Decreto legislativo - 8/07/1999 - n. 270 art. 74 - Chiusura della procedura.Chiusura della procedura. 1. La procedura di amministrazione straordinaria si chiude: a) se, nei termini previsti dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, non sono state proposte domande di ammissione al passivo; b) se, anche prima del termine di scadenza del programma, l'imprenditore insolvente ha recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni; c) con il passaggio in giudicato della sentenza che approva il concordato. 2. Se è stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, la procedura di amministrazione straordinaria si chiude altresì: a) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l'intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati i compensi agli organi della procedura e le relative spese; b) quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo. b-bis) quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali né i crediti prededucibili e le spese di procedura. Tale circostanza può essere accertata dal commissario straordinario con la relazione di cui all'articolo 40, comma 1-bis1. [1] Lettera aggiunta dall'articolo 4-bis, comma 1, lettera e), del D.L. 18 gennaio 2024, n. 4, convertito con modificazioni dalla Legge 15 marzo 2024. n. 28 InquadramentoLa norma in esame regola le fattispecie di chiusura della procedura. Ai sensi dell'art. 74, comma primo, lett. a), del decreto in commento, l'amministrazione straordinaria si chiude quando, nei termini previsti dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, non sono state proposte domande di ammissione al passivo. Tale fattispecie corrisponde a quella prevista dall'art. 118, n. 1, l. fall. L'art. 74, comma 1, lett. b), prevede che altra ipotesi di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria si verifica quando, anche prima del termine di scadenza del programma, l'imprenditore insolvente abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tale fattispecie appare analoga a quella già stabilita, in tema di amministrazione controllata, dall'abrogato art. 193, comma primo, l. fall. Ai sensi dell'art. 74, comma 1, lett. c), la procedura di amministrazione straordinaria può essere chiusa anche per il passaggio in giudicato della sentenza di approvazione del concordato. La chiusura della procedura può avvenire, inoltre, ai sensi dell'art. 74, comma secondo, quando le ripartizioni parziali abbiano determinato il soddisfacimento dei creditori ammessi (lett. a, in relazione al programma di cessione dei beni aziendali), oppure quando il passivo sia stato, comunque, estinto e siano stati pagati i compensi e le spese di procedura (lett. b). Tali ipotesi sono sostanzialmente analoghe alla fattispecie prevista dall'art. 118, n. 2, l. fall. La disciplina dettata dalla legge c.d. ProdiIn assenza di una disciplina specifica nell'ambito della legge Prodi, prima della modifica legislativa di cui alla legge 6 febbraio 1987, n. 19, si era sostenuto da parte di alcuni Autori che, una volta cessata l'insolvenza dell'impresa ammessa all'amministrazione straordinaria, non si dovesse procedere ad una chiusura formale del procedimento (Alessi, 364; Bonsignori, 113). Altri, però, avevano evidenziato la necessità che, dopo aver portato a termine il programma, dovesse essere emesso un qualche provvedimento di intervenuta definizione della stessa (v., tra le altre, Jaeger, I, 796 ss.; Lucchi, I, 381; Nicita, 200; Sandulli, 480 ss.; Vassalli, 123). Il d.l. n. 835/1986 conv. in l. n. 19/1987 aveva risolto positivamente il dubbio sulla necessità di emanare un provvedimento formale di cessazione, attribuendo la relativa competenza all'autorità di vigilanza e riservando invece al giudice ordinario l'accertamento delle condizioni previste dalla legge per far luogo alla chiusura (Cavalaglio, 767). Sempre con riferimento alla trascorsa disciplina, si era sostenuto che il mancato richiamo dell'ipotesi contemplata nel n. 1 dell'art. 118 era spiegabile col fatto che non fosse concepibile una gestione di una procedura senza creditori, esclusivamente destinata al conseguimento di interessi pubblici (Nicita, 210). L'ipotesi di chiusura per avvenuta ripartizione dell'attivo, costituiva una forma analoga a quella