Codice Civile art. 2279 - Divieto di nuove operazioni.InquadramentoIl divieto stabilito a carico dei liquidatori dall'articolo in commento di intraprendere nuove operazioni trova la propria ragione nella esigenza di impedire ai medesimi la prosecuzione dell'attività sociale, consentendo invece solo gli atti necessari per liquidare i risultati della cessata attività sociale. Le nuove operazioniIn questa prospettiva, per nuove operazioni devono intendersi quelle che non si giustificano con lo scopo di liquidazione o di definizione dei rapporti in corso (Cass. n. 15080/2000). Integrano, dunque, le nuove operazioni tutte le attività dirette in modo autonomo al conseguimento di un utile ovvero idonee ad integrare iniziative speculative in sé incompatibili con la fase di liquidazione (Cass. n. 1037/1999). In dottrina, si evidenzia che il concetto di nuova operazione non deve essere inteso in senso strettamente economico (Ghidini 745; Garesio, 783), dovendosi per tali intendere quelle che non si pongono in rapporto di mezzo a fine rispetto alla attività di liquidazione (Campobasso, 213) che consiste nello smantellamento del tessuto organizzativo e patrimoniale della società (Cottino, 184). In questa prospettiva, dovrebbe ritenersi legittima la stipulazione, da parte dei liquidatori, di contratti che consentano la regolare esecuzione di negozi giuridici che siano stati stipulati in epoca antecedente alla liquidazione (Ghidini, 745). Secondo altra dottrina, i liquidatori sono ammessi a compiere tutti gli atti e gli affari che, seppure slegati da precedenti operazioni, rispondono al fine di conservare e mantenere invariato il valore del patrimonio sociale ovvero l'avviamento aziendale ovvero, comunque, ad accrescere la convenienza della liquidazione (Briolini-Franchi, 323). Sono stati ritenuti atti interdetti ai liquidatori la sottoscrizione di un contratto di locazione (Cass. n. 11393/1997) e la prosecuzione nella gestione dell'azienda condotta in affitto (Pret. Macerata, 4 febbraio 1999, Giur. comm., 2000, II, 60). Non integra la fattispecie in argomento la mera attività processuale espletata dai liquidatori in relazione a rapporti sostanziali preesistenti alla messa in liquidazione della società, attesa la indiscutibile omogeneità di tale attività con lo scopo di liquidazione e di definizione dei rapporti in corso, e la non inquadrabilità (a prescindere dalla sua fondatezza) tra quelle di gestione dell'impresa sociale sottoposte al divieto ex lege di cui agli artt. 2278 e 2279 (Cass. n. 1037/1999, cit.; Trib. Lucca, 9 gennaio 2014). Ancora, è legittima la proposizione in giudizio di una domanda che, concernendo l'indennità per la perdita dell'avviamento, presuppone la cessazione del rapporto di locazione relativo al locale ove si svolgeva l'attività imprenditoriale della società, e si colloca quindi inequivocabilmente nell'ambito dell'attività volta alla liquidazione (Cass. n. 15080/2000, cit.). La violazione del divietoIn caso di violazione del divieto, i liquidatori rispondono personalmente e solidalmente per gli affari intrapresi. Conseguentemente, gli atti compiuti in violazione del divieto sono non già nulli, ma inefficaci nei confronti della società che deriva dalla mancanza di legittimazione del liquidatore a compiere l'atto (Cass. n. 741/2004). Solo qualora la società dovesse procedere a revocare lo stato di liquidazione, l'atto tornerebbe ad essere efficace e, dunque, vincolante per la società (Cass. n. 3092/1975). 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