Codice Penale art. 651 - Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale.

Roberto Carrelli Palombi di Montrone

Rifiuto d'indicazioni sulla propria identità personale.

[I]. Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale [357] nell'esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda fino a 206 euro [366 2, 495, 496; 66, 349 1, 4 c.p.p.; 21 att. c.p.p.] (1).

(1) V. art. 11 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, conv., con modif., nella l. 18 maggio 1978, n. 191.

Inquadramento

La contravvenzione prevista dall'art. 651 mira a tutelare l'ordine pubblico inteso in senso ampio, come interesse generale ad evitare ogni intralcio, anche di carattere temporaneo, all'attività dei pubblici ufficiali preposti istituzionalmente all'assolvimento di compiti di prevenzione, accertamento o repressione dei reati ovvero finalizzati ad assicurare la pace e la tranquillità pubblica.

Elemento materiale

L'elemento materiale del reato consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità, a nulla rilevando la mancata esibizione del documento d'identità, che, ove ne ricorrano i presupposti, potrà integrare la violazione dell'art. 4, comma 2, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.l.p.s.); pertanto l'indicazione orale delle proprie generalità sarà sufficiente ad escludere il reato (Cass. I, n. 10676/2005).

In primo luogo la richiesta deve provenire da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni e non anche da un incaricato di un pubblico servizio.

Con riferimento agli ufficiali ed agli agenti della Polizia di Stato la giurisprudenza ha precisato che gli stessi sono considerati in servizio permanente nel senso che non cessano dalla loro funzione di pubblici ufficiali anche se liberi dal servizio, essendo anche in tali circostanze tenuti ad esercitare le proprie funzioni, ove se ne verifichino i presupposti (Cass. VI, n. 52005/2015). A ciò consegue che il rifiuto opposto ad un assistente di polizia, che sia pure libero dal servizio è sempre tenuto ad accertare i reati e le infrazioni amministrative, di fornire le proprie generalità integra il reato previsto dall'art. 651 (Cass. I, n. 11709/2005). La giurisprudenza aveva però precisato che la nozione di servizio permanente è diversa da quella di esercizio delle funzioni, nel senso che essa implica che il pubblico ufficiale può in ogni momento intervenire per esercitare le sue funzioni, ma ciò non comporta che egli le stia concretamente esercitando in ogni momento (Cass. II, n. 38735/2004).   Ed in questa direzione si è affermato che il presupposto dell'"esercizio delle funzioni", nel cui contesto deve essere formulata la richiesta di dare le indicazioni, non può ritenersi sussistente solo perché il pubblico ufficiale, in quanto appartenente alla Polizia di Stato, è da considerare in "servizio permanente", trattandosi di due nozioni diverse (Cass. I, n. 14811/2015). Nel caso concreto la Cassazione ha escluso che il reato di cui all'art. 651 fosse stato integrato da una tardiva risposta a richiesta di generalità formulata da un assistente di Polizia di Stato il quale, giunto sul posto in abiti civili e con vettura privata, nel domandare le precisate indicazioni, pur qualificandosi, non aveva proceduto ad alcuna formale contestazione di specifiche infrazioni.

La Cassazione ha chiarito che integra il reato di cui all'art. 651 c.p. il rifiuto delle proprie generalità quando queste siano richieste da una guardia venatoria nell'esercizio dei compiti di vigilanza che le sono propri; difatti le guardie venatorie, pur non essendo agenti di polizia giudiziaria, nell'esercizio delle loro funzioni ricoprono la veste di pubblici ufficiali poiché esercitano poteri autoritativi e certificativi nell'ambito dell'attività di protezione della fauna selvatica che, in quanto patrimonio indisponibile dello Stato, attiene ad un interesse pubblico della comunità nazionale (Cass. II, n. 19677/2022).

Quanto al contenuto della richiesta, si è ritenuto che nel concetto di generalità siano comprese tutte quelle notizie atte ad identificare compiutamente una persona, potendo quindi il reato essere integrato anche quando l'agente, alla richiesta del pubblico ufficiale, si limiti ad indicare solo il proprio nome e cognome.

