Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 64 - Atti a titolo gratuito.Atti a titolo gratuito.
Sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, gli atti a titolo gratuito, esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. I beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato puo' proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell'articolo 36 1. [1] Comma aggiunto dall'articolo 6, comma 1-bis), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132; per l'applicazione vedi l'articolo 23, comma 3, del medesimo decreto. InquadramentoLa ratio dell'art. 64 non coincide con quella alla base della revocatoria ex art. 67. Quest'ultima si basa sul postulato dell'insolvenza dell'autore dell'atto da revocare e sua conoscenza di tale stato da parte del terzo. L'art. 64, invece, prescinde dalla qualificazione dell'atto a titolo gratuito come sintomo di insolvenza, anche perché il compimento di un atto gratuito viene percepito, al contrario, come indice di capacità patrimoniale (Cavallini-Armeli, 13; Jorio, 401). La ragione dell'inefficacia sta unicamente nella volontà del legislatore di assicurare tutela prioritaria ai creditori del disponente fallito rispetto ai beneficiari dell'atto di disposizione (Cavallini-Armeli, 13; Jorio, 401), di fatto svolgendo una funzione che è stata da alcuni definita «solidaristica» (Bonfatti, 434). Conseguenza del particolare regime è che l'oggetto dell'atto di disposizione, se si trova ancora nella disponibilità del fallito, potrà essere oggetto diretto di inventariazione in quanto facente ancora parte del patrimonio del fallimento. Nel caso in cui l'oggetto sia nella disponibilità del terzo, il curatore dovrà promuovere un giudizio di merito per ottenere la declaratoria di inefficacia dell'atto, aggredendo successivamente il bene, ove ancora nella disponibilità del terzo, oppure chiedendo l'equivalente se ceduto nelle more (Limitone, 807), salva azione nei confronti del subacquirente, come meglio si vedrà in seguito. Ove l'atto dispositivo sia una garanzia, la conseguenza sarà l'inefficacia della stessa (Riedi, 140), mentre qualora l'atto dispositivo abbia avuto ad oggetto il pagamento di denaro, il beneficiario sarà tenuto alla restituzione con gli interessi, secondo le regole dei debiti di valuta (Limitone, 809). La norma è rimasta del tutto immune dalla Riforma entrata in vigore nel 2006, che, contrariamente agli auspici, si è concentrata su una radicale revisione della revocatoria fallimentare (Vivaldi-Bosticco, 655). Nonostante ciò la norma ha comunque risentito delle ripercussioni della modifica dell'art. 67, ed in particolare del nuovo secondo comma di tale norma, che, con la previsione della revocabilità degli atti costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, incide in modo evidente sui profili relativi alla qualificazione, in termini di gratuita od onerosità, di tali atti (Vivaldi-Bosticco, 655). Significativa, ma repentina, è stata, semmai, l'aggiunta del nuovo secondo comma, ad opera della l. 6 agosto 2015, n. 132, di conversione del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, con il quale è stata introdotta – pur con le peculiarità del sistema fallimentare – quella «revocatoria semplificata» che, in altre forme, è stata inserita anche nel codice civile con il nuovo art. 2929-bis. Tale modifica impatta significativamente sul meccanismo di funzionamento concreto della previsione, in quanto, se prima il curatore poteva far valere l'inefficacia apprendendo direttamente i beni solo qualora questi si trovassero ancora nella disponibilità del fallito (Vivaldi-Bosticco, 655) — laddove avrebbe dovuto proporre azione finalizzata alla dichiarazione dell'inefficacia se i beni erano già nella disponibilità del terzo — con la nuova previsione, nel caso dei beni soggetti a meccanismi di pubblicità, l'acquisizione avviene direttamente mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento, rimettendo al terzo (o agli altri interessati) l'onere di contestare tale acquisizione mediante la proposizione di reclamo ex art. 36. Il meccanismo «tradizionale» di proposizione dell'azione di inefficacia, quindi, rimane limitato ai soli beni non assoggettati a regimi di pubblicità. Inefficacia di diritto e revocatoria fallimentareL'ipotesi in esame concerne una ipotesi di inefficacia ex lege dell'atto, subordinata alla sola presenza del duplice presupposto dell'esistenza dell'atto a titolo gratuito e del suo compimento nel periodo sospetto, con la conseguenza che la sentenza che si pronuncia in ordine alla domanda del curatore ha carattere di sentenza di mero accertamento, e non è costitutiva (Jorio, 402; Ronco, 1167; Vivaldi-Bosticco, 656). Risultano irrilevanti sia lo stato soggettivo del disponente, poi dichiarato fallito, sia lo stato soggettivo del terzo sia gli altri presupposti oggettivi e soggettivi dettati dall'art. 67 (Bertacchini, 1397; Bonfatti, 433; Cavallini-Armeli, 13; Jorio, 400; Patti, 873; Ronco, 1167; Vivaldi-Bosticco, 656). La sanzione dell'inefficacia, quindi, opera anche se il disponente non era ancora imprenditore commerciale quando ha posto in essere l'atto a titolo gratuito, e anche se non era ancora insolvente (Bonfatti, 433; Jorio, 400; Cultrera, 9; Limitone, 808; Vivaldi-Bosticco, 656; ma contra Cavallini-Armeli, 14, secondo i quali la fissazione di un periodo sospetto si collegherebbe ad una implicita presunzione assoluta di insolvenza, cui si ricollegherebbe la presunzione – altrettanto assoluta — che gli atti siano stati posti in essere da un imprenditore; nonché