Codice Civile art. 177 - Oggetto della comunione (1).Oggetto della comunione (1). [I]. Costituiscono oggetto della comunione: a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali [179]; b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione [191]; c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio [181, 191 2]. [II]. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. (1) Articolo così sostituito dall'art. 56 l. 19 maggio 1975, n. 151. L'art. 55 della stessa legge, ha modificato l'intitolazione di questa Sezione e soppresso la suddivisione in paragrafi. InquadramentoLa comunione legale è il regime patrimoniale che conferisce ai coniugi uguali poteri di cogestione e uguali diritti sugli acquisti (Bianca C.M., 739). La comunione legale è il regime giuridico che sorge automaticamente con il vincolo del matrimonio, salvo i coniugi non dichiarino di aderire al diverso regime patrimoniale della separazione dei beni o stipulino convenzioni matrimoniali di deroga. Sotto quest'aspetto, la comunione è un regime patrimoniale della famiglia, messo in funzione dagli artt. 177 ss. Discussa, in dottrina, è la natura di questo istituto e diverse sono le tesi in campo: da taluni è intesa come patrimonio destinato a uno scopo, da altri come “mero vincolo”; alcuni le assegnano finanche la qualifica di soggetto e per altri si tratterebbe di una contitolarità di diritti. La tesi che riconosce nell'istituto una espressione della contitolarità dei diritti è, comunque, quella che consta maggiore seguito. La comunione legale, dal punto di vista giuridico, è una comunione senza quote; questo aspetto non è meramente dogmatico: ad esempio, in punto di esecuzione, comporta che l'espropriazione, per crediti personali di uno solo di essi, di uno o più beni in comunione abbia ad oggetto la "res" nella sua interezza e non per la metà o per una quota; ne consegue che, in ipotesi di divisione, è esclusa l'applicabilità sia della disciplina sull'espropriazione dei beni indivisi (artt. 599 ss. c.p.c.) sia di quella contro il terzo non debitore (Cass. n. 2047/2019). Nell'ipotesi di comunione legale dei coniugi ex art. 177, non può, comunque, ravvisarsi alcun potere di rappresentanza reciproca in capo ai coniugi stessi, non prevedendo nessuna norma tale potere ed anzi, mentre, ai sensi dell'art. 177, comma 1, lett. a), gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio costituiscono ipso iure oggetto della comunione, l'art. 180, comma 2, stabilisce che il compimento degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione nonché la stipula dei contratti con cui si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ai coniugi (Cass. n. 15754/2014). Oggetto della comunioneLa comunione legale dei beni tra i coniugi, a differenza di quella ordinaria, è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei (Cass. n. 14093/2010). L'art. 177 individua i beni che formano oggetto della comunione legale: a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali (deve trattarsi, dunque, di acquisti a titolo derivativo e non cadono in comunione quelli a titolo originario); b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati; d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio. Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. Questo tessuto normativo, come si può ben immaginare, non ha certo favorito la soluzione delle plurime questioni interpretative postesi nel tempo. La Suprema Corte ha, così, man mano lumeggiato, in singole e specifiche occasioni, l'applicabilità o meno dell'art. 177 e, conseguentemente, la sussistenza del regime della comunione legale. In quest'opera interpretativa la giurisprudenza ha chiarito che il credito ex art. 936 o ex art. 1150 non può considerarsi un acquisto ricompreso nella comunione familiare perché la comunione degli acquisti provenienti da attività separata non comprende tutti indistintamente i diritti di credito, in quanto l'atto deve avere ad oggetto l'acquisizione di un «bene» ai sensi degli artt. 810, 812 e 813 e restano esclusi i meri diritti di credito che non abbiano una componente patrimoniale suscettibile di acquisire un valore di scambio (Cass. n. 3808/2014); per ritenere che il credito sia caduto in comunione è necessaria la prova che la costruzione sia stata effettivamente eseguita con apporti di entrambi (cfr. Cass. n. 799/2009) ma la prova deve essere fornita da colui che assuma il bene sia in comunione legale; le somme provenienti dall'attività lavorativa separata di uno dei due coniugi non sono comuni e quindi possono essere oggetto di comunione soltanto se non consumate al momento dello scioglimento della comunione, ai sensi dell'art. 177, lett. c. La giurisprudenza ha anche affrontato la questione relativa ai diritti di credito: secondo la Suprema Corte, anche i crediti — così come diritti a struttura complessa come i diritti azionari — in quanto «beni» ai sensi degli artt. 810, 812 e 813, sono suscettibili di entrare nella comunione, o per effetto di donazione o successione (art. 179, comma 1, lett. b) ove specificamente stabilito nell'atto di liberalità ovvero nel testamento, oppure attraverso lo speciale meccanismo di acquisizione previsto dall'art. 177, comma 1, lett. a (Cass. n. 21098/2007). Con la sentenza (Cass. n. 14653/2012), la Cassazione ha anche acclarato che i fondi agricoli riscattati ai sensi della l. n. 379/1967 rientrano nella comunione legale dei beni per effetto dell'art. 177, dovendosi ritenere tale norma, per la sua generale portata, prevalente su tutte le particolari disposizioni ad essa anteriori che, nell'attribuire al solo acquirente la proprietà del bene, contengono previsioni «quoad effectum» diverse. Il riconoscimento della comproprietà dell'immobile in capo al coniuge riscattante, ai sensi dell'art. 177, non si pone, peraltro, in contrasto con le disposizioni di legge in materia di riscatto di fondi agricoli, che prevedono l'infrazionabilità o l'indivisibilità del potere, in quanto la stessa l. n. 1078/1940, prevedendo la possibilità che «il fondo sia assegnato in comunione a tutti gli eredi ed a quelli fra essi che intendono vivere in comunione »(art. 5, comma 3), non esclude che il medesimo fondo, pur rimanendo indivisibile, possa, ricorrendone le condizioni, essere assegnato a più soggetti in comunione. Per la Cassazione, anche la somma corrisposta a titolo di indennità di accompagnamento rientra nella comunione legale tra coniugi, non essendo equiparabile alla pensione attinente alla perdita totale o parziale della capacità lavorativa, prevista dalla lett. e) dell'art 179 (Cass. n. 8758 /2005). Ove il mutuo venga stipulato congiutamente da due coniugi in comunione legale dei beni, il diritto alla restituzione compete non già a questi ultimi, ma alla comunione, sicché il pagamento integrale della somma mutuata, da parte del debitore, nei confronti di uno solo dei coniugi ha effetto estintivo per l'intero, per la prevalenza delle regole della comunione legale sul principio della parziarietà delle obbligazioni solidali dal lato attivo (Cass. n. 23819/2022). Nell'affermare il principio di cui innanzi, la S.C. ha ritenuto che nella specie si trattasse di un acquisto ex art. 177, comma 1, lett. a), c.c., non avendo i coniugi dedotto che il denaro concesso a mutuo fosse personale, né essendo stato specificato, da parte del coniuge al quale l'intera somma era stata restituita, che trattavasi di incasso a titolo personale. Comunione legale e società di personeLo status di socio non attribuisce al partecipante ad una società di persone una posizione giuridica soggettiva qualificabile in termini di diritto di credito avente ad oggetto la restituzione del conferimento o di una quota proporzionale del patrimonio sociale, giacché, anteriormente al verificarsi di una causa di scioglimento della società o del vincolo sociale, è ipotizzabile in favore del socio soltanto una aspettativa economica, legata all'eventualità che, al momento dello scioglimento, il patrimonio della società abbia una consistenza attiva tale da giustificare l'attribuzione pro quota ai partecipanti alla società di valori proporzionali alla loro partecipazione (Cass. n. 2569/2009). La quota sociale va invece ricondotta nella nozione di beni mobili fornita dell'art. 810 ed art. 812, u.c., perché, essendo trasferibile a terzi inter vivos e mortis causa (Cass. n. 8784/1997) ed assoggettabile anche ad espropriazione forzata (Cass. n. 1835/1962), pur se per l'opponibilità del trasferimento alla compagine sociale occorre il consenso degli altri soci, costituisce una cosa immateriale che può formare oggetto di diritti. L'iniziale partecipazione di uno dei coniugi ad una società di persone ed i suoi successivi aumenti, ferma la distinzione tra la loro titolarità e la legittimazione all'esercizio dei diritti nei confronti della società che essi attribuiscono al socio, rientrano conseguentemente tra gli acquisti che, a norma dall'art. 177, lett. a), costituiscono oggetto della comunione legale tra i coniugi, anche se effettuati durante il matrimonio ad opera di uno solo di essi, e non beni personali, ove non ricorra una delle ipotesi previste dall'art. 179. Comunione legale e redditi individuali dei coniugiSecondo l'orientamento prevalente (Cass. n. 13441/2003), i redditi individuali dei coniugi, tanto che si tratti di redditi di capitali (art. 177, lett. «b»), quanto che si tratti di proventi della loro attività separata (art. 177, lett «c»), non cadono automaticamente in comunione, ma rimangono di pertinenza del rispettivo titolare, salvo a diventare comuni, nella misura in cui non siano stati già consumati, al verificarsi di una causa di scioglimento della comunione. La contraria opinione accolta dalla Cass. n. 9355/1997, là dove è stato affermato (sia pure per giungere, argomentando dal combinato disposto delle lett. «a» e «c» dell'art. 177, al riconoscimento della comunanza dei «beni acquistati» con i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi) che tali proventi «entrano di pieno diritto a far parte della comunione immediata», essendo destinati indistintamente al «consumo» della famiglia, non ha ricevuto l'adesione della dottrina, la quale, al contrario, è venuta ribadendo che, nel silenzio della normativa la quale non pone obblighi di destinazione sui beni oggetto della comunione de residuo né limiti o controlli alla facoltà di «consumazione», l'esercizio di quest'ultima, ovvero l'impiego nei più vari modi, ma senza che l'operazione comporti nuovi, durevoli acquisti, sottrae «lecitamente» cespiti a quella che, al momento dello scioglimento della comunione, diverrà esattamente la comunione de residuo anzidetta, tanto da costituire un fatto «impeditivo» suscettibile di essere opposto al coniuge il quale dimostri il godimento di determinate entrate da parte dell'altro (potendosi altrimenti presumere che quelle sostanze siano state semplicemente occultate), laddove, in mancanza di una espressa previsione legislativa che imponga al singolo coniuge di amministrare i redditi individuali, in modo da non pregiudicare le aspettative dell'altro, quest'ultimo potrà, a tale scopo, sia chiedere l'anticipata separazione dei beni (art. 193, il quale, in caso di cattiva gestione di uno dei coniugi nei propri affari o di mala amministrazione dei beni, riconosce l'«interesse» dell'altro coniuge, esprimendo un concetto che può comprendere l'aspettativa inerente la comunione residuale), sia avvalersi di strumenti di tutela di carattere generale spettanti ad ogni creditore, del genere delle azioni revocatoria e surrogatoria nonché del risarcimento dei danni, sia, infine, in via di estremo subordine, invocare il principio di buona fede ed il divieto dell'abuso del diritto, fermo l'obbligo, per il coniuge «dissipatore», di rendere il conto delle sue entrate e di come sono state spese. Nel caso di impresa riconducibile ad uno solo dei coniugi costituita dopo il matrimonio, e ricadente nella cd. comunione de residuo, al momento dello scioglimento della comunione legale, all'altro coniuge spetta un diritto di credito pari al 50% del valore dell'azienda, quale complesso organizzato, determinato al momento della cessazione del regime patrimoniale legale, ed al netto delle eventuali passività esistenti alla medesima data (Cass. S.U. n. 15889/2022). Comunione legale e accessioneIl principio generale dell'accessione posto dall'art. 934, in base al quale il proprietario del suolo acquista «ipso iure» al momento dell'incorporazione la proprietà della costruzione su di esso edificata e la cui operatività può essere derogata soltanto da una specifica pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della comunione legale tra coniugi, in quanto l'acquisto della proprietà per accessione avviene a titolo originario senza la necessità di un'apposita manifestazione di volontà, mentre gli acquisti ai quali è applicabile l'art. 177, comma 1, hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da entrambi i coniugi sul terreno di proprietà personale esclusiva di uno di essi è a sua volta proprietà personale ed esclusiva di quest'ultimo in virtù dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario che abbia contribuito all'onere della costruzione, spetta ai sensi dell'art. 2033. il diritto di ripetere nei confronti dell'altro coniuge le somme spese (già così: Cass. n. 8585/1999; in tempi recenti: Cass. n. 28258/ 2019). Unione civileL'art. 1 comma 20, l. n. 76/2016 richiama questa norma come applicabile all'unione civile. Sono pure applicabili gli articoli successivi, essendo richiamata l'intera sezione III ove collocato l'art. 177. BibliografiaCian, Trabucchi (a cura di), Commentario breve al codice civile, Padova, 2011; Sesta (a cura di), Codice della famiglia, Milano, 2015. |