Legge - 27/01/2012 - n. 3 art. 10 - Procedimento

Salvo Leuzzi

Procedimento

 

1. Il giudice, se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli articoli 7, 8 e 9, fissa immediatamente con decreto l'udienza, disponendo la comunicazione, almeno trenta giorni prima del termine di cui all' articolo 11, comma 1, ai creditori presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto [ contenente l'avvertimento dei provvedimenti che egli può adottare ai sensi del comma 3 del presente articolo]. Tra il giorno del deposito della documentazione di cui all' articolo 9 e l'udienza non devono decorrere più di sessanta giorni1.

2. Con il decreto di cui al comma 1, il giudice:

a) stabilisce idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto, oltre, nel caso in cui il proponente svolga attività d'impresa, la pubblicazione degli stessi nel registro delle imprese;

b) ordina, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura dell'organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti;

c) dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore; la sospensione non opera nei confronti dei titolari di crediti impignorabili2.

3. All'udienza il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto di cui al comma 1 e ordina la cancellazione della trascrizione dello stesso, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta3.

3-bis. A decorrere dalla data del provvedimento di cui al comma 2 e sino alla data di omologazione dell'accordo gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto4.

4. Durante il periodo previsto dal comma 2, lettera c), le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano5.

5. Il decreto di cui al comma 1 deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento6.

6. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile. Il reclamo si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento.

Inquadramento

L'art. 10 disciplina, come da rubrica, il procedimento riguardante la composizione delle crisi da sovraindebitamento, riconducendolo, salvo i necessari adattamenti, alle forme camerali di cui all'art. 737 c.p.c. e precisando le modalità del reclamo e la relativa competenza.

La procedura prevede l'effettuazione di un preventivo giudizio di ammissibilità, al cui esito favorevole fa seguito la fissazione di una apposita udienza, nel cui contesto il giudice accerta l'eventuale presenza di iniziative o atti in frode ai creditori.

La norma traccia taluni effetti rilevanti correlati all'emissione del decreto che calendarizza l'udienza: innanzitutto è delineato uno «spossessamento attenuato» a carico del debitore, nella misura in cui diventa necessario il conseguimento dell'autorizzazione del giudice ai fini del compimento degli atti di straordinaria amministrazione; in secondo luogo, sono previsti la sospensione delle prescrizioni e il blocco delle decadenze; infine, è sancita l'equiparazione del decreto «d'apertura» al pignoramento.

Forme camerali

A tenore del comma 6 della norma, il procedimento in questione si svolge secondo il rito camerale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c. dinanzi al tribunale in composizione monocratica, in deroga alla riserva di collegialità dei procedimenti in camera di consiglio di cui all'art. 50 c.p.c.

A questa conclusione si perviene sul rilievo che la citata disposizione, deviando dal modulo procedimentale richiamato, prevede espressamente che i provvedimenti resi dal giudice possono essere fatti oggetto di reclamo, non già dinanzi alla corte d'appello, ma presso il tribunale, in composizione collegiale, della quale non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento gravato.

Al netto del richiamo alla cameralità, il procedimento ora in discorso è descritto in maniera estremamente sommaria. Si tratta certamente dello svolgimento di un rito camerale a carattere contenzioso, dovendosi ragionevolmente ritenere che i provvedimenti che il giudice assume in tale sede (sia inaudita altera parte, sia in contraddittorio dei creditori e del debitore) sono idonei ad incidere su diritti.

Rimane dubbio se il procedimento implichi l'assistenza tecnica del difensore. Il suo accennato impianto contenzioso sembrerebbe postularla, laddove la facoltatività parrebbe, di contro, meglio compatibile con la sua struttura sommaria e semplificata. In giurisprudenza si è sottolineata la necessità dell'assistenza tecnica di un difensore, valorizzando l'esistenza di una domanda giudiziale diretta a comporre una crisi finanziaria che vede una contrapposizione di interessi e diritti e la circostanza che il ricorso è introduttivo di una procedura, almeno potenzialmente contenziosa, che si sviluppa innanzi al tribunale (v. Trib. Vicenza, 29 aprile 2014, che, peraltro, evidenzia che l'assistenza del difensore non è necessaria nell'eventualità in cui nell'Organismo di composizione della crisi, che concretamente presenta la domanda al tribunale, vi sia anche un legale che se ne faccia carico, curando tutti gli aspetti tecnici della stessa).