Sandulli, 526; Riedi, 138, secondo i quali la veste di imprenditore al momento del compimento dell'atto fonda la stessa ratio della norma). Il carattere di pronuncia di mero accertamento che contraddistingue l'azione in esame induce a ritenere che il rimedio non solo sia imprescrittibile come tutte le azioni di accertamento negativo (Bertacchini, 1397; Cavallini-Armeli, 30; Jorio, 402; Patti, 873; Ronco, 1167; Vivaldi-Bosticco, 656), ma sia altresì sottratto al meccanismo di decadenza previsto dall'art. 69-bis, che dovrebbe operare per le sole azioni revocatorie a carattere costitutivo (Limitone, 808; Riedi, 136; contra Bertacchini, 1397; Sandulli, 551). L'esclusione della riconducibilità della fattispecie in esame all'art. 67 l.fall. comporta anche l'esclusione dell'operatività delle ipotesi di esenzione stabilite da tale norma, ed aventi comunque carattere eccezionale (Limitone, 808; Vivaldi-Bosticco, 656). Per ciò che concerne la posizione dei terzi che acquistino dal soggetto a cui favore il fallito ha posto in essere l'atto gratuito, il terzo subacquirente a titolo oneroso resta salvo alla sola condizione di essere stato in buona fede al momento dell'acquisto, applicandosi analogicamente la regola dell'art. 2901, quarto comma, c.c. (Bertacchini, 1398; Cavallini-Armeli, 33; Cultrera, 60; Limitone, 808; Sandulli, 551; Vivaldi-Bosticco, 656); per contro l'acquisto del terzo subacquirente a titolo gratuito, invece, deve ritenersi anch'esso travolto con obbligo per il subacquirente stesso di restituire il bene (Cavallini-Armeli, 33; Cultrera, 60; Limitone, 808; Vivaldi-Bosticco, 657). Il tutto fatti naturalmente salvi gli effetti della trascrizione dell'atto, se effettuata anteriormente alla sentenza dichiarativa di fallimento (Bertacchini, 1398; Vivaldi-Bosticco, 657). L'azione di inefficacia in commento appartiene alla titolarità esclusiva del curatore (Cass. VI, n. 25323/2011) ed ha come presupposto la declaratoria di fallimento, con la conseguenza che il giudicato formatosi in relazione ad una domanda di nullità dell'atto a titolo gratuito proposta da un creditore prima del fallimento non ha efficacia preclusiva rispetto all'azione ex art. 64 successivamente promossa dal curatore (Cass. I, n. 7774/2012). L'azione ex art 64 ha natura dichiarativa e, perciò, non è soggetta a prescrizione (Cass. I, n. 20067/2011). L'inefficacia prevista dall'art. 64 ha carattere necessario ed oggettivo, ed opera automaticamente ove sussista il presupposto dell'esistenza dell'atto e della sua gratuità, indipendentemente dai presupposti soggettivi ed oggettivi che vengono in considerazione ai fini dell'azione revocatoria quale prevista invece nell'art. 67 (Cass. I, n. 6918/2005). La distinzione tra l'azione di inefficacia in esame e la revocatoria fallimentare (costitutiva) vera e propria comporta che in ogni caso la richiesta di declaratoria d'inefficacia può essere oggetto di un'eccezione, con la quale il curatore miri semplicemente a paralizzare la pretesa del creditore (Cass. I, n. 7774/2012). Per contro, la diversità tra le due azioni comporta che incorre in extrapetizione il giudice di merito che accolga l'azione di inefficacia quando, anche indipendentemente dalla qualificazione data dall'attore, sia stata concreto proposta la revocatoria fallimentare (Cass. I, n. 5264/2007). La prova della onerosità dell'atto che appaia privo di corrispettivo deve essere fornita mediante atto scritto avente data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento in quanto il curatore riveste la qualità di terzo (Cass. I, n. 4770/2007). Nel caso che il beneficiario dell'atto a titolo gratuito ceda il bene ad un terzo, al fine di verificare lo stato di buona o mala fede di quest'ultimo, è sufficiente provare che il terzo fosse a conoscenza della gratuità dell'atto di acquisto da parte del suo dante causa, in quanto in tal modo il terzo risulta a conoscenza della natura pregiudizievole dell'atto per il soggetto poi fallito, mentre non è necessaria la prova della conoscenza in capo al terzo dell'insolvenza di colui che ha compiuto l'atto a titolo gratuito (Cass. I, n. 2772/2012). La gratuità: nozioneFulcro della norma è il carattere gratuito dell'atto, risultando quindi fondamentale la individuazione del carattere della gratuità (Vivaldi-Bosticco, 657). La regola generale per cui l'atto è gratuito quando non sia riscontrato da alcun corrispettivo (Limitone, 809; Vivaldi-Bosticco, 657), con la conseguenza che la presenza di un corrispettivo, anche se largamente inferiore, preclude l'applicazione della norma, a meno che non venga dedotto il carattere di negotium mixtum cum donatione (Cultrera, 62) o che, preliminarmente, venga dedotta la natura simulata della previsione della controprestazione (Vivaldi-Bosticco, 657). Questa impostazione presuppone che la nozione di gratuità nel contesto concorsuale non presenti peculiarità rispetto alla disciplina civilistica (Cultrera, 56; Patti, 874). Altra opinione, tuttavia, rimarca la necessità di valutare la gratuità dell'atto nella prospettiva dell'impresa, che il legislatore fallimentare ha inteso privilegiare, e quindi prendere in considerazione non tanto l'atto in sé considerato, quanto il rapporto cui il diritto relativo si inserisce, per concludere che la nozione di atto a titolo gratuito dettata dall'art. 64 è diversa da quella comunemente utilizzata dagli interpreti, e che la gratuità di un atto va apprezzata con riferimento non già alla sola posizione del fallito, bensì alla posizione di tutte le parti coinvolte (Bertacchini, 1399; in termini affini