Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 84 - Dei sigilli 1 .

Alessandro Farolfi

Dei sigilli 1.

 

Dichiarato il fallimento, il curatore procede, secondo le norme stabilite dal codice di procedura civile, all'apposizione dei sigilli sui beni che si trovano nella sede principale dell'impresa e sugli altri beni del debitore.

Il curatore può richiedere l'assistenza della forza pubblica.

Se i beni o le cose si trovano in più luoghi e non è agevole l'immediato completamento delle operazioni, l'apposizione dei sigilli può essere delegata a uno o più coadiutori designati dal giudice delegato.

Per i beni e le cose sulle quali non è possibile apporre i sigilli si procede a norma dell'articolo 758 del codice di procedura civile.

[1] Articolo modificato dall'articolo 159 del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51 e, successivamente , sostituito dall'articolo 70 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La riforma contenuta nel d.lgs. n. 5/2006 ha inteso ribadire, nonostante i dubbi della pratica e della dottrina, la necessità delle operazioni di sigillazione dei beni dell'attivo fallimentare, spostando la relativa competenza dal g.d. (o per delega di questi, dal giudice di pace) al curatore. Tale mutamento di attribuzioni appare del resto coerente con la nuova prospettiva più in generale adottata in tema di rapporti fra gli organi della procedura, con una riconosciuta autonomia del curatore, che ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura (non più sottoposto alla direzione ma) sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori (art. 31). Nonostante la lettera della legge apparentemente univoca, in realtà la prassi, soprattutto degli uffici giudiziari più oberati, sostenuta in questa scelta da una parte della dottrina, rende questo momento conservativo eventuale, riservato ai casi di effettiva urgenza e nelle situazioni in cui è prevedibile che l'inventario non possa essere eretto in tempi brevi (ad esempio per difficoltà di ordine pratico o per la complessità del patrimonio fallimentare o, ancora, quando vi siano beni facilmente asportabili da terzi in quanto non richiusi all'interno di un edificio nel possesso esclusivo del curatore). Discussa è altresì la funzione di questo istituto, considerato che una parte della dottrina lo assimila al pignoramento, mentre altro forse preferibile orientamento (fondato a sua volta sulla norma fondamentale dell'art. 42) rileva come l'apposizione dei sigilli abbia il contenuto di misura cautelare a carattere interinale, con funzione esclusivamente conservativa e di cristallizzazione della situazione di fatto esistente al momento dell'apertura del concorso. In questa linea di pensiero si rileva che lo spossessamento del fallito deriva già dalla sentenza di fallimento, senza che sia necessaria altra operazione materiale, come confermano anche gli artt. 44 (assimilabile all'inefficacia degli atti dispositivi di cui all'art. 1913 c.c.) e 45 (in tema di inefficacia delle formalità per rendere opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento). Oltre all'apposizione dei sigilli (e persino nei casi in cui non si faccia luogo alla stessa) il curatore deve compiere tutta una serie di attività conservative urgenti e utili a preservare l'interesse dei creditori ed evitare dispersioni dell'attivo, come ad es. la ripresa fotografica dei beni del fallito e dei luoghi dell'impresa, la messa in sicurezza di beni preziosi eventualmente avvalendosi di personale esterno (ad es. Istituto vendite giudiziarie), acquisire le scritture contabili, i libri sociali e verbalizzare le prime dichiarazioni da parte del fallito e dei suoi collaboratori; a questo si aggiunge la necessaria ricognizione di rapporti bancari o finanziari in essere, utenze, eventuali rapporti di lavoro ancora pendenti ed ogni altra informazione di carattere urgente, ad esempio funzionale ad una immediata verifica dell'opportunità di procedere con la continuità aziendale, nell'ambito di un esercizio provvisorio o della verifica circa la possibilità di concludere un contratto di affitto.

Aveva indirettamente affermato la natura necessaria dell'attività di sigillazione (ma con riferimento al precedente regime e con riguardo a compiti all'epoca del g.d.) la stessa Corte costituzionale, sia pure nel corso di una motivazione relativa ad una pronuncia che aveva ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 84 l.fall., in riferimento agli art. 3 comma 1 e 97 Cost., nella parte in cui tale disposizione non prevede che il giudice delegato possa autorizzare il curatore a redigere immediatamente l'inventario, senza la preventiva apposizione dei sigilli, allorché quest'ultima risulti impossibile o superflua, per sospetta violazione del principio del buon andamento dell'amministrazione della giustizia, oltre che di quello di razionalità dell'ordinamento giuridico (Corte cost. n. 71/1994).

