Codice Penale art. 614 - Violazione di domicilio 1 .Violazione di domicilio1. [I]. Chiunque s'introduce nell'abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s'introduce clandestinamente o con l'inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni [615, 615-bis; 14 1 Cost.] 2. [II]. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l'espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno. [III]. La pena e' da due a sei anni se il fatto e' commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole e' palesemente armato3. [IV]. Il delitto e' punibile a querela della persona offesa. Si procede, tuttavia, d'ufficio quando il fatto e' commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole e' palesemente armato o se il fatto e' commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per eta' o per infermita'4.
[1] A norma dell'art. 6, comma 2, del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 l'intercettazione di comunicazioni tra presenti nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale non può essere eseguita mediante l'inserimento di un captatore informatico su dispositivo elettronico portatile quando non vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa. [2] Precedentemente l'art. 3, comma 24, della l. 15 luglio 2009, n. 94, aveva sostituito le parole «fino a tre anni» con le parole «da sei mesi a tre anni». Successivamente l'art. 4, comma 1, lett. a), l. 26 aprile 2019, n. 36 , in vigore dal 18 maggio 2019, ha sostituito le parole «da sei mesi a tre anni» con le parole «da uno a quattro anni». [3] Comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Il testo del comma era il seguente: «Il delitto è punibile a querela della persona offesa.». [4] Comma così sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. g), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Il testo del comma, come da ultimo modificato dall' art. 4, comma 1, lett. b), l. 26 aprile 2019, n. 36, era il seguente: «La pena è da due a sei anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato». Per ulteriori ipotesi di aumento della pena, v. art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107 e art. 36 l. 5 febbraio 1992, n. 104.
competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.: terzo e quarto comma) arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita (primo e secondo comma); consentita (terzo e quarto comma) altre misure cautelari personali: non consentita (primo e secondo comma); consentite (terzo e quarto comma) procedibilità: a querela di parte (primo e secondo e terzo comma); d'ufficio (quarto comma) InquadramentoI delitti contro la libertà domiciliare (artt. 614 e 615) mirano a tutelare l'interesse alla pace e alla libertà domestica, cioè il diritto dell'individuo di vivere liberamente nella propria abitazione senza intrusioni o interferenze arbitrarie (Antolisei, 232; Manzini T. IIII, 845). Il domicilio costituisce, infatti la proiezione spaziale della persona umana, ovvero quell'ambito spaziale necessario alle estrinsecazione della persona medesima nella sua dimensione individuale e privata. Proiezione spaziale che non si riduce ad una semplice individuazione di luoghi ove questa si esprime, ma che va accolta nella sua dimensione funzionale, cioè di luogo, nel quale è garantita la libera estrinsecazione della personalità individuale, ove si «concretizzano comportamenti di carattere intimo, domestico o quantomeno privato» (Siniscalco, 872). Tale diritto trova il suo fondamento nell'art. 14 Cost. che affermando che il domicilio è inviolabile non ha inteso fondare una tutela della dimensione oggettiva del domicilio, come bene materiale in sé, ma della dimensione soggettiva dello stesso, come proiezione nello spazio della persona che ne consente una piena realizzazione(Amorth, 871; Musacchio, 228). Da un tale principio, così costituzionalmente sancito, deriva un diritto di esclusività di presenza che si esprime con una duplice facoltà di ammissione o di esclusione dai luoghi entro i quali la personalità umana si estrinseca (Musacchio, 229). Deriva anche un diritto di riservatezza domiciliare, strumentale anch'esso alla libera estrinsecazione della personalità, che non consente ad altri di prendere conoscenza di ciò che avviene nella sfera privata domiciliare se non nei casi e nei modi tassativamente previsti dalla legge, art. 14, commi 2 e 3, Cost. (così Mantovani, 509; Antolisei, 231; Fiandaca, Musco, 265). Esorbitano dal campo di applicazione del suddetto principio tutti gli aspetti che concernono il bene immobile in quanto tale e dunque l'acquisto e la perdita, legittimi, della proprietà, del possesso o della detenzione, specie quando costituiscono oggetto di interventi della autorità giudiziaria o di quella amministrativa. Pertanto, ogniqualvolta sia venuto legittimamente meno il titolo che giustifica la proprietà, il possesso o la detenzione dell'immobile, non può mai invocarsi il diritto alla inviolabilità del domicilio (Cass. V, n. 2257/1999: nella fattispecie, la Corte di Cassazione ha escluso la configurabilità del delitto di violazione di domicilio, dedotta dal ricorrente, persona offesa, con riferimento alla occupazione di urgenza di un suo fondo, disposta dalla pubblica amministrazione nell'ambito di un procedimento di espropriazione). (Vedi Corte cost. n. 10/1971, Corte cost. n. 110/1976). Il diritto al rispetto della vita privata è sancito anche dall'art. 12 della Dichiarazione universale dell'uomo (approvata dall'assemblea generale dell'Onu il 10 dicembre 1948) e dall'articolo 8 Cedu. La norma è stata modificata dalla l. 26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa), con l'aggravamento del trattamento sanzionatorio previsto sia per l'ipotesi base del comma 1 sia per l'ipotesi aggravata prevista al comma 4. I soggetti
