Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 31 - Gestione della procedura. 1Gestione della procedura.1
Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite. Egli non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore. Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento. [1] Articolo sostituito dall'articolo 27 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. InquadramentoLa norma in esame è stata profondamente modificata dalla riforma del 2006-2007. In particolare, le modifiche hanno riguardato in linea generale due aspetti: a) in primo luogo, oltre all'amministrazione del patrimonio fallimentare, la riforma ha espressamente specificato che il curatore «compie tutte le operazioni della procedura», volendo così segnalare il ruolo centrale e di «motore» che il curatore ha assunto ai fini del migliore e più sollecito andamento della procedura fallimentare; b) correlativamente le modifiche hanno soppresso (come già indicato all'art. 25) il ruolo di direzione del g.d., affermando che il curatore amministra e compie tutte le operazioni sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori. Correlativamente l'intitolazione della norma è passata da «poteri del curatore» a «gestione della procedura» con ciò non volendo disconoscere, come già visto all'articolo precedente, un ruolo ancora pubblicistico di questo organo, ma volendo segnalare anche a livello semantico il necessario possesso di requisiti manageriali nell'amministrazione dell'attivo fallimentare. Pleonastica, invece, deve ritenersi l'aggiunta finale nel primo comma «nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite», poiché ovviamente le funzioni di amministrazione e gestione della procedura non possono spingersi sino ad «invadere» sfere di competenza che la legge ha riservato ad altri organi. Peraltro è solo una lettura più complessiva delle disposizioni della legge fallimentare riformata a consentire di delineare con maggiore esattezza gli equilibri fra i diversi organi e le singole funzioni, pur se la disposizione in esame appare centrale nel individuare nel curatore un ruolo di gestione attiva della procedura (e non certo di mero esecutore di direttive altrui) riservando al g.d. ed allo stesso comitato dei creditori un ruolo di vigilanza, nonché come si vedrà anche all'art. 35, di rimozione di ostacoli al compimento di atti di straordinaria amministrazione. Si può ancora, a livello di inquadramento, osservare come al curatore competano alcuni doveri e funzioni più generali, relativi alla procedura fallimentare, il cui scopo (Vassalli, 226) continua ad essere quello del soddisfacimento secondo i principi della par condicio creditorum di quei creditori che, attraverso l'insinuazione allo stato passivo, hanno acquisito il titolo per partecipare alla distribuzione del ricavato della liquidazione fallimentare. Da questo punto di vista, quindi, i compiti gestori del curatore non possono essere ricavati unicamente da questa norma ma, come anticipato, da altre disposizioni disseminate nella legge fallimentare. Così ad esempio, l'apposizione dei sigilli e l'acquisto del possesso dei beni costituenti l'attivo patrimoniale attraverso la loro inventariazione (artt. 84 e 87 l.fall.), così ancora il dovere di apprendere il denaro contante e depositarlo su un conto della procedura i cui prelievi non possono che avvenire sotto il controllo del g.d. (art. 34 l.fall.). Vi rientrano ancora specifici compiti informativi, verso gli organi deputati alla vigilanza e verso gli stessi creditori, così come si desume dall'art. 33 l.fall. in ordine alla prima fondamentale relazione ed alle successive relazioni periodiche contenenti rapporti riepilogativi a carattere semestrale, il cui solerte deposito è addirittura oggi valorizzato dall'art. 28 fra i requisiti di cui il Tribunale deve tener conto in sede di nomina del curatore. Compiti informativi che attengono altresì alla rendicontazione delle attività espletate, come si evince proprio dall'art. 33 ult. comma cit. o dall'art. 116. Peraltro, proprio con riferimento alla maggiore trasparenza della procedura fallimentare, il disegno di legge di riforma attualmente in discussione al Senato, dopo essere stato approvato lo scorso 1° febbraio alla Camera, prevede la introduzione di misure volte a garantire all'insolvente i diritti di informazione, accesso e partecipazione, prevedendo che, fatte salve le eventuali limitazioni motivatamente e specificamente fissate dal giudice delegato, all'insolvente medesimo sia assicurata l'informazione sull'andamento della procedura e che lo stesso abbia diritto di accesso agli atti della procedura non coperti da segreto, con possibilità di prenderne visione e di estrarne copia. Già allo stato attuale, peraltro, l'assolvimento degli obblighi informativi da aprte del curatore è stato facilitato dalla introuduzione dell'art. 31-bis che, come si vedrà, consente comunicazioni a mezzo PEC e, in mancanza, il semplcie deposito in cancelleria. Amministrazione del patrimonio fallimentare: ordinaria e straordinaria amministrazioneI compiti di amministrazione del curatore si muovono lungo una triplice direzione: a) da un lato attengono alla conservazione materiale e giuridica del patrimonio fallimentare amministrato; b) dall'altro operano secondo una finalità di ricostruzione del patrimonio del fallito (es. revocatorie); c) infine attengono al compimento di atti di liquidazione cioè diretti a trasformare in denaro, nell'interesse dei creditori ed in vista della distribuzione agli stessi, tutti i beni facenti parte dell'attivo fallimentare. In realtà, per una serie di atti ricostruttivi o liquidatori, l'attività del curatore consiste inizialmente nella predisposizione di relazioni dettagliata contenente motivate proposte che attendono l'autorizzazione degli altri organi della procedura, deputati ad un controllo ed alla vigilanza, tanto che si è messa in discussione l'esistenza di quella reale autonomia, pur declamata a livello di principio, in capo al curatore, considerato che persino nello spazio degli atti di valore inferiore ai 50.000 Euro di cui all'art. 35 restano necessarie le autorizzazioni del comitato dei creditori e lo stesso controllo di legalità del g.d., pur non necessario in via preventiva (come invece per le transazioni e gli atti di valore superiore a detta soglia), può essere richiamato in via successiva attraverso il reclamo ex art. 36 l.fall. Ciò posto, è tuttavia vero che è oggi escluso un potere di direzione da parte del g.d. e, correlativamente, certamente più ampia è l'autonomia riconosciuta al curatore, considerato che lo spazio relativo al controllo di legittimità da parte del g.d. sembra potersi muovere unicamente nello spazio relativo alla incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, lasciando invece ogni valutazione sul merito o convenienza all'altro organo di vigilanza, il comitato dei creditori (e salva naturalmente la valvola di sicurezza dell'art. 41 comma 4, che in caso di mancanza o inoperatività del C.d.c. o per ragioni di urgenza, consente al g.d. di svolgere in via vicaria i compiti che spetterebbero a quest'ultimo organo). Resta comunque ancora oggi attuale la distinzione fra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, considerato che per gli atti appartenenti a questa seconda categoria è necessario, a seconda del valore dell'atto (cfr. art. 35), una preventiva autorizzazione da parte del C.d.c. o, in aggiunta, una ulteriore informativa al g.d. che è così chiamato ad una preventiva valutazione di legittimità dell'atto. Particolarmente delicato, da questo punto di vista, è il c.d. eccesso di potere, cioè quel vizio (indagato soprattutto quanto ai provvedimenti amministrativi) che si pone a «cavallo» fra pura violazione di legge e merito dell'atto o comportamento, in quanto contempla casi di uso «distorto» di un potere attribuito secondo finalità divergenti con quelle proprie della procedura fallimentare. Si è fatto il caso di atti, pure in sé di valore non rilevante, che il curatore ponga in essere per motivi di liberalità o compiacenza. Ma si esce dai casi di scuola se si pone mente alla possibilità che il curatore stipuli con l'occupante di un immobile dell'attivo fallimentare un pactum de non alienando per un certo periodo di tempo, ovvero conceda delle prelazioni convenzionali all'affittuario o conduttore dell'azienda o beni della procedura. Casi nei quali deve riconoscersi la possibilità di una valutazione di legittimità da parte del g.d. sotto l'ottica del c.d. eccesso di potere, ossia dell'esercizio di un potere negoziale – pur formalmente spettante al curatore – ma per scopi o con risultati che possono porsi in contrasto con quelli relativi alla più celere ed efficiente liquidazione del patrimonio in vista della distribuzione del ricavato, osservata la par condicio, tra tutti i creditori concorsuali. Resta peraltro il dubbio che la stessa categoria dell'eccesso di potere abbia una