Codice Civile art. 692 - Sostituzione fedecommissaria (1).

Mauro Di Marzio

Sostituzione fedecommissaria (1).

[I]. Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto [414] possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente, o il coniuge con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima [549], a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo [2660 2 n. 6].

[II]. La stessa disposizione si applica nel caso del minore di età [2], se trovasi nelle condizioni di abituale infermità di mente tali da far presumere che nel termine indicato dall'articolo 416 interverrà la pronuncia di interdizione.

[III]. Nel caso di pluralità di persone o enti di cui al primo comma i beni sono attribuiti proporzionalmente al tempo durante il quale gli stessi hanno avuto cura dell'interdetto.

[IV]. La sostituzione è priva di effetto nel caso in cui l'interdizione sia negata [417] o il relativo procedimento non sia iniziato entro due anni dal raggiungimento della maggiore età del minore abitualmente infermo di mente. È anche priva di effetto nel caso di revoca dell'interdizione [429] o rispetto alle persone o agli enti che abbiano violato gli obblighi di assistenza.

[V]. In ogni altro caso la sostituzione è nulla.

(1) Articolo così sostituito dall'art. 197 l. 19 maggio 1975, n. 151.

Inquadramento

Sostituzione fedecommissaria è la disposizione testamentaria caratterizzata da una doppia istituzione, l'una in favore di un primo istituito, efficace fin dall'apertura della successione, l'altra in favore di un secondo istituito, efficace dal momento della morte del primo istituito. Il primo istituito, in caso di fedecommesso, non è libero di disporre del patrimonio relitto, ma deve conservarlo per restituirlo al secondo istituito.

Si usa comunemente ripetere, perciò, che gli elementi costitutivi della figura sono tre: a) la doppia istituzione; b) l'ordo successivus; c) l'obbligo di conservare per restituire (Cass. n. 9320/1998). Il connotato saliente della doppia istituzione sta in ciò, che il testamento contiene due disposizioni, le quali attribuiscono a distinti soggetti la proprietà dei medesimi beni. Né rileva che la doppia istituzione avvenga per titoli diversi.

In tal senso la giurisprudenza ha osservato che la duplice delazione sui medesimi beni o su parte di essi, può avvenire per lo stesso titolo od anche per un titolo diverso (ad esempio il primo viene chiamato alla successione come erede il secondo come legatario per un bene determinato), senza che venga meno il vincolo fidecommissorio (Cass. n. 4016/1969).

L'ordo successivus sta ad indicare che primo e secondo istituito non succedono l'uno all'altro, ma entrambi direttamente dal medesimo de cuius, sebbene in tempi diversi. Il punto caratterizzante del fedecommesso, però, è costituito dall'obbligo di conservare per restituire, obbligo che si caratterizza come vero e proprio vincolo di indisponibilità reale sui beni oggetto della disposizione.

Il rilievo attuale della sostituzione fedecommissaria, se paragonato a quello che l'istituto ha avuto nel passato, quale strumento di conservazione del patrimonio caduto in successione nell'ambito familiare, è assai modesto. Nel compiere un brevissimo riassunto della storia del fedecommesso, occorre dire che esso, nel codice civile del 1865, era stato oggetto di un fermo divieto, quale ostacolo alla libera circolazione dei beni, tale da favorire il proliferare di fenomeni considerati nocivi, quali la cosiddetta manomorta o il maggiorascato. Il codice civile vigente, nella formulazione anteriore alla l. n. 151/1975, pur mantenendo fermo il divieto, aveva ammesso il fedecommesso entro limiti circoscritti, in considerazione dell'esigenza di tutela del nucleo familiare e di potenziamento economico degli enti pubblici. Attualmente, la sostituzione fedecommissaria — persa la finalità di conservazione dell'integrità del patrimonio familiare — ha acquistato una funzione eminentemente assistenziale, essendo stata ammessa a favore di chi — sia esso una persona fisica o giuridica — abbia cura di un interdetto.

In questo senso, l'art. 692, nella formulazione introdotta dall'art. 197 l. n. 151/1975, dispone che ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell'interdetto possono istituire rispettivamente il discendente o il coniuge, con l'obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni anche costituenti la legittima, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell'interdetto medesimo. Analoga — con proprie cautele — è la disciplina della sostituzione fedecommissaria del minore del quale possa presumersi che sarà interdetto. In ogni altro caso — conclude perentoriamente l'art. 692 — la sostituzione è nulla.

