garanzia in forza della quale egli è tenuto a sorvegliare gli utenti della stessa per garantirne l'incolumità fisica (Cass. IV, n. 13848/2020). Il gestore di una piscina è titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p., in forza della quale è tenuto a garantire l'incolumità fisica degli utenti mediante la presenza di un assistente bagnante a bordo piscina, che non può essere trasferita, in via convenzionale, sulle persone a protezione delle quali essa è prevista (Cass. IV, n. 4890/2020).

Non è ravvisabile la colpa specifica del responsabile del tiro a segno che consegni a soggetto sprovvisto del certificato medico richiesto dalla normativa di settore, l'arma con cui questi poi si suicidi, perché la norma cautelare che impone il rilascio e l'esibizione, in sede di iscrizione al poligono, del certificato medico propedeutico al maneggio delle armi, è tesa a prevenire il pericolo di commissione di atti pregiudizievoli verso terzi e non di comportamenti auto lesivi (Cass. IV, n. 3911/2021).

Va altresì esclusa la responsabilità per il delitto di omicidio colposo del gestore di un circuito motociclistico omologato per le gare sportive dalle competenti federazioni, quando risulti che abbia vigilato sulla corretta osservanza dei criteri di salvaguardia dell'incolumità degli atleti stabiliti dalle norme associative di dette federazioni, sul presupposto che il rispetto dei criteri di sicurezza stabiliti dalle norme associative FIA e CSAI può essere assunta a fonte di conoscenza dei generali parametri di diligenza e perizia per il gestore del circuito, non essendo esigibile alcun onere cautelare ulteriore (Cass. IV, n. 1425/2024, intervenuta in relazione alla morte di un motociclista nel corso di una competizione, in conseguenza della uscita di pista in una curva, dotata di "zona neutra" di dimensioni conformi alle indicazioni regolamentari, rivelatasi in concreto insufficiente, per la dinamica del sinistro).

In caso di escursione subacquea di gruppo, di natura ricreativa, ai fini della configurabilità di una posizione di garanzia a carico dei componenti del gruppo con riferimento alle possibili situazioni di emergenza che si possono venire a determinare durante l'immersione, è necessaria l'esplicita o tacita assunzione del compito di provvedere alle operazioni di soccorso del compagno in condizioni di bisogno, da accertarsi alla luce di tutte le evidenze disponibili, quali le prassi correnti tra subacquei impegnati in immersioni amatoriali e le specifiche relazioni intercorrenti tra i componenti del gruppo (Cass. IV, n. 20378/2021).

La Corte di Cassazione ha altresì ravvisato la responsabilità per il delitto di omicidio colposo, in forma omissiva, in capo al genitore esercente la responsabilità su un figlio minore , investito quindi di una posizione di garanzia in ordine alla tutela della sua integrità psico-fisica, per la morte dovuta alla mancata somministrazione di cure farmacologiche, nel caso in cui ricorrano la conoscenza o la conoscibilità dell'evento, la riconoscibilità dell'azione doverosa cui è tenuto il garante e la possibilità oggettiva di impedire l'evento (Cass. IV, n. 35895/2023, con riferimento  alla condotta di genitori che, in presenza di un quadro clinico sintomatologico di una ingravescente otite acuta e della palese inefficacia della terapia omeopatica suggerita dal medico curante, avevano omesso di rivolgersi al pediatra o di portare il figlio presso una struttura ospedaliera e si erano limitati a continuare la somministrazione dei farmaci omeopatici prescritti, così cagionando l'insorgenza di uno stato comatoso del minore, da cui era conseguito il suo decesso).

Profili processuali

Il reato è procedibile d'ufficio; la competenza è del Tribunale monocratico.

L'arresto è facoltativo; il fermo è consentito solo per la previsione aggravata (comma 2); sono consentite sia la custodia cautelare che le altre misure cautelari. In sede di legittimità , con riguardo al tema dell'applicazione delle misure interdittive in tema di colpa professionale si è affermato come , ai fini cautelari , sia possibile l'applicazione di una misura cautelare per le esigenze di cui all'art. 274, lett. c), poiché anche in materia di colpa professionale è possibile una prognosi di reiterazione di comportamenti in relazione alle caratteristiche della struttura in cui il professionista opera e al comportamento da questi tenuto nel caso oggetto del giudizio ( e l'offesa temuta riguard a gli interessi collettivi già colpiti, Cass. IV, n. 27420/2018 a proposito della misura interdittiva della sospensione dall'esercizio della professione medica) .

