Legge - 27/01/2012 - n. 3 art. 12 - Omologazione dell'accordo

Salvo Leuzzi

Omologazione dell'accordo

 

1. Se l'accordo e' raggiunto, l'organismo di composizione della crisi trasmette a tutti i creditori una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento della percentuale di cui all'articolo 11, comma 2, allegando il testo dell'accordo stesso. Nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione, i creditori possono sollevare le eventuali contestazioni. Decorso tale ultimo termine, l'organismo di composizione della crisi trasmette al giudice la relazione, allegando le contestazioni ricevute, nonche' un'attestazione definitiva sulla fattibilita' del piano.

2. Il giudice omologa l'accordo e ne dispone l'immediata pubblicazione utilizzando tutte le forme di cui all'articolo 10, comma 2, quando, risolta ogni altra contestazione, ha verificato il raggiungimento della percentuale di cui all'articolo 11, comma 2, e l'idoneita' del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonche' dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo. Quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell'accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito puo' essere soddisfatto dall'esecuzione dello stesso in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria disciplinata dalla sezione seconda. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non puo' far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento 1.

3. L'accordo omologato e' obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui e' stata eseguita la pubblicita' di cui all'articolo 10, comma 2. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano 2.

3-bis. L'omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta 3.

3-ter. Il creditore che ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento ovvero, nel caso di accordo proposto dal consumatore, che ha violato i principi di cui all'articolo 124-bis del testo unico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, non puo' presentare opposizione o reclamo in sede di omologa, anche se dissenziente, ne' far valere cause di inammissibilita' che non derivino da comportamenti dolosi  del debitore 4.

3-quater. Il tribunale omologa l'accordo di composizione della  crisi  anche  in  mancanza  di  adesione  da  parte dell'amministrazione finanziaria quando l'adesione e' decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'articolo 11, comma 2, e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione dell'organismo di composizione della  crisi,  la  proposta  di soddisfacimento della predetta  amministrazione  e'  conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria 5.

4. Gli effetti di cui al comma 3 vengono meno in caso di risoluzione dell'accordo o di mancato pagamento dei crediti impignorabili, nonche' dei crediti di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo. L'accertamento del mancato pagamento di tali crediti e' chiesto al tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo, anche avverso il provvedimento di diniego, si propone al tribunale e del collegio non puo' far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento 6.

5. La sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l'accordo. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato non sono soggetti all'azione revocatoria di cui all'articolo 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. A seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili a norma dell’articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 7.

Inquadramento

La norma disciplina, come da rubrica, la fase dell'omologazione dell'accordo, in esito al conseguimento del quorum di consensi di cui al precedente art. 11.

In primo luogo viene tracciato lo schema procedimentale, che si sviluppa – salvo il rimando, ancora una volta, alle forme camerali (artt. 737 c.p.c.) – con il coinvolgimento dell'Organismo di composizione della crisi, deputato a indirizzare una relazione ai creditori, i quali sono chiamati, a loro volta, a sollevare eventuali contestazioni entro un termine di giorni dieci, decorso il quale l'Organismo trasmette al giudice la propria relazione finale, comprensiva delle contestazioni pervenutegli e di un'attestazione di fattibilità.

In secondo luogo, viene descritto il tipo e il contenuto del controllo che il giudice è messo in condizione di esercitare nella fase in discorso e in funzione dell'omologa.

Ancora, viene sancita la regola della generale obbligatorietà per i creditori concorsuali dell'accordo omologato, cui fa da pendant la regola dell'inibitoria delle azioni esecutive per quelli posteriori.

Sono disciplinati, altresì, sia in punto di presupposti che di modalità, le ipotesi di risoluzione dell'accordo, in ragione del mancato adempimento dei debiti o dell'intervenuta sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore.

Infine, è fissata la regola della prededucibilità dei crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell'accordo omologato.

Forme camerali

Anche il giudizio di omologazione dell'accordo si svolge nelle forme del procedimento camerale, con l'applicazione, in quanto compatibili, degli artt. 737 e ss. c.p.c. Il giudizio di omologazione è estremamente scarno e destrutturato. Fa difetto una precisazione nel senso della necessità di disporre la comparizione dei creditori e/o comunque di sentirli. L'espressa previsione del comma 2 circa l'applicazione delle norme sul rito camerale (artt. 737 e ss.) sembrerebbe imporre al giudice di assicurare (e di «dosare») nondimeno un minimum di contraddittorio.

Il richiamo ai procedimenti in camera di consiglio radica in capo al giudice la facoltà di assumere informazioni a norma dell'art. 738 c.p.c. Al riguardo è d'uopo tenere conto che l'art. 18 l.fall. (v. relativo commento) assegna al magistrato l'opportunità, per lo svolgimento dei propri compiti, di accedere ai dati contenuti nell'anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche, nel rispetto delle disposizioni contenute nel codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d.lgs. n. 196/2003 e del codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti di cui alla deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali n. 8/2004.