Riedi, 117). La norma opera un riferimento agli atti a titolo gratuito, e non alle sole donazioni o comunque ad atti con finalità di liberalità (Porzio, 339; Patti, 874), con la conseguenza che la valutazione di gratuità od onerosità essere condotta sulla base della causa e non dei motivi (Cavallini-Armeli, 23; Patti, 874; Limitone, 811; Riedi, 120; Vivaldi-Bosticco, 657). Altra tesi legge il riferimento agli atti gratuiti come indice della volontà del legislatore di ricomprendere nella previsione anche i negozi che provocano solo l'arricchimento del beneficiato, senza che ad esso consegua un impoverimento del beneficiante (Ronco, 1162-1163). Anche il riferimento agli «atti» induce parte della dottrina ad affermare che la previsione si applichi anche agli atti giuridici in senso stretto (Cavallini-Armeli, 20; Riedi, 119) Sono indubbiamente revocabili ex art. 64 le donazioni, compresa la donazione modale (Bertacchini, 1400; Limitone, 810; Ronco, 1164) e le donazioni remuneratorie (Bertacchini, 1400; Ronco, 1164) nonché le donazioni indirette come il negotium mixtum cum donatione (Bertacchini, 1400; Cultrera, 61), il contratto di rendita vitalizia, il contratto a favore di terzo (Bertacchini, 1401; Cultrera, 63), l'assicurazione sulla vita a favore di terzo (Bertacchini, 1401; Cultrera, 63), la rinuncia (Cultrera, 63; Riedi, 119; Ronco, 1164; Sandulli, 535), la vendita con patto di riservato dominio stipulato successivamente e senza corrispettivo (Cultrera, 63). Anche alla luce della nozione di causa in concreto, e della configurabilità di atti a titolo gratuito sorretti da un interesse economico del disponente, il profilo dell'assenza di un corrispettivo deve essere valutato tenendo in considerazione anche eventuali vantaggi indiretti o mediati, come il guadagno indiretto o il risparmio di costi (Cavallini-Armeli, 24; Patti, 874; Sandulli, 517; Vivaldi-Bosticco, 657), o l'inserimento nell'ambito di operazioni negoziali complesse (Vivaldi-Bosticco, 657). Ne consegue che il carattere di gratuità non può essere affermato sulla base della mera assenza di un corrispettivo diretto, dovendosi procedere all'analisi della causa in concreto dell'atto negoziale, e quindi alla sintesi degli interessi che l'atto negoziale è concretamente diretto a realizzare (Ronco, 1163; Sandulli, 518; Vivaldi-Bosticco, 658). Qualora l'atto appaia direttamente privo di corrispettivo è da ritenersi che sia il convenuto a dover dare prova del carattere oneroso del medesimo (Vivaldi-Bosticco, 659; Sandulli, 550), mentre, in presenza di un atto che appare presentare un carattere sinallagmatico, sarà il curatore a dover dimostrare che esso dissimula un atto gratuito (Vivaldi-Bosticco, 659; Patti, 874). Più complessa sarà la valutazione nel caso di rapporti trilaterali, in quanto si dovranno approfondire i caratteri sia dell'atto solutorio, sia del rapporto cui esso si riferisce (Limitone, 810; Vivaldi-Bosticco, 659). Principio generale ribadito anche di recente dalla Suprema Corte è che ai fini dell'art. 64, gli atti a titolo gratuito non sono solo quelli posti in essere per spirito di liberalità ma anche gli atti caratterizzati semplicemente da una prestazione in assenza di corrispettivo (Cass. I, n. 13087/2015). La valutazione della di gratuità od onerosità di un atto deve essere condotta sulla base della relativa causa, e non dei motivi (Cass. I, n. 21402/2008), ma proprio il riferimento alla causa comporta che la verifica deve essere operata con riguardo alla causa concreta, cioè allo scopo pratico del negozio, inteso come sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare, con la conseguenza che il giudicante non si può fondare sulla mera esistenza o meno, di un rapporto di corrispettività tra le prestazioni sul piano tipico ed astratto, ma deve procedere necessariamente dall'apprezzamento dell'interesse sotteso all'intera operazione da parte del solvens (Cass. S.U., n. 6538/2010; Cass. I, 17683/2010). Per Cass. I, n. 29460/2018 il giudicato formatosi tra il fallito e un creditore sulla validità dell’atto a titolo gratuito non preclude al curatore di farne valere l’inefficacia e l’inopponibilità nei confronti della massa dei creditori. La sanzione di inefficacia, può colpire anche il c.d. negotium mixtum com donatione (Trib. Brescia 20 febbraio 2008), né può essere esclusa, nel caso della donazione, dall'esistenza di un onere a carico del donatario (Trib. Vicenza 1° aprile 2011; Trib. Sulmona 19 maggio 2010). Dopo aver affermato che l'efficacia dichiarativa del negozio di accertamento deriva dalla natura di mera ricognizione degli obblighi già fissati in altro negozio cui si correla, esigendo l'identità dei soggetti e del rapporto oggetto di ricognizione, la Cassazione ha concluso che doveva ritenersi avere natura dispositiva il negozio che aveva inciso su rapporti i cui sono titolari erano soggetti differenti da quelli che avevano concluso il negozio medesimo, qualificandolo, conseguentemente come atto solutorio gratuito, revocabile ex art. 64 (Cass. I, n. 6739/2008). Il carattere neutro della causa remissoria comporta la necessità di verificare nello specifico il carattere gratuito o meno della remissione, con la conseguenza che la semplice lettera con cui il creditore fallito abbia dispensato il debitore dal pagamento del saldo della cessione di azienda deve ritenersi atto a titolo gratuito (Cass. III, n. 10293/2007). Le fattispecie Nel caso del pagamento ad opera del fallito di un debito altrui di cui il fallito medesimo non sia chiamato a rispondere, il carattere di gratuità dell'atto