regolata dall'art. 118, n. 3 che era stata ritenuta ammissibile anche quando non fosse stato eseguito in tutto od in parte il programma di risanamento (Cavalaglio, 767; Franchini, 887). Tale chiusura, secondo una parte della dottrina, si traduceva in un'ipotesi di liquidazione del patrimonio dell'imprenditore (Nicita, 211). La chiusura per integrale soddisfacimento dei crediti era stata ritenuta legittima anche quando non fosse stato portato a compimento il programma di risanamento. Viceversa la chiusura per insufficienza dell'attivo non avrebbe avuto alcuna applicazione pratica, non potendo immaginarsi un'impresa avente i requisiti per essere ammessa all'amministrazione straordinaria, senza alcun compendio patrimoniale (Cavalaglio, 776), ma l'affermazione sarebbe stata smentita dalla casistica. Con riferimento all'applicabilità dell'art. 213 all'amministrazione straordinaria, gli studiosi si erano divisi tra coloro che avevano intravisto in detta procedura un'ipotesi di trasformazione in liquidazione coatta amministrativa e coloro che avevano riconosciuto che, comunque, si realizza un risanamento inteso come recupero di elementi aziendali ed assetti imprenditoriali (Franchini, 886 ss.). La chiusura della procedura poneva a carico del commissario straordinario alcuni adempimenti, quali la predisposizione del bilancio, del rendiconto e del piano di ripartizione finale. La relativa documentazione andava trasmessa all'autorità di vigilanza, che, dopo aver compiuto un controllo di legittimità, ne ordinava il deposito presso la cancelleria del tribunale competente. Del deposito veniva data conoscenza ai creditori con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale o mediante altre forme di pubblicità disposte dall'autorità di vigilanza. Fattispecie di chiusuraLa disciplina della chiusura dell'amministrazione straordinaria è stata regolata in modo specifico, invece, dal decreto in esame, considerando anche l'evoluzione della procedura e il modo come in concreto è stata risolta l'insolvenza imprenditoriale. Pertanto, se viene adottato il programma di ristrutturazione si tiene conto della sua evoluzione positiva, mentre nell'altra ipotesi della cessione il risanamento dell'impresa può solo segnare una tappa della complessiva attività demandata agli organi, essendo richiesto anche il soddisfacimento totale o parziale dei creditori. Mancanza di domande di ammissione al passivo Ai sensi dell'art. 74, comma primo, lett. a), del decreto in commento, l'amministrazione stra-ordinaria si chiude quando, nei termini previsti dalla sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, non sono state proposte domande di ammissione al passivo. Tale fattispecie corrisponde a quella prevista dall'art. 118, n. 1, rispetto alla quale nell'assetto previgente, era stata invece sostenuta la tesi dell'impossibilità di configurare la chiusura per mancanza di passivo, in difetto della previsione di un termine entro il quale dovessero essere proposte le insinuazioni di credito (Nicita, 210) ed essendo peraltro la formazione del passivo demandata al commissario straordinario d'ufficio e non su sollecitazione formale degli interessati (Cavalaglio, 767). Nell'attuale disciplina, in primo luogo, ci si è fatti carico di fissare detto termine, stabilendo che lo stesso sia quello indicato nella sentenza dichiarativa dello stato d'insolvenza. Appare comunque applicabile analogicamente il principio interpretativo enunciato per il fallimento secondo cui, se le domande sono proposte dopo tale termine, ma, comunque, nelle more dell'udienza di verifica dei crediti, la chiusura della procedura deve essere preclusa (in materia fallimentare cfr. App. Napoli ord. 13 aprile 1992, in Fall. 1993, 118, con nota di Massaro). Una parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto, anzi, a riguardo, che l'art. 118, coordinato con le disposizioni degli artt. 16 n. 4 e 5, 92, commi 1 e 2, 96, comma 1, va interpretato nel senso che, scaduto il termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento per la presentazione delle domande di ammissione al passivo, la procedura fallimentare deve essere dichiarata chiusa soltanto qualora non sia stata proposta alcuna domanda, né entro detto termine, né successivamente