Codice Civile art. 117 - Matrimonio contratto con violazione degli articoli 84 , 86 , 87 e 88 (1).

Giuseppe Buffone
aggiornato da Annachiara Massafra

Matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 86, 87 e 88 (1).

[I]. Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 86 [556 c.p.], 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero [69, 70 c.p.c.] e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale [127].

[II]. Il matrimonio contratto con violazione dell'articolo 84 può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero [69, 70 c.p.c.]. La relativa azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età [2964]. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.

[III]. Il matrimonio contratto dal coniuge dell'assente non può essere impugnato finché dura l'assenza [49, 51, 65, 68].

[IV]. Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l'autorizzazione ai sensi del quarto comma dell'articolo 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione.

[V]. La disposizione del primo comma del presente articolo si applica anche nel caso di nullità del matrimonio previsto dall'articolo 68.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 12 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Gli artt. 117129-bis integrano il regime di invalidità matrimoniale che è introdotto dalla rubrica della sezione V, del capo III del libro I, denominata “della nullità del matrimonio”.

Come ha, però, chiarito la gran parte della dottrina, il riferimento alla «nullità» è atecnico «per effetto dell'attrazione esercitata dalla disciplina canonistica, la quale conosce ipotesi di nullità, ignorando l'annullabilità». Occorre poi considerare l'uso promiscuo della terminologia adottata dal legislatore (Sesta, 382). È, quindi, corretto aderire alla tesi per cui, caso per caso, occorre qualificare il tipo di azione esercitata, in ragione delle regole generali sottese alla validità dei negozi: nel caso di cui all'art. 120, ad esempio, l'opinione prevalente è nel senso che si tratti di una ipotesi di annullabilità. In punto di teoria generale, la dottrina suole distinguere: il matrimonio inesistente, in cui difettano i presupposti minimi per riconoscere il matrimonio come atto (si pensi al caso dell'unione celebrata dagli sposi senza l'ufficiale di stato civile); il matrimonio nullo, in cui si registra la violazione di una norma imperativa (si pensi al matrimonio celebrato senza stato libero); il matrimonio annullabile, in cui la violazione riguarda vizi sanabili (si pensi al vizio di volontà); il matrimonio irregolare, in cui la violazione della norma non afferisce al piano della validità (si pensi al matrimonio celebrato in violazione del divieto temporaneo di nuove nozze).

Matrimonio invalido

Il matrimonio è colpito da invalidità nel caso in cui sia stato contratto in violazione delle regole cogenti in materia di età (art. 84), di libertà di stato (art. 86), di vincoli di parentela, affinità, adozione (art. 87), di delitto (art. 88). Nelle fattispecie prese in considerazione dagli artt. 86,87 e 88 (bigamia, incesto, delitto), il matrimonio si pone in aperto contrasto con l'ordine pubblico e vengono ad essere compromessi valori fondamentali del vivere sociale.

Per questi motivi, il matrimonio è affetto da nullità insanabile (Cass. n. 720/1986) e la legittimazione a impugnare è estesa anche a tutti quelli che abbiano un interesse legittimo e attuale per impugnarlo, ivi inclusi gli eredi di colui che abbia impugnato e sia deceduto in pendenza di giudizio (Cass. n. 33409/2021): l'impugnazione compete anche al Pubblico Ministero. Questo regime si applica anche al caso del matrimonio nullo ex art. 68 (v. art. 117 ultimo comma) ossia quando il matrimonio contratto dal coniuge della persona colpita da dichiarazione di morte presunta sia inficiato dal ritorno di quest'ultima e quindi dal venire meno dello stato di morte presunta citato. Quanto alla violazione dell'art. 87, la nullità non si estende al matrimonio celebrato tra affini in linea retta, zii e nipoti, affini in linea collaterale, dove si sarebbe potuta accordare l'autorizzazione: in questo caso, infatti, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione ed è meglio discorrere, dunque, di annullabilità. Il matrimonio contratto dal minore in violazione delle regole di cui all'art. 84 è, invece, annullabile. Legittimati attivi sono solo i coniugi, ciascuno dei genitori dei nubendi e il pubblico ministero. L'azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale. Questa disposizione potrebbe oggi essere sospettata di incostituzionalità là dove, in quest'ultima ipotesi, non consente comunque la vitalità dell'azione da altri intrapresa, dove si tratti di minore infrasedicenne (si pensi al grave caso delle cd. spose bambine): lo sbarramento all'azione di impugnazione, infatti, impedisce di valutare il prevalente interesse del minore che potrebbe essere vittima del matrimonio e non anche soggetto. Il matrimonio del coniuge dell'assente produce regolarmente i suoi effetti ma l'efficacia è cedevole: ove terminasse lo stato di assenza, il secondo matrimonio diventerebbe suscettibile di caducazione per violazione dell'art. 86. Si è detto che, in alcuni casi, anche i terzi sono legittimati a impugnare: ciò, però, a condizione che, alla stregua dei principi generali che circoscrivono e limitano le cause di invalidità del matrimonio e le azioni per farle valere, vi siano posizioni soggettive che siano attinenti al complessivo assetto dei rapporti familiari sui quali il matrimonio viene ad incidere, e che inoltre traggano un pregiudizio diretto ed immediato dal matrimonio stesso (Cass. n. 10734/2010).

Il codice penale sanzione la condotta di chi induca altri al matrimonio mediante inganno: ai sensi dell'art. 558 c.p., chiunque, nel contrarre matrimonio avente effetti civili, con mezzi fraudolenti occulta all'altro coniuge l'esistenza di un impedimento che non sia quello derivante da un precedente matrimonio  (artt. 84-89 c.p.) è punito, se il matrimonio è annullato a causa dell'impedimento occultato (artt. 117, 119, 120, 122, 123 c.p.), con la reclusione fino a un anno ovvero con la multa da duecentosei euro a milletrentadue euro.

Procedimento

Il procedimento è di competenza del Tribunale ordinario ex art. 9 c.p.c., adito per territorio secondo le regole di cui all'art. 18 c.p.c. Il tribunale decide in composizione collegiale e con la partecipazione del Pubblico Ministero. L'azione di invalidità potrebbe essere promossa mentre già pende l'azione di separazione. La giurisprudenza, al riguardo, ha chiarito che la promozione del giudizio di nullità del matrimonio non incide sulla proponibilità o procedibilità della domanda di separazione personale dei coniugi, ne determina l'obbligo di sospendere il relativo procedimento, ma spiega effetto su quest'ultimo solo quando, in pendenza dello stesso, anche in grado d'appello, sopravvenga una pronuncia definitiva che dichiari detta nullità.

In tale situazione, per quanto riguarda i rapporti fra i coniugi, i quali non abbiano chiesto l'adempimento di alcuno degli obblighi che discendono dal matrimonio, si determina la cessazione della materia del contendere, tenuto conto, pure in ipotesi di conversione del rapporto nullo in matrimonio cosiddetto putativo, del difetto di un interesse giuridicamente apprezzabile a chiedere un accertamento della responsabilità della separazione (Cass. n. 259/1981). Per quanto riguarda, invece, i rapporti con la prole, il giudice della separazione conserva il potere-dovere di provvedere sugli effetti che derivino da detto matrimonio putativo (Cass. n. 1762/1975).

Il matrimonio forzato delle bambine

Il comma 2 dell'art. 117 introduce una disciplina speciale per il matrimonio contratto dalla persona di minore età, in violazione dell'art. 84. Il regime vigente attribuisce legittimazione a impugnare a entrambi i coniugi, a ciascuno dei genitori e al pubblico ministero. L'azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. Ciò prevedendo, la disciplina introduce, poi, però una ipotesi di “sanatoria” prevedendo che la domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, «deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale». Questa disposizione dovrebbe oggi essere riletta nel contesto del rinnovato interesse pubblico alla protezione dei bambini, soprattutto alla luce delle nuove norme internazionali permeate nell'ordinamento. Una simile disciplina, infatti, apre il varco a possibili gravissime violazioni della dignità umana, soprattutto per le persone di sesso femminile. La minore di età che sia stata costretta per abuso a contrarre matrimonio e sempre per abuso obbligata alla maternità, per effetto di questa regola giuridica, si vedrà inibita la tutela giudiziale magari portata avanti dal P.M., unico soggetto che in questi casi può dar voce a soggetti completamente vessati e soffocati nella possibilità di qualunque azione. Questa disposizione, insomma, rischia di apporre un sigillo di legalità (con la sanatoria) a una vicenda di tratta e mercificazione della persona. Dovrebbe dunque oggi ritenersi incostituzionale la norma nella misura in cui essa impone un dovere piuttosto che un potere del giudice di valutare discrezionalmente se quegli eventi sopravvenuti giustifichino la permanenza in vita di un vincolo matrimoniale; dovendosi altrimenti procedere con la caducazione a testimonianza della spiccata propensione dell'ordinamento a difendere la dignità della persona (e in particolare della donna) ad ogni costo.

Il matrimonio per induzione o costrizione (art. 558-bis c.p.)

Sul tema dei matrimoni a cui una persona è sottoposta con induzione o costrizione, si registra un intervento in tempi recenti del Legislatore, con la l. n. 69/2019 (cd. Codice rosso) che ha introdotto nel codice penale una fattispecie incriminatrice ad hoc: l'art. 558-bis c.p. In virtù di questo nuovo delitto, “chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni”. La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell'autorità derivante dall'affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. La pena è da due a sette anni di reclusione se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici. Le nuove norme sopra menzionate si applicano anche quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

Con questa norma, il Legislatore ha recepito l'auspicio della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul), che all'art. 37  incoraggia gli  Stati Membri a penalizzare il matrimonio forzato.

 Il nuovo regime di matrice penalistica non  ha però introdotto alcuna norma di coordinamento con il codice civile e il regime delle invalidità: occorre allora comprendere quali ne siano gli effetti sul versante  civilistico. Una prima opzione profila l'applicazione dell'art. 122 c.c.: il matrimonio sarebbe  allora annullabile per la violenza/costrizione subita. Questa linea interpretativa però non è appagante perché non offre adeguata tutela alla vittima del mercimonio; e  nemmeno realizza l'anima tutelante presa di mira dalla cennata Convenzione di Istanbul. Rischia poi di condurre a un paradosso: che il marito condannato per matrimonio forzato resta sposato con la donna, vittima del suo reato. E' dunque preferibile postulare, in questo caso, una ipotesi  cd. “reato-contratto” (recitus: negozio giuridico): il matrimonio è esso stesso l'oggetto del reato e, dunque, l'accertamento della fattispecie incriminatrice determina la nullità del vincolo, per violazione di norma imperativa, da far valere con azione di accertamento, da chiunque vi abbia interesse (v., sull'argomento, Cass. n. 7785/2016) o comunque rilevabile incidentalmente, là dove ve ne sia occasione.

Si concorda, dunque, con chi in  dottrina, acutamente, è pervenuto alla conclusione che l'art. 558-bis c.p. implichi necessariamente l'introduzione di una nuova causa di invalidità del matrimonio, insanabile e suscettibile di esser fatta valere da chiunque vi abbia interesse: “il matrimonio la cui celebrazione sia stata preceduta e provocata da condotte integranti gli estremi del reato di cui all'art. 558-bis c.p. deve considerarsi nullo per contrarietà a norme imperative ex art. 1418, comma 1, c.c” [De CristofaroLa disciplina privatistica delle invalidità matrimoniali e il delitto di “costrizione o induzione al matrimonio” previsto dall'art. 558-bis del codice penale (introdotto dall'art. 7 della l. 19 luglio 2019, n. 69) in Le Nuove  leggi civili commentate, 2019].

Bibliografia

Bruno, Le controversie familiari nell'Unione Europea. Regole, fattispecie, risposte, Milano, 2018;Cian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta ( a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015.

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