Codice Penale art. 596 - Esclusione della prova liberatoria.

Maria Teresa Trapasso

Esclusione della prova liberatoria.

[I]. Il colpevole del delitto previsto dall'articolo precedente non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa (1) (2).

[II]. Tuttavia, quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l'offensore possono, d'accordo [597 2], prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile [648 1-2 c.p.p.], deferire ad un giurì d'onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo [177-180 att. c.p.p.].

[III]. Quando l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:

1) se la persona offesa è un pubblico ufficiale [357] ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all'esercizio delle sue funzioni;

2) se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;

3) se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito (3).

[IV]. Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito, è [per esso] condannata dopo l'attribuzione del fatto medesimo, l'autore dell'imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabile la disposizione dell'articolo 595, primo comma (3) (4).

(1) L'art. 2 d.lg. 15 gennaio 2016, n. 7 ha sostituito le parole «dei delitti preveduti dai due articoli precedenti» con le parole: «dal delitto previsto dall'articolo precedente»

(2) Vedi Corte cost. 14 luglio 1971, n. 175, con la quale è stata dichiarata infondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità costituzionale sull'inapplicabilità di questo comma allorché l'imputato sia in grado di invocare l'esimente, prevista dall'art. 51 c.p., che esclude la punibilità allorché il fatto costituisca esercizio di un diritto.

(3) I commi 3 e 4 sono stati aggiunti dall'art. 5 d.lg.lt. 14 settembre 1944, n. 288: il «per esso» tra parentesi quadre costituisce un lapsus calami del legislatore.

(4) L'art. 2 d.lg. 15 gennaio 2016, n. 7 ha sostituito le parole «applicabili le disposizioni dell'articolo 594, primo comma, ovvero dell'articolo 595, primo comma» con le parole: «applicabile la disposizione dell'articolo 595, primo comma».

Inquadramento

Originariamente il codice Rocco prevedeva il principio secondo il quale la verità dei fatti attribuiti non escludesse il loro carattere ingiurioso o diffamatorio (art. 596, comma 1, cp); successivamente, con provvedimento contenuto nel d.lgt. 14 settembre 1944, n. 288, si aggiungevano all'allora unica eccezione al divieto di c.d. exceptio veritatis (costituita dall'accordo tra offensore e offeso per il deferimento del fatto ad un giurì d'onore, art. 596, comma 2 ), altre ipotesi — tutte richiedenti che l'offesa consistesse nell'attribuzione di un fatto determinato — in cui si era ammessi a provare la verità del fatto oggetto dell'addebito offensivo (Dolcini-Gatta, 147):

1) caso in cui l'offeso è un pubblico ufficiale ed il fatto che gli viene attribuito concerne l'esercizio delle sue funzioni;

2) caso in cui per il fatto attribuito alla persona offesa è aperto o si inizi un procedimento penale;

3) caso in cui lo stesso offeso chiede formalmente che il giudizio conseguente alla sua querela sia esteso ad accertare la falsità o verità del fatto che gli viene attribuito.

L' exceptio veritatis: profili generali

L'esito positivo all'espletamento dell'exceptio veritatis,  determina la non punibilità dell'offensore.

Sulla ratio della previsione della non punibilità, dunque sulla qualificazione di queste eccezioni al principio del divieto dell'exceptio veritatis nei reati contro l'onore, si registrano opinioni diverse. Taluni ne richiamano (con riguardo alle ipotesi di cui al comma 3), la natura di cause di giustificazione; altri, di cause di non punibilità (Mantovani, p. 233, la definisce una mera “esimente”, che esclude la punibilità per ragioni di opportunità e non per la liceità del fatto; negli stessi termini, Fiandaca-Musco, 109); altri ancora, individuano nelle dette ipotesi fattispecie incriminatrici la cui punibilità è condizionata dal mancato raggiungimento della prova della verità dei fatti asseriti (per un quadro, Dolcini-Gatta, 159).