Soggetto attivo Il soggetto attivo può essere chiunque; trattasi, quindi, di un reato comune. Soggetto passivo Soggetto passivo è colui che attualmente e legittimamente abita o dimora nei luoghi descritti dalla norma, ovvero colui il quale risulta titolare dell'ius escludendi, prescindendosi dal diritto di proprietà dell'immobile. È stato ritenuto (Cass. V, n. 10601/1982) che poiché la tutela predisposta dall'art. 614 riguarda chiunque risieda legittimamente in una abitazione o in altro luogo ad essa equiparabile, qualunque ne sia il titolo (di proprietà, di usufrutto, di abitazione, ecc.), e poiché il diritto alla inviolabilità del domicilio può essere fatto valere anche nei confronti del proprietario o del conduttore dell'immobile, commette violazione di domicilio il proprietario che, avendo ceduto ad altri il proprio alloggio sia pure a titolo precario, vi si introduca contro la volontà del titolare dopo aver scardinato la porta). Cass. V. n. 18275/2016 ha affermato che in tema di violazione di domicilio, è ravvisabile in capo al presidente di un'associazione privata la titolarità dello “ius excludendi”, esercitabile sia nei confronti dei terzi estranei all'associazione che nei confronti dei soci, qualora questi ultimi assumano un comportamento in contrasto con le regole dell'associazione medesima, manifestando una volontà incompatibile con l'adesione alle stesse. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la pronuncia che aveva ravvisato la responsabilità del socio di un circolo culturale che, dopo essere stato accompagnato fuori dal locale per la sua condotta violenta e molesta nei confronti degli altri soci, aveva tentato di farvi nuovamente accesso contro la volontà espressa del presidente). Secondo Cass. V, n. 29093/2015, è legittimo l'esercizio, da parte del comodatario, dello ius excludendi, nei confronti dei terzi, a tutela dell'inviolabilità del domicilio. La titolarità è riconosciuta a qualsiasi persona fisica e alle persone giuridiche (nei limiti in cui l'attività da queste svolta lo consenta). Opinione questa quasi concorde in dottrina, sebbene taluno (Pazienza, 4) ritenga che il rispetto di quelle specifiche esigenze di libertà che giustifica la tutela penale del domicilio per le persone fisiche abbia scarsa rilevanza per le persone giuridiche. Nel caso di comunità gerarchicamente organizzate, generalmente si individua il titolare di tale diritto nel superiore gerarchico, mentre per quanto riguarda comunità organizzate su base di uguaglianza la titolarità spetta a tutti i membri in egual modo (Fiandaca-Musco, 233). Discorso particolare va fatto con riferimento alla comunità familiare, alla luce anche della riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975, n. 151). Tale legge ha infatti sancito il principio della parità di morale dei coniugi, così attribuendo ad entrambi lo ius excludendi. Detta soluzione ha però lasciato insoluti alcuni problemi. Il fatto che entrambi i coniugi hanno eguale il potere di esclusione comporta che il dissenso espresso da uno renda assolutamente superfluo il consenso reso dall'altro. Ciò significa che tale diritto non è liberamente esercitabile da ciascun coniuge ed inoltre, nel conflitto tra pari libertà, si darà maggiore rilievo a quella contraria all'introduzione. La giurisprudenza ha in più occasioni esaminato la tematica del c.d. ius excludendi alios in ambito familiare. Appare, in particolare, consolidato l'orientamento per il quale, ai fini della titolarità dello "ius excludendi alios" vanno distinte le relazioni di convivenza e di coabitazione: - la prima è caratterizzata da legami affettivi stabili e da impegni reciproci di assistenza morale e materiale, in virtu` dei quali il consenso espresso da uno dei conviventi sottintende quello tacito degli altri; - la seconda da ragioni di mera opportunità e convenienza, in cui, accanto alla condivisione di spazi comuni, per i quali si applica il medesimo criterio, ciascuno dei coabitanti dispone di uno spazio esclusivo, per l'accesso al quale è necessario il consenso espresso dell'avente diritto. In applicazione del principio, Cass. V, n. 31276/2020 ha confermato la decisione di condanna per violazione di domicilio aggravata (ex art. 614, commi 1 e 4) in relazione all'irruzione nella camera da letto della vittima, posta in essere da un ospite del fratello con la stessa coabitante, al fine di esporla ad atti lesivi della dignità e del decoro, videoregistrati e, poi, divulgati in "chat". Una decisione molto risalente, ma tuttora in parte attuale (Cass. I, n. 1555/1968), aveva affermato che, nelle comunità familiari, sia legali che di fatto, titolare del diritto di escludere gli estranei dal domicilio domestico è il capo-famiglia: ne consegue che quando, per qualsiasi motivo, il gruppo si scioglie per il venir meno del vincolo, giuridico o affettivo, che univa i conviventi e si costituisce una nuova comunità legata da vincoli diversi, il diritto di escludere gli estranei compete al capo della nuova comunità; in applicazione del principio, fu riconosciuto lo ius excludendi alla ex convivente dell'imputato, la quale, durante lo stato di detenzione del predetto soggetto, si era trasferita in altra abitazione portando con se i figli avuti dal medesimo. Più recentemente, la giurisprudenza ha ritenuto che integrano il reato di violazione di domicilio la condotta del coniuge separato che, non avendovi più stabile dimora, si introduca nella casa familiare contro la volontà del coniuge assegnatario(Cass. V, n. 30726/2019), quella del coniuge divorziato che si introduca nell'abitazione assegnata all'altro coniuge con provvedimento presidenziale, ancorché privo di formale esecutività, mediante manomissione della serratura, modificata in esecuzione di detto provvedimento (Cass. V, n. 32840/2019), nonché, infine, quella di colui che, essendo stato escluso dall'abitazione a seguito dell'interruzione del rapporto di convivenza, vi si introduca, con violenza sulle cose ed alla persona, contro l'espressa volontà contraria della ex convivente "more uxorio", unica titolare dello "ius excludendi" (Cass. V, n. 3998/2019). Ai fini della configurabilità del reato di violazione di domicilio, la fonte dello "ius excludendi" può essere costituita anche da un provvedimento giudiziario (Cass. V, n. 7592/2021: fattispecie nella quale il divieto di accedere al domicilio violato derivava da un provvedimento del Tribunale per i minorenni che, a tutela dei figli minori, vietava temporaneamente al padre l'accesso alla abitazione familiare). Anche il comodatario può legittimamente esercitare lo "ius excludendi" nei confronti dei terzi, ivi compreso il comodante, a tutela dell'inviolabilità del domicilio, stante la legittima detenzione dell'immobile conseguita per effetto della consegna da parte del comodante e il diritto di suo utilizzo esclusivo derivante dal contratto (Cass. V, n. 24448/2019). Non è stato configurato il reato di violazione di domicilio nella condotta del locatario che, pur avendo subìto un provvedimento di sfratto emesso dal giudice civile, si introduce nell'immobile prima che il locatore venga reimmesso effettivamente nel possesso, spontaneamente o in seguito ad un procedimento di esecuzione forzata per rilascio, per il rilievo che, in tal caso, non risulta ancora attuale e, pertanto, meritevole di tutela, il diritto del proprietario-locatore di svolgere nell'immobile attività della propria vita privata (Cass. V, n. 52749/2017). La nozione di domicilioPer quanto nella rubrica degli artt. 614 e 615 si parli di domicilio è indubbio che la legge non si riferisce soltanto al domicilio nel significato ristretto che a questa parola attribuisce l'art. 43 c.c. per il quale è domicilio il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi. La nozione penalistica di domicilio ha perciò un dimensione autonoma e più ampia di quella rilevante ai fini degli altri settori dell'ordinamento. Dal testo dei due articoli indicati si desume che fini penali per domicilio si intendono: - l'abitazione altrui; - ogni altro luogo di privata dimora; - le “appartenenze”, o pertinenze, di essi . Per «abitazione» deve intendersi ogni luogo ove la persona, singolarmente o con altri, legittimamente dimora. Deve trattarsi quindi di luogo adibito o adibibile al riposo notturno, seppur l'uso sia solo saltuario o occasionale. Non importa che si tratti di un bene mobile o immobile (è tale anche la tenda o la roulotte) che sia chiuso o aperto, ciò che conta è che tale spazio sia delimitato verso l'esterno, per rendere palese la volontà del titolare di escludere gli altri. È inoltre essenziale che sussista la facoltà per il titolare di ammettere ed escludere terze persone (non è pertanto abitazione un luogo coattivamente imposto, come la cella del detenuto, rispetto al quale il soggetto non abbia la facoltà di concedere o utilizzare gli ingressi agli estranei (in dottrina, Mantovani, 417). La fruizione del predetto luogo da parte di colui che ha il potere dello ius excludendi deve essere attuale; non è tale una appartamento abbandonato o disabitato (Cass. VI, n. 31982/2003). L'attualità dell'uso non implica la sua continuità e non viene meno in ragione dell'assenza, più o meno prolungata nel tempo, dell'avente diritto (Cass. V, n. 48528/2011). Il concetto di «privata dimora», più ampio di quello di abitazione, richiama, per esclusione, ogni altro luogo in cui si svolge la vita privata dell'individuo, ove cioè la persona, continuativamente o saltuariamente, per dovere o per scelta, svolge attività rispetto alle quali ha potere di accettazione o di esclusione della altrui presenza: studi professionali, stabilimenti industriali, bar, negozi, banche e luoghi destinati all'esplicazione della vita religiosa, politica e culturale. La giurisprudenza ha affermato che il concetto di privata dimora è più ampio di quello di casa d'abitazione, comprendendo ogni altro luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, venga usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento di una attività personale rientrante nella larga accezione di libertà domestica” (Cass. V, n. 410/1985, relativa ad una casa colonica su fondo coltivato, utilizzata dal possessore per uso domestico, anche saltuariamente, in relazione alla cura di animali od alla coltivazione stagionale del fondo). Successivamente, Cass. V, n. 50192/2019 ha chiarito che nel concetto di privata dimora rientra non solo l'abitazione, ma anche ogni luogo non pubblico, che serva all'esplicazione della vita professionale, culturale e politica: in applicazione del principio, si è ritenuto che costituissero luogo di privata dimora i locali di un'agenzia in cui l'utilizzatore svolgeva attività professionale). P roprio perché l'art. 614 è dettato a tutela della libertà del privato, del suo interesse alla tranquillità e sicurezza nei luoghi in cui esplica attività di vita privata, anche un pubblico esercizio, nelle ore di chiusura, nelle quali, interrotto ogni rapporto con l'esterno, viene dal proprietario utilizzato per lo svolgimento di un'attività lavorativa, sia pure inerente alla gestione del locale stesso, costituisce un luogo di privata dimora. (Cass. V, n. 5767/1981). Per “appartenenze” o “pertinenze” devono intendersi tutti quei luoghi che integrano in senso sia logistico che di servizio, per necessità o solo eventualmente, la funzione che l'abitazione o il