positiva cittadinanza in questa materia, considerato che i casi che vengono in astratto ricondotti a tale fattispecie sono, forse più agevolmente, spiegabili in termini di difetto di legittimità sostanziale dell'atto. Da notare che il già citato dis. legge di riforma n. 3671-bis prevede l'attribuzione al Curatore, previa acquisizione delle prescritte autorizzazioni, di poteri per il compimento degli atti e delle operazioni riguardanti l'organizzazione e la struttura finanziaria della società, previsti nel programma di liquidazione, assicurando un'adeguata e tempestiva informazione dei soci e dei creditori della società nonché idonei strumenti di tutela, in sede concorsuale, degli stessi e dei terzi interessati. L'esercizio da parte del curatore della facoltà di scelta tra lo scioglimento o il subingresso nel contratto preliminare di vendita pendente, ai sensi dell'art. 72 l.fall. (nel testo, vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 5 del 2006), può anche essere tacito, ovvero espresso per fatti concludenti, non essendo necessario un negozio formale, né un atto di straordinaria amministrazione e dunque non ricorrendo la necessità dell'autorizzazione del giudice delegato, trattandosi di una prerogativa discrezionale del curatore. Ne consegue che, una volta manifestata da parte del curatore la volontà di subentrare nel contratto, viene meno la facoltà di scioglimento prevista dall'art. 72 legge fall., pertanto il promissario acquirente, cui quella dichiarazione sia stata rivolta, può pretendere l'esecuzione del contratto stesso da parte della curatela, la quale subentra nelle obbligazioni del promittente venditore fallito (Cass. n. 25876/2011). Capacità processuale del curatoreDalla disposizione in commento e dall'art. 25 comma 1 n. 6 l.fall. si evince chiaramente come, nonostante il ridimensionamento del ruolo gestorio del g.d., a quest'ultimo organo sia stato lascio il compimento di integrare la capacità processuale del curatore mediante il rilascio di un'apposita autorizzazione a stare in giudizio. Si discute se tale autorizzazione integri una mera valutazione di legittimità o anche di merito. La tesi restrittiva, pure autorevolmente sostenuta (Abete, 554) non appare convincente. Sicuramente l'autorizzazione non può essere data d'ufficio, ma richiede una specifica istanza del curatore, il quale porterà a conoscenza dell'organo giudiziario la propria intenzione di promuovere una causa ovvero la necessità di resistere ad un'azione da terzi intrapresa. Del pari, si può ritenere che non spetti più al g.d. la scelta del legale da officiare della difesa del fallimento, ma non può condividersi la tesi secondo cui la valutazione del g.d. possa riguardare unicamente profili di legittimità formale. Vi possono essere situazioni nelle quali, infatti, l'organo giudiziario, che continua ad esercitare la vigilanza sul migliore andamento della procedura non può non svolgere uno scrutinio circa l'opportunità o comunque la legittimità sostanziale della costituzione in giudizio (così anche Nigro-Vattermoli, 109). A tal fine si devono ricordare almeno due disposizioni apparentemente estranee a questa materia che, tuttavia, appaiono di importanza tale da travalicare l'ambito ad esse proprio, per delineare un più generale principio di economicità degli atti di liquidazione dell'attivo. Si tratta, in primo luogo, dell'art. 42 ultimo comma l.fall., secondo cui «il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi». Si tratta, in secondo luogo, dell'art. 104-ter comma 7 l.fall., a tenore del quale «il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può non acquisire all'attivo o rinunciare a liquidare uno o più beni, se l'attività di liquidazione appaia manifestamente non conveniente». Un'analoga prospettiva non può non essere adottata anche in sede di autorizzazione dell'autorizzazione alla costituzione in giudizio, dovendosi anche a tale riguardo analizzare i costi (onorari in prededuzione, possibile soccombenza ed onere di rifusione delle spese della controparte) rispetto ai vantaggi dell'iniziativa giudiziaria (in termini di aumento dell'attivo o di semplice riduzione di una posta passiva), unitamente alle verosimili chance di vittoria nell'iniziativa giudiziaria da adottare su richiesta del curatore. Ritenere che in questo ambito il g.d. debba sempre e comunque autorizzare la costituzione in giudizio sol che la richiesta sia formalmente legittima, salvo poi ritenere che il curatore, ad altri fini, non