Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 101 - Domande tardive di crediti 1 .Domande tardive di crediti1.
Le domande di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, trasmesse al curatore oltre il termine di trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo sono considerate tardive; in caso di particolare complessità della procedura, il tribunale, con la sentenza che dichiara il fallimento, può prorogare quest'ultimo termine fino a diciotto mesi2. Il procedimento di accertamento delle domande tardive si svolge nelle stesse forme di cui all'articolo 95. Il giudice delegato fissa per l'esame delle domande tardive un'udienza ogni quattro mesi, salvo che sussistano motivi d'urgenza. .Il curatore dà avviso a coloro che hanno presentato la domanda, della data dell'udienza. Si applicano le disposizioni di cui agli articoli da 93 a 99 3. Il creditore ha diritto di concorrere sulle somme già distribuite nei limiti di quanto stabilito nell'articolo 112. Il titolare di diritti su beni mobili o immobili, se prova che il ritardo è dipeso da causa non imputabile, può chiedere che siano sospese le attività di liquidazione del bene sino all'accertamento del diritto. Decorso il termine di cui al primo comma, e comunque fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare, le domande tardive sono ammissibili se l'istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile. [1] Articolo sostituito dall'articolo 86 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5. [2] Comma modificato l'articolo 17, comma 1, lettera h), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179convertito, con modificazioni, in legge 17 dicembre 2012, n. 221. Per l'applicazione del presente comma vedi quanto disposto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 17. [3] Comma modificato dall'articolo 6, comma 5, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. InquadramentoL'attuale disciplina delle domande tardive – non solo per crediti ma anche per rivendiche, nonostante il tenore letterale della rubrica (Nardecchia, 1305; Tedeschi, 975) — conserva una impronta di disfavore, che anzi è stata ritenuta per certi aspetti anche più marcata rispetto al passato (Fabiani, 1242), prevedendo quello che è un vero e proprio meccanismo di decadenza (Fauceglia, 1676; Nardecchia, 1311) che comporta l'esclusione del creditore dalla partecipazione al concorso. La finalità perseguita dalla Riforma è stata quella di accelerare la fase di accertamento del passivo, svincolandola, a differenza della disciplina precedente, dal momento del riparto finale, ed agganciandola ad un termine autonomo. Di riflesso, è stato esteso anche all'esame delle domande tardive il «modello decisorio dell'udienza collettiva» (Fabiani, 1243), rendendo in tal modo più omogenea tutta la fase di accertamento del passivo, in un'ottica di unitarietà e celerità (Fauceglia, 1676) che appare in ogni caso più compatibile con il rispetto dei termini massimi di durata della procedura fallimentare. Va infatti tenuto presente che l'esame delle domande tempestive ed i successivi esami delle domande tardive vanno considerate fasi di un medesimo accertamento giurisdizionale, sia pure con effetti meramente endofallimentari (Nardecchia, 1305; Fauceglia, 1678). Tale modello, peraltro, apporta un vero e proprio vulnus alla par condicio creditorum in quanto le regole di graduazione di diritto sostanziale vengono modificate da una norma processuale (Fabiani, 1245). I dubbi di costituzionalità della previsione, tuttavia, sono stato almeno allo stato disattesi dalla Cassazione, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione dell'art. 47 Cost., ritenendo che la possibilità di ottenere la rimessione in termini operi un adeguato bilanciamento con le esigenze di speditezza della procedura fallimentare (Cass. I, n. 23302/2015). Criteri temporali: domande tardive e c.d. «ultratardive»Sono domande tardive quelle presentate nell'intervallo temporale tra il trentesimo giorno prima dell'udienza fissata per la verifica dello stato passivo (ricostruito anche nei termini di vero e proprio termine a difesa del curatore: Montanari, 1549) e l'anno dal deposito di esecutività dello stato passivo; mentre sono domande c.d. «ultratardive» (o «supertardive») quelle presentate oltre tale ultimo termine. I termini in questione hanno natura perentoria, alla luce del disposto dell'art. 16 (Nardecchia, 1310; Fabiani, 1243), salvo il sostanziale meccanismo di rimessione in termini che opera quando il creditore insinuatosi dopi il dodicesimo mese dia prova del fatto che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile (Fabiani, 1247). Non sembra possibile sostenersi che il termine iniziale subisca uno slittamento nel caso in cui la verifica delle domande tempestive prosegua in una ulteriore udienza, dovendo lo stesso essere ancorato alla data della prima verifica (Fabiani, 1243; Miccio, 657; contra – per il solo caso in cui la prima udienza di verifica venga differita de plano — Nardecchia, 1310; Rampini-Francioso, 2096), mentre il termine finale sembra assoggettato alla sospensione feriale (eccezion fatta per le insinuazioni per crediti di lavoro o altre pretese il cui regime processuale prevede l'esenzione dalla sospensione) con la conseguenza che i dodici mesi diverranno di fatto tredici (Tedeschi, 977). Il termine finale può essere elevato, sulla base di una specifica motivazione (Nardecchia, 1311), a diciotto mesi dalla sentenza di fallimento, anche se non mancano voci che criticano il fatto che una valutazione di questo tipo sia limitata al momento della dichiarazione di fallimento, e suggeriscano che la proroga possa essere disposta dal tribunale anche in un momento successivo (Fabiani, 1244; contra Tedeschi, 975), una volta rilevati aspetti come l'elevato numero di creditori o le difficoltà del curatore nell'individuare i creditori cui inviare l'avviso ex art. 92. Il termine deve essere calcolato con riferimento al momento in cui la domanda risulta depositata (secondo la nuova disciplina in via telematica e non più in cancelleria), e non al momento del suo invio (Fabiani, 1244, anche se con le modalità di deposito telematico, appunto, il problema della scissione tra i due momenti è destinato ad essere ridimensionato), ed è dal deposito che si verificherà anche l'effetto interruttivo della prescrizione. È stato notato (Fabiani, 1244; Fauceglia, 1677; Nardecchia, 1308) che la previsione non distingue tra creditori ante e creditori post fallimento, con la conseguenza che essa viene ad operare anche per i crediti (prededucibili) sorti dopo la dichiarazione di fallimento (contra Tedeschi, 976). Decorso il dodicesimo (rectius tredicesimo) mese dalla dichiarazione di esecutività dello stato passivo, colui che presenta una domanda tardiva deve dare prova del fatto che il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile, con utilizzo di una formula che mutua quella dell'art. 1218 c.c., e che quindi opera un riferimento a fattori esterni alla sfera di controllo del creditore/rivendicante, tali da avergli impedito la presentazione della domande nei termini, come nelle ipotesi del caso fortuito e della forza maggiore (D'Orazio, 894; Menchini-Motto, 632). La previsione è assimilabile ad una rimessione in termini (Fabiani, 1247) e comporta di volta in volta una valutazione sulle ragioni che hanno determinato il ritardo, atteso che le stesse non costituiscono un numero chiuso. Tra di esse, la principale può essere costituita dall'omissione dell'invio dell''avviso ex art. 92 da parte del curatore, dovendosi tuttavia ritenere che quest'ultimo possa comunque dare prova della conoscenza del fallimento da parte del creditore tardivo (Tedeschi, 975). Tuttavia deve ritenersi ritardo giustificato – nonostante la diversa opinione della giurisprudenza — anche quello che creditore che si insinui tardivamente dopo essere rimasto soccombente nella revocatoria, non potendo egli subire un trattamento deteriore per aver deciso di difendersi in giudizio (Nardecchia, 1314). Rimane, poi, da stabilire se — nei casi in cui l'impedimento a presentare la domanda cessi durante la pendenza del termine di decadenza ma il creditore lasci comunque decorrere tale termine – il ritardo possa ritenersi automaticamente ingiustificato o se lo stesso risulti tale solo ove sia decorso un adeguato lasso temporale tra il venir meno della causa di impedimento ed il maturarsi della decadenza (Fauceglia, 1686; Nardecchia, 1313, che individuano tale lasso di tempo in 90 giorni); oppure se addirittura il termine dei dodici mesi decorra integralmente solo dal momento in cui cessa la causa non imputabile (Stanuovo Polacco, 77). Non può ritenersi giustificato il ritardo che dipende da ragioni organizzative interne del creditore (in particolare dell'ente di riscossione), proprio in quanto riconducibile alla sua sfera organizzativa. Quali che possano essere le ipotesi di ritardo giustificato vi è comunque un termine ultimo invalicabile, costituito dal riparto finale dell'attivo (Fabiani, 1248), e cioè da quello che, prima della Riforma, era il termine ultimo per la presentazione di insinuazioni tardive, atteso che in difetto di attivo ripartibile la collocazione del creditore sarebbe priva di effetti (Fauceglia, 1690), con la conseguenza che la domanda deve essere dichiarata inammissibile (Fauceglia, 1690). Ai sensi dell'art. 101, comma 1, l.fall., sono da considerare tardive le domande di ammissione al passivo trasmesse al curatore in un arco temporale che decorre dai trenta giorni prima dell'udienza fissata per la verifica del passivo fino ai dodici mesi successivi al deposito del decreto di esecutività dello stesso (Cass. lav., n. 14099/2016). Il termine di cui all'art. 101 è perentorio ma è soggetto alla sospensione feriale (Cass. VI, n. 4408/2016; Cass. VI, n. 16494/2013). Va ricordato, però — con specifico riguardo alle domande presentate nel lasso temporale tra il trentesimo giorno prima dell'esame dello stato passivo tempestive e la stessa udienza di esame — che la Cassazione ha affermato la legittimità del provvedimento del g.d. che aveva disposto l'esame di tali domande nell'ambito dello stato passivo delle tempestive, ritenendo tale scelta più compatibile con il sollecito espletamento della verifica (Cass. I, n. 4792/2012). Un precedente afferma la sottrazione dell'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare al termine di decadenza ex art. 101 (Cass. I, n. 16218/2015). In caso di domanda tardiva di ammissione al passivo ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 101 l.fall., la valutazione della sussistenza di una causa non imputabile, la quale giustifichi il ritardo del creditore, implica un accertamento di fatto, rimesso alla valutazione del giudice di merito, che, se congruamente e logicamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. I, n. 20686/2013). Costante, nella giurisprudenza dalla Suprema Corte l'affermazione per cui, anche in caso di mancato invio dell'avviso di cui all'art. 92, la sussistenza della causa non imputabile del ritardo del creditore può essere esclusa ove il curatore provi che il creditore abbia comunque avuto notizia del fallimento (Cass. VI, n. 13818/2016; Cass. I, n. 23303/2015; Cass. I, n. 4310/2012). Va peraltro chiarito che l'ignoranza circa l'apertura della procedura fallimentare non costituisce l'unica causa di non imputabilità del ritardo, potendo verificarsi situazioni in cui il creditore, pur essendo venuto a conoscenza del fallimento si trovi nell'impossibilità di depositare la domanda (Cass. I, n. 5254/2012). È invece escluso che i diversi termini per la formazione dei ruoli e per l'emissione delle cartelle, ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, giustifichino il ritardo nell'insinuazione dell'ente di riscossione, potendo rilevare i soli tempi strettamente necessari all'Amministrazione finanziaria per predisporre i titoli (Cass. I, n. 17787/2015; Cass. VI, n. 22749/2012). La giurisprudenza più recente della Corte, peraltro, ha comunque chiarito che la presentazione della domanda supertardiva, una