luogo di privata dimora svolgono per il soggetto che ne dispone, sì da consentirgli, per natura dei luoghi o per artefatti, di escludere gli altri da intromissioni che violino la vita domestica o privata. Possono rientrare in tale concetto, anche appartenenze che siano comuni a più luoghi di abitazione o di privata dimora, come pianerottoli, giardini condominiali, atri. Non si richiede che l'appartenenza sia materialmente unita o immediatamente comunicante con l'abitazione, o la privata dimora (ciò che conta è che siano in rapporto di dipendenza) né che sia interamente chiusa: fondamentale che sia isolata dallo spazio esterno in modo da far risultare la volontà dell'avente diritto di escludere i non autorizzati ad entrarvi o rimanervi (Antolisei, 233; Musacchio, 231) CasisticaLe Sezioni Unite penali della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 26795/2006) sono intervenute, seppure incidentalmente, sulla questione, statuendo che il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza; ciò in quanto «il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente; solo il requisito della stabilità anche se intesa in senso relativo, può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un'autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità». Ampia è la casistica giurisprudenziale sul concetto di privata dimora. La giurisprudenza meno recente ha qualificato come luoghi di privata dimora: - la banca (Cass. I, 2 maggio 1978); - la casa da gioco (Cass. V, 12 novembre 1994); - uno studio professionale (Cass. V, 27 novembre 1996); - l'ambulatorio adibito a servizio di guardia medica (Cass. III, n. 33518/2012); - la sede di un partito politico (Cass. V, 3 maggio 1979). Diversamente, non costituiscono luoghi di privata dimora: - l'abitacolo chiuso dell'autovettura, almeno finché adibito alla sola circolazione (Cass. V, 6 marzo 2009); - il bagno di un locale pubblico, presupponendo il concetto di domicilio una relazione con un minimo grado di stabilità con le persone che frequentano i luoghi (Cass. V, n. 11522/2009); - i c.d. privés dei locali pubblici (Cass. V, n. 11522/2009); - la stanza di degenza di un ospedale (Cass. VI, n. 22836/2009) . I Il camper costituisce un luogo di privata dimora solo se in concreto venga accertata la sua effettiva destinazione all'espletamento di attività tipiche della vita privata, diverse dal mero utilizzo come mezzo di locomozione (Cass. V, n. 38236/2016).. Titornando ad esaminare la questione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione ( Cass. S.U., n. 31345/2017 ) hanno chiarito che rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare; tra questi, non vi rientrano, pertanto, i luoghi di lavoro, salvo che il fatto sia avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa. Secondo la giurisprudenza più recente, costituisce luogo di privata dimora: - l'immobile adibito a casa di vacanza abitato soltanto in determinati periodi dell'anno, non essendo necessaria ad integrare la nozione in parola la permanenza continuativa nell'immobile dell'avente diritto, essendo sufficiente un suo utilizzo "stabilmente ricorrente" per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata al riparo da intrusioni esterne (Cass. V, n. 37875/2019). Al contrario, non costituiscono luoghi di privata dimora: - l' "open space" o stanza collettiva, in quanto luogo di lavoro accessibile ad un numero indeterminato di persone anche senza il preventivo consenso dell'avente diritto: pertanto, non rappresenta estensione di un domicilio privato la sala riunioni fruibile da diverse società aventi gli uffici nel medesimo stabile (Cass. V, n. 14878/2021); - l'aula di scuola nella quale siano in corso lezioni: in particolare, si è affermato che non è configurabile il reato di violazione di domicilio, qualora, nel corso di una manifestazione di protesta, taluni soggetti, interrompendo l'attività didattica, accedano nella sede di un istituto scolastico, poichè tale luogo non è riconducibile alla nozione di privata dimora, nell'ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, né accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata (Cass. V, n. 10498/2018); - la stanza di degenza di un ospedale (Cass. V, n. 53200/2018). MaterialitàLa condotta incriminata consiste nell'introdursi o nel intrattenersi nei luoghi indicati dalla norma contro la volontà di colui che è titolare del diritto di esclusione. L'introduzione può avvenire per via normale (porta di ingresso) o per via anomala (balconi, finestre, lucernai, pertugi...), purché in modo atto a ledere il diritto alla esclusività e alla riservatezza del titolare dello ius excludendi (così Siniscalco, 875; Mantovani, 434, il quale pone in evidenza come l'introduzione anche solo parziale di una parte del corpo nell'altrui domicilio, testa o braccia, sia diversamente qualificabile come tentativo o come delitto consumato in ragione, non già di una valutazione di tipo volumetrico della intrusione, bensì alla luce di una valutazione che tenga conto della effettiva potenzialità lesiva della condotta realizzata nei confronti del bene «riservatezza domiciliare» tutelato dalla norma. Di opinione diversa Manzini, 867 e Antolisei, 234, che ritengono il reato consumato solo allorquando vi sia l'ingresso dell'intera persona). Il trattenersi, consiste nella permanenza invito domino nell'altrui domicilio; essa presuppone ontologicamente un precedente ingresso lecitamente realizzato ed un successivo invito ad allontanarsi. Mentre nella condotta di introduzione, la volontà contraria del titolare dello ius prohibendi può essere espressa (con parole, gesti, dichiarazioni, scritte...) o anche tacita, espressa cioè attraverso la predisposizione di mezzi a salvaguardia