Vaglio di ammissibilità

Ai sensi del comma 1 della norma, il giudice deve primariamente accertare se la proposta soddisfi o meno i requisiti previsti dagli artt. 7 e 9 l. n. 3/2012. Si tratta dei presupposti di ammissibilità.

Il controllo del tribunale in questa fase sembra profilarsi, in linea di principio, di mera legittimità, limitandosi il magistrato a verificare che siano allegati i documenti richiesti dal precedente art. 9 l. n. 3/2012, compresi, chiaramente, il piano e l'attestazione della sua fattibilità.

Nondimeno, è anche vero che l'art. 10 richiama l'art. 8 l. n. 3/2012, che a sua volta contempla al comma 2 l'attestazione relativa alla fattibilità del piano tra la documentazione da allegare al ricorso. La fattibilità del piano, in questa fase, appare, dunque, valutabile sia pure sotto i ristretti, ma non marginali, profili della logicità dell'attestazione e della coerenza della relazione dell'organismo attestatore. In altri termini, dell'attestazione dell'Organismo, il giudice saggerà rigore logico e completezza, verificando in tal guisa la ragionevolezza e l'attendibilità della proposta, che dovrà mostrarsi sufficientemente comprensibile, articolata e completa.

In questa fase si mostra, dunque, avulso dall'alveo del controllo rimesso al giudice l'accertamento, nel merito, della realizzabilità in concreto del piano, mentre la convenienza dell'accordo deve da lui essere valutata solo successivamente, ai fini dell'omologazione e in caso di contestazioni mosse dai creditori (v. art. 12, comma 2, l. n. 3/2012).

Sulla fattibilità del piano è, d'altronde, deputato ad esprimersi l'Organismo di composizione della crisi che, in caso di accordo con continuità aziendale, deve quindi accertare se l'attività d'impresa possa essere utilmente proseguita e se, a tale fine, siano o meno necessari gli interventi proposti che, quando di straordinaria amministrazione, il tribunale dovrà puntualmente, se del caso, autorizzare.

La domanda non sarà ammissibile – come ribadito espressamente dall'art. 7, comma 2 – quando il debitore: è soggetto a procedure concorsuali diverse da quelle previste dalla legge sul sovraindebitamento; ha già fatto ricorso a queste ultime nei precedenti cinque anni; ha subito, per cause a lui imputabili, uno dei provvedimenti di cui agli artt. 14 e 14-bis l. n. 3/2012; ha fornito documentazione che non consente di ricostruire compiutamente la sua situazione economica e patrimoniale; non rivela uno stato di sovraindebitamento; ha formulato una proposta che non riene conto dei vincoli previsti dall'art. 7, comma 1, in relazione ai crediti impignorabili, ai crediti assistiti da privilegio, pegno ed ipoteca, nonché a taluni crediti fiscali.

In buona sostanza, il giudice è chiamato ad appurare la sussistenza di requisiti formali dell'istanza, la sua tempistica, la documentazione allegata.

Nella giurisprudenza di merito si è osservato che, nell'ambito di una procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento, riguardante un consumatore, al giudice spetta in primo luogo la verifica circa l'esistenza del presupposto soggettivo, integrato dalla qualità di consumatore, e del presupposto oggettivo del sovraindebitamento, nelle due diverse forme in cui può essere integrato; in secondo luogo la verifica inerente alla elaborazione di un piano, a contenuto libero e atipico, di soddisfacimento del ceto creditorio; va ulteriormente accertata la presenza delle condizioni di ammissibilità formali, cioè di tutti i documenti che devono accompagnare la proposta di piano (Trib. Bergamo, 16 dicembre 2014).

Decreto di fissazione d'udienza

Ai sensi dell'art. 10, commi 1 e 3, sulla domanda il giudice si pronuncia immediatamente con decreto senza che si realizzi alcun contraddittorio con i creditori, che al contrario è rinviato ad una successiva udienza stabilita con lo stesso provvedimento che ammette il debitore alla procedura e che, in ragione del richiamo degli artt. 737 ss. c.p.c., è revocabile e modificabile.