Rinvio alle norme del codice di procedura civile

La norma contiene un rinvio alle norme del codice di procedura civile, laddove il primo comma afferma che è secondo le stesse che il curatore deve procedere all'apposizione dei sigilli. Inoltre, con disposizione da taluni ritenuta superflua stante il precedente rinvio, l'ultimo comma dell'art. 84 prevede che, per i beni per i quali non è possibile provvedere a sigillazione, si procede a norma dell'art. 758 c.p.c. Quindi nel breve excursus della norma si ritrova un rinvio generale ed uno più specifico alle norme codicistiche. Naturalmente questo rinvio, che appariva connaturato all'epoca all'attribuzione di competenza all'organo giudiziario (così come ancora prevede più in generale l'art. 752 c.p.c.) deve oggi essere coordinato con l'affidamento di questa funzione al curatore. Vi è poi l'esigenza di un più generale coordinamento e di una valutazione di compatibilità fra le singole disposizioni codicistiche e quelle fallimentari. In particolare, l'art. 753 c.p.c., nella parte in cui stabilisce la legittimazione a richiedere la sigillazione, va evidentemente applicato nella materia fallimentare (per chi ritiene che tale operazione non sia automatica ed indefettibile momento di acquisizione dell'attivo) con riferimento ai soli creditori, esclusi quindi i soggetti previsti ai nn. 1), 2) e 3) di tale disposizione e con una semplificazione delle forme previste dall'ultimo comma, nel senso che in ambito fallimentare l'istanza del creditore serve unicamente a sollecitare una operazione già prevista ex lege, quindi non richiede il patrocinio del difensore e può tradursi in una semplice istanza al g.d. o al curatore. Inapplicabili appaiono gli artt. 754 e 755 c.p.c., ma il curatore può direttamente avvalersi – in forza dell'espressa previsione contenuta nell'art. 84 comma 2 – dell'assistenza della forza pubblica, così raggiungendo la medesima finalità per la quale dispone l'art. 755 c.p.c., al fine di superare ostacoli, aprire porte, cambiare serrature, ecc... L'art. 756 c.p.c. va coordinato, a sua volta, con la disciplina fallimentare, dovendosi perciò ritenere che le chiavi delle serrature su cui sono stati apposti i sigilli, sino alla loro rimozione ed inventariazione dei beni, siano custodite non in cancelleria ma dal curatore. Per quanto riguarda la conservazione di testamenti e carte di cui all'art. 757 c.p.c. può invece essere utilizzato l'art. 86 l.fall. Più rilevante, invece, appare il rinvio espresso all'art. 758 c.p.c. per le cose sulle quali non possono essere apposti i sigilli. Tale ultima disposizione prevede che per tali beni (nonché quelli di uso personale) si rediga un semplice verbale in cui se ne offra descrizione, mentre per le cose deteriorabili si prevede la possibilità di vendita immediata anche a mezzo di commissionario specializzato. Tale risultato, ad avviso di chi scrive deve oggi invece necessariamente passare attraverso l'esecuzione urgente di atti di liquidazione prima dell'approvazione del relativo programma, di cui all'art. 104 ter comma 7 l.fall., che va condotta su autorizzazione del g.d. e sentito il comitato dei creditori se già nominato, «solo quando dal ritardo può derivare pregiudizio all'interesse dei creditori». La presenza di questa disposizione, di particolare rilievo pratico, consente di non «rimpiangere» la soppressione da parte della nota riforma del 2006 di un ultimo periodo nell'articolo in commento, che recitava: «il giudice che procede all'apposizione dei sigilli può emettere i provvedimenti provvisori e conservativi che ritiene necessari, compreso quello della vendita delle cose deteriorabili».

Si è recentemente osservato che l'apposizione dei sigilli risponde ad una funzione cautelare, diretta ad impedire la sottrazione di beni del fallito nel periodo di tempo compreso tra la dichiarazione di fallimento e la redazione dell'inventario, ed in quanto tale integra una misura temporanea del tutto legittima. In tale prospettiva, il diritto soggettivo del proprietario del bene all'interno del quale si trovano i beni nella disponibilità della procedura può subire una compressione, del tutto temporanea, giustificata dalla valutazione comparativa degli interessi in gioco. Da ciò discende che l'apposizione dei sigilli effettuata dalla curatela non integra alcuna violazione di legge e che la tutela del diritto soggettivo oggetto della limitazione derivante dall'apposizione dei sigilli non può realizzarsi con lo strumento di cui all'art. 36 l.fall. (oltre all'assenza di violazione di legge alcuna, va considerato che il giudice delegato non potrebbe imporre al curatore un comportamento diverso da quello indicato nella sentenza di fallimento, emessa dal tribunale in composizione collegiale). Lo strumento che realizza la tutela del diritto del proprietario limitato nella facoltà di accesso ai locali è, pertanto, la domanda di cui all'art. 103 l.fall., la cui sede di valutazione è l'accertamento del passivo (Trib. Bergamo, 8 agosto 2014). In termini più generali, si è ritenuto che nella procedura concorsuale l'individuazione dei beni del fallito, sia immobili che mobili, eventualmente anche presso terzi, avviene mediante l'apposizione dei sigilli, che è ora atto del curatore e non più del giudice, e con l'inventario che, stante il richiamo dell'art. 87, legge fallimentare alle norme del codice di procedura civile, deve essere effettuato con le modalità previste dall'art. 769, codice procedura civile, avente ad oggetto sia i beni mobili, anche registrati, che immobili. Secondo le norme dettate dal codice di procedura civile agli artt. 752 e ss., infine, l'apposizione dei sigilli deve avvenire esclusivamente sui beni in una situazione — esteriormente palese — di disponibilità del debitore, in applicazione analogica della presunzione di cui all'art. 513 codice procedura civile. Nei casi, invece, di beni detenuti da terzi, che ne rivendichino la proprietà o comunque che si oppongano all'acquisizione all'attivo fallimentare, non è possibile procedere né alla loro sigillatura, né, tantomeno, alla loro inventariazione o alla loro acquisizione con i c.d. decreti di acquisizione del giudice delegato, la cui legittimità è ora esplicitamente esclusa nell'ipotesi in cui i terzi rivendichino un proprio diritto incompatibile con l'acquisizione stessa (Trib. Udine, 26 marzo 2010).

Beni oggetto di sigillazione

La norma prevede che costituiscono oggetto dell'apposizione dei sigilli i beni del debitore che si trovano nella sede principale dell'impresa, nonché gli altri beni del debitore. In realtà, come si può evincere dal confronto e coordinamento degli artt. 42, 46, 87-bis e 103 l.fall., la sentenza di fallimento produce l'effetto dello spossessamento non solo dei beni di proprietà del fallito, ma anche di quelli che siano semplicemente nella sua disponibilità, salvo che il terzo dia specifica dimostrazione del proprio diritto, con un effetto in qualche modo simile a quanto prevede l'art. 513 c.p.c. Il tema del concorso fra attività di apposizione dei sigilli e rivendica di beni che siano chiaramente riconoscibili come di un terzo va probabilmente risolto a favore della prima, stante la sua natura cautelare ed urgente; sarà poi in sede di inventario (che comunque deve seguire a breve distanza di tempo) a doversi affrontare la questione ex art. 87 bis, senza dover attendere – se il diritto del terzo risulti palese — una decisione sulle rivendiche proposte ai sensi dell'art. 103 l.fall., così da poter consentire al curatore ed al comitato dei creditori (se già nominato) di formulare le proprie conclusioni sulla istanza del terzo. Nello stesso modo appare preferibile procedere a sigillazione anche dei beni che si trovino in ambianti di uso promiscuo del fallito e di soggetti terzi, salvo quanto detto sull'accertamento dei diritti di questi ultimi. Appaiono invece esclusi dall'obbligo di sigillazione i beni che non fanno parte dell'attivo fallimentare, ex art. 46 l.fall., i beni oggetto di consegna diretta al curatore, come il denaro, i titoli e le scritture contabili, ex art. 86 l.fall., i beni di uso personale oggetto di descrizione ex art. 758 c.p.c.

Si è sostenuto, con riguardo ad una problematica di non infrequente verificazione, che il curatore ha l'obbligo di apporre i sigilli e/o di inventariare tutti i beni che si trovino nell'apparente disponibilità materiale del fallito, anche ove la sede dell'impresa fallita sia comune ad altri soggetti, e salvi i diritti dei terzi, da far valere ex art. 103 l.fall. (Trib. Padova, 6 agosto 2003). In termini più generali, si è rilevato che in caso di fallimento del debitore già assoggettato ad espropriazione presso terzi, il pagamento eseguito dal debitor debitoris al creditore che abbia ottenuto l'assegnazione del credito pignorato ex art. 553 c.p.c. è inefficace, ai sensi dell'art. 44 l.fall., se intervenuto successivamente alla dichiarazione di fallimento, non assumendo rilievo, a tal fine, l'anteriorità dell'assegnazione, che, disposta «salvo esazione», non determina l'immediata estinzione del debito dell'insolvente, sicché l'effetto satisfattivo per il creditore procedente è rimesso alla riscossione del credito, ossia ad un pagamento che, perché eseguito dopo la dichiarazione di fallimento del debitore, subisce la sanzione della inefficacia. Ed invero, fatta eccezione per l'ipotesi prevista dall'art. 56 l.fall., il principio della «par condicio creditorum», la cui salvaguardia costituisce la ratio della sottrazione al fallito della disponibilità dei suoi beni, è violato non solo dai pagamenti eseguiti dal debitore successivamente alla dichiarazione di fallimento, ma da qualsiasi atto estintivo di un debito a lui riferibile, anche indirettamente, effettuato con suo denaro o per suo incarico o in suo luogo, dovendosi ricondurre a tale categoria il pagamento eseguito dal terzo debitore in favore del creditore del fallito destinatario dell'assegnazione coattiva del credito ex art. 553 c.p.c., la cui valenza estintiva opera, oltre che per il suo debito nei confronti del creditore assegnatario, anche per quello del fallito, e lo fa con mezzi provenienti dal patrimonio di quest'ultimo (Cass. n. 1227/2016). Ed ancora, per un riferimento non alla proprietà ma alla semplice disponibilità, ai fini dell'attrazione dei beni nel patrimonio fallimentare: in tema di bancarotta fraudolenta, una volta accertato che l'imprenditore ha avuto nella sua disponibilità determinati beni, nel caso in cui egli non renda conto del loro mancato reperimento, né sappia giustificarne la destinazione per effettive necessità dell'impresa, si deve dedurre che gli stessi siano stati dolosamente distratti; ciò in quanto il fallito ha l'obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio; la bancarotta per distrazione si configura infatti pienamente nelle ipotesi di apparente acquisizione di un corrispettivo, rimasto in realtà nella disponibilità dell'amministratore o di terzi e mai entrato nella cassa della società fallita (Trib. La Spezia, 30 ottobre 2012).

Delega di funzioni

Il nuovo terzo comma dell'art. 84 prevede che se i beni su cui apporre i sigilli si trovano in più luoghi e non sia agevole l'immediato completamento delle operazioni, allora l'apposizione stessa può essere delegata ad uno o più coadiutori designati dal giudice delegato. Si è rilevato la contraddittorietà della norma, posto che i soggetti delegati ed i collaboratori hanno una disciplina distinta nell'art. 32. In linea di principio non vi è dubbio che l'apposizione dei sigilli sia una funzione del curatore e che, quindi, ci si trovi davanti a veri e propri soggetti delegati al compimento di operazioni spettanti a quest'ultimo. L'uso un po' disinvolto dei termini da parte dell'art. 84 può tuttavia giustificarsi, in un'ottica pragmatica, se si considera che il ricorso a delegati per l'apposizione dei sigilli appare non frequente e che questi collaborano al compimento di un'operazione urgente e conservativa nell'interesse dei creditori, in presenza di uno specifico presupposto ed a fronte di autorizzazione del g.d., onde parrebbe iniquo sottrarre il compenso di questo tipo di delegato a quello del curatore, come prevede l'art. 32 comma 1 l.fall. Piuttosto si spiega agevolmente il fatto che l'autorizzazione relativa sia stata affidata al g.d., se si pensa che nelle fasi iniziali (e concitate) della procedura fallimentare quasi mai sarà già stato costituito un comitato dei creditori e che se si dovesse attendere tale adempimento (che come si è visto all'art. 40 richiede l'accettazione del creditore nominato) verrebbero frustrate le stesse ragioni di urgenza che stanno alla base dell'attività di sigillazione. Si è sostenuto che l'espressione «in più luoghi» renda ingiustificato il ricorso a delegati qualora tutti i beni del fallimento si trovino in una stessa località anche se lontana da quella in cui si è aperto la procedura. I soggetti delegati saranno prevalentemente personale specializzato (ad esempio dipendenti dell'Istituto Vendite Giudiziarie) o lo stesso professionista che in sede di inventario sarà poi nominato coadiutore, anche a fini di economicità di spesa. Pur se si tratta di delega delle stesse funzioni del curatore, rispetto alle quali può quindi ritenersi che il delegato abbia i medesimi poteri del curatore nell'esecuzione dell'attività di apposizione di sigilli, può risultare opportuno che il decreto di autorizzazione contempli la facoltà dello stesso delegato di valersi, se necessario, dell'intervento della forza pubblica.

Bibliografia

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