fino al momento della pronuncia del provvedimento di chiusura, e siano stati pagati le spese di procedura e gli eventuali debiti di massa (cfr. Trib. Roma 5 luglio 1997, in Giur. mer. 1998, 663, la quale ha ritenuto, inoltre, che a tale situazione deve essere equiparata quella in cui tutte le domande di ammissione presentate vengono ritirate). Sotto un secondo profilo, nella nuova procedura l'accertamento del passivo non è più demandato al commissario straordinario d'ufficio ma avviene su sollecitazione formale dei creditori, nelle medesime forme previste per l'accertamento del passivo fallimentare (cfr. comm. all'art. 53). In generale, la fattispecie di chiusura in esame dovrebbe fondarsi sul rilievo che, in mancanza di domande di credito, non c'è più insolvenza e, quindi, non ci può essere concorso collettivo, né esigenza di risanamento dell'impresa. Peraltro, se si considera che l'assenza di iniziative dei creditori si può anche giustificare con l'intervento di terzi, oppure con la concessione di una moratoria o di altri accordi intervenuti tra i creditori e l'imprenditore, taluni si interrogano se l'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa debba essere rimesso alle determinazioni dei privati e rispondono affermativamente, nel senso che, in definitiva, i più recenti orientamenti, anche a livello europeo, ritengono che la soluzione del dissesto debba essere governata con mezzi esclusivamente privatistici. In tale prospettiva appare confermata l'impossibilità che la procedura si svolga soltanto in funzione degli interessi pubblici e non anche, contestualmente, in considerazione degli interessi del ceto creditorio (Martino, 253). In questi casi, tuttavia, potrebbe anche accadere che, ben lungi dal verificarsi un risanamento imprenditoriale con mezzi privatistici, si darebbe luogo ad una soluzione dell'insolvenza che prescinde dal programma di risanamento imprenditoriale. Riacquisto della capacità d'adempiere L'art. 74, comma 1, lett. b), prevede che altra ipotesi di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria si verifica quando, anche prima del termine di scadenza del programma, l'imprenditore insolvente abbia recuperato la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Tale fattispecie appare analoga a quella già stabilita, in tema di amministrazione controllata, dall'abrogato art. 193, comma primo secondo cui «il debitore che dimostra di essere in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni può chiedere al tribunale anche prima del termine stabilito la cessazione della procedura». Questa norma era stata interpretata dalla giurisprudenza di merito edita dominante nel senso di ritenere sufficiente, a tal fine, un superamento della crisi di liquidità da parte dell'imprenditore insolvente (Trib. Avezzano 16 marzo 1984, in Dir. fall., 1986, II, 124), avvenuto anche mediante il raggiungimento di accordi dilatori con i creditori (così Trib. Milano 27 luglio 1982, in Fall. 1983, 468, per la quale deve essere disposta la cessazione della procedura di amministrazione controllata quando il debitore dimostra di essere in grado di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, o perché dispone dei mezzi economici necessari per estinguere quelle immediatamente esigibili o in quanto, avendo raggiunto i necessari accordi con i creditori per fruire di rateazioni, presenta una situazione debitoria caratterizzata da obbligazioni non scadute). Anche in considerazione di tali orientamenti, l'ipotesi di chiusura della procedura in esame sembra correlata ad un recupero della solvibilità dell'imprenditore anche prima che sia stato portato a termine il programma di risanamento e riflette una qualsiasi situazione che abbia permesso all'imprenditore di trovare una conclusione positiva della sua insolvenza, con una prevalenza dell'interesse del debitore rispetto a quello della realizzazione del programma di risanamento. Una parte della dottrina ha invece osservato che la norma in commento andrebbe interpretata in senso diverso, anche tenuto conto delle finalità conservative della procedura di amministrazione straordinaria, giustificandosi, in particolare, una chiusura della stessa non a fronte del mero superamento della crisi di liquidità quanto