appaia diligente nelle scelte e quindi non appaia meritevole di ulteriori incarichi è argomento che prova troppo. Va infatti considerato che, da un lato, la vigilanza ed il controllo sull'andamento della procedura sono comunque facoltà lasciate al g.d.; dall'altro lo stesso deve pur sempre autorizzare l'esecuzione degli atti o delle iniziative previste nel programma di liquidazione; inoltre l'art. 25 n. 6 continua a demandare al g.d. la liquidazione degli onorari e la possibilità di revoca dei difensori indicati dal curatore e non v'è dubbio che in tale valutazione possa rientrare non soltanto l'astratta legittimità dell'iniziativa giudiziaria, ma anche la sua inopportunità (si pensi alla richiesta di costituzione in giudizio per resistere ad una pretesa di pagamento di rango chirografario e destinata comunque a dover essere accertata con le forme di cui agli artt. 93 e ss. l.fall.). La richiesta di autorizzazione a stare in giudizio deve essere richiesta per ciascun grado del giudizio medesimo e deve essere data per iscritto. Il decreto del g.d. è reclamabile ai sensi dell'artt. 26 l.fall. ma si deve ritenere che non sia ammissibile un eventuale successivo ricorso per Cassazione, trattandosi di un atto privo del carattere della decisorietà. Si ritiene che occorra un'espressa autorizzazione del g.d. anche per proporre il regolamento di competenza. Va piuttosto osservato che l'autorizzazione del g.d., anche nei casi in cui contiene il nominati del nominando difensore, non ha un valore sostitutivo della procura alla lite, che deve pur sempre essere rilasciata dal curatore. Si è sostenuto che non occorra una nuova autorizzazione alla proposizione della stessa azione a seguito della sua cancellazione dal ruolo, così come nel caso di sostituzione del curatore. Non occorre invece l'autorizzazione del g.d. nei casi in cui curatore intenda costituirsi in materia di contestazioni e tardive dichiarazioni di crediti o diritti dei terzi su beni acquisiti al fallimento, nonché nei casi in cui intenda impugnare un atto del g.d. o del tribunale, nonché in tutti i casi in cui non occorre il ministero di un difensore. Due decisioni del S.C., , hanno riguardato la legittimazione processuale del curatore, in tal modo testimoniando come tale profilo, pur basilare, sia tutt'altro che risolto. In primo luogo si è ritenuto che «il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori» (Cass. S.U., n. 1641/2017). Ma successivamente si è affermato che il curatore fallimentare non è legittimato a proporre, nei confronti della banca ritenuta responsabile, l'azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall'abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta, suscitando così nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente valida. Secondo il S.C., infatti, nel sistema della legge fallimentare la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c.d. di massa — finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo — al cui novero non appartiene la predetta azione risarcitoria, la quale, analogamente a quella prevista dall'art. 2395 c.c. costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore (Cass. n. 9983/2017). In particolare, si è affermato che compete al curatore del fallimento della società anche la legittimazione all'esercizio dell'azione revocatoria di atti di disposizione patrimoniale compiuti a titolo personale dal socio illimitatamente responsabile, poiché l'effetto recuperatorio utilmente perseguito va a vantaggio dell'intero ceto creditorio e non dei soli creditori personali di detto socio (Cass. III, ord. n. 3771/2022). Il decreto con il quale il giudice delegato conferma l'autorizzazione già conferita a promuovere (o a resistere ad) un'azione giudiziaria vale come ratifica dell'attività difensiva espletata dal nuovo difensore nel frattempo designato dal curatore (Cass. n. 17765/2016). Deve pertanto ritenersi superato quell'orientamento che riteneva del tutto nulli gli attui compiuti fino al momento dell'effettivo rilascio dell'autorizzazione. Si è anzi osservato che l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziaria, conferita dal giudice delegato al curatore del fallimento, si estende, senza bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell'obiettivo del giudizio cui si riferisce. In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto non necessarie ulteriori specificazioni nel provvedimento con cui il giudice delegato aveva autorizzato il curatore