Codice Civile art. 1424 - Conversione del contratto nullo.

Cesare Trapuzzano

Conversione del contratto nullo.

[I]. Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma [607, 2701], qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità [1367].

Inquadramento

La conversione del contratto nullo, quale istituto riconducibile al principio di conservazione degli atti negoziali (Bianca, 594) ovvero al canone di buona fede oggettiva (De Nova, 2), consiste in una modifica legale del contratto che ne evita la nullità, pur nel rispetto sostanziale dello scopo delle parti (Bianca, 594), ovvero in una trasformazione-limitazione di quanto pattuito, il cui risultato deve rientrare in quello cui tendeva il contratto convertito. Si tratta dunque di un meccanismo legale di recupero del regolamento negoziale. Il negozio che ne risulta non deve appartenere necessariamente allo stesso tipo legale. Si è ritenuto che la conversione non è comunque possibile quando gli interessi realizzabili con il contratto diverso non rientrino tra quelli essenziali, bensì siano solo marginali (D'Antonio, La modificazione legislativa del regolamento negoziale, Padova, 1974, 281). Al contratto nullo non si possono comunque assegnare effetti non compatibili con la sua forma e con la sua sostanza (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 487). Affinché la conversione possa operare devono ricorrere le seguenti condizioni: a. che il contratto nullo possieda i requisiti di sostanza e di forma di un altro negozio, con la conseguenza che non sarà mai possibile la conversione di un contratto non formale in uno che esige la forma solenne; b. che alla luce dell'intento pratico delle parti si possa ragionevolmente ritenere che esse avrebbero voluto il secondo negozio, se fossero state consapevoli della nullità del primo. Nel dubbio il negozio rimarrà nullo e non sarà convertibile (Sacco, 865). La sentenza che accerta ipso iure la conversione è meramente dichiarativa. Ove sia proposta azione di nullità la conversione non può essere rilevata d'ufficio (Galgano, in Tr. C. M., 1988, 303; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 246; De Nova, 2; contra Bianca, 595). Il contratto inesistente non è suscettibile di conversione (Galgano, in Tr. C. M., 1988, 240).

Secondo la S.C. la corretta qualificazione di un contratto di cui le parti abbiano convenuto un determinato inquadramento (nomen iuris) non determina conversione (Cass. n. 11176/2024). I poteri officiosi di rilevazione di una nullità negoziale non possono estendersi alla rilevazione di una possibile conversione del contratto, ostandovi il dettato dell'art. 1424, secondo il quale il contratto nullo può, non deve, produrre gli effetti di un contratto diverso, atteso che altrimenti si determinerebbe un'inammissibile rilevazione di una diversa efficacia, sia pur ridotta, di quella convenzione negoziale (Cass. n. 17905/2018; Cass. S.U., n. 26242/2014; Cass. n. 6633/2012; Cass. n. 10498/2001; n. 3443/1973). Tuttavia è ammissibile l'istanza di conversione avanzata dalla parte nel primo momento utile successivo alla rilevazione della nullità (Cass. n. 22466/2018 ; Cass. n. 17352/2017).

I requisiti di sostanza e di forma

I requisiti di sostanza riguardano l'oggetto del negozio, ossia la possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità, la capacità e la legittimazione delle parti, che debbono evidentemente essere le stesse del contratto nullo. Requisiti di forma sono quelli eventualmente imposti dalla legge per il negozio risultante dalla conversione.

Affinché l'accordo fra il sindaco e un privato circa l'indennità di esproprio, affetto da nullità per mancata autorizzazione dell'organo deliberante, possa convertirsi in contratto di cessione dell'immobile al Comune, occorre che il consenso sia trasfuso in un documento scritto redatto da specifici organi dell'amministrazione, richiedendosi tale particolare forma quale condizione di validità (Cass. n. 6561/1997).

La ricostruzione della volontà ipotetica avuto riguardo allo scopo

La conversione può operare solo se le parti al momento della stipulazione ignoravano l'esistenza della causa di invalidità (Bianca, 594; Bigliazzi Geri, 532; contra Sacco-De Nova, in Tr. Res. 1988, 487). Secondo un primo orientamento, la conversione presuppone una ricostruzione della volontà ipotetica delle parti al tempo della conclusione del contratto in ordine ad una potenziale adesione ad un contratto diverso e valido (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 487). In base ad altra impostazione scopo della norma è semplicemente quello di richiamare un giudizio di congruenza tra gli effetti giuridici modificati e l'intento delle parti, cioè la causa concreta, sicché la mancata ricognizione di una volontà ipotetica non comporterebbe necessariamente la declaratoria di nullità (Bianca, 594; Bigliazzi Geri, 534; Gandolfi, Il principio di conversione dell'atto invalido: fra continenza sostanziale e volontà ipotetica, in Riv. dir. civ., 1990, I, 216).

In giurisprudenza si riconosce che la norma contempla la conversione del negozio nullo sul presupposto implicito dell'ignoranza di tale nullità al momento della conclusione del contratto (Cass. n. 923/1972). La S.C. opta per un criterio subiettivo ai fini di stabilire se vi è o meno conversione. Infatti per verificare l'integrazione della conversione deve procedersi ad una duplice indagine, l'una rivolta ad accertare l'obiettiva sussistenza di un rapporto di continenza tra il negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo e l'altra implicante un apprezzamento di fatto sull'intento negoziale dei contraenti, riservato al giudice di merito, diretta a stabilire se la volontà che indusse le parti a stipulare il contratto nullo possa ritenersi orientata anche verso gli effetti del contratto diverso (Cass. n. 17279/2010; Cass. n. 6004/2008; Cass. n. 23145/2006; Cass. n. 10498/2001; Cass. n. 8263/1990; Cass. n. 5451/1980; Cass. n. 536/1967). Ma altro orientamento, discostandosi dall'opinione prevalente, ritiene che occorre considerare l'intento pratico perseguito, cosicché il contratto nullo può convertirsi in un altro contratto i cui effetti realizzino in tutto o in parte quell'intento (Cass. n. 19/2025; Cass. n. 2912/2002). Sussistono i presupposti per la conversione di un accordo verbale tra le parti relativo al passaggio, sul fondo di una di esse, della rete fognante proveniente dal fondo dell'altra, accordo che, seppure sia inidoneo a configurare un valido contratto costitutivo di una servitù di scarico, per difetto della forma scritta richiesta ad substantiam, sia tuttavia idoneo a costituire una servitù irregolare, a carattere non reale ma obbligatorio (Cass. n. 2651/2010; contra Cass. n. 16342/2002).

La conversione del contratto illecito

Il contratto nullo per contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume non è suscettibile di conversione, in quanto persegue uno scopo illecito (Galgano, in Tr. C. M., 1988, 305; Bigliazzi Geri, 536). In senso parzialmente difforme si è evidenziato che, ove l'illiceità non investa gli elementi qualificabili in termini di scopo perseguito dalle parti, come lo specifico contenuto della prestazione, la convertibilità dell'atto sarebbe comunque possibile (Sacco-De Nova, in Tr. Res., 1988, 487; De Nova, 2).

Anche la S.C. esclude la conversione quando si tratti di negozio illecito, giacché la nullità è inerente non già allo strumento scelto dalle parti, bensì all'intento pratico da queste avuto di mira, intento che rimane tale anche all'esito della conversione, pur mutando lo strumento (Cass. n. 2437/1964; Cass. n. 1036/1953). E ciò perché l'oggetto della valutazione di nullità è indisponibile e come tale non rimane influenzato dalle opinioni che i soggetti interessati possono avere avuto o manifestato in ordine ad esso (Cass. n. 2057/1990). Così un patto successorio non può essere convertito in testamento in quanto contrasta col principio del nostro ordinamento secondo cui il testatore è libero di disporre dei propri beni fino al momento della morte (Cass. n. 24450/2009).

La conversione del contratto nullo in un negozio unilaterale

È esclusa la conversione di un contratto nullo in un negozio unilaterale valido. E ciò perché la norma espressamente dispone la possibile conversione di un contratto nullo in un contratto valido. Così la donazione nulla per mancanza di forma non si converte in promessa di pagamento, non solo perché diversa è la struttura dei due atti, ma anche perché la promessa recherebbe in sé l'ammissione della mancanza del rapporto fondamentale (Galgano, in Tr. C. M., 1988, 305).

La giurisprudenza esclude tale possibilità di conversione poiché l'art. 1424 prevede esclusivamente l'ipotesi della conversione di un contratto nullo in un altro contratto. Non consente altresì la conversione di un contratto nullo in un negozio unilaterale in quanto, operando la conversione sul piano delle trasformazioni giuridiche, non comporta la frammentazione del contratto in atti unilaterali con l'attribuzione di nuovi e diversi effetti. Ne consegue che una donazione nulla per difetto di forma non può convertirsi in promessa unilaterale di pagamento, giuridicamente impegnativa (Cass. n. 7064/1986; Cass. n. 4827/1983; Cass. n. 5451/1980). Invece si riconosce che un negozio unilaterale nullo possa convertirsi in altro negozio unilaterale ai sensi dell'art. 1324. Così il diniego di rinnovazione della locazione, nullo in relazione alla prima scadenza, ben può convertirsi in una disdetta semplice o a regime libero (Cass. n. 263/2011; Cass. n. 13641/2004), il titolo cambiario o l'assegno bancario privo di requisiti essenziali può convertirsi in una promessa unilaterale di pagamento (Cass. n. 3266/1971, in Banca borsa tit. cred., 1972, 2, 9; Cass. n. 1361/1971).

La conversione del contratto annullabile, annullato o inefficace

Si nega che l'istituto della conversione possa applicarsi al contratto annullabile. E ciò non solo perché la disciplina sull'annullamento del contratto non prevede tale facoltà, bensì disciplina il diverso istituto della convalida, ma anche perché una simile fattispecie non appare compatibile con la stessa natura del contratto annullabile, in cui l'invalidità esige che vi sia l'istanza della parte interessata, mentre fino all'eventuale pronuncia costitutiva di annullamento il negozio produce effetti. A fronte di tale condizione del contratto annullabile, la possibilità della conversione si porrebbe in contrasto con la facoltà della parte, nel cui interesse l'invalidità è stabilita, di conservare l'efficacia temporanea di cui il negozio annullabile è dotato. Del resto la modifica legale del contratto potrebbe evitare in ogni caso l'annullamento, sempre contro l'interesse della parte (Bianca, 595). In aggiunta, quand'anche si ritenesse che la conversione sia applicabile ai contratti annullabili, difficilmente potranno sussisterne i presupposti (Bigliazzi Geri, 536). Né può essere suscettibile di conversione il contratto annullato, per il quale sia già stata manifestata vittoriosamente in giudizio volontà contraria al mantenimento dalla parte che ne ha chiesto l'annullamento (Bigliazzi Geri, 536), Per l'ammissibilità della conversione del contratto annullabile o inefficace in senso stretto si esprimono invece altri autori, sulla scorta del generale principio di conservazione (Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 508; Carresi, in Tr. C. M., 1987, 246).

In giurisprudenza non vi sono specifici arresti sul tema, tuttavia si esclude che la conversione possa riguardare negozi incompleti (Cass. n. 1516/1972).

La conversione formale

La conversione formale non rientra nell'istituto regolato dall'art. 1424. Piuttosto si tratta di una conversione in un altro tipo formale, avente i medesimi effetti giuridici, che non modifica il contratto (Bianca, 596; contra Bigliazzi Geri, 537). Deve trattarsi quindi di negozi che possono essere compiuti in più forme. Al riguardo si fa riferimento all'atto pubblico nullo per difetto di forma o per incompetenza o incapacità del pubblico ufficiale rogante che vale come scrittura privata o al testamento segreto invalido per carenza di uno dei requisiti formali prescritti per tale tipo di testamento che vale come testamento olografo. Tuttavia, poiché permane lo stesso negozio e non si realizza alcuna riduzione di contenuto, non vi è una conversione in senso proprio (Santoro Passarelli, 253; Mirabelli, in Comm. Utet, 1984, 508).

La conversione legale

La conversione legale si attua nei casi specificamente previsti dalla legge. Così, secondo le previsioni di legge, la girata tardiva di una cambiale produce gli effetti della cessione ordinaria del credito, la concessione della servitù da parte di un comproprietario crea un diritto personale di godimento corrispondente ad una servitù (Bianca, 596), i contratti agrari associativi si convertono in affitto. La conversione legale non rientra nella conversione ordinaria, poiché essa è indipendente dalla volontà delle parti. In altro senso si evidenzia che neppure la conversione ordinaria si basa sulla volontà delle parti, sicché la differenza deve essere colta piuttosto nel fatto che la conversione legale non importa un giudizio di comparazione tra lo scopo originario delle parti e lo scopo realizzabile mediante il contratto convertito (Bianca, 596). Piuttosto attraverso la conversione legale non si ha più la realizzazione di una funzione compresa nel contenuto del negozio, bensì si determina la sostituzione con una diversa funzione: il raggiungimento di fini che, travalicando gli interessi specifici delle parti contraenti, attengono essenzialmente all'utilità sociale di alcuni rapporti giuridici patrimoniali regolati dalle parti in maniera difforme dalle prescrizioni di legge, che l'ordinamento mantiene in vita dopo adeguata correzione (Roppo, Il contratto, in Tr. I.Z., Milano, 2001, 861). All'esito della conversione legale si ricade pur sempre in un atto di autonomia negoziale, seppure modificato negli effetti, con la conseguenza che il contratto convertito può essere impugnato per una diversa causa di invalidità. Soltanto in senso atecnico può definirsi conversione la trasformazione in contratto a tempo indeterminato del contratto di lavoro subordinato stipulato a tempo determinato in assenza dei presupposti indicati dalla legge, inquadrabile, secondo una diversa interpretazione, nello schema della nullità parziale (Plaia, Categorie civilistiche e diritti speciali: la nullità del contratto di lavoro a termine, in Studium iuris, 2009, 1192).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, voce Conversione dell'atto giuridico, in Enc. dir., Milano, 1962; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Criscuoli, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959; De Nova, Conversione del negozio nullo, in Enc. Giur., Roma, 1988; Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Napoli, 1983; Filanti, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983; Giacobbe, voce Convalida, in Enc. dir., Milano, 1962; Messineo, voce Contratto plurilaterale, in Enc. dir., Milano, 1962; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Schizzerotto, Il collegamento negoziale, Napoli, 1988; Scognamiglio, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., Milano, 1960; Tommasini, voce Nullità, in Enc. dir., Milano, 1978.

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