delle strutturali cause economiche del dissesto imprenditoriale (Martino, 254). È stato affermato, in giurisprudenza, che in caso di estensione della procedura di amministrazione straordinaria (c.d. «procedura madre») alle imprese del gruppo, queste ultime vengono coinvolte in un programma comune di recu-pero dell'equilibrio economico: al carattere unitario della procedura per obiettivi e programma segue che il venir meno dello stato insolvenza dell'impresa che è stata attratta nella «procedura madre» non comporta la separata chiusura dell'amministrazione straordinaria nei suoi confronti, poiché il recupero della capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni va valutato, ai sensi dell'art. 74, lett. b), d.lgs. n. 270/1999, nei confronti di tutto il gruppo di imprese complessivamente considerato (Cons. Stato VI, n. 1585/2009). Sotto altro profilo, occorre chiedersi se la fattispecie di chiusura di cui all'art. 74, comma 1, lett. b), possa essere integrata anche laddove il superamento dell'insolvenza si correli ad un concordato stragiudiziale. Nell'assetto previgente, una parte della dottrina era invero già pervenuta a tale soluzione affermativa argomentandola sul disposto dell'art. 118, n. 2, applicabile in ragione del c.d. doppio rinvio ex art. 6, comma quinto, legge Prodi, e ritenendo, di qui, legittima qualsivoglia forma di sistemazione dell'insolvenza (Sandulli, 484 ss.). Tuttavia era prevalso l'opposto orientamento, non essendo previsto alcun provvedimento giurisdizionale di approvazione del concordato stragiudiziale, il che avrebbe reso invalido per carenza di un necessario presupposto il provvedimento amministrativo di chiusura; attualmente tali perplessità dovrebbero per converso essere superate tenuto conto della giurisdizionalizzazione delle fasi di apertura e chiusura dell'amministrazione straordinaria, tra le quali rientra il recupero della solvibilità da parte dell'imprenditore (Martino, 255). Concordato Ai sensi dell'art. 74, comma 1, lett. c), la procedura di amministrazione straordinaria può essere chiusa anche per il passaggio in giudicato della sentenza di approvazione del concordato (si rinvia al Commento agli artt. 78-79). Ripartizione dell'attivo La chiusura della procedura può avvenire, inoltre, ai sensi dell'art. 74, comma secondo, quando le ripartizioni parziali abbiano determinato il soddisfacimento dei creditori ammessi (lett. a, in relazione al programma di cessione dei beni aziendali), oppure quando il passivo sia stato, comunque, estinto e siano stati pagati i compensi e le spese di procedura (lett. b). Tali ipotesi sono sostanzialmente analoghe alla fattispecie prevista dall'art. 118, n. 2 rispetto alla quale è stato affermato il consolidato principio interpretativo in materia fallimentare in forza del quale la pendenza di un procedimento per insinuazione tardiva di un credito alla cui ammissione la curatela si sia opposta non impedisce la chiusura del fallimento per estinzione dei crediti ammessi al passivo, ex art. 118, comma 2, nemmeno in caso di soddisfazione stragiudiziale dei creditori ammessi, atteso che l'insinuazione tardiva, ai sensi dell'art. 112, non ha carattere sospensivo né dei riparti non satisfattivi né del riparto finale satisfattivo, al quale va equiparata l'ipotesi della soddisfazione stragiudiziale emergente a livello della procedura concorsuale con le rinunzie e le dichiarazioni dei creditori ammessi (v., tra le altre, Cass. n. 9506/1995). La ripartizione finale di cui al comma 2, lett. b) — che ha luogo dopo l'approvazione del conto della gestione e la liquidazione del compenso al commissario straordinario ex art. 75 dello stesso decreto in commento — assorbe l'ammontare di tutto l'attivo della procedura e determina la chiusura, anche se i creditori rimangono insoddisfatti. Per converso, nella nuova disciplina non è prevista un'ipotesi di chiusura della procedura di amministrazione straordinaria per insufficienza o mancanza dell'attivo, probabilmente perché non è configurabile un'amministrazione straordinaria di un'impresa priva di qualsiasi attivo, ma come abbiamo detto per la trascorsa normativa, bisogna verificare in concreto l'eventualità rappresentata. 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