Quanto alle qualità personali, la cui mancata indicazione pure può configurare il reato di cui all'art. 651, la giurisprudenza ha chiarito che in tale nozione devono considerarsi comprese soltanto quelle qualità che servono a completare lo stato e l'identità della persona, cioè quegli attributi e quelle particolarità individuali che servono a contrassegnare il soggetto; in applicazione di tali principi si è affermato che lo stato di tossicodipendenza non costituisce, ai fini dell'integrazione del reato in esame, una qualità personale, in quanto non incide sull'identità in senso lato del soggetto e non attribuisce allo stesso una qualità personale rilevante ai sensi dell'art. 651 (Cass. I, n. 9062/1986).

La richiesta del pubblico ufficiale deve essere illegittima, in quanto la sua illegittimità esclude la configurabilità del reato, avendo a tale fine la giurisprudenza chiarito che non occorre anche l'arbitrarietà dell'operato del richiedente, tale da configurare la scriminante prevista dall'art. 4 d.lgts. 14 settembre 1944, n. 288, in quanto la semplice illegittimità della richiesta fa venir meno uno degli elementi costitutivi del reato (Cass. I, n. 9741/1977).

A quanto ora detto consegue che il giudice penale potrà sindacare la legittimità della richiesta del pubblico ufficiale, sotto l'aspetto della qualifica soggettiva e della competenza del richiedente, non potendo, invece detto sindacato spingersi fino a valutare la discrezionalità dell'iniziativa del pubblico ufficiale (Cass. I, n. 7250/1993).

Elemento psicologico

Secondo parte della dottrina il reato di cui all'art. 651 avrebbe natura esclusivamente dolosa (Vannini, 427).

La giurisprudenza ha, invece, ritenuto che per la configurabilità del reato sia sufficiente anche la colpa, nel senso che basta che il soggetto che rifiuta di obbedire all'ordine si rappresenti la possibilità che il richiedente rivesta la qualifica di pubblico ufficiale (Cass. I, n. 9741/1977).

Consumazione

Per la consumazione del reato è sufficiente il semplice rifiuto di indicare la propria identità personale, essendo irrilevante le successivamente il soggetto fornisca le proprie generalità o che comunque lo stesso venga identificato facilmente da parte del pubblico ufficiale per conoscenza personale o per qualsiasi altra ragione (Cass. I, n. 9957/2014; nello stesso senso Cass. VI, n. 598/2023).

Rapporti con altri reati

Il reato di cui all'art. 651 può concorrere con quello previsto dall'art. 4, comma 2, r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.l.p.s.) e art. 294 r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento di esecuzione del t.u.l.p.s.), trattandosi di due reati aventi un diverso elemento materiale ed una diversa obiettività giuridica: il primo si materializza con il semplice rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità, mentre il secondo reato è posto in essere dalla mancata esibizione di un documento di riconoscimento (Cass. I, n. 34/1995).

Il reato di cui all'art. 651 può concorrere con quello di resistenza a pubblico ufficiale di cui all'art. 337, non potendo considerarsi assorbito in quest'ultimo; in una fattispecie concreta relativa a più persone che avevano minacciato un pubblico ufficiale per evitare di essere identificate dallo stesso, la giurisprudenza ha rilevato trattarsi di due condotte completamente diverse, se raffrontate in astratto e susseguenti materialmente l'una all'altra, se considerate in concreto (Cass. VI, n. 39227/2013).

Casistica

Rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento

Il rifiuto di consegnare il documento di riconoscimento integra il reato di cui agli artt. 4 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.l.p.s.) e art. 294 r.d. 6 maggio 1940, n. 635 (regolamento di esecuzione del t.u.l.p.s), non già il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale, sanzionato dall'art. 651 (Cass. I, n. 2021/2019).

Profili processuali

Il reato di rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, come tutte le contravvenzioni, è procedibile d'ufficio.

È ammessa l'oblazione ai sensi dell'art. 162-bis.

L'art. 11 d.l. 21 marzo 1978, n. 59, conv, con modif., in l. 18 maggio 1978, n. 191 recante norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati, prevede che gli ufficiali e gli agenti di polizia possano accompagnare nei propri uffici chiunque rifiuti di declinare le proprie generalità, e ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell'identificazione e comunque non oltre le ventiquattro ore.

Bibliografia

Vannini, Manuale di diritto penale, parte speciale, Milano, 1951.

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