potrà essere affermato solo quando il fallito solvens non riceva alcun concreto vantaggio patrimoniale, neppure indiretto, in modo tale che emerga che egli ha agito solo arrecando vantaggio al debitore (Porzio, 340; Patti, 876; Vivaldi-Bosticco, 658). L'azione per far dichiarare l'inefficacia dell'atto andrà proposta nei confronti del debitore liberato e non dell'accipiens che ha ricevuto il pagamento (Cavallini-Armeli, 58; Porzio, 340) perché il soggetto che si arricchisce senza corrispettivo è, appunto, il debitore liberato, non l'accipiens che riceve il pagamento di un credito che ben può derivare da una sua precedente prestazione. L'adempimento del debito altrui, peraltro, potrebbe collegarsi a fattispecie come la delegazione, l'estromissione o l'accollo, e quindi a fattispecie di preliminare assunzione di debito altrui da parte del fallito (Cavallini-Armeli, 58; Patti, 878; Porzio, 340). Anche in tal caso la valutazione della gratuità o meno dell'assunzione del debito dovrà confrontarsi con la verifica circa l'esistenza o meno di un rapporto di provvista che evidenzi l'interesse del fallito ad assumere l'obbligazione (Bertacchini, 1403; Cavallini-Armeli, 55; Vivaldi-Bosticco, 660). Assume particolare rilevanza, in questo campo come in quello delle garanzie, il rapporto infragruppo tra società, in quanto questo rapporto può sorreggere l'interesse di una compagine ad assumere obbligazioni gravanti su una società del medesimo gruppo, o anche a procedere alla rimessione di debiti, senza che tali operazioni possano essere definite gratuite, proprio perché giustificate anche economicamente dai rapporti che esistono tra le compagini (Bertacchini, 1401; Porzio, 343; Ronco, 1166). Si pone, semmai, il problema se sussista la necessità che ci si trovi effettivamente di fronte ad un gruppo pleno iure ex art. 2359 c.c., e se quindi la mera identità dei soggetti titolari dei pacchetti azionari della varia compagini non sia di per sé sufficiente a colorare di onerosità la prestazione (Porzio, 343). Quanto ai finanziamenti infragruppo, la previsione dei medesimi ad opera dell'art. 2497-quinquies c.c., esclude la possibilità di catalogarli come atti titolo gratuito, ponendosi semmai, ancora una volta, il problema di stabilire se l'esenzione dall'azione di inefficacia presupponga la necessaria presenza di un gruppo come definito dal codice stesso ex art. 2359, e la effettuazione del finanziamento secondo le relative previsioni con applicazione della teoria dei vantaggi compensativi (Porzio, 343). Per i conferimenti in patrimoni destinati si rinvia al commento all'art. 67-bis. Risolvendo contrasti interpretativi, le Sezioni Unite, nel ribadire che la valutazione di gratuità ed onerosità di un negozio va compiuta con esclusivo riguardo alla causa concreta, hanno affermato che nell'ipotesi di estinzione da parte del terzo, poi dichiarato fallito, di un'obbligazione preesistente cui era estraneo, l'atto solutorio può essere considerato gratuito solo quando dall'operazione il solvens non trae nessun concreto vantaggio patrimoniale intendendo solo ed esclusivamente arrecare un vantaggio al debitore a decurtazione ed in pregiudizio del proprio patrimonio, mentre è da ritenere onerosa qualora sia configurabile a favore del solvens un vantaggio dalla prestazione, sia esso proveniente dal debitore, dal creditore o anche da altri (Cass. S.U., n. 6538/2010; Cass. I, n. 22518/2011). Sembra quindi superata la tesi che configurava l'atto come oneroso – e quindi revocabile solo ex art. 67 – in quanto l'accipiens aveva ricevuto il pagamento di un credito (Cass. I, n. 15515/2001; Cass. I, n. 889/2006). Da rammentare che qualora l'assunzione del debito altrui, sia realizzata in virtù di delegazione, di estromissione o di accollo, essa ha carattere neutro rispetto alla distinzione tra gratuità o onerosità, potendovi essere o una ragione di liberalità o l'adempimento di obbligazioni derivanti da un rapporto di provvista (Cass. I, n. 8590/2003). Più di recente, tuttavia, si è affermato che in caso di adempimento del debito altrui da parte del terzo, poiché manca nello schema causale tipico la controprestazione in favore del disponente, l'atto si presume gratuito in quanto il solvens paga un debito non proprio ed il negozio non prevede alcuna controprestazione, con la conseguenza che graverà sull'accipiens provare che il solvens abbia ricevuto un vantaggio in seguito all'atto che ha posto in essere, in quanto questo perseguiva un suo interesse economicamente apprezzabile (Cass. I, n. 4454/2016). In tema di rapporti tra società la valutazione della natura onerosa dell'adempimento, da parte della società poi fallita, del debito che verso un terzo abbia contratto altra società collegata alla prima, richiede un rigoroso accertamento della unitarietà di finalità e di amministrazione tra le due società, risultando insufficiente il solo, generico riferimento a presunti reciproci finanziamenti o ad un'asserita unicità di scopi e di sedi, in assenza della prova di una effettiva aggregazione imprenditoriale tra le società, nonché di una contropartita — idonea ad assurgere a causa del negozio — del pregiudizio economico derivante alla società fallita dall'adempimento (Cass. I, n. 2325/2006). Le garanzie Nell'ipotesi di concessione di garanzie per debiti propri, si è costantemente posta la questione della utilizzabilità della regola dell'art. 2901 c.c., con conseguente presunzione di onerosità delle garanzie concesse contestualmente al sorgere del debito, laddove la garanzia prestata successivamente dovrà ritenersi