Alcune clausole testamentarie in cui può celarsi il fedecommesso vietato

La previsione della nullità della sostituzione fedecommissaria pone il problema della sua distinzione da alcune disposizioni testamentarie condizionate, capaci di realizzare effetti affini a quelli del fedecommesso.

La S.C., in generale, ha sull'argomento osservato che è da ritenere fedecommesso, vietato dall'art. 699 del 1865 ed anche, attualmente, nei limiti di cui all'art. 692, quella disposizione testamentaria comunque articolata che conferisca secondo un ordine successivo determinati beni ad un istituto per la durata della sua vita ed i medesimi beni ad un altro soggetto (sostituito) dopo la morte del primo, con l'effetto di far gravare sulla situazione giuridica del primo un vincolo reale a favore del secondo. Figure affini al fedecommesso, del quale possono o meno avere la struttura e la funzione secondo una varia configurabilità della disposizione in sede di interpretazione della volontà del de cuius e rispetto al quale possono assumere la natura di clausole negoziali in frode alla legge per quanto concerne l'elusione della nullità della sostituzione fedecommissaria, sono comunemente ritenute la condizione si sine liberis decesserit heres, la sostituzione de residuo o de eo quod supererit, l'istituzione separata nell'usufrutto e nella nuda proprietà. La disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria quando: a) le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, b) i chiamati non succedono l'uno all'altro, ma direttamente al testatore, c) la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà (Cass. n. 2632/1974). Principio, questo, che, con specifico riguardo alla disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene è stato ribadito da Cass. n. 243/1995.

Viene, poi, in considerazione la questione dell'ammissibilità della clausola si sine liberis decesserit, ossia della clausola con cui il testatore assoggetta l'istituzione alla condizione risolutiva della morte dell'onorato senza figli, disponendo in pari tempo una sostituzione ordinaria.

Secondo l'opinione comune, nel caso della clausola si sine liberis decesserit, si ha una duplice istituzione condizionata risolutivamente e sospensivamente allo stesso evento della morte del primo istituito senza prole. La clausola si distingue dalla sostituzione fedecommissaria perché nella prima vi sono due vocazioni alternative, mentre nella seconda vi sono due vocazioni cumulative. Nel caso della clausola si sine liberis decesserit, in altri termini, l'istituito è sempre uno soltanto: se si verifica la condizione, il suo effetto retroattivo fa sì che la prima chiamata debba aversi per non mai effettuata.

In giurisprudenza — intervenuta numerose volte in argomento — si è ritenuto che la clausola si sine liberis decesserit sia nulla solo in quanto risulti che il testatore l'abbia utilizzata per eludere il divieto di sostituzione fedecommissaria, tenuto conto delle specifiche ragioni del caso concreto.

In tale prospettiva la S.C. ha affermato che la clausola testamentaria si sine liberis decesserit non implica di per sé una sostituzione fedecommissaria, dovendosi accertare caso per caso, sulla base della volontà del testatore e delle particolari circostanze e modalità della disposizione se essa sia stata impiegata per mascherare una sostituzione fedecommissaria, ovvero se abbia avuto la funzione di una vera e propria condizione, con tutti i caratteri che le sono propri, ivi compresa l'efficacia retroattiva, funzionante risolutivamente, rispetto all'acquisto del primo istituito (Cass. n. 11428/1990; Cass. n. 12564/1992; Cass. n. 12681/1993).

Nel compiere l'indagine richiesta al fine di discriminare la clausola si sine liberis decesserit dalla sostituzione fedecommissaria, si deve procedere — ha affermato Cass. n. 150/1985 — caso per caso, in base alla volontà del testatore, la quale deve essere individuata non solo attraverso la valutazione complessiva del testamento, ma anche facendo ricorso a elementi estrinseci (tarda età o non del beneficiario, difetti fisici dei medesimi ecc.).