a costituirsi nel giudizio pendente ex art. 2901 c.c., non potendo questi avanzare altra pretesa se non quella di subentrare nell'azione proposta (Cass. n. 614/2016). L’autorizzazione a promuovere un’azione giudiziaria si estende, senza bisogno di specifica menzione, a tutte le possibili pretese e istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui si riferisce (Cass. VI, n. 24651/2020). Si è ritenuto che l'unico soggetto legittimato ad eccepire l'illegittimità del provvedimento con cui il giudice delegato abbia indicato il legale cui conferire procura alle liti è colui a cui spetta il potere di nomina (il curatore) cui, peraltro, è preclusa ogni possibilità di sindacato ove ad esso abbia fatto acquiescenza provvedendo a conferire a legale indicato dal giudice delegato (Trib. Roma 27 marzo 2015). Si è osservato, in termini più generali, che il curatore del fallimento, pur essendo parte nelle controversie fallimentari, non ha capacità processuale autonoma, bensì condizionata all'autorizzazione del giudice delegato, che deve essere rilasciata in relazione a ciascun grado di giudizio tant'è che, in mancanza, sussiste il difetto di legittimazione processuale, rilevabile d'ufficio dal giudice trattandosi di questione inerente la legitimatio ad processum. Peraltro, mentre nelle fasi di merito il giudice, che ne rilevi l'assenza, può invitare il curatore a munirsene, regolarizzando la costituzione, nel giudizio di legittimità non sussiste un analogo potere poiché la peculiare natura di quest'ultimo, caratterizzato dall'assenza di attività istruttoria e dalle rigide formalità che disciplinano il deposito dei documenti (ammissibili con le forme e i limiti di cui all'art. 372 c.p.c.), esclude la possibilità per il giudicante di invitare una delle parti a depositare documenti mancanti (Cass. n. 26359/2014). Va notato che la richiesta di integrazione dei poteri di rappresentanza processuale di cui all'art. 182 c.p.c. non costituisce, secondo la giurisprudenza più recente, l'esercizio di una mera facoltà, bensì l'espressione di un dovere di collaborazione fra le parti ed il giudice. Per converso, l'autorizzazione a stare in giudizio «come attore o convenuto» non è tuttavia necessaria nel procedimento di estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile, ex art. 147 comma 4 l.fall., posto che in tale ipotesi il curatore non agisce in qualità di attore ma esercita una legittimazione propria per far valere un interesse rilevante erga omnes, nonché qualora – come nel caso concretamente deciso – il g.d. abbia emesso in calce alla istanza di costituzione del Curatore il decreto di mancanza di fondi valevole per il riconoscimento del c.d. «gratuito patrocinio», ex art. 144 del d.P.R. n. 115 del 2002, tale attestazione non può che avere il valore di implicita autorizzazione (pur non indispensabile) ad agire in giudizio. Nella stessa sentenza si legge altresì che, in ogni caso, il giudice della causa in cui è parte una curatela priva di autorizzazione del g.d. deve obbligatoriamente concedere un termine, ex art. 182 c.p.c., per regolarizzare la legittimazione processuale del curatore non potendo emettere una immediata pronuncia di rigetto in rito, ma solo a seguito dell'inutile decorso del termine fissato per procedere alla regolarizzazione (Cass. n. 12947/2014). Si è tuttavia affermato che il rilascio dell'autorizzazione non richiede una preventiva istanza del curatore, potendo la richiesta provenire anche dallo stesso difensore (Cass. n. 9324 /2013). Va inoltre dato conto di qualche sporadica affermazione circa la possibilità che l'autorizzazione possa essere resa per l'intero giudizio: con l'autorizzazione a promuovere un'azione giudiziaria, ai sensi degli artt. 25, n. 6, e 31, l.fall., il giudice delegato può consentire al curatore fallimentare, con un unico provvedimento, di agire o resistere in tutti gli eventuali gradi del giudizio, per il conseguimento di un individuato interesse del fallimento, valutato e ritenuto meritevole di tutela, non ostando a tale interpretazione il disposto dell'art. 25 legge fall., nella parte in cui prevede il rilascio dell'autorizzazione per ogni grado di giudizio, tenuto conto che l'interesse sotteso a tale disposizione, formalmente limitativa, risulta ugualmente tutelato laddove il giudice delegato disponga che il curatore fallimentare renda puntuale informativa all'esito di ciascuna fase processuale (Cass. n. 2483/2013). Infine, l'autorizzazione a stare in giudizio