La qualificazione come “causa di giustificazione” consente l'applicazione dell'art. 59, comma 4, cp, nei casi di erronea rappresentazione della verità del fatto (Antolisei, PS, 230; in senso contrario alla rilevanza del putativo si è richiamato il dato qualificante della verità del fatto come l'elemento su cui s'incentra l'operatività delle previsioni in esame). Nell'ipotesi di diversa qualificazione, l'impossibilità di richiamare l'art. 59, comma 4, è stata sostanzialmente ridimensionata grazie all'attrazione di tali previsioni nell'ambito applicativo dell'art. 51 cp (sotto il profilo della libertà di manifestazione del pensiero, presidiato costituzionalmente dell'art. 21 Cost.).

L'accertamento della verità del fatto oggetto dell'offesa o la condanna dell'offeso relativa a tale fatto, determina pertanto la non punibilità dell'offensore, ex art. 596, comma 4, c.p. L'operatività di tale regola è stata subordinata in sede giurisprudenziale alla ricorrenza di talune condizioni: l'esatta corrispondenza del fatto accertato con quello attribuito all'offeso e che la prova del fatto sia completa e non parziale (Cass. V, n. 12807/1989). L'esimente non è configurabile qualora, nel riportare un evento storicamente vero, vengano pubblicate inesattezze non marginali e non riguardanti semplici modalità del fatto, ma idonee a modificarne la struttura essenziale (la S.C. ha ritenuto legittima l'esclusione dell'esimente nei confronti del giornalista che, trattando di una persona imputata e poi assolta, aveva erroneamente riferito che avesse avanzato richiesta di patteggiamento, Cass. V, n. 7008/2020).

In sede di legittimità si è osservato come, in tema di diffamazione, il divieto dell'exceptio veritatis non possa trovare applicazione qualora l'autore del fatto incriminato abbia agito nell'esercizio di un diritto, exart. 51, e dunque in tutti i casi in cui si prospetti il legittimo esercizio del diritto di critica (Cass. V, n. 41414/ 2016). La Corte di Cassazione ha altresì precisato che non trova applicazione la formula assolutoria di cui all'art. 530, comma 3, c.p.p. (assoluzione in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità) con riferimento alla prova liberatoria di cui all'art. 596, comma 4, in quanto quest'ultima disposizione postula la piena dimostrazione dell'esistenza del fatto attribuito al diffamato e che non è riconducibile alle cause di giustificazione o alle cause soggettive di non punibilità (Cass. I, n. 40277/2023).

La previsione di cui all'art. 596, comma 4, esclude l'operatività dell'esimente anche nei casi in cui si sia provata la verità del fatto, laddove i modi utilizzati siano ingiuriosi o diffamatori, estendendo così il limite della continenza espressiva elaborato, in sede giurisprudenziale, a proposito del diritto di cronaca e di critica (La Rosa, 365).

Inizialmente prevista sia per il reato di ingiuria, che per quello di diffamazione, l'exceptio veritatis a seguito dell'abrogazione del reato di ingiuria (operata dall'art. 1, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7), trova oggi applicazione solo per il reato di diffamazione (art. 2 d.lgs. n. 7/2016, che ha sostituito le parole “dei delitti preveduti dai due articoli precedenti, con “dal delitto previsto dall'articolo precedente”).

Deferimento al giurì d'onore (comma 2)

Il giudizio sulla verità del fatto oggetto dell'offesa può essere deferito ad un giurì d'onore (: organo non giurisdizionale, istituito su richiesta della parti al presidente del Tribunale o ad associazioni legalmente riconosciute, Dolcini-Gatta, 156).

L'operatività di questa ipotesi (in origine, l'unica prevista dall'art. 596) di exceptio veritatis è stata subordinata all'accettazione dell'incarico da parte di tutti i membri del giurì (art. 177, comma 1, c.p.p.): a partire da tale momento la querela da parte dell'offeso non potrà più essere presentata (e, ove già proposta, dovrà essere fatta rinunzia). Potrà richiedersi altresì l'estensione del giudizio all'accertamento del danno subito (art. 177, comma 2).

Ipotesi in cui l'offeso è un pubblico ufficiale (comma 3, n. 1)

La previsione trova applicazione nei soli casi in cui il soggetto passivo sia un pubblico ufficiale (ad esclusione pertanto dell'“incaricato di pubblico servizio” e dell'“esercente un servizio di pubblica necessità”). Non è necessaria l'attualità del ruolo al momento dell'ammissione alla prova liberatoria.

