Codice Penale art. 605 - Sequestro di persona.Sequestro di persona. [I]. Chiunque priva taluno della libertà personale è punito con la reclusione da sei mesi a otto anni [289-bis, 630] 1. [II]. La pena è della reclusione da uno a dieci anni, se il fatto è commesso: 1) in danno di un ascendente, di un discendente [540; 75 c.c.] o del coniuge; 2) da un pubblico ufficiale [357], con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni [323, 606]. [III]. Se il fatto di cui al primo comma è commesso in danno di un minore, si applica la pena della reclusione da tre a dodici anni. Se il fatto è commesso in presenza di taluna delle circostanze di cui al secondo comma, ovvero in danno di minore di anni quattordici o se il minore sequestrato è condotto o trattenuto all'estero, si applica la pena della reclusione da tre a quindici anni 2. [IV]. Se il colpevole cagiona la morte del minore sequestrato si applica la pena dell'ergastolo 3. [V]. Le pene previste dal terzo comma sono altresì diminuite fino alla metà nei confronti dell'imputato che si adopera concretamente: 1) affinché il minore riacquisti la propria libertà; 2) per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l'autorità di polizia o l'autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati; 3) per evitare la commissione di ulteriori fatti di sequestro di minore4. [VI]. Nell'ipotesi prevista dal primo comma, il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermita'5
competenza: Trib. monocratico (primo e secondo comma, udienza prelim.); Trib. collegiale (terzo comma); Corte d'Assise (quarto comma) arresto: facoltativo; obbligatorio (quarto comma) fermo: non consentito (primo, secondo e quinto comma); consentito (terzo e quarto comma) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: a querela di parte; d'ufficio (primo comma se il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità) [1] Per l'aumento delle pene, qualora il fatto sia commesso da persona sottoposta a misura di prevenzione, v. art. 71, d.lg. 6 settembre 2011, n. 159, che ha sostituito l'art. 71 l. 31 maggio 1965, n. 575. Per ulteriori ipotesi di aumento di pena, v. art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104 e art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107. [2] Comma inserito dall'art. 3, comma 29, lett. a), della l. 15 luglio 2009, n. 94. [3] Comma inserito dall'art. 3, comma 29, lett. a), della l. 15 luglio 2009, n. 94. [4] Comma inserito dall'art. 3, comma 29, lett. a), della l. 15 luglio 2009, n. 94. [5] Comma aggiunto dall'art. 2, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Ai sensi, inoltre, dell’art. 85 d.ls. n. 150, cit., come da ultimo modificato dall’art. 5-bis, d.l. n. 162, cit., in sede di conversione « 1. Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato. - 2. Fermo restando il termine di cui al comma 1, le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A questi fini, l'autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del termine indicato al primo periodo i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi». InquadramentoIl bene giuridico tutelato è la libertà personale che i lavori preparatori al codice penale (Relazione ministeriale al progetto di codice penale, II, 413) e la dottrina prevalente (Antolisei, PS, I, 157; Flick) intendono con riferimento alla libertà fisica, libertà di movimento e di locomozione nello spazio. Partendo però dal rilievo che l'identificazione della libertà personale nella facoltà di locomozione autonoma potrebbe comportare l'esclusione dell'applicabilità della norma a tutela dei soggetti privi della capacità fisica di movimento (neonati, paralitici totali, persone in stato di coma), dei soggetti privati di tale libertà (detenuti o internati) e dei soggetti che non siano in grado di percepirne la limitazione (deliranti, dormienti per la durata del sonno) è stata proposta una differente interpretazione del concetto di libertà personale. Tale orientamento, richiamando l'art. 13 Cost. è arrivato all'affermazione che la libertà personale costituisce un diritto spettante a ciascun individuo, indipendentemente dalle sue capacità fisiche e volitive, trattandosi non di libertà «di» agire, muoversi e spostarsi, ma di libertà «da» misure coercitive sul proprio corpo che possono consistere sia nella coercizione corporale (es. legare, incatenare la vittima) sia nella vigilanza personale minacciosa (es. piantonamento armato) sia, infine, nella interclusione dell'ambito spaziale (chiusura a chiave del soggetto in un locale) (Padovani; Mantovani, 294). L'individuazione dell'oggetto giuridico del delitto si riflette necessariamente sulla individuazione dei soggetti passivi del reato. Soggetto passivoL'orientamento che intende la libertà personale come libertà fisica di movimento autonomo, esclude la configurabilità del delitto ai danni dei neonati, dei paralitici totali, degli infermi di mente e, più in generale, di tutti coloro che non abbiano alcuna capacità fisica di muoversi o, pur avendola, non siano in grado di esercitarla con volontà e di percepire il significato della privazione subita. Secondo tale orientamento il delitto è configurabile nei confronti di tutti coloro che possiedono una sia pur minima capacità di movimento nello spazio, anche attraverso strumenti ortopedici, nonché nei confronti di coloro che si trovino in una situazione di impossibilità di movimento soltanto transitoria (in stato di sonno o di incoscienza), mentre va escluso quando manchi la naturale capacità di formare ed attuare una gamma indefinita di volizioni cinetiche, come nel caso dell'infante. I fatti commessi ai danni di soggetti incapaci di volizione cinetiche vengono, secondo tale impostazione, ricondotti nell'ambito di applicazione di altre fattispecie penali, quali, in particolare, il delitto di sottrazione di persone incapaci (art. 574). In senso opposto si pronunciano ovviamente quegli Autori che individuano il bene protetto nella libertà da misure coercitive sul corpo, indipendentemente dalla volontà o dalla capacità fisica di muoversi. Deve però rilevarsi che è pacificamente ammessa la configurabilità del delitto nei confronti dei soggetti che si trovino già parzialmente privati della libertà personale, come i detenuti, quando sia limitata una sfera ulteriore della loro libertà. Principio quest'ultimo confermato anche dalla Corte di Cassazione, che ha ritenuto che si configura il delitto di sequestro di persona nel comportamento minaccioso dell'imputato, il quale, detenuto, consegua, in virtù di tale comportamento, l'effetto di privare un altro detenuto della libertà personale, intesa come libera scelta del luogo ove restare, al punto che la vittima lo segua rassegnata nella sua cella per essere sottoposto a vessazioni fisiche e morali. Infatti, l'elemento psicologico del delitto in esame consiste nella coscienza e volontà di infliggere alla vittima una illegittima restrizione della sua libertà di muoversi nello spazio, anche se delimitato, e non viene richiesto alcun dolo specifico, essendo irrilevante il motivo o il fine ultimo dell'agente” (Cass. n. 4717/1986) Secondo la giurisprudenza integra il reato di sequestro di persona qualunque condotta che, in relazione alle circostanze del caso concreto, privi la persona offesa della possibilità di determinarsi e di agire secondo la propria autonoma e indipendente volontà (Cass. VI, n. 24358/2014). Non si tratta dunque soltanto della libertà fisica di movimento e di locomozione ma della libertà da ogni coercizione dell'essere fisico. Ne deriva che il delitto è realizzabile anche in danno del demente o del paralitico, i quali, in quanto persone umane, devono vedere sempre e comunque garantita la libertà da misure coercitive sul corpo, indipendentemente dalla consapevolezza che possano avere o meno di tali misure, sul presupposto che l'elemento materiale del sequestro di persona consiste in uno stato di fatto — la privazione della libertà personale — che prescinde dalla consapevolezza che ne abbia il soggetto