Contestazioni dei creditori

Ai sensi del comma 1 della norma in commento, raccolte le adesioni dei creditori, l'Organismo di composizione della crisi elabora una relazione sui consensi e sul raggiungimento della percentuale utile all'approvazione della proposta; detta relazione è trasmessa ai creditori, in uno al testo definitivo dell'accordo.

Insieme alla relazione, è ragionevole ritenere che l'Organismo inoltri anche la propria attestazione di fattibilità, in quanto la medesima rientra nei compiti ad esso demandati anche in funzione della piena informazione da parte di creditori.

I creditori sono legittimati a sollevare contestazioni, il che, in considerazione dell'ampiezza del testo normativo (privo di distinguo e precisazioni), implica che siano formulabili rilievi tesi ad investire tutti i presupposti e i requisiti sostanziali, procedurali ed organizzativi concernenti l'accesso alla procedura (artt. 7 e 9 l. n. 3/2012) nonché l'aspetto della «meritevolezza» del debitore e il profilo della fattibilità del piano. Poiché nella procedura in oggetto non sono applicabili le previsioni dell'art. 160, comma 1, lett. c), e comma 2, l.fall., l'ambito delle possibili contestazioni da parte dei creditori non può intercettare la correttezza dei criteri di formazione delle classi e/o la violazione delle cause legittime di prelazione.

È da dire che i creditori che hanno espresso il loro consenso paiono legittimati a promuovere contestazioni solo per fatti nuovi o non conosciuti rispetto al momento in cui il consenso è stato prestato.

Nulla è precisato circa le modalità della comunicazione delle contestazioni, che si ritiene possano essere trasmesse conformemente al comma 1 dell'art. 11. Il termine non è perentorio.

Le contestazioni vanno avanzate nei dieci giorni successivi al ricevimento della relazione; decorso il tempo utile, l'Organismo trasmette la relazione al giudice, allegando le contestazioni ricevute e l'attestazione di fattibilità del piano.

Vaglio del tribunale

Il vaglio del giudice sembra riproporre le coordinate che contrassegnano l'intervento giurisdizionale nelle procedure di concordato preventivo.

Prevale pure in questa fase l'aspetto inerente alla legittimità, con la valutazione relativa alla presenza dei presupposti di ammissibilità della procedura, agli aspetti che condizionano la regolarità del procedimento, al pieno rispetto delle norme imperative, alla fattibilità giuridica nell'accezione accolta dalla giurisprudenza di legittimità (v. Cass. S.U., n. 1521/2013, in tema di concordato con cessione dei beni).

Come chiarito da acuta giurisprudenza di merito qualora non vi sia alcuna contestazione, da parte dei creditori concorsuali, sulla proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento, la valutazione del giudice non può inerire la convenienza della proposta di soddisfacimento rispetto all'alternativa del pagamento derivante da liquidazione concorsuale del patrimonio del debitore, ma deve essere attinente alla sua legittimità e fattibilità, intesa, quest'ultima, nel senso di idoneità degli accordi a soddisfare i creditori come da proposta (Trib. Bergamo, 31 marzo 2015).

La questione si complica ove le contestazioni vi siano state, trattandosi in tal caso di dare una diversa dimensione e latitudine al controllo demandato al tribunale.

Il comma 2 della norma in commento stabilisce che il giudice omologa l'accordo quando, risolta ogni contestazione, ha verificato il raggiungimento della percentuale di legge e l'idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili nonché dei crediti tributari ex art. 7, comma 1, terzo periodo, l. n. 3/2012. Il vaglio d'indoneità è uno snodo essenziale: si è, per esempio, osservato che il piano di composizione della crisi da sovraindebitamento, il quale preveda l'accantonamento mensile di una frazione di retribuzione già oggetto di precedente cessione (e, pertanto, indisponibile per il debitore cedente), non può essere omologato (Trib. Torino, 30 settembre 2015).

Se le contestazioni siano state avanzate, il giudice investito della procedura, una volta verificato che la proposta ha conseguito il consenso dei creditori e la piena attitudine e funzionalità del piano ad assicurare il pagamento «regolare» dei crediti impignorabili e quello «integrale», eventualmente dilazionato, dei crediti tributari descritti all'art. 7, comma, l. n. 3/2012 è chiamato, peraltro, a risolvere le contestazioni dei creditori non aderenti, di quelli esclusi e di qualsiasi altro interessato anche sul rimarchevole profilo della convenienza della proposta, potendo quest'ultimo essere attinto dai rilievi dei menzionati soggetti.