a titolo gratuito (Vivaldi-Bosticco, 658). L'impiego della presunzione di onerosità si giustificherebbe sia in virtù dell'affinità tra revocatoria ordinaria ed azione ex art. 64, sia in considerazione del nuovo disposto dell'art. 67, secondo comma, che contempla tra gli atti onerosi revocabili anche di quelli costitutivi di un diritto di prelazione, per debiti, anche di terzi, contestualmente creati (Vivaldi-Bosticco, 659). Ritenuta operante la presunzione, tuttavia, anche il rilascio successivo di una garanzia a fronte di un debito scaduto può essere ritenuto atto non gratuito, quando, ad esempio, assicura al debitore la rinuncia del creditore a pretendere l'immediato adempimento, laddove per contro la garanzia prestata a fronte di una posizione debitoria non scaduta dovrebbe ritenersi gratuita (Bertacchini, 1403; Bonfatti, 436; Cultrera, 65; Cavallini-Armeli, 65). Vi è poi la posizione di chi espelle radicalmente le garanzie per debito proprio dall'area di operatività dell'art. 64, per lasciare spazio semmai all'art. 67 (Sandulli, 539). Anche nell'ipotesi di garanzia prestata per debito altrui il criterio della contestualità o meno di cui all'art. 2901, c.c., se comporta la presunzione di onerosità della garanzia contestuale al sorgere del debito, non conduce all'affermazione automatica della garanzia non contestuale (Bertacchini, 1402). In questo secondo caso, infatti, si imporrebbe comunque un'analisi della causa concreta del negozio fonte della garanzia (Vivaldi-Bosticco, 660). Si ripropone anche in questo caso, la tematica delle operazioni, o meglio, garanzie infragruppo, in relazione alle quali è possibile escludere il carattere gratuito dell'atto laddove sia ravvisabile un'utilità anche mediata conseguita dalla società poi fallita nel prestare la garanzia (Riedi, 130; Vivaldi-Bosticco, 660), fermo restando il fatto che l'onere della prova circa l'esistenza di tale utilità mediata graverà sulla parte convenuta, e che nessuna presunzione di onerosità potrà essere desunta dalla mera esistenza del rapporto di gruppo (Vivaldi-Bosticco, 658). L'area di operatività dell'art. 64 in tema di garanzie, peraltro, è stata indirettamente incisa dalla nuova formulazione del secondo comma dell'art. 67, che – estendendo la regola fissata dal secondo comma dell'art. 2901 – ha fissato una presunzione di onerosità delle prestazioni di garanzia anche per debiti altrui se contestuali al credito garantito, recependo gli orientamenti della giurisprudenza sul punto. Per effetto di tale modifica la garanzia per debito altrui contestuale al sorgere del debito dovrebbe essere ormai definitivamente espulsa dall'area di operatività dell'art. 64, con ricadute anche sulla tematica delle garanzie infragruppo (Bertacchini, 1399; Bonfatti, 436; Jorio, 403; Limitone, 815; Riedi, 131; Ronco 1163; Sandulli, 529). Significativa, da questo punto di vista, la vicenda del pegno rotativo, il cui trasferimento su altri beni rispetto a quelli inizialmente individuati poteva essere interpretato quale costituzione di garanzia successiva, laddove è prevalsa la tesi secondo cui a rilevare è la contemporaneità, rispetto al credito, del patto di rotatività, rispetto al quale il successivo trasferirsi della garanzia non ha valore novativo. Affermato in linea generale il principio per cui la regola stabilita dall'art. 2901, secondo comma, c.c. può applicarsi anche all'azione ex art. 64 (Cass. I, n. 2610/2010; Cass. I, n. 14376/2005), il problema frequentemente presente nell'analisi giurisprudenziale è quello di stabilire se la gratuità o onerosità della garanzia per debiti altrui non contestuale al sorgere del credito debba essere valutata nella prospettiva del solvens (così Cass. I, n. 11093/2004) — e ciò anche nel caso di garanzie infragruppo (Cass. I, n. 3615/2004) — oppure se si debba valutare anche la posizione del creditore garantito (Cass. I, n. 26933/2006). Se la garanzia deve presumersi onerosa in caso di contestualità con il credito, non per questo può presumersi la gratuità della garanzia non contestuale. Ciò avviene, ad esempio, quando il rischio insito nella funzione creditizia è assunto sul presupposto della concessione della garanzia, come nel caso di «factoring», ove è alla cessione del credito futuro, e non alla venuta ad esistenza del credito ceduto, che occorre far riferimento per accertare la contestualità dell'ipoteca concessa per garantire la restituzione dell'anticipazione erogata dal «factor» (Cass. I, n. 13973/2014). Per contro, l'ipoteca prestata dal terzo in un momento successivo all'insorgenza del debito garantito, ove non risulti correlata ad un corrispettivo economicamente apprezzabile proveniente dal debitore principale o dal creditore garantito, è qualificabile come atto a titolo gratuito (Cass. I, n. 7745/2016; Cass. I, n. 12507/2010). Nel caso delle garanzie tra società, si è affermato che in presenza di un «gruppo orizzontale» di società – che si configura quando più imprese, pur in assenza di vincoli partecipativi o contrattuali, svolgano un'attività coordinata e interdipendente in base all'indirizzo unitario derivante dall'identità dei loro amministratori, dirigenti e soci — la prestazione a titolo gratuito di garanzie da parte di una di dette società per obbligazioni di altra società del medesimo gruppo non è estranea all'oggetto sociale della prima se, in ragione dei surriferiti rapporti di gruppo, tale atto risponde ad un interesse economico apprezzabile anche per la garante (Cass. I, n. 21250/2010). Il pegno rotativo non comporta la costituzione di una nuova garanzia nel