della privacy (cancelli, porte chiuse a chiave, sbarramenti...), in quella di trattenimento, la volontà contraria deve essere sempre espressa affinché il reato di violazione di domicilio si realizzi. Sia l'introduzione che il trattenersi nell'altrui domicilio rilevano, ai fini della configurazione del delitto, anche allorquando siano avvenuti in maniera clandestina o con inganno. La clandestinità, si avrà tutte le volte in cui l'ingresso o il trattenimento, siano avvenuti in modo tale da non esser percepiti dal titolare dello ius excludendi, sì da eludere la sua vigilanza. Il comportamento ingannevole, invece, presuppone l'utilizzazione, da parte dell'autore di una tale modalità di condotta, di veri e propri mezzi fraudolenti atti a consentire un ingresso o una permanenza nell'altrui domicilio (esibizione di generalità false, false motivazioni di ingresso...) non diversamente ottenibile. Vi è contrasto, sia in dottrina che in giurisprudenza, circa la rilevanza del dissenso presunto ai fini della configurazione del reato, cioè di quella volontà contraria del titolare dello ius excludendi che non sia stata esplicitata, per situazione concreta, per ignoranza o per effetto del comportamento ingannevole altrui, ma che poteva ragionevolmente presumersi (introduzione o trattenimento per fine illecito o per fine sicuramente non accetto dal legittimo titolare del diritto di esclusione). Una parte della dottrina (Antolisei, 181, Manzini, 870; Siniscalco, 875; Mantovani, 527) nega la rilevanza del dissenso presunto, argomentando una tale soluzione, dall'analisi della stessa locuzione adottata dall'art. 614 che, richiedendo una contraria volontà «espressa o tacita» del titolare dello ius excludendi, sembrerebbe esigere sempre una manifestazione del dissenso anche se per facta concludentia. Anche la giurisprudenza più risalente era di tale parere (Cass. V, 6 gennaio 1981; Cass. I, 29 marzo 1976). La giurisprudenza più recente invece ha optato per la soluzione positiva quando l'introduzione nel domicilio altrui avviene per un fine illecito essendo in tal caso presumibile il dissenso del titolare dello ius excludendi (cfr. Cass. VI n. 35166/2005 secondo la quale integra il reato di violazione di domicilio, ai sensi dell'art. all'art. 614, comma 1, che equipara l'introduzione «invito domino» a quella realizzata clandestinamente o con inganno, la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite, in quanto, in tal caso, si ritiene implicita la contraria volontà del titolare dello «ius excludendi» e nessun rilievo svolge la mancanza di clandestinità nell'agente, il quale frequenti o si ritenga autorizzato a frequentare l'abitazione del soggetto passivo; mentre ricorre l'ipotesi di cui all'art. 614, comma 2,- che sanziona chi si trattiene nel domicilio altrui contro l'espressa volontà del titolare — nel caso in cui dette intenzioni diventino illecite solo in un momento successivo all'introduzione nell'abitazione altrui). Cass. V, n. 40827/2017 ha riconosciuto la sussistenza della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto nel caso di un senza fissa dimora accusato del delitto di violazione di domicilio, il quale, al momento del fatto, si trovava in particolari circostanze di miseria e di emarginazione ed aveva agito per motivi strettamente attinenti al reperimento di un alloggio notturno. Elemento soggettivoL'elemento psicologico del reato consiste nel dolo generico, cioè nella coscienza è volontà di introdursi o trattenersi nell'altrui dimora clandestinamente con inganno o con la consapevolezza del dissenso reale del soggetto passivo. Nessun rilievo assume ai fini dell'integrazione del reato il fine perseguito dall'agente. In base alla regola generale dell'art. 47, rileverà l'errore su uno qualunque degli elementi costitutivi del fatto che costituisce reato, come l'altruità del domicilio, l'esistenza del consenso o l'eventuale erronea supposizione di una situazione che legittimi o imponga una tale condotta (art. 59): al riguardo, Cass. V, n. 44627/2021 ha affermato che, ai fini dell'applicabilità della scriminante putativa di cui all'art. 47 c.p., non si può ritenere automaticamente sussistente, in virtù di una relazione sentimentale conflittuale, il consenso preventivo e indiscriminato all'ingresso nella abitazione del titolare dello "ius excludendi". Circostanze aggravantiL'art. 614, ultimo comma prevede delle circostanze aggravanti speciali, la cui sussistenza importa un aumento della pena (da 1 a 5 anni) e la perseguibilità d'ufficio. Queste ricorrono quando «il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato», individuando due ipotesi di reato complesso che, in virtù della regola fissata dall'art. 84, assorbiranno rispettivamente i reati di danneggiamento (art. 635 c.p. ) e violenza privata (art. 610 c.p. ) in cui la circostanza consiste, con conseguente esclusione del cumulo delle pene previste per tali reati. Dibattito si segnala in dottrina sull'ambito di operatività di queste circostanze specie sul rapporto che deve sussistere fra i comportamenti che le qualificano e il delitto di violazione di domicilio. Mentre vi è concordia di opinioni sul fatto che esse debbano caratterizzarsi per il loro carattere strumentale rispetto alla realizzazione del reato base, molto si è discusso e ancora si discute circa le forme e i modi in cui questa strumentalità debba rivelarsi. Vi è chi sostiene che la violenza sulle cose come sulle persone debba essere contestuale alla realizzazione della condotta di introduzione o permanenza (Siniscalco, 878) e chi, invece, ritiene sufficiente che questa si qualifichi semplicemente come mezzo o modalità di realizzazione della violazione di domicilio (Florian, 410) e chi ancora ritiene