Il diritto di contestare la convenienza dell'accordo, diversamente da quanto accade in ambito concordatario preventivo, è attribuito a ciascun creditore, a prescindere, peraltro, dalla percentuale del credito vantato.

Il giudice, dal canto suo, è preposto ad un ruolo tutt'altro che agevole, che si declina nell'espressione di in un vero e proprio giudizio sulla convenienza dell'accordo, teso alla verifica dell'effettività della lesione, per il tramite dell'accordo, del diritto del creditore ad essere soddisfatto almeno nella percentuale che otterrebbe nell'alternativa procedura di liquidazione.

In buona sostanza, qualora vi siano contestazioni circa la convenienza da parte di un creditore che non ha aderito (o che risulta escluso) o di qualunque altro interessato, è previsto un meccanismo di rigoroso cram down, in base al quale il giudice può pervenire comunque all'omologazione dell'accordo, qualora reputi che il credito possa essere soddisfatto dall'esecuzione in misura non inferiore all'alternativa liquidatoria di cui agli artt. 14-ter e ss.

Pure in questo caso, affiancando la disciplina a quella del concordato preventivo, si è ritagliato in capo al giudice il potere di disattendere le contestazioni creditorie, allorché si palesi certo che l'esito della liquidazione dei beni non possa prognosticamente sortire un risultato migliore di quello consentito dall'accordo.

In quest'evenienza non si hanno parametri sicuri di raffronto tenuto conto che nella procedura liquidatoria possono intervenire elementi accidentali e imprevedibili che influiscono sensibilmente sul risultato.

Tuttavia, il giudice non potrà che muovere dalla stima dell'intero patrimonio del debitore e non solo del complesso dei beni destinati da quest'ultimo alla realizzazione dell'accordo.

Natura e regime del decreto di omologa

Risolte le contestazioni pervenute, il giudice può omologare o non omolgare l'accordo con decreto motivato che, in entrambi i casi, è reclamabile dinanzi al tribunale che decide in composizione collegiale senza che del collegio possa far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento (v. ultimo periodo del comma 2). Il termine per il reclamo è, secondo la previsione generale dell'art. 739 c.p.c., di dieci giorni.

Il decreto non sembrerebbe ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, del resto, che il decreto reiettivo del reclamo avverso il provvedimento di rigetto dell'ammissibilità del piano del consumatore di cui agli artt. 6, 7, comma 1-bis, ed 8 l. n. 3/2012, non precludendo a quest'ultimo – benché nei limiti temporali previsti dall'art. 7, comma 2, lett. b), della medesima legge – di presentare un altro e diverso piano di ristrutturazione dei suoi debiti, è privo dei caratteri della decisorietà e definitività, sicché non è ricorribile per cassazione (Cass. n. 1869/2016).

L'omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta (comma 3-bis), in chiara corrispondenza con la procedura del concordato preventivo. Il termine è di natura chiaramente ordinatoria. Fanno difetto, del resto, conseguenze sanzionatorie, risolvendosi la regola in un'enunciazione di principio.

Effetti dell'omologa

Il comma 2 prescrive, in riferimento al decreto di omologa, l'esecuzione della pubblicità di cui all'art. 10, comma 2, l. n. 3/2012.

Gli effetti dell'omologazione si dispiegano nei confronti di tutti i creditori anteriori alla pubblicità del decreto di apertura ex art. 10, comma 2, l. n. 3/2012 nei confronti dei quali l'omologazione è obbligatoria e idonea a modificare termini e condizioni di pagamento conformemente al contenuto del piano accettato dal sessanta per cento dei creditori.

La norma, che riconduce ontologicamente la composizione della crisi da sovraindebitamento nel quadro delle procedure concorsuali smarcandola dall'approccio consensualistico degli esordi, costituisce un profilo alquanto significativo per l'efficacia di questo strumento, congegnandone la possibilità di ristrutturare coattivamente il debito nei confronti della globalità dei creditori, una volta ottenuto il consenso sulla proposta da parte di una loro maggioranza, sia pure qualificata. La medesima norma dispone, altresì, la segregazione a favore dei soli creditori concorsuali dei beni oggetto del piano, essendo preclusa ai creditori posteriori ogni tentativo di soddisfazione forzata su questi. L'accordo si atteggia alla stregua di «piccolo concordato», riprendendone la fisionomia e la caratterizzazione esdebitatoria saliente.

In definitiva, tutti i creditori vedono falcidiati i propri crediti in ragione del contenuto della proposta. La parte del credito eccedente viene contrassegnata, di lì in avanti, dall'inesigibilità, caratteristica che, peraltro, non determina l'estinzione del credito medesimo, con la conseguenza della permanente legittimazione del singolo titolare della pretesa a farne valere la parte insoddisfatta nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore o obbligati in via di regresso (art. 11, comma 3, l. n. 3/2012).