passivo. Si è così affermato (Cass. V, n. 24358/2014) che la condotta di chi utilizza mezzi di contenzione consistenti nel legare al letto il soggetto passivo, al di fuori dei limiti strettamente indispensabili ad evitare che quest'ultimo, mediante reazioni o movimenti imprevedibili, possa cadere o comunque incorrere in infortuni e procurarsi lesioni personali, integra il reato di sequestro di persona. Ed è stato ritenuto che non era possibile invocare la scriminante dello stato di necessità poiché essa, in primo luogo, richiede l'attualità del pericolo. Quest'ultima, pur non dovendo essere intesa come rapporto di assoluta immediatezza tra la situazione di pericolo e l'azione necessitata, presuppone comunque che, nel momento in cui l'agente pone in essere il fatto di reato, esista, secondo una valutazione ex ante, che tenga conto di tutte le circostanze concrete e contingenti, la ragionevole minaccia di un danno imminente. Occorre pertanto che si tratti di un pericolo che, nel momento in cui il fatto viene commesso,sia già individuato e circoscritto e cioè ben delineato nel contenuto, nell'oggetto e negli effetti, essendo necessario un preciso e indefettibile nesso di funzionalità tra la necessità di sacrificare un interesse penalmente protetto e lo scopo di sventare uno specifico e determinato pericolo, con la conseguenza che non ha rilievo, ai fini della sussistenza della scriminante, un pericolo, che, come nel caso in esame, era soltanto temuto Così come è stato affermato che la libertà fisica e di locomozione oppure quella di restare in un posto determinato senza essere illegittimamente rimosso è uno dei diritti fondamentali, considerato inviolabile, di cui è titolare ciascuna persona dal momento della nascita fino alla sua morte, con la conseguenza che non può in alcun modo essere compresso se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (art. 13 Cost.). Non vi può pertanto essere alcun dubbio che soggetto passivo del reato in discussione possa essere anche una persona giuridicamente incapace di agire e di far valere i propri diritti: si pensi oltre all'infans, all'amens, al portatore di handicap motori o intellettivi, e comunque a tutti i soggetti che per qualsivoglia ragione non siano in grado da soli di manifestare ed affermare la propria volontà e di tutelare i loro diritti fondamentali ( Cass. V, n. 6220/2011). Come pure non può sussistere dubbio che nel concetto di privazione di libertà rientri sia il trattenimento della vittima contro la sua volontà in un determinato posto, sia la amotio della persona da un posto nel quale intendeva trattenersi. Entrambe le condotte, infatti, ledono la libertà fisica della vittima che costituisce l'oggetto di tutela del delitto di cui all'art. 605. La giurisprudenza (Cass. V, n. 6220/2011) ha ormai superato il precedente e risalente orientamento (espresso, ad es., da Cass. V, n. 9538/1992), secondo il quale nel caso di neonato, che non ha una libertà propria di movimento e che non è in grado di manifestare un suo dissenso, non sarebbe configurabile il delitto di cui all’art. 605. Viene attualmente precisato che non bisogna confondere la titolarità del diritto alla libertà fisica che spetta a ciascuna persona, che può, quindi, essere vittima del delitto in esame, quando illegittimamente venga privata di tale libertà, dalla capacità, giuridica e pratica, di agire in difesa dei propri diritti. Viene evidenziato che nessuno avrebbe, motivo di ritenere che il sequestro di un minore di tre o quattro anni, che non possiede ancora la capacità di agire a tutela dei propri interessi, ma ha la capacità di opporsi, piangendo o urlando, ad un rapimento, non rientri nella fattispecie prevista dall'art. 605. Partendo da tale premessa viene rilevato che non è dato comprendere per quale ragione giuridica il bambino più piccolo, che non abbia ancora la capacità di reagire ad un atto contro la propria persona, non possa essere vittima del reato in discussione. La verità è che la libertà fisica del minore e, quindi, anche quella del neonato, è garantita dai genitori e/o dalle persone alle quali venga affidata la loro cura e custodia; sono tali persone, infatti, che hanno il diritto di stabilire dove il neonato possa stare e con chi, e fino a che punto, possa allontanarsi dalla casa ove abiti o da un luogo di degenza o comunque di ricovero. Nel momento in cui non vi sia il consenso delle persone alle quali sia affidata la custodia del minore, che non abbia la capacità di agire o di manifestare il proprio dissenso rispetto ad azioni di altre persone, si deve ritenere un implicito dissenso del minore ad essere rimosso dal luogo ove lo hanno riposto le persone che lo hanno in custodia o ad essere trattenuto in un luogo diverso da quello prescelto dai genitori. Insomma è la condotta illegittima di privazione della libertà fisica del minore che integra il delitto di cui all'art. 605. La sentenza prende in esame la circostanza che, a tale argomentare, potrebbe obiettarsi che una tale condotta rientra certamente nella fattispecie prevista dall'art. 574 che esclude perché speciale quella di cui all'art. 605 e perviene alla conclusione che certamente il fatto di avere sottratto un minore alle persone esercenti la potestà genitoriale integra il delitto di cui all'art. 574, ma ciò non esclude affatto che ricorra anche il delitto di sequestro di persona. Ulteriore argomento a sostegno di detta tesi la sentenza lo ricava anche dalla aggravante di cui al comma 3 dell'art. 605, introdotta di recente dal legislatore con la l. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 29, — così detto pacchetto sicurezza —; secondo tale norma infatti se il fatto (.....) .è commesso in danno di un minore, si applica la pena da tre a dodici anni. Il legislatore mentre stabilisce che l'aggravante in questione operi al di sotto di una soglia massima — quattordici anni — non fissa affatto una soglia minima al di sotto della quale l'aggravante stessa non sarebbe ravvisabile; ciò lascia intendere che il legislatore ha voluto offrire una maggiore tutela ai soggetti più indifesi, che sono tutti i minori degli anni quattordici, nessuno escluso. L'orientamento più recente della giurisprudenza afferma quindi la configurabilità del delitto anche se commesso in danno di un neonato e, più in generale, di qualsiasi persona giuridicamente incapace di agire e di far valere i propri diritti. Tali pronunce mantengono ferma l'individuazione del bene giuridico protetto nella libertà di movimento della vittima, ma evidenziano che escludere l'applicazione dell'art. 605 nei confronti del neonato (come dell'amens, del portatore di handicap motori o intellettivi e di tutti i soggetti che per qualsivoglia ragione non siano in grado da soli di manifestare ed affermare la propria volontà e di tutelare i loro diritti fondamentali) significherebbe confondere la titolarità del diritto alla libertà fisica che spetta a ciascuna persona dalla capacità, giuridica e pratica, di agire in difesa dei propri diritti MaterialitàLa condotta consiste nell'attività dell'agente che priva della libertà personale la vittima: è un reato a forma libera, non richiede che la condotta si articoli in specifiche modalità. Ogni modo di per sé idoneo a coartare l'altrui volontà integra la condotta che individua il reato, comportando una limitazione della libertà incompatibile con le diverse scelte della vittima. È opinione comune che la condotta possa consistere, oltre che in un'azione (come avviene nella maggior parte dei casi), anche in una omissione, come nel caso in cui il colpevole, essendo titolare di un obbligo giuridico di provvedere, ex art. 40, secondo comma, alla liberazione della vittima, non si attivi in tal senso. In particolare, la dottrina distingue due ipotesi di sequestro omissivo: a) quella nella quale il soggetto passivo si trovi in uno stato di restrizione non illegittima (soggetto che si sia volontariamente chiuso nella stanza) o, comunque, non imputabile a chi non provveda a liberarlo (es: personale