momento della modificazione dell'oggetto, poiché la sostituzione dei beni, lasciando immutato il valore dei beni destinati al soddisfacimento preferenziale del creditore pignoratizio non determina alcun pregiudizio per gli altri creditori (Cass. I, n. 4520/2004; Cass. I, n. 10685/199). Le esenzioni e il parametro della proporzionalitàLa norma contempla poi delle ipotesi (definite «di rilievo trascurabile» da Bonfatti, 432) di esenzione dalla declaratoria di inefficacia, la cui operatività è peraltro subordinata al parametro della proporzionalità tra l'attribuzione patrimoniale ed il patrimonio del disponente, secondo alcuni da valutarsi come patrimonio al netto di tutte le passività (Bertacchini, 1404; Cultrera, 72; Vivaldi-Bosticco, 661; contra Cavallini-Armeli,36). Il parametro della proporzionalità dovrà essere sempre verificato in concreto, alla luce della consistenza del patrimonio del donante, senza peraltro utilizzare un criterio rigidamente aritmetico (Bertacchini, 1404; Ronco, 1165; Cavallini-Armeli,36; Sandulli, 547). Non manca chi ritiene che, qualora non ricorra la proporzionalità, la declaratoria di inefficacia dovrebbe colpire non l'intero atto di disposizione, ma solo la sua componente che eccede la proporzionalità (Cavallini-Armeli, 38-39), ma sembra prevalente la tesi che si pronuncia per l'inefficacia integrale (Sandulli, 547). Secondo alcuni, in ogni caso, assumerebbe rilevanza l'intento concretamente perseguito dal disponente, e soprattutto la rispondenza dell'atto dispositivo ad un criterio di normalità rispetto alle abitudini ed alla posizione economico — sociale del soggetto che lo ha compiuto (Limitone, 813; Vivaldi-Bosticco, 661), ma sembra corretta l'obiezione che contesta la possibilità di valorizzare le finalità soggettive, anche in considerazione di quella che sembra essere la finalità che accomuna le ipotesi di esenzione, e cioè assicurare al beneficiario dell'atto gratuito una tutela che, a differenza dell'impianto complessivo della norma, viene ad essere preminente rispetto agli interessi dei creditori (Cavallini-Armeli, 35). Sebbene si ritenga da alcuni che sia il curatore che agisce per la declaratoria di inefficacia a dover provare la inoperatività di una delle ipotesi di esenzione (Cavallini-Armeli,37), appare più corretto, in un rapporto regola-eccezione, che sia la parte a dover eccepire e provare che l'atto gratuito si inserisce in una di dette ipotesi (Sandulli, 547). Discusso è anche se l'operatività di una delle ipotesi di esenzione renda l'atto in assoluto non attaccabile dal curatore (Cavallini-Armeli, 40) o se invece residui spazio per il ricorso alla revocatoria ex artt. 66 e 2901 (Sandulli, 548). La proporzione della liberalità al patrimonio del fallito deve essere valutata attraverso un accertamento adeguatamente preciso del valore dei due termini tra i quali va fatto il raffronto, e quindi non può essere affermata ove si faccia riferimento ad elementi non determinabili almeno approssimativamente nella loro entità numerica (Cass. I, n. 1045/1972). L'applicabilità della previsione è ancorata soltanto ad elementi obiettivi (finalità morale o sociale dell'atto e proporzionalità della liberalità al patrimonio del donante), mentre non vanno presi in considerazione, in quanto non hanno rilevanza giuridica, lo stato soggettivo del donatore o del beneficato, né la sussistenza, al momento del compimento dell'atto, dello stato di dissesto, dovendosi operare la valutazione alla luce delle circostanze di tempo e di luogo in cui l'atto viene posto in essere (Cass. I, n. 1785/1968). I regali d'uso Si intendono come regali d'uso le donazioni di modico valore, nelle quali la liberalità è generata e trova ragione nel desiderio di adeguarsi a doveri sociali (Vivaldi-Bosticco, 661). La previsione trova diretta corrispondenza nel secondo comma dell'art. 770 c.c., che esclude dall'ambito delle donazioni questa fattispecie di liberalità, ed alla cui interpretazione ci si può rifare per individuare le tipologie di regali d'uso (Bertacchini, 1404; Sandulli, 542). L'adempimento del dovere morale L'area degli atti gratuiti in adempimento di un dovere morale ben può essere individuata facendo riferimento alla fattispecie delle obbligazioni naturali di cui all'art. 2034 c.c. (Vivaldi-Bosticco, 661; Cavallini-Armeli, 45; Limitone, 813), e cioè a situazioni in cui l'atto gratuito non scaturisce da un intento donativo, ma dal desiderio esclusivo di ottemperare ad un vincolo della morale sociale (Ronco, 1166), e quindi presenta caratteri affini all'adempimento di un'obbligazione (seppur giuridicamente non esistente), e scevri da un concreto intento di liberalità. Va, invece, escluso che alla fattispecie in esame possano ricondursi le donazioni remuneratorie di cui all'art. 770, comma primo (Vivaldi-Bosticco, 661; Cultrera, 62; Patti, 881). Queste ultime, per espresso dato normativo, costituiscono pur sempre donazioni, in quanto l'attribuzione patrimoniale, pur essendo motivata dall'intenzione di compensare il donatario per speciali meriti, presenta – soprattutto per suo valore — caratteri tali da non rientrare nel mero omaggio ai vincoli sociali di gratitudine alla base della liberalità per servizi resi, conservando quindi in modo pieno il carattere di attribuzione patrimoniale radicalmente priva di contropartita (Vivaldi-Bosticco, 661), anche se non mancano opinioni che arrivano ad espellere radicalmente dall'ambito di applicazione dell'intera norma in commento sia la donazione remuneratoria sia la donazione modale, in quanto caratterizzate da una