La disciplina primigenia del sovraindebitamento faceva riferimento ad un accordo (con il necessario assenso dei creditori che rappresentassero almeno il settanta per cento dei crediti) che non era vincolante per i creditori ad esso rimasti estranei, non formandosi, infatti, una maggioranza in grado di vincolare la minoranza.

Ai sensi dell'art. 12, comma 3, novellato l'accordo omologato è, invece, oggi obbligatorio per tutti i creditori, quand'anche non aderenti, che siano anteriori rispetto alla pubblicità della proposta e del decreto di fissazione di udienza ai sensi dell'art. 10, comma 1, l. n. 3/2012.

Secondo l'attuale configurazione, l'accordo di composizione della crisi si inserisce, in definitiva, nell'ambito delle procedure di tipo concordatario mirate a realizzare meccanismi di composizione «privata» della crisi delle quali ripete i benefici, tra cui, precipuamente, l'efficacia universale dell'accordo tra debitore e creditori. Ciò per quanto mostri un meccanismo di voto peculiare, che si compie e si esaurisce addirittura dieci giorni prima dell'udienza.

Fa difetto una specifica previsione sugli effetti dell'accordo nei confronti dei soci illimitatamente responsabili per l'ipotesi in cui l'accesso alla procedura abbia riguardato una società di persone. La lacuna non può che essere risolta in base all'applicazione analogica dell'art. 184, comma 2, l.fall. che estende ai soci in questione l'efficacia esdebitatoria della procedura concorsuale intrapresa dalla società. Va, del resto, considerato che, a differenza che nel concordato preventivo, il socio illimitatamente responsabile è legittimato finanche a proporre un'autonoma domanda di ammissione alla procedura ex lege n. 3/2012, atta a permettergli di evitare di rispondere con tutto il patrimonio personale dei residui debiti sociali.

Ai sensi del comma 3, l'accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità disposta dal giudice ai sensi dell'art. 10, comma 2, l. n. 3/2012 e i creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano dalla sua data, si palesa inapplicabile, sul piano dell'efficacia, l'art. 739 c.p.c.

Cessazione degli effetti

Secondo il comma 4 della norma in commento, gli effetti dell'accordo vengono meno in caso di sua risoluzione o di mancato pagamento dei creditori impignorabili e di quelli di cui all'articolo 7, comma 1, terzo periodo, l. n. 3/2012. L'accertamento di detto mancato pagamento è chiesto al giudice con ricorso, che va deciso anch'esso in camera di consiglio a norma degli artt. 737 e ss. c.p.c. L'omissione di pagamento concerne, peraltro, i singoli creditori, non già l'intera categoria.

Non ne è fatta espressa menzione, ma è consustanziale al sistema che, nelle ipotesi di non regolare adempimento degli obblighi derivanti dall'accordo, di mancata costituzione delle garanzie promesse o di esecuzione dell'accordo divenuta impossibile per ragioni non imputabili al debitore, ogni creditore sia facoltizzato a chiedere al tribunale la risoluzione dell'accordo.

L'incipit del comma 5 dell'art. 12, comma 5, l. n. 3/2012 prevede che la sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore «risolve l'accordo» e che gli atti posti in essere in esecuzione dell'accordo non sono soggetti a revocatoria, mentre i crediti legittimamente sorti sono prededucibili. In particolare, ai sensi del secondo periodo del comma 5 non sono revocabili atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell'accordo omologato; ai sensi del terzo e ultimo periodo del comma anzidetto «a seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i crediti derivanti da finanziamenti effettuati in esecuzione o in funzione dell'accordo omologato sono prededucibili a norma dell'articolo 111 del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267».

Il riferimento alla risoluzione dell'accordo per intervenuto fallimento contempla, all'evidenza, una regolamentazione delle ipotesi estreme in cui il soggetto che abbia invocato l'accesso ai rimedi esdebitatori della legge n. 3/2012, si sia rivelato successivamente fallibile e quindi sia stato erroneamente ammesso alla procedura. Altra fattispecie ipotizzabile è quella in cui il soggetto ammesso abbia avviato, in costanza di procedura ex lege 3/2012, un'attività di impresa. Ultimo caso sembra essere quello in cui un soggetto non fallibile di per sé, sia nondimeno fallito per «ripercussione» del fallimento altrui, il che accade per il socio illimitatamente responsabile di società di persone.

In tal guisa, il legislatore ribadisce, dunque, la prevalenza del fallimento, anche se dichiarato successivamente, sulla procedura di composizione concordata. Analoga norma non è, peraltro, prevista per la procedura di liquidazione dei beni, con il conseguente problema del coordinamento con una eventuale dichiarazione di fallimento (o della stessa ammissibilità di una dichiarazione di fallimento successiva, trattandosi di una procedura liquidatoria per molti versi analoga al fallimento).

Bibliografia

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