Nel caso in cui si proceda per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose commesse con violazione delle norme antinfortunistiche, l'Inail è legittimato a costituirsi parte civile ed ad esercitare nel procedimento penale l'azione di regresso nei confronti del datore di lavoro, se imputato (Cass. IV, n. 47374/2008). È altresì ammissibile, indipendentemente dall'iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l'inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell'azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali (Cass.IV, n.46154/2021; Cass. IV, n. 22558/2010 ).

Sempre con riguardo alla costituzione di parte civile, i familiari del cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato hanno diritto ad agire costituendosi parte civile nel giudizio per il risarcimento dei danni subiti a seguito dell'omicidio colposo del loro congiunto, anche se residenti all'estero (Cass. IV, n. 5471/2009).

Ai fini dell'affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all'estero, il reato omissivo colposo si considera commesso nello Stato, in applicazione del principio di territorialità della legge penale di cui all'art. 6, comma 2, nel caso in cui abbia avuto luogo in tale territorio anche una parte soltanto della omissione causativa dell'evento (Cass. IV, n. 31665/2024); è infatti  sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, che, seppur privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo, sia apprezzabile in modo tale da collegare la parte della condotta realizzata in Italia e quella realizzata in territorio estero. (Cass. IV, n. 35510/2021; in tema di omicidio colposo, la Corte ha riconosciuto la giurisdizione italiana per essersi verificata, in Italia, la parte iniziale della condotta degli imputati che, pur essendovi legalmente tenuti, non avevano ottemperato alle norme di formazione ed informazione poste a tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro, così causando colposamente la morte di un lavoratore italiano che, per loro conto, prestava attività lavorativa su una nave battente bandiera straniera e in acque territoriali estere).

La presenza, all'esito delle indagini preliminari, di questioni di ardua soluzione contrassegnate da una contrapposizione di orientamenti in seno alla comunità scientifica internazionale impone il vaglio dibattimentale, potendosi in tale sede disporre una perizia che consenta di fornire una adeguata risposta a tali complesse problematiche (Cass. IV, n. 1886/2017, a proposito del c.d. “effetto acceleratore” della malattia derivante dalla protrazione dell'esposizione ad amianto dopo l'iniziazione del processo carcinogenetico).

Nell'ipotesi aggravata, ex art. 589, comma 2, è previsto un raddoppio dei termini di prescrizione (art. 157, comma 6; sul punto, Cass. IV, n. 6506/2018,secondo la quale è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 157, comma 6, nella parte in cui prevede il raddoppio dei termini di prescrizione per le ipotesi di omicidio colposo realizzato con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro). Il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione di norme sulla circolazione stradale, commesso dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 157 cod. pen. e dopo la modifica dell'art. 589, secondo comma, cod. pen. ad opera del d.l. n. 92/2008, conv., con modif., dalla l. n. 125/2008, è soggetto al termine ordinario di prescrizione di quattordici anni e al termine massimo di diciassette anni e sei mesi (Cass. IV, n. 32456/2022).

Alla vittima di un fatto illecito costituente reato può essere riconosciuto il risarcimento di un'unica voce di danno non patrimoniale, comprensiva del “danno morale” e di quello “biologico” eventualmente subiti, che pertanto non potranno essere liquidati in maniera autonoma dal giudice (Cass. IV, n. 21505/2009; Cass. civ. S.U., n. 26972/2008).

Nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato, non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 c.p.p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. (Cass. IV, n. 18390/2018, in tema di omicidio colposo stradale, la Corte ha escluso la dedotta violazione di legge nell'ipotesi di condanna per imperizia e mancato rispetto di norme cautelari previste dal codice della strada, diverse da quelle in contestazione).  Sussiste invece sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza nel caso di radicale mutamento, negli aspetti costitutivi essenziali, delle condotte contestate e delle regole cautelari che si ritengono violate, produttivo di un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Cass. IV, n. 18366/2024).

Non contrasta con il principio del "ne bis in idem" - non ricorrendo l'identità del fatto considerato in tutti i suoi elementi costitutivi - la condanna per il delitto di omicidio preterintenzionale nei confronti di un soggetto già condannato per lesioni personali con sentenza divenuta irrevocabile in relazione alla medesima condotta, ma il giudice del secondo procedimento, in ossequio al principio di detrazione, deve assicurare, mediante un meccanismo di compensazione, che le sanzioni complessivamente applicate siano proporzionate alla gravità dei reati considerati (Cass. V, n. 1363/2022).

Bibliografia

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