di una banca rinchiuso dai rapinatori fuggiti senza liberarli); b) quella nella quale la restrizione della libertà, in origine legittima, venga prolungata illegittimamente da chi aveva l'obbligo giuridico di liberare il soggetto ristretto. Nel primo caso, il sequestro si può configurare come reato omissivo improprio solo se si riscontri un obbligo giuridico di intervenire in capo a colui che rimane inerte; se manca tale posizione giuridica di garanzia, in capo al soggetto è configurabile soltanto il reato omissivo proprio di omissione di soccorso (art. 592) sempre che di questo ne ricorrano i presupposti. Nel secondo caso, invece, si realizza un sequestro attivo (che si ottiene attraverso un comportamento positivo dell'agente), verificandosi il semplice passaggio da sequestro legittimo, in quanto scriminato, a sequestro illegittimo. Si è così ritenuto integrato il reato di sequestro di persona in capo al privato cittadino che, ricorrendone le condizioni, abbia proceduto ad un arresto in flagranza, omettendo però di consegnare, nel più breve tempo possibile, il colpevole alle competenti autorità di polizia. Ovviamente, è necessario che il fatto sia commesso nei confronti di una persona dissenziente, fermo restando che il dissenso può anche manifestarsi in un momento successivo all'inizio della condotta. Ai fini della limitazione della libertà di locomozione, richiesta dal delitto di sequestro di persona, non è necessario che la vittima sia fin dall'inizio contraria ad accompagnarsi con i futuri aggressori, ma basta che ad un certo momento si determini un evidente conflitto tra la volontà della vittima stessa ed il comportamento obiettivo dei suoi accompagnatori, che con la loro condotta le impediscano, con qualsiasi forma di violenza, anche passiva, di compiere atti di affrancamento dalla loro sfera di arbitrio per sottrarsi alla loro sopraffazione, e che tale conflitto perduri per un certo tempo e non si tratti, cioè, di un fatto istantaneo, essendo il delitto in questione un tipico reato di durata” (Cass. n. 848/1993). Poiché la privazione della libertà deve avvenire in maniera illegittima, non si potrà configurare il delitto di sequestro di persona nel caso in cui la limitazione della libertà del soggetto avvenga per giusta causa, come nel caso del folle pericoloso, fuggito da una casa di cura, in quanto attraverso la cattura di costui non si viene a pregiudicare in capo ad esso il complesso di libertà collegate alla libertà fisica di movimento, ma lo si tutela dalla possibilità di arrecare danno a se stesso e a terzi. La privazione della libertà personale può essere realizzata mediante violenza, minaccia, inganno (ad esempio costringendo una persona a restare chiusa in casa, sfruttando la sua superstizione o attraverso l'induzione in errore di un soggetto diverso dalla vittima come nel caso di chi, fraudolentemente, ottenga dall'autorità competente un provvedimento idoneo a sottoporre la vittima ad un trattamento sanitario obbligatorio pur in assenza dei necessari presupposti legali) o altro mezzo non violento né fraudolento. Il grado di privazione della libertà personale può essere totale o anche soltanto parziale, quando la libertà del soggetto sia soltanto limitata. Non è richiesto che la vittima sia posta in una condizione di assoluta impossibilità di autoliberazione, essendo sufficiente un'impossibilità di tipo relativo, che tenga conto delle difficoltà della vittima, anche in ragione delle sue condizioni personali, a superare gli ostacoli, fisici e psicologici, che si oppongono al recupero della libertà (Mantovani, 300; Fiandaca, Musco, 190; Antolisei, 158). In particolare, secondo la giurisprudenza, il reato di sequestro di persona non richiede necessariamente la privazione in senso assoluto della libertà di movimento del soggetto passivo, potendo realizzarsi anche come limitazione di tale libertà di azione, finalizzata ad inibire le relazioni interpersonali del soggetto stesso, sottraendolo al suo abituale contesto abitativo (Cass. VI, n. 39807/2019: fattispecie riguardante il sequestro a scopo di estorsione di un minore, sottratto alla madre al fine di costringerla ad onorare un debito correlato allo spaccio di stupefacenti, senza che al predetto fosse tuttavia impedito di uscire dall'abitazione ove era custodito). Sotto altro profilo, si è osservato che il delitto di sequestro di persona non implica necessariamente che la condizione limitativa imposta alla libertà di movimento sia obiettivamente insuperabile, essendo sufficiente che l'attività anche meramente intimidatoria o l'apprestamento di misure dirette ad impedire o scoraggiare l'allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima, se non attraverso iniziative imprudenti e pericolose per la propria persona, siano idonei a determinare la privazione della libertà fisica di quest'ultima, con riguardo, eventualmente, alle sue specifiche capacità di reazione (Cass. II, n. 11634/2019: fattispecie in cui la vittima, dopo aver forzato con una sbarra di ferro, casualmente rinvenuta, la serratura della porta del locale nel quale era stata rinchiusa nel corso di una rapina, si dava alla fuga solo dopo essersi accertata dell'allontanamento dei rapinatori). La durata della privazione della libertà è irrilevante, purché superi una soglia minima, definita in dottrina come giuridicamente apprezzabile (Mantovani, 301; Fiandaca, Musco, 190) o di un certo rilievo (Antolisei, 158; Dalia, 197). CasisticaLa giurisprudenza (Cass. V n. 2130/1992) ha ritenuta la sussistenza del reato nella condotta dell'imputato che aveva segregato in casa la moglie, pur se questa per qualche momento aveva avuto la possibilità di allontanarsi da quel luogo, in quanto l'atteggiamento minaccioso del marito l'aveva dissuasa dal cercare di recuperare la libertà di movimento. Ancora Cass. V n. 14566/2005 che ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto l'imputata colpevole di sequestro di persona per avere privato tre adulti ed una minore della libertà personale per quattro giorni, trattenendoli in un appartamento dove li sottoponeva a «riti» particolari, asseritamente destinati a scacciare il demonio dal corpo della bambina. Cass. II, n. 38994/2010 ha ribadito, richiamando conforme e costante giurisprudenza di legittimità, di considerare sufficiente ad integrare l'elemento materiale della privazione dell'altrui libertà anche la mera violenza morale, non essendo necessario, ai fini dell'art. 605, che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, bastando qualsiasi condotta che, in relazione alle particolari circostanze, sia suscettibile di privare la vittima della capacità di determinarsi e agire secondo la propria autonoma e indipendente volontà. Cass. III n. 36823/2011 ha ritenuto configurabile il reato di sequestro di persona nel caso in cui la vittima sia stata lasciata per strada nuda e senza telefono. Nella sentenza si legge che il delitto di sequestro di persona non presuppone necessariamente l'interclusione della vittima, ma può consistere in limitazioni della libertà personale — sotto il profilo della libertà di movimento — che derivino da costrizione psichica o dalla creazione di condizioni di sostanziale impossibilità alla locomozione, quali — ad esempio — l'esposizione ad un pericolo per l'incolumità personale, essendo irrilevanti il grado di privazione della libertà stessa, il luogo dove è avvenuta, la durata di essa, e i mezzi usati per imporla. In tal senso Cass I, n. 46566/2017 che ha affermato che ai fini della configurabilità dell'elemento materiale del delitto di sequestro di persona, non è necessario che la costrizione si estrinsechi con mezzi fisici, dovendosi ritenere sufficiente anche una condotta che comporti una coazione di tipo psicologico, tale, in relazione alle particolari circostanze del caso, da privare la vittima della capacità di determinarsi ed agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà. Non è necessario che la privazione della libertà sia assoluta, integrandosi la fattispecie