è sufficiente a consentire la nomina di eventuali consulenti tecnici di parte senza che occorra una nuova e più specifica autorizzazione: spetta al difensore del fallimento — una volta che sia stato nominato dal curatore su autorizzazione del giudice delegato, ai sensi dell'art. 25, comma 1, n. 6, l.fall. — procedere, nel relativo giudizio, alla designazione di un consulente tecnico di parte; i poteri conferiti con il mandato al difensore, infatti, non differiscono da quelli ordinari, previsti in linea generale dall'art. 84 c.p.c., tra i quali rientra la nomina di un consulente di parte, a norma dell'art. 87 c.p.c., senza che sia necessario che la nomina provenga dalla parte in senso sostanziale o che vi sia l'autorizzazione del giudice delegato trattandosi della scelta di un consulente tecnico ausiliare del legale, e non di un ausiliare del curatore (Cass. n. 10655/2011). Il curatore che interviene nell’espropriazione forzata iniziata su un bene immobile sottoposto a sequestro conservativo trascritto da un creditore prima della dichiarazione di fallimento e successivamente ceduto dal debitore a un terzo, con acquisto trascritto anteriormente alla conversione della misura cautelare in pignoramento, si sostituisce al creditore istante, che perde ogni potere di impulso (art. 51 l. fall.) e tale sostituzione opera di diritto senza che sia necessario un intervento del curatore o un provvedimento di sostituzione del giudice dell’esecuzione. Si verifica un fenomeno di subentro nel processo e non già un caso di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., potendo pertanto il curatore avvalersi dei soli effetti del pignoramento ma non sostituirsi nelle posizioni giuridiche processuali strettamente personali al creditore istante (Cass. I, n. 12061/2019). Il divieto di difendere il fallimentoL'ultimo comma della norma in commento precisa, con un testo sostanzialmente non modificato dalla riforma salva l'eliminazione della figura del procuratore, oggi non più attuale, che il curatore non può al contempo assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento. Sussiste quindi un divieto specifico a che il curatore, anche se di professione avvocato, possa fungere da difensore nei giudizi in cui è coinvolto il fallimento cui è officiato. La ratio della norma vuole senza dubbio evitare, da un lato, che il curatore si tentato dal promuovere giudizi in modo imprudente, con il miraggio di poter lucrare sui compensi da difensore. Egli verrebbe infatti, in tal caso, a maturare un compenso come curatore ed un compenso come difensore, quest'ultimo anche nei processi in cui il fallimento risulti soccombente. Si tratta di un divieto non nuovo, che mira ad introdurre una separatezza fra i compiti gestori del curatore ed i compiti di difensore in senso tecnico del fallimento. Ciò anche al fine di permettere, dall'altro, stante la ridetta alterità di funzioni, un controllo effettivo da parte del curatore circa lo svolgimento dell'incarico, ben potendo il curatore, in caso di negligente espletamento del mandato difensivo, proporre al g.d. la revoca e la sostituzione del professionista legale. La portata del divieto è da intendersi in senso ampio, dovendosi ritenere applicabile anche a quelle figure professionali che, pur non avvocati, potrebbero espletare una difesa del fallimento in giudizio (si pensi davanti alla commissione tributaria), mentre è da escludere laddove la parte possa stare in giudizio personalmente (si pensi al caso del giudizio davanti al giudice di pace per causa di valore inferiore ai 1000 euro che non richiede neppure l'autorizzazione del g.d.). Il curatore non può assumere il ruolo del difensore nelle liti attive e passive, a pena di nullità di tutti gli atti posti in essere; e neppure può svolgere quello – altrettanto incompatibile – di assistente tecnico in giudizio (Cass. I, n. 29313/2020). BibliografiaAbete, Sub art. 28, in Il nuovo diritto fallimentare, Jorio – Fabiani (a cura di), I, Bologna, 2006; Abete, Il curatore, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Panzani (a cura di), III, Torino, 2012; Bonfatti – Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011; Cataldo, Carattere personale dell'incarico di curatore e regime di responsabilità, in Fall. 2008, 1393; Cavalli, Gli organi del fallimento, in Tratt. Diritto commerciale, Cottino (diretto da), XI, Padova, 2009; Ghedini, Sub art. 28, in La legge fallimentare. 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