Ciò con la precisazione che, nell'interpretazione di una clausola testamentaria è erroneo presumere la sostituzione fedecommissaria, essendo logica la presunzione contraria, quella, cioè, che il testatore abbia voluto disporre dei suoi beni in guisa da non urtare contro sanzioni di nullità (Cass. n. 231/1946).

La posizione della dottrina prevalente non è dissimile da quella della giurisprudenza. Valga ricordare Giannattasio, 386; Azzariti, Martinez e Azzariti, 571; Caramazza, 261; Bigliazzi Geri,in Tr. Res., 1997, 154.

Occorre, poi, prestare attenzione alla figura del fedecommesso de residuo, con il quale il testatore impone all'istituito di restituire ciò che gli resterà dei beni ereditari al momento della sua morte. In proposito, occorre ricordare che, dal momento che il codice civile vigente ha in linea di principio sanzionato di nullità la sostituzione fedecommissaria, anche il fedecommesso de residuo ha perso ogni diritto di cittadinanza nell'ordinamento.

Nel muoversi alla ricerca di ipotesi di fedecommesso de residuo vietato, la giurisprudenza ha avuto modo di osservare che si ha fedecommesso de residuo e non legato di usufrutto nella disposizione con cui il testatore, pur indicando come usufruttuario il beneficiario, attribuisce a costui la facoltà di vendere i beni facenti parte dell'asse, con la precisazione che alla sua morte la proprietà dei cespiti rimasti nel patrimonio del chiamato si devolverà a terzi: tale principio opera anche se la facoltà di alienare, anziché essere concessa senza limitazioni, sia prevista per l'ipotesi in cui il beneficiario venga a trovarsi in stato di bisogno, sempreché sia lasciato alla valutazione del chiamato lo apprezzamento dello stato di bisogno (Cass. n. 1285/1980).

Allo stesso modo la disposizione con cui il testatore attribuisce ad un soggetto il godimento dei propri beni con facoltà di disporne in caso di bisogno e nel contempo pone a carico del beneficiato l'obbligo di trasferire alla sua morte tali beni ad altri diversi soggetti, configura un fedecommesso de residuo, nullo ex art. 692 (Trib. Bologna 12 giugno 1991, Riv. not., 1993, 1308). Nell'ipotesi in cui sia stato disposto un fedecommesso de residuo ed il primo istituito sia premorto al de cuius, la sostituzione fedecommissaria si converte in sostituzione ordinaria e conserva i suoi effetti verso i sostituiti, purché nel contesto della disposizione emerga con chiarezza l'intento del testatore di beneficiarli del lascito (Trib. Messina 5 ottobre 1993, Giur. mer., 1994, 869).

L'interpretazione di una disposizione testamentaria volta a determinare se il testatore abbia voluto disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usufrutto deve muovere dalla ricerca della effettiva volontà del de cuius, attraverso l'analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che mediante il contenuto testuale della scheda testamentaria; ne consegue che la disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l'usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene (o dell'intero complesso dei beni ereditari) non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria (ma quelli di una formale istituzione di erede) quando le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, i chiamati non succedano l'uno all'altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà (Cass. n. 4435/2009).

Evidente, infine, è la differenza tra modus e sostituzione fedecommissaria, differenza da ricondurre al carattere di accessorietà proprio del modus. In proposito si è detto che la sostituzione fedecommissaria ricorre quando vi siano i tre elementi costitutivi della doppia istituzione, dell'ordo successivus e dell'obbligo di conservare per restituire, mentre, nel modus, il bene è attribuito dal testatore soltanto al beneficiario della disposizione testamentaria, il quale — nella configurazione del modo più affine al fedecommesso — ha soltanto l'obbligo di trasferirlo in tutto o in parte ad un terzo, che assume però la veste di avente causa dell'onerato e non già del disponente (Cass. n. 2306/1975; Cass. n. 2278/1963).

Bibliografia

Azzariti, Martinez e Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1973; Caramazza, Delle successioni testamentarie, in Comm. cod. civ., diretto da De Martino, Roma, 1982; Gangi, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, Milano, 1952; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, Torino, 1961; Grosso e Burdese, Le successioni, Torino, 1977; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984; Lorefice, Dei provvedimenti di successione, Padova, 1991; Terzi, Sostituzione semplice e sostituzione fedecommissaria, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno e coordinato da Ieva, I, Padova, 2010.

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