in esame anche in caso di impossibilità parziale al movimento (ad es: impedire a qualcuno di uscire da un'abitazione, lasciandola però libera di muoversi nel suo interno). È stato ritenuto (Cass. V, n. 28509/2010) la sussistenza del reato di sequestro di persona nei confronti di soggetti, incaricati di accudire una persona anziana e in sedia a rotelle, che era stata, invece, trovata dai carabinieri in una stanza chiusa a chiave dall'esterno, in pessime condizioni igieniche e di sicuro degrado. La circostanza della chiusura a chiave della porta e la impossibilità di aprirla, se non con l'uso di notevole forza (intervento dei Vigili del Fuoco), rendevano evidente che la vittima non aveva alcuna possibilità concreta di muoversi da un posto all'altro, fatto che integrava certamente l'elemento oggettivo del delitto di sequestro di persona contestato. Così come è stato ritenuto integrare il reato di sequestro di persona nel fatto commesso dal figlio ai danni della madre cui era stato impedito di uscire di casa per un tempo di circa venti minuti (Cass. I, n. 18186/2009). Così come è stato affermato che non assume rilievo la circostanza che il sequestrato non faccia alcun tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento, non recuperabile con immediatezza, agevolmente e senza rischi (Cass. V, n. 5443/2000; Cass. III n. 15443/2015). Non può di certo giovare all'autore del reato la circostanza che la vittima abbia la possibilità di sottrarsi in qualche modo alla segregazione, laddove possono scoraggiare qualunque azione non soltanto le difficoltà materiali (saltare dal balcone, forzare la porta, ecc.), ma anche i timori di reazioni violente del reo. Quanto alla possibilità di fuga la giurisprudenza ritiene infatti che il sequestro di persona non implica necessariamente che la condizione limitativa imposta alla libertà di movimento sia obiettivamente insuperabile, essendo sufficiente che l'attività, anche meramente intimidatoria o comunque l'apprestamento di misure dirette ad impedire o scoraggiare l'allontanamento dai luoghi ove si intende trattenere la vittima sia idonea a determinare la privazione della libertà, tenuto conto delle specifiche capacità di reazione dello offeso. In particolare, la possibilità di fuga conferma e non esclude l'esistenza del reato ove costringa a imprudenti iniziative o a comportamenti elusivi della vigilanza e sia comunque attuabile con mezzi artificiosi o con qualsiasi altra condotta che induca la vittima a rinunziarvi per il timore di ulteriori pericoli o danni alla persona (Cass. II n. 3979/1988, Cass. IV n. 7962/ 2014). Anche in giurisprudenza è costante il riferimento all'irrilevanza della durata della privazione della libertà personale, purché giuridicamente apprezzabile. In tal senso Cass n. 19548/2013 (secondo cui integra il delitto di sequestro di persona la condotta di colui che costringe, sotto minaccia, la vittima a salire su un'automobile, in quanto ai fini dell'integrazione del suddetto delitto è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarla della capacità di spostarsi da un luogo all'altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve). Si è, infine, ritenuto che configura il reato di sequestro di persona la condotta di chi chiude a chiave (o dispone di chiudere a chiave) i propri dipendenti all'interno del locale aziendale ove si svolge l'attività lavorativa, segregandoli per l'intera giornata di lavoro (Cass. V, n. 34469/2018). Elemento soggettivoL'elemento soggettivo consiste nella volontà di privare taluno della sua libertà, senza averne ottenuto il consenso o l'autorizzazione: il dolo richiesto è generico ed è inteso come coscienza è volontà di privare taluno della libertà personale. Lo scopo perseguito dall'agente non ha pertanto alcun rilevanza (Cass. V, n. 38438/2001; Cass. I, n. 206/2018: fattispecie nella quale la Cassazione ha riconosciuto la configurabilità del sequestro di persona commesso da una badante che asseriva di aver limitato la libertà di movimento della vittima a sua tutela; nel caso esaminato, peraltro, non era stato chiesto alla S.C. di verificare se ricorressero gli estremi dello stato di necessità – v. sub § 7): la norma incriminatrice sanzione infatti qualsiasi condotta che produca l'effetto di escludere o limitare la libertà di movimento della persona offesa, ancorché tale evento costrittivo sia solo indirettamente voluto. Si ravvisa pertanto il delitto di cui all'articolo 605 c.p. anche nel caso in cui l'agente contestualmente commette, con violenze o minaccia, un altro reato che rappresenta lo scopo della privazione della libertà altrui, purché questa duri più del tempo occorrente alla sua commissione (Cass. V, n. 458/2015). Tuttavia il particolare fine perseguito dall'agente può comportare la riqualificazione del fatto in altre e diverse figure delittuose (sequestro a scopo di terrorismo o eversione ex art. 289-bis, a scopo di coazione, ex art. 289-ter, oppure a scopo di estorsione ex art. 630). Consumazione e tentativoIl sequestro di persona è un tipico esempio di reato permanente, che è realizzato nel momento e nel luogo in cui si verifica il minimum penalmente rilevante di privazione della libertà personale ed è consumato nel momento in cui cessa la condotta di volontario mantenimento della vittima in condizioni di privazione della libertà personale. Il tentativo è ritenuto configurabile, nel caso in cui l'agente abbia compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco, senza però aver cagionato una privazione della libertà personale giuridicamente rilevante Trattandosi di reato necessariamente permanente, la continuazione ex art. 81 può essere ravvisata solo quando siano accertati episodi diversi e quando il sequestro sia commesso in danno di più persone, anche contestualmente. Rilevanza del consenso dell’avente diritto e dello stato di necessitàQuestione controversa è quella relativa alla validità della scriminante del consenso dell'avente diritto (art. 50) La dottrina, in linea generale, è costante nell'affermare che la libertà personale è solo parzialmente disponibile e che, dunque, il consenso dell'avente diritto può autorizzare esclusivamente limitazioni circoscritte e secondarie del bene tutelato. In linea con i principi generali sulla rilevanza del consenso, si afferma che esso deve essere attuale e sempre revocabile, con la conseguenza che ogni limitazione della libertà personale, a consenso revocato, dà luogo a sequestro (Mantovani, 303). In particolare, il quesito si è posto relativamente all'ipotesi di ricovero di un tossicodipendente in comunità “chiuse” con il consenso dello stesso e a quella di rinuncia alla libertà personale in nome di convinzioni religiose. A tale quesito la più accreditata dottrina ha dato risposta positiva anche se con dei necessari temperamenti. In particolare, si è detto che, affinché il consenso possa avere efficacia scriminante occorre che esso: a) sia attuale e persistente durante lo stato di restrizione; b) sia sempre revocabile; c) abbia ad oggetto delle limitazioni circoscritte della libertà (Mantovani op cit.). Il consenso deve ritenersi efficace quando abbia per oggetto una limitazione soltanto circoscritta e secondaria del bene della libertà. Esso, pertanto, deve ritenersi invalido allorché si verifica la totale soppressione della libertà, ovvero una menomazione così grave da diminuire notevolmente la funzione sociale dell'individuo, come pure nei casi in cui gli atti di consenso siano, comunque, contrari alla legge, al buon costume o all'ordine pubblico (Antolisei op. cit.). Con riguardo alle comunità religiose, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la rinuncia ad una sfera della libertà in nome di convinzioni religiose sempre che il consenso non sia viziato da errore, violenza o minaccia e non sia comunque negata la possibilità di revocare tale consenso con l'uso di mezzi illeciti; è necessario, inoltre, che la condizione di restrizione non riguardi sfere indisponibili della libertà personale. In tema di sequestro di persona deve ritenersi rinunciabile, in nome di convinzioni religiose, una certa sfera della propria libertà personale, nonostante sia un bene costituzionalmente protetto, solo quando: a) il consenso non sia viziato da errore, violenza o minaccia; b) pur sussistendo un iniziale non viziato consenso a regole restrittive di associazioni religiose, non sia stata poi repressa la libertà di dissociazione mediante mezzi illeciti; c) non si tratti di lesione di sfere indisponibili di della libertà personale, come nel caso di punizioni degradanti o sommamente umilianti” (in tal senso Cass. n 10841/1986, relativo al caso c.d. mamma Ebe). Parte della dottrina ha ritenuto che nell'ipotesi de qua non ci si trovava di fronte ad una fattispecie scriminata di sequestro di persona, perché mancavano a monte, i requisiti necessari alla configurabilità del reato. È stato affermato che il sequestro nel fatto esaminato non sussisteva perché si trattava non di fatto, scriminato, di limitazione dell'altrui libertà, ma di fatto atipico per mancanza di privazione da parte di terzi della libertà altrui, in quanto le regole della clausura, accettate dal soggetto, si limitavano a prevedere, di principio, il divieto di accesso dei soggetti esterni e di uscita dei soggetti interni, ma non l'impedimento coercitivo dell'uscita dei medesimi, che potevano porre fine ad libitum alla clausura stessa, salve le conseguenti sanzioni spirituali (l'ipotesi era considerata non dissimile da quella di chi si rinchiude permanentemente in casa propria)(Mantovani op. cit). La tematica è stata affrontata anche in relazione alla discussa liceità di comunità terapeutiche chiuse per tossicodipendenti, i cui pazienti prestano, nel momento del loro ingresso nell'istituto, un consenso anticipato ed irrevocabile a future limitazioni della loro libertà personale. La liceità del trattenimento coattivo del tossicodipendente, contro la sua attuale volontà, ma in considerazione di un consenso precedentemente prestato che preveda espressamente l'uso della coercizione fisica in caso di una futura volontà contraria alla prosecuzione del programma, è stata valutata diversamente dalla giurisprudenza di merito nel noto «processo Muccioli». Il giudice di primo grado ha escluso la validità di un tale consenso, perché ritenuto sempre revocabile e concernente la soppressione della libertà personale o limitazioni così gravi da sminuire in modo notevole la funzione sociale dell'individuo (Trib. Rimini, 16 febbraio 1985). La Corte d'Appello ha, invece, concluso in senso opposto, affermando il valore scriminante di un tale consenso, purché la privazione della libertà non si protragga oltre il tempo strettamente necessario al recupero del soggetto e non venga attuata con modalità tali da ledere la dignità della persona umana. Poiché il tossicodipendente ha anticipatamente previsto e accettato la privazione della propria libertà personale ora per allora, cioè per il momento in cui la manifestazione della volontà di uscire sarebbe stata esplicitata, la pretesa revoca del consenso dato alla temporanea e finalizzata restrizione della libertà personale altro non sarebbe che il verificarsi di quella condizione oggetto proprio della pattuizione accettata all'atto della richiesta di ammissione nella comunità (App. Bologna, 28 novembre 1987; la sentenza è stata parzialmente annullata da Cass. V, 29 marzo 1990, che, escludendo l'applicabilità della causa di giustificazione del consenso dell'avente diritto, ha ritenuto che gli imputati avessero agito in uno stato di necessità putativo). Secondo la giurisprudenza, la contenzione del paziente psichiatrico non costituisce una pratica terapeutica o diagnostica legittimata ai sensi dell'art. 32 Cost., ma è un mero presidio cautelare utilizzabile in via eccezionale qualora ricorra lo stato di necessità di cui all'art. 54 c.p., ossia il pericolo di un danno grave alla persona, che si presenti come attuale ed imminente, non altrimenti evitabile, sulla base di fatti oggettivamente riscontrati che il sanitario è tenuto ad indicare nella cartella clinica; l'uso della contenzione in assenza dei presupposti di cui all'art. 54 costituisce un'illegittima privazione della libertà personale ed integra gli estremi del delitto di cui all'art. 605 (Cass. V, n. 50497/2018); lo stato di necessità putativo è stato escluso da Cass. VI, n. 24358/2014 in un caso in cui l'imputato aveva tenuto legata per giorni al letto, con cinghie di contenzione, la madre adottiva non autosufficiente, avendo tra l'altro lo stesso imputato fatto riferimento alla possibilità di ricorrere all'ausilio di personale sanitario e di un letto a sponde. Circostanze
Circostanze aggravanti L'art. 605 prevede, al secondo comma, due aggravanti speciali: la prima di esse tiene conto del rapporto di parentela o di coniugio che intercorre tra il colpevole e la vittima, mentre la seconda dà rilievo alla particolare qualifica di pubblico ufficiale ricoperta dal soggetto agente. Secondo quanto stabilito dal secondo comma dell'art. 605, n. 1, la pena è aggravata nel caso in cui il fatto sia commesso in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge. L'aggravamento trova la sua giustificazione nella maggiore facilità con la quale sia possibile privare taluno della propria libertà personale grazie al particolare vincolo parentale intercorrente tra il carnefice e la vittima. L'altra aggravante, disciplinata dal n. 2 del secondo comma dell'art. 605, ricorre quando il reato è compiuto da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni. La circostanza può essere applicata anche al privato che, dopo aver compiuto un arresto in flagranza nei casi consentiti dalla legge, ometta di consegnare immediatamente l'arrestato all'autorità (Manzini, VIII, 718). È di natura soggettiva, ma rientrando tra quelle concernenti «le qualità personali del colpevole» e non tra quelle «inerenti alla persona del colpevole» (tassativamente indicate nel secondo comma dell'art. 70), non è soggetta al regime dell'art. 118, bensì a quello di cui all'art. 59, secondo comma, stesso codice, onde si comunica al correo se dallo stesso conosciuta o ignorata per colpa” (Cass. V, n. 46340/2012). La l. 15 luglio 2009, n. 94, nel quadro di una serie di misure volte ad assicurare una più incisiva e severa tutela penale rispetto ai fatti commessi in danno di persone minorenni, ha aggiunto ai commi terzo, quarto ulteriori aggravanti. In proposito, come si evince dai lavori parlamentari, l'ispirazione dell'intervento legislativo va ricercata nell'esigenza — più volte rimarcata nel recente passato dal Parlamento Europeo — di contrastare più efficacemente il fenomeno dei rapimenti di minori contesi tra genitori separati o divorziati, sempre più diffuso soprattutto nei casi in cui questi ultimi siano di nazionalità differenti. La norma si articola in due autonome disposizioni con le quali vengono, rispettivamente, introdotte alcune nuove circostanze del reato di sequestro di persona ed il delitto di sottrazione e trattenimento di minore all'estero. Il terzo comma dell'art. 605 stabilisce infatti che se il fatto di cui al primo comma è commesso in danno di un minore, si applica la pena della reclusione da tre a dodici anni. Se il fatto è commesso in presenza di taluna delle circostanze di cui al secondo comma, ovvero in danno di minore di anni quattordici o se il minore sequestrato è condotto o trattenuto all'estero, si applica la pena della reclusione da tre a quindici anni. Nel comma richiamato è stata configurata un'aggravante ad effetto speciale (punita con la reclusione da tre a dodici anni), per il caso che il sequestro sia commesso ai danni di un minore. Lo stesso comma prevede poi un'altra aggravante (punita con la reclusione da tre a quindici anni) nell'ipotesi in cui ricorra una delle circostanze previste dal secondo comma dello stesso art. 605 ovvero se si tratta di minore infraquattordicenne o, ancora, se il minore è condotto o trattenuto all'estero. La previsione di questa