reciprocità di sacrifici che escluderebbe il carattere gratuito dell'atto dispositivo, lasciando semmai aperto lo scenario della revocatoria ex art. 67 (Sandulli, 537). Non rientra nell'ipotesi in esame neppure l'atto di costituzione del fondo patrimoniale, in quanto, sebbene finalizzato a fronteggiare i bisogni della famiglia, non costituisce atto obbligatorio per legge, e conserva, quindi, il carattere di mera gratuità (Bertacchini, 1405; Cultrera, 71; Vivaldi-Bosticco, 662), anche qualora effettuato da entrambi i coniugi, con la sola eccezione dei casi in cui in concreto si evidenzi che l'atto costituisce davvero ottemperanza ad un dovere morale (Cavallini-Armeli, 3349; Vivaldi-Bosticco, 662) anche se non mancano letture più favorevoli alla conservazione del fondo (Porzio, 345). La conseguenza è che l'atto di costituzione del fondo integra gli estremi dell'atto gratuito inefficace rispetto ai creditori se compiuto nel biennio anteriore alla dichiarazione di fallimento. Tematica affine è costituita dalle attribuzioni patrimoniali poste in essere nell'ambito degli accordi di separazione personale tra coniugi. In tale caso non può individuarsi una soluzione unica in quanto, se è vero che tali atti possono effettivamente avere natura solutoria e costituire forme di adempimento degli obblighi di mantenimento e contribuzione nei confronti dell'altro coniuge, in altri casi possono assumere i caratteri dell'attribuzione priva di concreta causa solvendi, e rientrare nell'area di gratuità che li rende assoggettabili all'art. 64 (Vivaldi-Bosticco, 662; Bonfatti, 439). Per affermare che un atto gratuito è stato compiuto in adempimento di un dovere morale, ferma sempre la indicata proporzionalità rispetto al patrimonio del fallito, occorre dimostrare sia l'esistenza di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale secondo la concezione sociale comune all'ambiente in cui l'atto è compiuto, sia l'intenzione del solvens di adempiere ad esso mediante l'atto medesimo (Cass. I, n. 5268/1999). Costante è l'affermazione della revocabilità ex art. 64 della donazione remuneratoria ex art. 770 c.c., in quanto la stessa, pur se diretta a compensare servizi in precedenza resi dal beneficiario, integra un'elargizione di natura discrezionale, non essendovi il donante tenuto né in base a vincolo giuridico, né per dovere morale o consuetudine sociale (Cass. I, n. 4394/1987; Cass. I, n. 1411/1997; Cass. I, n. 5268/1999). La Suprema Corte ha ribadito anche di recente che l'atto di costituzione di beni in fondo patrimoniale, anche qualora effettuata da entrambi i coniugi, configura un atto a titolo gratuito, non trovando contropartita in un'attribuzione in favore dei disponenti, ed è quindi suscettibile di revocatoria, a norma dell'art. 64, con l'eccezione dei casi in cui si dimostri l'esistenza, in concreto, di una situazione tale da integrare, nella sua oggettività, gli estremi del dovere morale ed il proposito del solvens di adempiere unicamente a quel dovere mediante l'atto in questione (Cass. I, n. 19029/2013; Cass. I, n. 6267/2005; Cass. I, n. 2327/2006). Nell'area di operatività dell'art. 64 vengono anche attratti gli atti di attribuzione patrimoniale effettuata da un coniuge, poi fallito, a favore dell'altro coniuge in vista della loro separazione, ad eccezione dei casi in cui l'attribuzione abbia la finalità di integrare o sostituire quanto dovuto per il mantenimento del coniuge o dei figli (Cass. I, n. 13087/2015). La regola concreta, quindi, è che tali atti negoziali possono assumere i tratti propri dell'onerosità o della gratuità a seconda dei casi, dovendosi qualificare come onerose quelle attribuzioni che siano volte a compensare o ripagare l'altro coniuge rispetto al compimento di corrispettivi atti a contenuto patrimoniale (Cass. I, n. 8678/2013). Gli atti a scopo di pubblica utilità Più sfumata è la categoria degli atti compiuti a scopo di pubblica utilità, tra i quali si fanno rientrare non solo gli atti a titolo gratuito che integrano tale nozione in senso formale (Vivaldi-Bosticco, 662), ma anche le elargizioni di natura solidaristica o socialmente rilevanti provenienti anche da soggetti privati, come quelle a favore di enti non profit o associazioni di volontariato, per beneficienza, a favore di fondazioni religiose e culturali (Bertacchini, 1405; Ronco, 1166; Vivaldi-Bosticco, 662; Cavallini-Armeli, 47). La disciplina degli atti gratuiti nella revocatoria ordinariaLa possibilità per il curatore di esperire la revocatoria ordinaria ex artt. 66 l.fall. e 2901 c.c. pone il problema del raffronto tra i due rimedi, che sono peraltro accomunati dall'assenza del requisito della scientia decoctionis, peraltro estraneo all'art. 2901, atteso che tale ultima norma si applica anche ai non imprenditori (Vivaldi-Bosticco, 662). La fattispecie disciplinata dalla norma in commento si presenta di più agevole impiego, in quanto ha come presupposti esclusivamente la gratuità dell'atto ed il suo compimento nel periodo sospetto, laddove la revocatoria ordinaria ha come presupposto anche la prova della conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore (Limitone, 814 Vivaldi-Bosticco, 663). Lo stesso elemento del pregiudizio nell'art. 64 è presunto iuris et de iure, mentre nell'art. 2901 c.c. deve essere provato e può essere soprattutto oggetto di prova contraria da parte del convenuto (Vivaldi-Bosticco, 663). L'azione ex art. 64 non è soggetta a prescrizione (Jorio, 402) e si sottrae anche alla decadenza ex art. 69-bis, mentre l'azione revocatoria ordinaria è soggetta alla prescrizione