Qualora la verifica si concluda in senso positivo, il giudice fissa immediatamente con decreto l'udienza, disponendo la comunicazione ai creditori, a cura dell'Organismo di composizione della crisi (v. art. 17, ultimo comma), presso la residenza o la sede legale, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, della proposta e del decreto contenente l'avvertimento dei provvedimenti che egli può adottare ai sensi e per gli effetti del comma 3 dell'art. 10. Tra il deposito della documentazione e l'udienza non devono decorrere più di 60 giorni.

Sembra potersi ritenere che in virtù della disamina dell'«attestazione di fattibilità del piano» e della «relazione particolareggiata», qualora l'istanza provenga dal consumatore (art. 9, comma 2), il giudice che constati la mancanza dei requisiti fissati per legge e rilevi prima facie la non fattibilità del piano, può finanche di negare la fissazione dell'udienza con una pronuncia che può essere tanto di inammissibilità (per mancanza di presupposti formali) quanto di infondatezza (quando il piano non è «fattibile»).

Del resto, la connotazione scarna del rito, espressa dal generico, menzionato rinvio agli artt. 737 ss. c.p.c., implica che la fissazione dell'udienza non sia indefettibile, potendo accadere che il giudice ometta di fissarla rigettando l'istanza (o dichiarandola inammissibile) con decreto, per manifesta insussistenza dei presupposti per l'apertura della procedura. È possibile, peraltro, che in seguito al rigetto dell'istanza, all'udienza si approdi in quanto siano le parti stesse (il debitore, ma anche il creditore che abbia interesse) a farne richiesta. In tal caso, il contraddittorio sarebbe assicurato dietro impulso del debitore o dei creditori.

In tal senso, è ragionevole che il giudice, pure vagliando l'opportunità di non dare corso all'istanza, nondimeno fissi comunque l'udienza, al solo fine di formalizzare il rigetto dopo aver sentito i creditori.

Il decreto assume un contenuto articolato, posto che con esso, ai sensi del comma 2 della norma in commento, il giudice: a) stabilisce idonea forma di pubblicità della proposta e del decreto e dispone la pubblicazione degli stessi nel registro delle imprese qualora il proponente svolga attività d'impresa; b) ordina, ove il piano preveda la cessione o l'affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura dell'organismo di composizione della crisi, presso gli uffici competenti; c) dispone che sino al momento in cui il provvedimento di omologazione non diventi definitivo, non possano, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore, ad eccezione di quelli titolari di crediti impignorabili. Come per gli accordi di ristrutturazione, ci troviamo al cospetto di un sistema volto a tutelare i creditori aventi titolo o causa anteriore, che non siano titolari di crediti impignorabili, evitando la dispersione del patrimonio del debitore nelle more del perfezionamento della procedura di composizione della crisi.

Durante questo stesso periodo di tempo rimangono sospesi i termini di prescrizione e le decadenze non si verificano. Ad un'interpretazione letterale, la limitazione in esame non opera per i sequestri giudiziari e penali.

Dunque è precipuamente stabilito che con il decreto del giudice previsto nel comma 1 è assicurata idonea forma di pubblicità alla proposta e al decreto medesimo. Non sono previste forme vincolate, ma del tutto libere. Non sono scanditi termini inderogabili. Qualora il proponente svolga attività di impresa, sia la proposta che il decreto andranno pubblicati anche in apposita sezione del registro delle imprese.

In applicazione dell'art. 742 c.p.c., deve ritenersi che il decreto sia suscettibile di modifica e revoca ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso, perlomeno fino a quando esso non sia divenuto definitivo, perché non più impugnabile.

Effetti del decreto

Viene in simmetria con l'automatic stay di cui all'art. 168 l.fall. in materia di concordato preventivo, che, per non oltre centoventi giorni, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. Il divieto concerne tutti i creditori, che aderiscano o meno all'accordo, posto che il divieto concerne i creditori aventi titolo o causa anteriore. La nullità prevista come conseguenza della violazione del divieto è operante anche con riferimento alle iniziative proprie dei creditori anteriori prese dopo la misura inibitoria del giudice.

L'effetto sospensivo non è correlato ad una valutazione di periculum effettuata caso per caso con riferimento a ciascuna esecuzione individuale pendente, risolvendosi, del resto, il provvedimento nell'interposizione di un divieto generalizzato con funzione latamente conservativa del patrimonio del debitore, in quanto oggetto di un piano di risanamento.

Può succedere che i provvedimenti protettivi dell'art. 10, comma 2, lett. c) non siano assunti nella fase a contraddittorio non integro, ma solo in esito alla celebrazione dell'udienza. Benché detta ipotesi non sia contenuta dalla norma, essa è ben immaginabile in ragione della deformalizzazione del rito. Il ragguardevole effetto che produce la decisione del giudice lascia presupporre che quest'ultimo sia facoltizzato a posticiparla rispetto all'audizione dei creditori, nell'ottica di verificarne la disponibilità di massima verso l'accordo.

La disposizione sul «blocco» delle azioni esecutive non trova applicazione, peraltro, nei confronti dei titolari di crediti impignorabili. Dalla norma si ricava, al netto di detta eccezione, che dalla presentazione della proposta di accordo, e anche dalla pronuncia del decreto che fissa l'udienza, non deriva lo spossessamento per il debitore, che pertanto conserva amministrazione e disponibilità dei propri beni, con il divieto ex comma 3 di compiere atti in frode ai creditori o che comunque li danneggino.

Gli effetti patrimoniali del decreto col quale il tribunale, espletati i controlli già indicati, apre la procedura, diversamente dal concordato preventivo (v. art. 169) e dagli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, decorrono non dalla data della pubblicazione del ricorso (o, addirittura, dal frangente ancora antecedente, rispettivamente scandito dall'art. 161, comma 6, e dall'art.182-bis, comma 6, l.fall.), ma dal decreto di apertura che deve intervenire entro sessanta giorni dal deposito della proposta (art. 10, comma 6). Tale scelta non è immune da pericoli, posto che il differimento dell'attivazione dei rimedi protettivi apre alla possibilità di iniziative tese ad alterare la consistenza e la composizione del patrimonio destinato alla realizzazione dell'accordo.

Pur non essendovi spossessamento del debitore, vi è divieto – ai sensi del medesimo comma 2, lett. c), di acquistare diritti di prelazione, peraltro senza facoltà di deroga come ammesso dall'art. 182-bis l.fall. per gli accordi di ristrutturazione.

Con disposizione analoga a quella di cui all'art. 168, comma 2, l.fall. in materia di concordato preventivo, il comma 4 dell'art. 10 dispone che, durante il periodo previsto nel precedente comma 3 (centoventi giorni o minor termine stabilito dal giudice) le prescrizioni rimangono sospese e le decadenze non si verificano.

In forza del comma 3-bis, a decorrere dalla data del decreto di fissazione dell'udienza per l'approvazione dell'accordo e sino alla data di omologazione dello stesso, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti senza l'autorizzazione del giudice sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità del decreto. Se ne ricava che, pur non venendo in rilievo uno spossessamento, si registra un affievolimento nella piena disponibilità dei propri beni da parte del debitore, che è tenuto a conseguire l'autorizzazione del giudice per compiere determinati atti suscettibili di tradursi in una deminutio patrimonii. La regolamentazione dei controlli dell'attività, al pari della cristallizzazione del patrimonio debitorio al momento dell'apertura del procedimento, è funzionale ad agevolare la realizzazione del piano. Il debitore, una volta aperta la procedura, non può pagare i creditori anteriori regolarmente, bensì solo nei limiti, anche temporali, indicati nella proposta; eventuali deroghe alla regola devono essere autorizzate dal giudice come atti eccedenti l'ordinaria amministrazione una volta accertata la convenienza del pagamento per i creditori.

Sempre sul piano degli effetti, il comma 5 della norma in commento dispone che il decreto di fissazione dell'udienza per l'approvazione dell'accordo «deve intendersi equiparato all'atto di pignoramento». Ciò implica che, dopo la fissazione dell'udienza, eventuali atti di disposizione compiuti in difformità dal piano di risanamento sono del tutto inefficaci nei riguardi dei creditori anteriori al provvedimento (del resto, ai sensi dell'art. 12, comma 3, l. n. 3/2012 l'accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori all'apertura del procedimento, e che i creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano). La norma mira a cristallizzare il patrimonio del debitore al momento del decreto rendendolo refrattario agli atti dispositivi precedenti le cui formalità non siano ancora state eseguite.

Nell'udienza anzidetta, il giudice è tenuto ad accertare, in primo luogo, la propria competenza territoriale avuto riguardo al criterio di cui all'art. 9, comma 1; in secondo luogo, ad appurare l'effettiva assistenza del debitore da parte di un Organismo di composizione della crisi iscritto nell'apposito registro previsto nell'art. 15, comma 2, l. n. 3/2012 e avente sede nel medesimo circondario o, nel periodo transitorio, di un professionista nominato a mente dell'art. 20, comma 2, l. n. 3/2012.

Il giudice controllerà, poi, la sussistenza di una situazione di sovraindebitamento, come richiesto dall'art. 7, comma 1 e definito dall'art. 6, comma 2, l. n. 3/2012 e, parallelamente, la non assoggettabilità del richiedente alle procedure concorsuali della legge fallimentare o a quelle concorsuali amministrative.

La proposta di ammissione alla procedura di composizione può essere favorevolmente apprezzata solo ove venga accertata – al momento del deposito della proposta stessa – l'impossibilità di avviare una procedura concorsuale diversa, circostanza che può essere accertata anche dal giudice al momento della domanda di designazione dell'Organismo di composizione della crisi in presenza di elementi sufficienti in tal senso (Trib. Milano, 13 ottobre 2015: nel caso di specie l'istanza è stata dichiarata inammissibile in quanto il ricorrente era ancora assoggettabile a fallimento non ricorrendo le soglie quantitative di cui all'art. 1, comma 2, l.fall. e non era ancora decorso l'anno dalla sua cancellazione dal Registro delle imprese ex art. 10 l.fall.).

Il magistrato controllerà la mancanza di analoghe procedure da sovraindebitamento, in favore del proponente, nel triennio precedente la proposta, come richiesto dall'art. 7.

Infine, il giudice assoderà che sia avvenuta la formulazione di un piano di ristrutturazione dei debiti che preveda le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori, in uno all'effettuazione del deposito dei documenti richiesti dall'art. 9, commi 2 e 3.

In esito all'udienza, il giudice potrà revocare il provvedimento di ammissione anche per la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori (comma 3) (v. Trib. Reggio Emilia, 11 marzo 2015: nel caso di specie il debitore aveva costituito un trust caratterizzato da intenti elusivi).

Successivamente all'instaurazione del contraddittorio la verifica, dunque, si estende al profilo della meritevolezza del debitore, dell'assenza cioè di iniziative o atti in frode ai creditori. Oltre alla meritevolezza verranno, peraltro, in rilievo la veridicità, la congruità e l'attualità dei dati, che, finendo per influire sul contenuto della proposta, potranno essere verificate nell'udienza, in contraddittorio tra le parti e sulla scorta delle informazioni acquisite dai creditori e dallo stesso organismo di composizione della crisi, posto che il giudice, del resto, è chiamato ad accertare il compimento di atti in frode ai creditori e, se del caso, a revocare il decreto di apertura della procedura, quindi i provvedimenti protettivi assunti nella fase inaudita altera parte.

I provvedimenti previsti nell'art. 10 sono, in definitiva, pronunciati e confermati solo in assenza di iniziative o atti in frode ai creditori; gli atti in frode ai creditori possono ricavarsi dalla documentazione allegata, mentre l'espressione «iniziative» sembra fare riferimento ad attività successive. Per stabilire se vi siano tali elementi ostativi alla pronuncia dei provvedimenti consentiti, il giudice monocratico deve avere la facoltà di compiere determinati accertamenti, per cui può ritenersi applicabile l'art. 738 c.p.c. circa le informazioni che possono essere richieste dal giudice nei procedimenti in camera di consiglio.

Il comma 1 della norma in commento non prevede che nel decreto sia contenuto l'invito ai creditori a partecipare all'udienza. La comparizione dei creditori non è, pertanto necessaria, ma deve ritenersi facoltativa, posto che l'adesione alla proposta del debitore va fatta pervenire all'Organismo di composizione della crisi anche in separata sede.

Benché non sia prevista la comunicazione del provvedimento giudiziale al debitore, la stessa deve ritenersi imprescindibile già avuto riguardo ai principi generali, essendo il debitore parte del procedimento.

Fa difetto un'esplicita previsione in relazione alle conseguenze del vaglio negativo del giudice in punto di sussistenza dei requisiti di ammissibilità.

Nulla osta a reputare percorribile l'opportunità, rimessa alla discrezionale valutazione del giudice, di invitare il debitore ad integrare la documentazione lacunosa, alla medesima stregua di quanto l'art. 162, comma 1, espressamente consente in materia di concordato preventivo.

Qualora il giudice, nondimeno, ritenga di non accordare il termine di «recupero» oppure il medesimo non sia proficuamente adoperato, deve ritenersi fisiologica la definizione del procedimento attraverso un provvedimento di inammissibilità del ricorso. Detto provvedimento sarà reclamabile, ai sensi dell'art. 739 c.p.c., dinanzi al tribunale collegiale e del collegio non farà parte il magistrato che lo ha pronunciato (così testualmente il comma 6). Poiché la pronuncia non preclude la riproponibilità della domanda, sembrerebbe doversi escludere la ricorribilità in cassazione ex art. 111, comma 7, Cost..

Nel caso speculare in cui sia stato emesso il decreto di ammissione e lo stesso abbia trovato conferma pure in esito alla successiva udienza ex art. 10, comma 3, è ben ipotizzabile che il mezzo del reclamo sia utilizzabile da parte dei creditori che hanno partecipato all'udienza e da parte di altri soggetti interessati. In tal caso, la persistente possibilità di contestare l'ammissibilità della domanda anche in sede di omologazione dovrebbe escludere l'impiego del ricorso straordinario in cassazione.

Il generico riferimento al «reclamo», contenuto nell'art. 10, comma 6, pare consentire l'impugnazione del decreto anteriore all'udienza, non meno che di quello pronunciato all'esito dell'udienza.

Avverso la decisione emessa in sede di reclamo è ipotizzabile il ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., attesa la natura decisoria del provvedimento. A questa conclusione sembra frapporsi la modificabilità e revocabilità del decreto di prime cure e, di riflesso, di quello reso in esito al procedimento di reclamo.

Sul piano dei rapporti con le altre procedure concorsuali è da dire che la domanda di composizione della crisi da sovraindebitamento mediante accordo non può esser proposta prima della decisione sulla domanda di ammissione al concordato preventivo.

Va, inoltre, rilevato che, sebbene la dichiarazione di fallimento risolva l'accordo (art. 12, comma 5, l. n. 3/2012), la pendenza di una prefallimentare non è incompatibile con il ricorso alla legge n. 3/2012, atteso che il debitore invocherà l'ammissione alla relativa procedura sul presupposto della propria «non fallibilità».

Celebrazione dell'udienza

All'udienza, il giudice, accertata la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori, dispone la revoca del decreto stesso e ordina la cancellazione del medesimo, nonché la cessazione di ogni altra forma di pubblicità disposta (v. comma 3). Pare esser soltanto questo della verifica in ordine alla sussistenza di atti in frode l'oggetto dell'udienza, dovendosi escludere che quest'ultima accolga un'adunanza dei creditori, dedicata all'illustrazione, alla discussione ed alla votazione della proposta di accordo, che nella fattispecie risulterebbe del tutto priva di senso, sol che se ne consideri la celebrazione postuma rispetto alle dichiarazioni di voto dei (che, secondo quanto stabilisce l'art. 11, comma 1, l. n. 3/2012 devono pervenire all'Organismo di composizione della crisi almeno dieci giorni prima dell'udienza stessa).

Né l'udienza può avere ad oggetto la constatazione dell'avvenuto raggiungimento dell'accordo, in quanto alla data della stessa le formalità prescritte dall'art. 12, comma 1, l. n. 3/2012 non saranno state, in linea di principio, ancora espletate.

Deve essere dichiarata inammissibile la proposta di composizione della crisi da sovraindebitamento qualora risulti (nonostante il mancato accertamento dell'Organismo di composizione della crisi) che il debitore abbia assunto le proprie obbligazioni senza la necessaria diligenza e abbia compiuto atti in frode ai creditori (nella specie: risultavano a carico del debitore una pluralità di protesti, nonché di sanzioni amministrative per emissione di assegni bancari non pagati per difetto di provvista; altresì risultavano atti di alienazione del proprio patrimonio in favore di una società costituita da coniuge e madre del debitore) (Trib. Larino, 24 maggio 2016).

Bibliografia

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