specifica aggravante trova un'autonoma giustificazione razionale proprio in relazione ai fatti di sottrazione dei minori all'estero in ragione del maggiore disvalore derivante dalla distanza non solo spaziale ma anche “ordinamentale” con il fatto criminoso, tale sicuramente da ostacolare l'attività investigativa, preventiva e repressiva degli apparati di polizia e di quelli giudiziari. Circostanze attenuanti Nel quinto comma dell'art. 605 ha trovato collocazione, infine, un'attenuante ad effetto speciale che comporta l'abbattimento fino alla metà delle «pene previste dal terzo comma» qualora l'imputato si adoperi alternativamente: 1) affinché il minore riacquisti la libertà; 2) per evitare che l'attività delittuosa sia portata ad ulteriori conseguenze, ovvero per l'esito proficuo delle indagini; 3) per evitare la commissione di ulteriori sequestri di minori. Le diverse ipotesi elencate dalla norma sub 1 e 2 sostanzialmente riproducono quelle previste dal terzo e quarto comma dell'art. 630 per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione o quella di cui al quarto comma dell'art. 289-bis in tema di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione. Attenuanti queste accomunate da una filosofia premiale tesa a favorire comportamenti post delictum che soddisfino, oltre la peculiare esigenza della liberazione dell'ostaggio, anche quella di disarticolare le organizzazioni criminali (comuni o terroristiche) autrici del reato. In tal senso le disposizioni contenute nell'art. 630 e 289-bis (come quelle previste dagli articoli 4 e 5 l. n. 15/1980 in materia di terrorismo) hanno rappresentato il paradigma al quale il legislatore si è ispirato nella progressiva introduzione di misure analoghe come quelle, ad esempio, previste dall'art. 8 l. n. 203/1991 (in materia di criminalità mafiosa) o dall'art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309/1990 (in materia di stupefacenti). Le fattispecie attenuanti menzionate riguardano tutte reati associativi (dunque necessariamente plurisoggettivi) o la cui consumazione comunque il legislatore presuppone avvenga in un contesto di criminalità organizzata. In tal senso, infatti, tanto l'art. 630, che l'art. 289-bis, fanno esplicito ed esclusivo riferimento al «concorrente che, dissociandosi dagli altri» tiene le condotte che fondano l'attenuazione della pena. Particolare questo che le distingue dalle attenuanti in argomento, introdotte dalla l. n. 94/2009, che non contengono alcuna precisazione di egual tenore. Ciò peraltro non significa che vi sia incompatibilità strutturale tra le attenuanti in questione e l'ipotesi del reato commesso da agente unico, compatibile invece con il tenore letterale del quarto comma dell'art. 605. Infatti, la norma non replica il riferimento alla “cattura dei concorrenti”, quale possibile esito del comportamento collaborativo, contenuto invece nell'art. 630, ma descrive solo condotte (la liberazione del minore sequestrato, l'aver contribuito alla ricostruzione dei fatti, ecc.) che per l'appunto non presuppongono la necessaria struttura concorsuale del delitto. Non di meno va ricordato come la giurisprudenza formatasi con riguardo all'art. 630, abbia sostanzialmente ridimensionato la portata vincolante del dato letterale della norma, nel tentativo di garantire la massima applicazione delle circostanze premiali. Così, secondo i giudici di legittimità, le attenuanti previste dalla disposizione menzionata devono essere comunque riconosciute anche nel caso che il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione sia consumato da agente unico (Cass. n. 8903/2010). Del resto l'ordinamento conosce già ipotesi di ravvedimento operoso che non presuppongono la fattispecie concorsuale o il contesto di criminalità organizzata. Sorvolando sull'attenuante comune dell'art. 62, comma 1, n. 6 – che pure valorizza condotte post delictum tese a ridimensionare l'impatto negativo del reato – è appena il caso di menzionare, ad esempio, quella prevista per i reati in materia di stupefacenti dal comma settimo dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Questione più delicata è quella attinente all'esatta definizione di alcuni dei comportamenti rilevanti ai fini del riconoscimento dell'attenuante. Se infatti quelli di procurata liberazione del minore o di prevenzione delle ulteriori conseguenze dell'attività criminosa (rispettivamente previste ai nn. 1 e 2 del quarto comma dell'art. 605) o, ancora, di prevenzione della «commissione di ulteriori fatti di sequestro di minore» (prevista invece dal successivo n. 3 del medesimo comma) non presentano particolari difficoltà, trattandosi di comportamenti già presi in considerazione da numerose altre disposizioni introdotte in passato (sulle quali l'interpretazione può considerarsi oramai consolidata) ovvero di condotte la cui descrizione non lascia adito a dubbi, altrettanto non può dirsi per le altre e cioè quelle di ausilio all'autorità inquirente «nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti, per l'individuazione o la cattura di uno o più autori di reati» (configurate sempre al n. 2) del citato quarto comma. La prima, infatti, sostanzialmente sembrerebbe risolversi – quantomeno nell'ipotesi del reato ad agente unico – nella mera confessione dell'imputato. Spetterà dunque alla giurisprudenza il delicato compito di stabilire l'effettivo parametro con cui misurare la decisività delle sue rivelazioni, vero discrimine nel riconoscimento dell'attenuante. La formulazione della seconda risulta invece quanto mai discutibile. Il tenore della norma suggerisce che l'attenuante sussista qualora la collaborazione offerta dall'imputato porti all'individuazione o alla cattura degli autori di un qualsiasi reato, purché conseguente a quello di sequestro del minore, giacché questo è il significato letterale della locuzione cui è ricorso il legislatore. Ciò amplia di non poco la portata dell'attenuante in esame rispetto a quanto previsto per quelle analoghe introdotte in passato – e di cui si è sopra detto – per l'integrazione delle quali l'agente deve consentire l'individuazione dei suoi complici nel reato che gli viene addebitato e solo in questo. La natura di circostanze aggravanti delle ipotesi descritte al terzo comma è rivelata dalla formulazione letterale della norma e dalla lettura dei lavori parlamentari, in cui emerge la pacifica volontà del legislatore di introdurre nuove aggravanti (Fiandaca, Musco, PS, II-1, 191; Mantovani, PS, I, 304). È stato però sottolineato come susciti perplessità il raccordo tra l'attenuante in commento e le aggravanti del terzo comma. Il quinto comma dell'art. 605 prevede che le pene previste nel terzo comma sono «altresì» diminuite in presenza delle condotte di ravvedimento operoso. L'intenzione del legislatore sembra essere stata quella di voler precisare che tali condotte assumono rilevanza esclusivamente nell'ipotesi del sequestro di minore e non anche nell'ipotesi base di sequestro di persona o in quella aggravata ai sensi del secondo comma dell'art. 605 e, probabilmente anche quella di sottrarre le aggravanti del terzo comma al giudizio di comparazione con l'attenuante in commento, imponendo che la diminuzione conseguente al riconoscimento della stessa venga applicata sulla pena determinata tenendo conto degli aumenti dovuti per le menzionate aggravanti (Bricchetti, Pistorelli, 33, 36). Secondo la giurisprudenza più recente, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante dell'essersi adoperato concretamente affinché il minore riacquisti la propria libertà (art. 605, comma 2, n. 1), è necessario che il rilascio dello stesso sia stato determinato non da fattori esterni ma da un comportamento oggettivamente rilevante dell'agente volto a far protrarre il meno possibile la privazione della libertà, non potendo coincidere la liberazione della persona offesa con il mero esaurimento della condotta criminosa (Cass. V, n. 21708/2021e Cass. Vn. 21729/2021: fattispecie nelle quali la Cassazione ha confermato le sentenze che avevano escluso l'attenuante perché il rilascio dell'ostaggio era stato indotto dal timore del sopraggiungere delle forze dell'ordine). Morte del minore sequestratoIl comma 4 dell'art. 605 prevede una circostanza aggravante autonoma, comminando la pena fissa dell'ergastolo (quindi una pena di specie diversa da quella del reato semplice) quando “il colpevole cagiona la morte del minore sequestrato”. L'aggravante riproduce la struttura normativa di quella — riferita però alla morte del sequestrato anche non minorenne — prevista dalla fattispecie di sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630, comma 3), nonché da quella di sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis, comma 3). Proprio rifacendosi alla ormai consolidata interpretazione di tali disposizioni, avallata anche dalla giurisprudenza, è possibile affermare come tale previsione normativa inserisca, all'interno della fattispecie di sequestro, la struttura dell'omicidio volontario e pertanto l'evento morte dovrà essere coperto dal dolo (anche eventuale) del soggetto attivo; tale conclusione, peraltro, trova riscontro nella precisa proiezione teleologica del verbo “cagionare”, che distingue nettamente tale ipotesi rispetto a quelle in cui il legislatore ha voluto imputare l'evento morte ad un titolo soggettivo diverso. Quanto alla natura della disposizione, in conformità con l'orientamento prevalente formatosi sull'art. 630, deve ritenersi un caso di reato complesso, in cui il delitto di cui all'art. 575 è circostanza aggravante del sequestro di persona, con la conseguente esclusione di qualsiasi concorso tra il reato ex art. 605, comma 4 e quello di omicidio volontario (in questo senso, Fiandaca, Musco, PS, II-1, 192) Nel caso di morte come conseguenza non voluta della condotta di sequestro di persona si dovrà applicare — non essendo stata riprodotta la specifica disposizione presente nelle altre figure di sequestro — l'art. 586, a condizione che la morte fosse almeno prevedibile dall'agente in base alle concrete circostanze del fatto. Nel caso in cui la morte del minore sia voluta e cagionata solo da uno dei concorrenti nel sequestro, si porrà il problema dello specifico titolo normativo in base a cui punire il concorrente ignaro o dissenziente. Le alternative si pongono fra l'art. 59, comma 2 (che attribuirebbe al concorrente la stessa pena — l'ergastolo — dell'autore principale), l'art. 116 (che comporterebbe un'attenuante di pena, ex comma 2, per il complice ignaro) e l'art. 586 (da cui deriverebbe il concorso formale tra il sequestro di persona e l'omicidio colposo aggravato): coerentemente con la qualifica della fattispecie in esame come circostanza aggravante e non come autonomo titolo di reato, dovrebbe anzitutto escludersi l'applicabilità dell'art. 116; si dovrebbe anche escludere l'applicabilità dell'art. 586, utilizzabile quando l'evento morte non sia già previsto come aggravante specifica della fattispecie delittuosa (sarebbe il caso della morte come conseguenza non voluta da nessuno dei concorrenti nel reato); si dovrebbe allora applicare la disciplina generale della imputazione soggettiva delle circostanze aggravanti (art. 59, comma 2), utilizzabile anche in relazione alla comunicabilità delle circostanze nel concorso di persone (fuori dai casi di circostanze soggettive di cui all'art. 118). Pertanto, l'aggravante della morte del minore, come peraltro anche le aggravanti oggettive previste dal comma 3 dell'art. 605, sarà valutata a carico del concorrente che non l'abbia voluta “soltanto se da lui conosciuta ovvero se da lui ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore dovuto a colpa” Rapporto con altri reatiSequestro di persona a scopo di coazione l reato di sequestro di persona a scopo di coazione, già previsto dall'art. 3 l. n. 718/1985 e poi trasfuso dal d.lgs. n. 21/2018 nell'art. 289-ter c.p., che incrimina chi sequestra o tiene in suo potere una persona al fine di costringere un terzo a compiere od omettere un atto, subordinandovi la liberazione della vittima, costituisce una fattispecie speciale rispetto al delitto punito dall'art. 605, che non presenta, tra gli elementi costitutivi, né il movente, né le finalità della condotta di privazione della libertà personale altrui (Cass. III, n. 29507/2019). Esercizio arbitrario delle proprie ragioni Il concorso con il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393) è ammesso, poiché la privazione della libertà personale non è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 393. Considerato che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni è configurabile quando il soggetto agisca per esercitare un suo preteso diritto e non già una potestà pubblica è stato ritenuto configurarsi il reato di sequestro di persona nella condotta di chi, anziché denunciare all’autorità il sospetto autore di un furto, lo abbia privato della libertà personale per farsi accompagnare dal ricettatore e la condotta di colui che, in qualità di dipendente di un supermercato, fermi un minore sospettato di essersi appropriato di un cioccolato, lo trascini con la forza negli uffici della direzione e ivi lo sottoponga a perquisizione personale al fine di reperire il bene sottratto, peraltro mai rinvenuto, considerato che ai fini dell’integrazione del reato in questione è sufficiente che vi sia in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarne la capacità di spostamento, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve (Cass. V, n. 29755/2010).
Sottrazione di persone incapaci (art. 574) Maltrattamenti in famiglia (art. 572) e sottrazione di persone incapaci (art. 574) Il sequestro di persona può concorrere con il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572) trattandosi di norme dirette a tutelare beni giuridici diversi. In particolare Cass. V, n. 34504/2020 ha ammesso la configurabilità del concorso tra i predetti reati quando la condotta di sopraffazione che privi la vittima della libertà personale non si esaurisce nella abituale coercizione fisica e psicologica, ma ne costituisce un picco esponenziale dotato di autonoma valenza e carico di ulteriore disvalore, idoneo a produrre, per un tempo apprezzabile, un'arbitraria compressione, pur non assoluta, della libertà di movimento della persona offesa; il principio è stato affermato in relazione a fattispecie in cui, in un regime familiare improntato alla costante e continua prevaricazione e violenza del marito nei confronti della moglie, questa era stata bloccata a letto per alcune ore con le manette ai polsi. I rapporti tra il sequestro di persona e la sottrazione di persone incapaci, quando la sottrazione sia realizzata con il sequestro dell'incapace, sono assai controversi perché direttamente dipendenti dai diversi orientamenti circa il novero dei possibili soggetti passivi del delitto di cui all'art. 605 (v. anche supra). La questione è stata affrontata con particolare riferimento al caso in cui la vittima sia una persona minorenne. Ricorrendo gli elementi costitutivi di entrambe le fattispecie, è pacifico che i due delitti possano concorrere, quando sia lesa sia la libertà di movimento di un minore capace di manifestare la propria volontà cinetica sia il diritto dell'esercente la potestà genitoriale ad esercitare sul minore i propri poteri-doveri. È però controverso se tale concorso sia configurabile quando il minore sia un neonato o un bambino incapace di esercitare la propria libertà di movimento. Chi esclude tali soggetti dal novero dei soggetti passivi del sequestro afferma la configurabilità del solo delitto di cui all'art. 574 (per tutti: Viganò, 5809); chi, invece, considera anche gli incapaci possibili vittime del sequestro di persona afferma la sussistenza di un concorso formale tra i due delitti, sul rilievo che «privazione della libertà personale» e «sottrazione alla potestà» rappresentano due eventi eterogenei, suscettibili di realizzarsi congiuntamente per effetto di una medesima condotta a forma libera (Padovani, Il sequestro di