che la violenza o la minaccia debbano precedere o accompagnare l'esecuzione della azione e mai seguirla (Cavallo, 306). Quando concorrono più circostanze fra quelle previste nella disposizione non si avrà il fenomeno del concorso ma, è opinione unanime che queste dovranno essere imputate come un'unica circostanza, in quanto l'art. 614 individua una «norma a più fattispecie»; dell'eventuale concorso si potrà tenere conto, ai sensi dell'art. 133, nella determinazione della pena in concreto. Per quanto riguarda la loro rilevanza, è ontologicamente scontato che queste possano essere imputate solo se il colpevole abbia consapevolezza dei comportamenti che le individuano. In caso di concorso si estenderanno ai correi in quanto non rientrano fra le circostanze previste dall'art. 118. Analizzando le singole circostanze deve precisarsi che: si avrà «violenza sulle cose», ai sensi della legge penale (art. 392) «allorché la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione»; mentre «violenza sulle persone», si avrà tutte le volte in cui il colpevole, con qualunque mezzo che non sia la minaccia, in quanto non espressamente richiamata dalla norma, limiti la capacità di autodeterminazione della vittima. Capacità di autodeterminazione della vittima che costituisce, ancora, il fondamento che giustifica la previsione della terza circostanza aggravante dell'art. 614; infatti quest'ultima rileverà tutte le volte in cui il colpevole commetta il delitto di violazione di domicilio «palesemente armato», quando cioè la possibilità di difesa della vittima risulti essere indebolita dalla percezione di un ulteriore pericolo costituito dalle armi che il colpevole porta in dosso. Secondo alcune pronunce (Cass. n. 1442/1986, confermata da Cass. 16 luglio 2009) i l termine "palesemente armato" di cui all'ultimo comma dell'art. 614 c.p. deve essere inteso nel senso che le armi siano portate in maniera manifesta dagli autori della violazione di domicilio, a prescindere dalla percezione o meno delle stesse da parte della persona offesa. Per armi devono intendersi tutti gli oggetti richiamati dall'art. 585 e quindi anche le armi bianche (coltelli, bastoni ed altro), purché effettivamente idonee ad intimidire, anche se, deve precisarsi, ai fini della aggravante non è necessario che il colpevole ne abbia fatto uso. Il solo uso di una pistola-giocattolo – qualora si accerti che il fatto non sia stato commesso anche con violenza sulle cose o alle persone – non è stato ritenuto sufficiente ad integrare l’aggravante prevista dall’ultima parte dell’art. 615, la quale richiede il possesso di un’arma effettiva e non solo apparente (Cass. II, n. 15575/1989). Secondo la giurisprudenza l'aggravante della violenza sulle persone presuppone che la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca la fase esecutiva del reato e, pertanto, ricorre anche quando essa non sia usata inizialmente per l'illecita introduzione, ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell'avente diritto (Cass. I, n. 11746/2012). Secondo Cass. VI, n. 9084/2018 ai fini della configurabilità dell'aggravante prevista dall'ultimo comma dell'art. 614 (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio, ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni. Ne consegue che se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell'altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell'art. 61, n. 2 stesso codice e il reato è procedibile a querela. (Nella fattispecie la Corte ha escluso la sussistenza dell'aggravante con riferimento alla condotta del ricorrente che, dopo essersi introdotto nell'abitazione dell'ex coniuge, strattonava la donna, le strappava dalle mani il telefono cellulare e colpiva con dei calci la porta di ingresso, rilevando che dette azioni erano espressive di uno scatto d'ira ovvero del tentativo di impossessarsi del telefono con cui la donna intendeva chiamare le forze dell'ordine). Cass. V, n. 23579/2018 ha, inoltre, chiarito che, perché possa ritenersi sussistente l'aggravante della violenza sulle cose, che comporta la procedibilità di ufficio, occorre non solo che l'azione sia esercitata direttamente sulla "res", ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l'aspetto e/o la funzione; nella specie, è stata ritenuta sussistente l'aggravante in relazione alla condotta dell'imputato che, pur non avendo operato la forzatura della serratura della porta di ingresso dell'appartamento, aveva però effettuato la sua sostituzione, così alterandone la consistenza. È prevista dall'art. 1, l. 25 marzo 1985, n. 107 una particolare circostanza aggravante, che importa un aumento di pena da un terzo fino alla metà, quindi ad effetto speciale, per il reato di violazione di domicilio tentato o consumato, commesso nei confronti di persone che godono di speciale protezione, quando il reato è determinato, anche indirettamente, dalle funzioni esercitate, in quanto, ai sensi della Convenzione di New York 14 dicembre 1973, queste sono persone internazionalmente protette. Infine, deve segnalarsi che, trattandosi di delitti contro la persona, un'altra circostanza aggravante speciale, anch'essa ad effetto speciale in quanto importa un aumento di pena superiore ad un terzo, ricorrerà allorquando la vittima sia un portatore di handicap (art. 36, l. 5 febbraio 1992, n. 104, «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone portatrici di handicap»). Consumazione e tentativo Consumazione e tentativoIl delitto si consuma nella prima forma con l’introdursi nel luogo di privata dimora, invito domino, oppure in modo clandestino o con l’inganno, nella seconda forma, allorché il soggetto comincia a trattenersi nel luogo contro la volontà o clandestinamente o con l’inganno. Opinioni divergenti sono sorte in dottrina con riferimento alla natura del reato. Una tesi sostiene che si tratti di reato istantaneo nella prima forma, mentre di reato permanente nella seconda (Siniscalco, 875). Altri sottolineano che entrambe le forme hanno carattere necessariamente permanente, in quanto la loro integrazione, pur potendosi concretare in una manifestazione che può cessare immediatamente richiede un prolungarsi anche minimo della condotta (Pazienza, 25). Altri ancora ritengono che la violazione di domicilio sia un reato eventualmente permanente (Antolisei, 240; Manzini, 842) Il tentativo è configurabile. Rapporti con altri reatiQuando la violazione di domicilio non è elemento costitutivo (artt. 508, 633, 637) o circostanza aggravante di altro reato (art. 625, n. 1; art. 628, n. 3-bis) e non viene realizzata nella forma aggravata dalla violenza sulle cose o sulle persone, fattispecie questa che assorbe i delitti di danneggiamento e di violenza privata, si verifica il fenomeno del concorso di reati, eventualmente aggravato dal nesso teleologico (in dottrina Siniscalco, 88). I delitti rispettivamente di «arbitraria invasione e occupazione di aziende agricole o industriali» (art. 508, comma 1), «invasione di terreni o edifici» (art. 633), «ingresso abusivo nel fondo altrui» (art. 637), si collocano in rapporto di specialità con la fattispecie di cui all'art. 614, realizzando un concorso apparente di norme, qualificato o dal fine che deve sorreggere la condotta di violazione di domicilio (artt. 508, comma 1, 633), o dalla specie dei luoghi in cui tale violazione si compie (art. 637). La violazione di domicilio costituisce un elemento costitutivo della nuova fattispecie di cui all'art. 624- bis, deve precisarsi che, in questo caso, la condotta di violazione è qualificabile come tale solo se si sia svolta in luoghi in cui le persone si trattengono per svolgere anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata (Cass. V, n. 22725/2010) e sia stata strumentalmente utilizzata per la commissione del furto, perché, se le due condotte sono solo occasionalmente contigue, si avrà un concorso materiale di reati. È stato inoltre affermato che la nozione di «privata dimora» nella fattispecie di furto in abitazione è più ampia di quella di «abitazione», in quanto va riferita al luogo nel quale la persona compia, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata (Cass. V, n. 30957/2010: fattispecie relativa a furto commesso all'interno di un bar). In giurisprudenza è costante l'orientamento che vi sia concorso di reati, con l'aggravante del nesso teleologico, tra la violazione di domicilio e gli altri reati con cui questa concorra, rispetto ai quali non sia circostanza aggravante né elemento costitutivo: pertanto si ritiene che la violazione di domicilio possa concorrere con il delitto di estorsione (art. 629); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630); e anche con quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 392). L'assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si verifica solo quando l'esercizio del preteso diritto si concreta nel semplice ingresso e nella sola permanenza invito domino nell'altrui abitazione (Cass. V, n. 8383/2014); mentre quando l'agente si introduce contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, al fine di asportare e cose che egli ritiene di aver diritto di prendere, perché di sua proprietà, e la introduzione sia avvenuta con violenza sulle cose o sulle persone, egli infrange sia le disposizioni concernenti la inviolabilità del domicilio, sia quelle che vietano la tutela arbitraria delle proprie ragioni (Cass. V, n. 8383/2014). Il delitto di violazione di domicilio può concorrere col delitto di atti osceni in luogo pubblico (art. 527), allorquando il luogo ove questi vengono commessi, per esser destinato all'uso di un pur indeterminato numero di persone, possa qualificarsi come domicilio (Cass. IV, n. 13316/1989: fattispecie di atti osceni commessi in una autorimessa condominiale annessa e sottostante ad abitazioni private, di libero accesso solo agli occupanti gli appartamenti). Nell'ipotesi in cui la violazione di domicilio sia stata strumentale alla violenza sessuale vi sarà concorso di reati con l'aggravante del nesso teleologico (art. 61, n.2) ma, se la violenza è stata strumentale al compimento degli atti sessuali e non già alla violazione di domicilio la procedibilità per ambedue i reati è stato ritenuto che dovrà esser a querela di parte (Cass. III, n. 35696/2010: nella specie la Corte ha precisato che, in tal caso, la violazione di domicilio è aggravata a norma dell'art. 61, n. 2 e non ai sensi dell'art. 614, ultimo comma). Fra il delitto di atti persecutori e quello di violazione di domicilio non sussiste alcun rapporto di specialità, unilaterale o bilaterale, con la conseguenza che i due reati concorrono materialmente, fatta salva l'applicazione della clausola di riserva di cui all'art. 612-bis c.p., in base alla quale il delitto di atti persecutori, quando commesso esclusivamente mediante più violazioni di domicilio aggravate, può essere assorbito nel reato di cui all'art. 614, ultimo comma, se quest'ultimo è ritenuto in concreto più grave (Cass. V, n. 9069/2021); si è anche chiarito che l'assoluzione per il reato di cui all'art. 612-bis, passata in giudicato, non preclude la celebrazione del giudizio per il reato di cui all'art. 614 quando gli atti persecutori si siano sostanziati, oltre che nell'intrusione nell'abitazione della vittima, anche in ulteriori comportamenti invasivi determinanti uno o più degli eventi tipici dello "stalking", non sussistendo identità del fatto storico rilevante per la violazione del divieto di "bis in idem", secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 200/2016 (Cass. V, n. 22043/2020). Profili processuali