quinquennale, decorrente dalla data dell'atto, ex art. 2903 c.c. (Vivaldi-Bosticco, 663). La «revocatoria semplificata»Come già rammentato la L. 6 agosto 2015, n. 132, in sede di conversione del D.L. 27 giugno 2015, n. 83 ha aggiunto alla previsione in esame un secondo comma, cercando di inserire anche nel sistema fallimentare la c.d. «revocatoria semplificata», prevista nel codice civile dal nuovo art. 2929-bis. La novità della previsione è costituita dal fatto che i beni oggetto degli atti a titolo gratuito vengono automaticamente acquisiti al patrimonio del fallimento tramite la trascrizione della sentenza dichiarativa, senza che vi sia più necessità di incardinare un giudizio che conduca alla declaratoria di inefficacia (Bonfatti, 441). La fase contenziosa non viene definitivamente esclusa, ma viene rimessa alla iniziativa dei soggetti «interessati», i quali possono proporre reclamo ex art. 36 l.fall. Tra tali interessati non può comprendersi il fallito, vista la sua perdita di capacità processuale, mentre vanno compresi anche gli aventi causa del soggetto che ha acquistato gratuitamente (Bonfatti, 443). La scelta di un simile meccanismo si espone a forti perplessità: mentre l'affine «opposizione» ex art. 2929-bis è comunque una opposizione all'esecuzione che sfocia in giudizio a cognizione piena ed in una sentenza, senza che peraltro sia indicato un termine per proporla, il reclamo ex art. 36 L.FALL.. è un procedimento endofallimentare a cognizione semplificata, per di più limitato, nello schema originario, al solo profilo della violazione di legge. Appare evidente che estendere una simile limitazione anche al reclamo in esame si tradurrebbe in una forte compressione della facoltà di tutela dei diritti, a meno di ritenere che, nella specie, la locuzione «violazione di legge», venga intesa nel senso di assenza dei requisiti da cui l'art. 64, primo comma, fa discendere la declaratoria di inefficacia, e cioè in un senso che, necessariamente, si traduce in una censura di merito in ordine alla qualificazione dell'intera vicenda alla base dell'atto dispositivo. Fonte di ulteriori criticità è l'applicazione del termine – sempre previsto dall'art. 36 — di otto giorni dalla conoscenza dell'atto, non essendo ben chiaro quando il soggetto interessato potrebbe avere cognizione della trascrizione (Bonfatti, 441). L'alternativa è tra l'affermazione della decorrenza del termine dalla stessa trascrizione (Bonfatti, 441) – anche si crea in tal modo un dubbio automatismo tra trascrizione e conoscenza – o l'affermazione della decorrenza dall'atto con cui concretamente il curatore mette l'interessato a conoscenza della trascrizione (Bonfatti, 442), come, in ipotesi, il deposito dell'inventario che comprende il bene acquisito. Alla luce del meccanismo in essa previsto la previsione del secondo comma dell'articolo 64 si applica solo ai beni per i quali è possibile procedere a trascrizione (beni mobili registrati ed immobili), mentre per gli altri beni continua ad operare il regime del primo comma, con necessità di un'azione giudiziale di accertamento dell'inefficacia (Bonfatti, 441). Interessante un precedente di merito che ha affermato che le trascrizioni nei registri immobiliari ai sensi dell'art. 64 secondo comma vanno effettuate presentando due note: la prima avrà «codice 617 – sentenza dichiarativa di fallimento» e sarà eseguita a favore della massa dei creditori e contro il fallito; la seconda avrà «codice 600 – atto generico», riporterà nell'indicazione dell'oggetto «apprensione dei beni al fallimento ex art. 64 comma II L. Fall.» e sarà effettuata sempre a favore della massa dei creditori ma contro sia il fallito sia il terzo avente causa (Trib. Reggio Emilia, 13 ottobre 2016). BibliografiaBertacchini, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Jorio (a cura di), Fallimento e concordato fallimentare, Milano, 2016; Bonfatti, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Didone (a cura di), La riforma delle procedure concorsuali, Milano, 2016; Cavallini-Armeli, Art. 64 – Atti a titolo gratuito, in Cavallini (diretto da), Commentario alla Legge Fallimentare, I, Milano, 2010; Cultrera, Gli atti a titolo gratuito e gli atti fra coniugi, in Ghia-Piccininni-Severino (a cura di), Trattato delle procedure concorsuali, II, Torino, 2010; Jorio, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Ambrosini, Cavalli, Jorio, Il Fallimento - Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, Padova, 2009; Limitone, Sub art. 64, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare, Padova, 2014; Patti, Articolo 64- Atti a titolo gratuito, in Jorio-Fabiani (diretto da e coordinato da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna 2006; Porzio, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in Buonocore-Bassi (diretto da), Trattato di diritto fallimentare, Padova 2010; Riedi, Inefficacia degli atti a titolo gratuito nel fallimento. Gli artt. 64 e 65 L. Fall., in Vitalone, Patroni Griffi, Riedi (a cura di), Le azioni revocatorie: la disciplina, il processo, Milano, 2014; Sandulli, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori. – sez. I: L'inefficacia degli atti a titolo gratuito, in Vassalli-Luiso-Gabrielli, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, II, Torino, 2014; Ronco, Gli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli per i creditori, in Cagnasso-Panzani (diretto da), Crisi di impresa e procedure concorsuali, I, Milano, 2016; Vivaldi-Bosticco, Art. 64, in Lo Cascio (a cura di), Codice Commentato del Fallimento, Milano, 2015. |