persona, 615; Mantovani, PS, I, 305;). La giurisprudenza ammette la configurabilità del concorso tra i due delitti, perché posti a tutela di beni giuridici differenti e diversi nella struttura (Cass. V, n. 6220/2011) a condizione, però, che, trattandosi di fatto commesso nei confronti di minore infraquattordicenne, possa in concreto affermarsi che si sia in presenza di una limitazione della libertà del minore rispetto alla quale quest'ultimo, avendo acquistato una sufficiente capacità di esprimersi, abbia verbalmente o in altro modo manifestato il proprio dissenso. La medesima questione si propone anche con riferimento all'art. 574-bis (sottrazione e trattenimento di minore all'estero) , introdotto con l. n. 94/2009. La norma esordisce però con una clausola di riserva («salvo che il fatto costituisca più grave reato») che dovrebbe escludere in radice l'ipotesi del concorso del reato di sottrazione e trattenimento all'estero di minori con quelli più gravemente puniti, come il sequestro di minori. In forza di tale clausola il nuovo reato dovrebbe, dunque, rimanere assorbito in quello più grave per espressa volontà del legislatore, perdendo a questo punto di significato qualsiasi indagine sulla natura dei rispettivi beni giuridici. Violenza privata (art. 610) Omicidio (art. 575), lesioni (art. 582) e minacce (art. 612) I reati di sequestro di persona e tentato omicidio possono concorrere tra loro non sussistendo alcun rapporto di consunzione o sussidiarietà tra gli stessi, attesa la diversità dei beni giuridici tutelati che, da un lato, non consente di ritenere assorbiti tra loro gli interessi tutelati dalla fattispecie di sequestro di persona e, dall’altro, esclude che tali ultime condotte costituiscano il necessario antefatto del delitto di tentato omicidio (Cass. I, n. 31735/2010, con la precisazione che non è applicabile il criterio della consunzione, in quanto il tentato omicidio non comprende in sé i fatti di sequestro di persona, né esaurisce l’intero disvalore del fatto concreto). Il delitto di sequestro di persona concorre con quelli di lesioni personali e minacce quando la privazione della libertà abbia una durata apprezzabile che vada al di là della subitaneità e fulmineità di un singolo atto e abbia uno sviluppo nel tempo, articolandosi in varie e distinte azioni durante le quali permanga l'impossibilità della parte lesa di sottrarsi all'azione lesiva o minatoria (Cass. V, n. 4837/2024: fattispecie relativa a persone offese che, costrette a salire su un'autovettura, erano state condotte in un luogo appartato ove erano state oggetto di una violenta e prolungata aggressione fisica e verbale, al termine della quale era stato loro consentito di allontanarsi). Violenza privata (art. 610) Riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 600) È configurabile il concorso del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (art. 600). con il sequestro di persona, nel caso in cui alla privazione della libertà di locomozione si aggiunga la sottoposizione della vittima a condizioni afflittive e di costringimento tali da configurare una serie di trattamenti inumani e degradanti e da comprimerne in modo significativo la capacità di autodeterminarsi (Cass. II, n. 37489/2004, fattispecie in cui donne extracomunitarie erano rinchiuse a chiave in un casolare da dove venivano prelevate esclusivamente per essere portate sul posto di lavoro nei campi agricoli, in regime di stretto controllo e sorveglianza, di sistematica violenza e di continue minacce, di sfruttamento, venendo private di gran parte degli emolumenti giornalieri). Profili processualiL'arresto è facoltativo in flagranza (art. 381). Il fermo non è consentito con riguardo al primo comma, è invece consentito nelle ipotesi previste dal terzo e quarto comma (art. 384). Le misure cautelari sono consentite (artt. 280, 287): in proposito, peraltro, la giurisprudenza ha chiarito, in tema di misure precautelari nel procedimento minorile, che, nella determinazione della pena agli effetti dell'applicazione dell'arresto in flagranza, non si deve tener conto della circostanza indipendente di cui all'art. 605, comma 2, n. 1 (sequestro in danno di ascendenti, discendenti o coniuge), in quanto essa - comportando un aumento di pena inferiore ad un terzo - non rientra nel novero di quelle ad effetto speciale (Cass. V, n. 39512/2018). Competente per le ipotesi di cui ai commi 1 e 2 è il Tribunale monocratico, per quelle di cui al comma 3 il Tribunale Collegiale e per quelle di cui al comma 4 la Corte d'Assise. La procedibilità Il D.lgs. n. 150/2022, in vigore dal 30 dicembre 2022 (“c.d. Riforma Cartabia”) ha previsto che si procede a querela di parte nell'ipotesi prevista dal primo comma, salvo che il fatto sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità; negli altri casi, si procede d'ufficio. Nella parte in cui comporta la procedibilità a querela di parte per fattispecie di sequestro di persona in precedenza procedibili di ufficio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n.199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30 dicembre 2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29 dicembre 2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: – se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato” (ovvero sempre, trattandosi di un sequestro di persona del quale non è possibile che non si sia avveduto), il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30 marzo 2023; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: – avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30 dicembre 2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30 marzo 2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs.n. 150/2022, e quindi entro il 19 gennaio 2022, l'autorità giudiziaria che procede (da individuare nel giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ove penda ricorso per cassazione) non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Secondo la giurisprudenza, l'incapacità per infermità della persona offesa, che costituisce presupposto normativo per la procedibilità d'ufficio del reato di sequestro di persona, delinea tutte quelle situazioni in cui, anche transitoriamente, e non necessariamente a causa di una malattia o disturbo psichiatrico o neurologico, il soggetto passivo presenti una riduzione della sua sfera cognitiva e/o volitiva, pur non risultando radicalmente compromesse o grandemente scemate nel loro complesso le sue capacità intellettive. (Cass. V, n. 33865/2023). È stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 605, comma 6 (introdotto dall'art. 2, comma 1, lett. d), d. lgs. n. 150/2022), sollevata per contrasto con gli artt. 3 e 76 Cost., nella parte in cui prevede, per il delitto di sequestro di persona in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge, la procedibilità d'ufficio e non a querela di parte, com'è per il delitto di lesioni personali volontarie, aggravato ai sensi dell'art. 577, comma 1, c.p., per il rilievo che trattasi di scelta non irragionevole, espressiva dell'ampia discrezionalità attribuita al legislatore delegato dall'art. 1, comma 15, l. n. 134 del 2021, nel selezionare i reati contro la persona puniti con pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, cui estendere tale regime, né foriera di disparità di trattamento, stante il differente grado di disvalore delle fattispecie poste a confronto (Cass. III, n. 45238/2024). BibliografiaBricchetti, Pistorelli, Strategia a doppio binario nel sequestro dei piccoli, in Guida dir., 2009, 33, 36; Dalia, Sequestro di persona e arresto illegale, in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 197; Flick, Libertà individuale (delitti contro la), in Enc. dir., XXIV, Milano, 1975; Manzini,VIII Padovani, Il sequestro di persona e l'identificazione della libertà tutelata, in Riv.it.dir.e proc.pen. 1985, 613; Pulitanò, Coazione a fine di bene e cause di giustificazione, in Foro it., II, 1985, 438; Viganò La Tutela penale della libertà individuale, Milano, 2002 |