Profili processuali La procedibilità Il reato, nella forma semplice, è perseguibile a querela di parte. Il Decreto Legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (“c.d. Riforma Cartabia”) ha esteso la procedibilità a querela del delitto di violazione di domicilio all'ipotesi, prima procedibile d'ufficio, in cui il fatto è aggravato per essere stato commesso con violenza sulle cose sul presupposto che la condotta presenta indubbiamente una minore offensività e disvalore rispetto a quelle realizzate con violenza alla persona o con armi. Mancando una condotta violenta diretta verso la persona, anche attraverso l'intimidazione connessa all'uso di armi, è stato ritenuto ragionevole rimettere la procedibilità all'iniziativa della persona offesa. Si procede però d'ufficio se il fatto è commesso, con violenza sulle cose, contro una persona incapace per età o per infermità. Nella parte in cui comporta la procedibilità a querela di parte per fattispecie di reato in precedenza procedibili di ufficio, secondo quanto stabilito dalle disposizioni transitorie ad hoc di cui all'art. 85, comma 1, d.lgs. n. 150 del 2022, e di quelle introdotte dalla l. n.199 del 2022 (sostituendo nel corpo del predetto art. 85 il comma 2, ed introducendovi, inoltre, i nuovi commi 2-bis e 2-ter), le predette modifiche, immediatamente operanti per i reati commessi a partire dal 30/12/2022, data di vigenza della novella, opereranno, per i reati commessi fino al 29/12/2022, divenuti procedibili a querela di parte in forza delle nuove disposizioni, nei termini di seguito indicati: A) nei casi in cui non pende il procedimento penale: – se il soggetto legittimato a proporre querela ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine per proporre querela (di mesi tre, ex art. 124 c.p., non toccato dall'intervento novellatore) decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade, pertanto, il 30/03/2023; – in forza della predetta disposizione, letta a contrario, se il soggetto legittimato a proporre querela non ha avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il medesimo termine per proporre querela decorre, secondo la disciplina ordinaria, in parte qua non modificata, dal momento in cui ne abbia avuto conoscenza; B) nei casi in cui pende il procedimento penale: – avendo il soggetto legittimato a proporre querela necessariamente avuto in precedenza notizia “del fatto costituente reato”, il termine trimestrale per proporre querela decorre dal 30/12/2022, data di entrata in vigore della novella, e scade il 30/03/2023: diversamente rispetto a quanto previsto dall'originario comma 2 della disposizione, nessun onere di informare la p.o. di tale facoltà incombe sul giudice procedente, presumendosi, pertanto, che la p.o. debba avere conoscenza della novella. Ferma restando la predetta disciplina, si è anche stabilito che le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, e quindi entro il 19/01/2022, l'autorità giudiziaria che procede (da individuare nel giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, ove penda ricorso per cassazione) non acquisisce la querela: a tal fine, l'a.g. procedente effettua ogni utile ricerca della p.o., anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del predetto termine di venti giorni, i termini di cui all'art. 303 c.p.p. sono sospesi. Durante la pendenza del termine per proporre querela, si applica quanto disposto dall'art. 346 c.p.p. in tema di atti compiuti in mancanza di condizioni di procedibilità. Legittimata a proporre querela è ogni persona offesa dal reato, ossia il titolare o i titolari dello ius excludendi (Siniscalco, 877); ove questo spetti a più soggetti, dovrà distinguersi a seconda che si tratti di comunità gerarchicamente organizzata, nel qual caso la titolarità spetterà a chi sia investito del potere di direzione, mentre, nell'ipotesi di coabitazione o comunità familiare questa spetterà indistintamente a tutti i componenti del nucleo, con prevalenza sempre del potere di esclusione rispetto a quello di ammissione. La giurisprudenza, in tema di violazione di domicilio aggravato da violenza sulle cose, divenuto procedibile a querela a seguito delle modifiche di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ha ritenuto che l'intervenuto decesso della persona offesa, non in conseguenza del reato commesso in suo danno, esclude l'applicabilità della disciplina transitoria di cui all'art. 85 del citato d.lgs., come modificato dall'art. 5-bis d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, nonché la decorrenza del termine per l'esercizio postumo del diritto di querela, da intendersi estintosi con la morte del suo titolare, nel caso in cui la persona offesa non abbia manifestato, in alcun modo, la volontà che si procedesse nei confronti dell'imputato (Cass. V, n. 8120/2023). Si è da ultimo ritenuto che il curatore fallimentare è legittimato a proporre querela per il reato di violazione di domicilio, commesso in danno di un bene di proprietà del fallito, solo ove al suo interno vi abbia svolto, non in modo occasionale, atti della vita privata connessi alla sua attività professionale (Cass. V, n. 14352/2024). BibliografiaAmorth, La Costituzione italiana, Milano, 1948; Cavallo, La violazione di domicilio, Napoli, 1938; Florian, Dei delitti contro la libertà individuale. Trattato, Milano, 1936; Musacchio, Violazione di domicilio, in Digesto pen., XV, Torino, 1999;Pazienza, Domicilio (delitti contro la inviolabilità del domicilio), in Enc. giur., XII, Roma, 1989; Siniscalco, Domicilio (violazione di), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964. |