Con riguardo al contenuto del “fatto” oggetto dell'addebito, taluni ritengono di estenderne la nozione (concernente l'esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale), fino a ricomprendere anche la vita privata, ove tale condotta rilevi quale violazione di doveri disciplinari (Antolisei, PS, 228).

Caso in cui per il fatto attribuito alla persona offesa è aperto o si inizi un procedimento penale (comma 3, n. 2)

Non si richiede che il procedimento sia pendente al momento della realizzazione della condotta di diffamazione; esso tuttavia non deve essere stato già definito con sentenza passata in giudicato al momento della divulgazione dei fatti lesivi dell'onore (la S.C. ha affermato come non possa essere invocata l'exceptio veritatis nel caso di decreto di archiviazione per insussistenza del fatto, Cass. V, n. 4615/2013).

Pendente il procedimento riguardante i fatti attribuiti all'offeso, vi è la sospensione di quello nei confronti dell'offensore; la sentenza emessa nei confronti dell'offeso all'interno del primo procedimento, produrrà i seguenti effetti: se di proscioglimento, impedirà l'accertamento della verità del fatto oggetto dei reati di ingiuria o di diffamazione; se di condanna, comporterà la non punibilità dell'offensore (ex art. 596, comma 4).

Nel caso di proscioglimento dell'offeso per l'operare di una causa estintiva, vi è chi esclude l'applicazione della previsione di cui all'art. 596 (così la S.C. a proposito dell'amnistia, Cass. V, n. 817/1972); altri ne ammettono invece l'operatività (Cass. V, n. 11018/1999); altri ancora osservano come la possibilità di dimostrare la prova dei fatti non possa essere affidata esclusivamente al procedimento in cui l'offeso è imputato (in dottrina Dolcini-Gatta, 153).

La prova della verità del fatto può essere oggetto di una esplicita richiesta del querelante (nel caso in cui siano più di uno, è richiesto l'accordo di tutti; laddove l'offesa riguardi un defunto, in sede interpretativa si registrano orientamenti contrastanti quanto all'ammissibilità della richiesta: favorevole Gaito, 121).

La domanda può essere proposta in ogni fase del giudizio, fino alla sentenza definitiva (una volta proposta, è irretrattabile, Antolisei, PS, 229).

Casistica

L'applicazione dell'esimente al reato di diffamazione a mezzo stampa, è subordinato alla prova che tutto il fatto dal contenuto diffamatorio, nel suo complesso e nelle sua modalità, sia vero; la prova mancata, anche parzialmente, sulla verità dei fatti, non esime da pena (Cass. V, n. 866/1991).

La prova della verità del fatto può essere fornita anche per mezzo di documenti successivi alla pubblicazione della notizia e il cui esatto contenuto fosse eventualmente ignoto all'autore dell'articolo giornalistico (la S.C. ha ammesso l'utilizzazione del contenuto del decreto di citazione a giudizio, di data successiva all'articolo incriminato, come integrazione della prova della verità del fatto riferito, Cass. V, n. 32/1990).

Il fallimento della prova della verità determina l'inapplicabilità dell'art. 596, ma non giustifica di per sé la condanna dell'imputato, dovendo a tale scopo il giudice sempre accertare la ricorrenza di tutti gli elementi richiesti dalla legge per la sussistenza del reato (Cass. V, n. 4135/1985).

Bibliografia

Cordero, Il giudizio d’onore, Milano, 1959; Dalia, Giurì d’onore, in Enc. dir., XIX, 1970; Gaito, La verità dell’addebito nei delitti contro l’onore, Milano, 1966; Dolcini-Gatta, Art. 596, in Codice penale commentato, a cura di Dolcini-Gatta, II, Milano, 2015; La Rosa, Tutela penale dell’onore, in Pulitanò, Diritto penale, Parte speciale, I, Tutela penale della persona, Torino, 2014, p. 364; Mantovani, Fatto determinato, exceptio veritatis e libertà di manifestazione del pensiero, 1973; Mantovani, Exceptio veritatis e scriminante putativa del diritto di cronaca:un problema ancora attuale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 86; Pedrazzi, L’exceptio veritatis. Dogmatica ed esegesi, in Riv. it. dir. proc. pen., 1954, 441; Mantovani, Exceptio veritatis e scriminante putativa del diritto di cronaca:un problema ancora attuale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 86.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario