Codice Civile art. 296 - Consenso per l'adozione.

Giusi Ianni

Consenso per l'adozione.

[I]. Per l'adozione si richiede il consenso dell'adottante e dell'adottando [298, 311 ss.] 1.

 

[1] L'art. 67 l. 4 maggio 1983, n. 184 ha abrogato gli originari commi 2 e 3.

Inquadramento

L'adozione della persona maggiore di età postula la previa prestazione del consenso da parte dell'adottante e dell'adottando. Poiché, però, gli effetti dell'adozione decorrono non dall'incontro dei consensi degli interessati bensì dalla data della sentenza che la pronuncia (art. 298) ci si è interrogati in dottrina sulla natura, negoziale o non negoziale, dell'istituto. La tesi della natura negoziale fa leva sulla funzione, pressoché patrimoniale e successoria, dell'adozione della persona maggiorenne, pienamente capace di agire e, quindi, in grado di valutare il proprio interesse. Secondo, invece, la teoria pubblicistica o giudiziale, il consenso degli interessati sarebbe un mero presupposto dell'adozione che incontrerebbe, invece, il suo momento costitutivo nella sentenza del Tribunale.

Secondo la giurisprudenza di legittimità più datata in tema di adozione di persone di maggiore età, il consenso delle parti, pur inserendosi in un procedimento a sfondo pubblicistico, nel quale l'effetto giuridico finale scaturisce da una serie di atti collegati e destinati a concludersi con il provvedimento del giudice, ha carattere negoziale e quindi resta soggetto alla disciplina concernente i negozi privatistici (Cass. n. 4694/1992). Tale ultimo orientamento, tuttavia, deve considerarsi superato nell'attuale contesto normativo, in quanto finisce per attribuire rilevanza anche esterna al consenso e per affermare la natura contrattuale dell'adozione, la quale va invece esclusa, poiché il consenso perde ogni autonomia e rilevanza esterna, diventando un presupposto interno o una conditio juris della pronuncia di adozione, che è e resta atto giudiziale: se vi sono irregolarità, pertanto, queste vizieranno gli atti successivi e la pronuncia finale, alla quale soltanto si dovrà fare riferimento a fini impugnatori, come chiaramente ricavabile dall'art. 313 (Cass. n. 12556/2012).  Il consenso, in ogni caso, per come ricavabile dal successivo art. 298, può essere revocato, tanto da parte dell'adottante quanto da parte dell'adottando, fino a che non intervenga il provvedimento di adozione da parte dell'Autorità Giudiziaria (Cass. n. 3766/2024) .

Presupposti per il consenso

Per la prestazione del consenso è necessaria la capacità di agire tanto dell'adottante quanto dell'adottando, che deve perdurare fino al momento della pronuncia giudiziale dell'adozione.

Tale principio è stato affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'esistenza dei requisiti per l'adozione deve riferirsi al momento del provvedimento che la pronuncia, per cui se tali presupposti siano venuti meno al momento della pronuncia, l'adozione non può essere pronunziata e, se pronunziata, è affetta da nullità (Cass. n. 2355/1970). Si è, quindi, per lungo tempo ritenuto che non potessero adottare né essere adottati gli interdetti giudiziali, mentre gli inabilitati avrebbero potuto in teoria adottare previo assenso del curatore e autorizzazione del giudice tutelare, così come con l'assistenza del curatore potrebbero esprimere il consenso alla propria adozione. 

La tesi predetta è stata, tuttavia, oggetto di ripensamento con un recente arresto della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3462/2022), nell'ambito del quale si è affermato che la valenza ormai solidaristica della disciplina in tema di adozione di persone maggiorenni legittima un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 296 e 311, comma 1, c.c. nel senso di consentire anche al soggetto maggiorenne, che si trovi in stato di interdizione giudiziale, di manifestare il proprio consenso all'adozione, anche per il tramite del suo rappresentante legale, trattandosi di atto personalissimo che non gli è espressamente vietato e tenuto conto di quanto complessivamente sancito dagli artt. 1 e 12 della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall'Italia con legge n. 18/2009.

Quanto alla figura dell’interdetto legale già una parte della dottrina aveva fatto rilevare come l'art. 32 c.p. non fosse ostativo a tal fine, potendo l'interdetto legale compiere anche altri atti personalissimi, quali il matrimonio o il testamento (Procida Mirabelli Di Lauro, in Comm. S. B., 2012).

Il consenso postula, inoltre, la capacità di intendere e di volere al momento della sua prestazione, il cui difetto, tuttavia, secondo la Suprema Corte, può essere fatto valere solo dal soggetto interessato, non anche dagli eredi o aventi causa, non potendo trovare applicazione, sul punto, la generale disciplina di cui all'art. 428 che tutela interessi di natura prevalentemente patrimoniali. Legittimato, quindi, a proporre l'azione di impugnazione del consenso dell'adottante è soltanto lo stesso adottante, titolare della posizione soggettiva in contestazione, dovendo tale azione considerarsi esclusivamente personale e non trasmissibile, se non esercitata in vita dal detto titolare del rapporto adottivo (Cass. n. 4694/1992).

Vizi del consenso

Come detto, secondo la più datata la giurisprudenza di legittimità, il consenso dell'adottante e dell'adottando, previsto dall'art. 296 come necessario per far luogo all'adozione, pur non avendo natura contrattuale e non potendo essere considerato un atto unilaterale a contenuto patrimoniale, costituiva pur sempre un negozio di diritto familiare, soggetto a controllo di legittimità e di merito da parte dell'autorità giudiziaria, ma con una sua propria autonomia ed una sua funzione sul piano del diritto privato che conservava anche dopo il provvedimento che avesse pronunciato l'adozione (con la conseguenza che la relativa azione si configurava come annullamento del consenso e non come nullità del provvedimento che pronunciava l'adozione, possibile nelle forme e nei termini di cui all'art. 313). Si era, quindi, affermata la possibilità di impugnare il consenso viziato per errore, violenza morale o dolo entro un termine che, in mancanza di espressa previsione, veniva individuato in quello quinquennale fissato in generale dall'art. 428 (Cass. n. 4461/1983)

Secondo, invece, l'impostazione fatta propria dalla dottrina e dalla più recente giurisprudenza di legittimità i consensi, così come gli assensi, non sono altro che meri presupposti dell'adozione, che è un vero e proprio atto giudiziale, con la conseguenza che dopo la conclusione del procedimento consensi ed assensi non avranno più alcuna autonoma rilevanza, ma bisognerà eventualmente impugnare solo ed esclusivamente la sentenza di adozione, assumendo la sua nullità per mancanza o irregolarità di un presupposto. Legittimati a far valere i vizi del consenso saranno, quindi, solo le parti del rapporto adottivo, non potendo trovare applicazione, per come già osservato in ordine all'impugnazione per incapacità naturale, l'art. 428 c.c., che estende la possibilità di impugnazione anche agli eredi o aventi causa (Cass. n. 12556/2012). Si esclude, in ogni caso, la rilevanza della simulazione, in quanto istituto troppo strettamente legato alla disciplina contrattuale.

 

Bibliografia

Astiggiano-Dogliotti, Le adozioni, Milano, 2014, 249 e ss.; Baviera, L'adozione speciale, Milano, 1982, 56); Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2014, 401 e ss.; Cendon, sub art. 293 c.c., in Commentario al codice civile, Milano, 2010; Collura-Zatti, Trattato di diritto di famiglia, 2, Milano, 2012; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984, 332.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario