Codice Civile art. 2567 - Società.

Roberto Amatore
aggiornato da Francesco Agnino

Società.

[I]. La ragione sociale e la denominazione delle società sono regolate dai titoli V e VI di questo libro [2292, 2314, 2326, 2453, 2463, 2515].

[II]. Tuttavia si applicano anche ad esse le disposizioni dell'articolo 2564.

Inquadramento

La denominazione sociale è tutelata anche nell'ipotesi di un eventuale mutamento dell'oggetto sociale, in quanto essa ha la funzione di individuare la società come soggetto di diritto e quindi prescinde dall'attività in concreto svolta e dall'oggetto sociale, che può mutare nel corso della sua attività senza che ciò comporti un mutamento della sua soggettività e, quindi, senza che ciò renda necessaria una modifica della sua denominazione o consenta ad altri l'uso della stessa (Cass. n. 5931/2014). I principi elaborati in ordine alla capacità distintiva e alla novità dei marchi — per i quali esiste una specifica disciplina —, in quanto rispondenti alla «ratio» di assicurare al segno distintivo originalità e, appunto, novità, e perciò la indispensabile attitudine alla sua funzione, sono applicabili, per analogia, in difetto di un'espressa disciplina, anche alla ditta e alla denominazione sociale — beninteso, nei limiti della compatibilità con la specifica disciplina e la funzione di queste —, segni distintivi propri, rispettivamente, dell'imprenditore individuale e delle società. Pertanto, anche in tema di denominazione sociale — ove non siano ravvisabili elementi ostativi —, parole di uso comune e denominazioni geografiche, ovvero aggettivazioni delle stesse, che di per sé non hanno capacità distintiva, possono acquistarla, se combinate fra loro o con parole fantastiche o non di uso comune, come, del pari, possono acquistarla per il semplice fatto che siano diventate notorie come denominazione di una determinata società operante in un determinato territorio ed avente un certo oggetto sociale. Ai fini della rilevanza della confondibilità delle denominazioni sociali, alla stregua dell'art. 2564, inoltre, non devono considerarsi tanto le attività svolte in concreto dalle società che abbiano denominazioni simili, quanto la potenziale concorrenzialità fra di esse, desumibile dall'oggetto sociale, quale espressione dell'ambito complessivo di attività che le società, anche in futuro, potrebbero svolgere nel mercato di riferimento. (Fattispecie nella quale una società richiedeva tutela in base all'anteriorità dell'uso della denominazione «Tranceria ligure» nei confronti di altra, operante nella medesima Regione ed in un settore merceologico similare, che utilizzava la medesima denominazione, poi modificata in «Nuova tranceria ligure»; nell'affermare il principio suindicato, la S.C. ha ritenuto correttamente motivata la ritenuta confondibilità delle denominazioni, anche con la modifica apportata dalla seconda società, con la conseguente inibizione a quest'ultima dell'uso del termine «ligure») (Cass. n. 7651/2007). L'inserimento del nome di un terzo in una denominazione sociale può essere riconosciuto legittimo solo con il consenso dell'interessato e, in ogni caso, con salvezza di quanto stabilito dall'art. 7 (Cass. n. 11129/2003).

Giudizio di confondibilità

In tema di confondibilità della denominazione sociale, trovano applicazione, in forza dell'art. 2567, comma 2, le specifiche prescrizioni dettate dall'art. 2564 in materia di modificazione della ditta, con conseguente inapplicabilità dei principi riguardanti il carattere «debole» o «forte» del marchio.

Secondo la giurisprudenza, ciò comporta che, una volta che sia stato ritenuto insufficiente l'elemento di integrazione (nella specie, "Nuova" tranceria ligure» in luogo di «Tranceria ligure») introdotto dalla società nella denominazione che era risultata identica a quella in precedenza usata da altra società iscritta nel registro delle società, il giudice, per dare attuazione al disposto dell'art. 2564, non incontra alcun limite, non prevedendolo la norma, nell'imporre la modifica necessaria a differenziarla eliminandone una parte, restando salva la facoltà della società di adottare una denominazione diversa, purché non faccia uso del termine, o dei termini, il cui uso è stato inibito dal giudice (Cass. n. 7651/2007). In caso di controversia fondata su asserita confondibilità di due denominazioni sociali, il giudizio sulla confondibilità e sulla priorità di uso o di registrazione deve farsi in funzione delle attuali denominazioni, essendo irrilevanti l'uso o la registrazione in precedenza di segni diversi, anche solo parzialmente, a meno che la differenza tra il segno precedente e quello attuale sia così esigua da risolversi in una sostanziale identità. (Cass. n. 6/1991). Qualora due società di capitali inseriscano, nella propria denominazione, lo stesso cognome, il quale assuma per entrambe efficacia identificante, e si verifichi possibilità di confusione, in relazione all'oggetto ed al luogo delle rispettive attività, l'obbligo di apportare integrazioni o modificazioni idonee a differenziare detta denominazione, posto dall'art. 2564 a carico della società che per seconda abbia usato quella uguale o simile, non trova deroga nella circostanza che detto inserimento sia legittimo e riguardi il cognome di imprenditore individuale la cui impresa sia stata conferita nella società, poiché anche in tale ipotesi la denominazione della società può essere liberamente formata, né nel fatto che il suddetto uso sia stato praticato per cinque anni ed in buona fede, senza contestazione, non essendo analogicamente applicabile, in tema di confondibilità fra ditte, l'art. 48 r.d. n. 929/1942 (v. ora d.lgs. n. 30/2005), sui marchi d'impresa (trattandosi di norma speciale circa la convalida, per effetto dell'indicato uso quinquennale, del brevetto viziato) (Cass. n. 6678/1987).

Vicende traslative ed estintive

La denominazione sociale, investendo la sua funzione distintiva la stessa soggettività della società di capitali, non può essere oggetto di autonoma circolazione, neppure insieme all'azienda, sia perché la cessione di quest'ultima non estingue la persona giuridica, la cui continuità ed identità è preservata proprio dal mantenimento della denominazione, sia perché l'art. 2567, in tema di denominazione sociale, non richiama l'art. 2565, dettato in tema di impresa individuale, secondo cui la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda. (In applicazione di tale principio, è stata confermata la sentenza di merito che ha dichiarato l'illiceità dell'utilizzo del nome «Franco Tosi» da parte di alcune società acquirenti dell'azienda di una società di capitali avente tale denominazione) (Cass. n. 5931/2014).

Ai sensi dell'art. 15 r.d. n. 929/1942, nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 480/1992, e dell'art. 2567 il marchio può essere trasferito solo in occasione del trasferimento dell'azienda o di un ramo particolare di questa e, in tal caso, non sono implicitamente trasferiti anche la ditta o la denominazione (salva l'ipotesi, prevista dall'art. 2573, comma 2 della denominazione di fantasia o della ditta figurata), non essendovi alcuna disposizione di legge che lo preveda (Cass. n. 5931/2014). Il diritto all'uso esclusivo di una ditta, quale segno distintivo di un'azienda, sorge dalla priorità dell'adozione di essa e dal suo uso effettivo e pubblico, ovvero dall'acquisto dell'altrui azienda insieme con la ditta. L'esclusività dell'uso della ditta non si esplica in ogni direzione, come avviene per il diritto di proprietà, ma nei limiti segnati dallo art. 2564 se altri successivamente usi una ditta uguale o simile, dando luogo a confusione, e tenuto a differenziarla, nei limiti dell'oggetto e dell'estensione territoriale di esercizio dell'impresa che prima l'ha adottata, e sempre che l'azienda da essa contrassegnata, sia in effettivo esercizio. Se l'impresa e cessata definitivamente, o non viene esercitata per un tempo tale da far ritenere che la ditta sia stata abbandonata, ed abbia ormai perduto il proprio riferimento al soggetto che l'aveva adottata, od all'esercizio che essa serviva a distinguere, vien meno la ragione della sua tutela. La ditta riacquista, così, quel carattere di novità che permette ad altri di acquistare, a sua volta, con l'uso di essa, il diritto assoluto di avvalersene per la propria azienda. L'accertare se, in concreto, ricorra tale ipotesi, e rimesso al giudice di merito con apprezzamento incensurabile in Cassazione, se motivato congruamente e senza errori logici o giuridici. L'estinzione della società porta all'estinzione della denominazione sociale ma altri possono acquistare il diritto ad usarla solo se, a causa del tempo trascorso, essa abbia perso ogni riferimento al soggetto che l'aveva adottata o alla attività da essa esercitata (Cass. n. 1078/1968).

Disciplina della concorrenza

Ai fini della tutela della ditta o della denominazione sociale accordata dagli artt. 2564 e 2567, quando si deduca il pericolo di confusione per l'uso fattone da altro imprenditore, così come ai fini della tutela ex art. 2598, n. 1, quando tale uso integri altresì concorrenza sleale, è sufficiente che si verifichi una situazione potenzialmente pregiudizievole e cioè la virtuale possibilità di confusione tra le ditte e le denominazioni sociali di due imprenditori, ovvero la astratta idoneità del comportamento tenuto dalla ditta o società concorrente ad incidere negativamente sul profitto che l'imprenditore si propone di ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa.

In particolare, al fine di valutare la virtuale possibilità di confusione, non è necessario prendere in considerazione le attività effettivamente svolte dalle imprese, essendo sufficiente il raffronto tra i rispettivi oggetti sociali risultanti dagli atti costitutivi sottoposti a pubblicità, poiché l'oggetto sociale costituisce l'esteriorizzazione dell'attività d'impresa in tutto il suo ambito ed in tutta la sua potenzialità espansiva (Cass. n. 10728/1994). Qualora la denominazione dell'impresa altrui venga da altri usata per contraddistinguere un'attività in un settore merceologico radicalmente diverso da quello in cui operi tale impresa e non riconducibile neppure nell'ambito di prevedibili espansioni future dell'esercizio di quest'ultima, resta esclusa la configurazione di atti di concorrenza sleale ovvero di atti di lesione dei diritti inerenti all'uso della ditta (Cass. n. 10521/1994).

Bibliografia

Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni materiali, Milano, 1960, 399; Auteri, voce Ditta, in Enc. giur., Roma, 1989, 3; Campobasso, Diritto commerciale, I, Torino, 2013, 164; Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, 244; Greco, I diritti sui beni immateriali, 76; Mangini, voce: Ditta, in Dig. comm., V, Torino, 1990, 79; Martorano, Manuale di diritto commerciale, a cura di Buonocore, Torino, 2013, 503; Salandra, Manuale di diritto commerciale, I, Milano, 1996, 87; Vanzetti, La nuova legge marchi, Milano, 2001, 38.

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