volta venuto meno il fattore di impedimento, non può avvenire in qualunque momento, in quanto il creditore deve provvedere all'insinuazione nel tempo necessario a prendere contezza del fallimento ed a redigere l'istanza. La Suprema Corte, tuttavia, non ha determinato tale termine, ritenendo che lo stesso vada rimesso alla valutazione del giudice di merito, secondo un criterio di ragionevolezza, in rapporto alla peculiarità del caso concreto (Cass. I, n. 23975/2015). In altra ipotesi, invece, è stato ritenuto eccessivo, in assenza di adeguata e specifica giustificazione, un intervallo temporale di quasi due anni tra l'insorgenza del credito (avvenuta dopo il primo stato passivo) e la presentazione dell'insinuazione (Cass. VI, n. 19679/2015). In proposito Cass. I, n. 11000/2022 ha affermato che il disposto dell'ultimo comma dell'art. 101 l. fall., relativo alle domande c.d. "ultratardive", va interpretato nel senso che il creditore è chiamato non solo a dimostrare la causa esterna impeditiva della tempestiva o infrannuale sua attivazione, ma anche la causa esterna, uguale o diversa dalla prima, che abbia cagionato l'inerzia tra il momento della cessazione del fattore impediente e il compimento dell'atto, dovendo escludersi che, venuto meno l'impedimento, la richiesta di ammissione al passivo possa comunque essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) del quale sia stata allegata l'impossibilità di osservanza, essendo necessaria l'attivazione del creditore in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento. Criteri oggettiviSul piano oggettivo costituisce domanda tardiva la domanda inerente un credito che non è stato oggetto di esame durante lo stato passivo delle domande tempestive, e quindi per crediti diversi per petitum e causa petendi da quelli fatti valere in via tempestiva (Fabiani, 1248), in quanto la domanda tardiva non è una forma di impugnazione del precedente stato passivo (Tedeschi, 978). Il principale problema connesso a tale delimitazione è costituito dalla necessità di evitare che, mediante la presentazione della domanda tardiva, vengano aggirate le preclusioni connesse al giudicato endofallimentare che si crea per effetto della mancata impugnazione dello stato passivo (D'Orazio, 893). Di qui le tesi circa la non ammissibilità di insinuazioni tardive volte ad ottenere il riconoscimento del privilegio ad un credito già insinuato al passivo in via chirografaria; a conseguire una diversa quantificazione; a conseguire il riconoscimento degli accessori; ad azionare in via frazionata un credito ormai definito nel suo quantum e quindi non scaturente da un rapporto continuativo ancora in corso (Fauceglia, 1684) o non costituito da distinte voci con distinti elementi costitutivi. Non ostano, invece, alla presentazione della domanda tardiva le decisioni assunte nell'esame dello stato passivo in via di mero rito, come la declaratoria di inammissibilità o di estinzione per rinuncia dell'insinuazione, in quanto tali decisioni non scendono nel merito della pretesa creditoria (Menchini-Motto, 636), mentre l'estinzione per rinuncia del giudizio di opposizione allo stato passivo preclude la successiva presentazione della domanda tardiva (Rampini-Francioso, 2089). Non diversamente può opinarsi nel caso di radicale omessa pronuncia (Fabiani, 1249), anche se in questo caso di pone il problema della concorrenza col rimedio dell'opposizione (Miccio, 673, secondo il quale l'opposizione è rimedio necessario). Condivisibile è l'opinione secondo la quale, qualora il creditore la cui domanda non sia stata esaminata presenti insinuazione tardiva e venga ammesso, non dovrebbe sottostare alla regola dell'art. 112 in quanto l'ammissione tardiva non sarebbe a lui imputabile (Nardecchia, 1309). Il nuovo disposto dell'art. 115, invece, permette al cessionario del credito o al soggetto surrogato di ottenere la rettifica dello stato passivo senza dover presentare insinuazione tardiva, come invece opinava la giurisprudenza prima della riforma (Nardecchia, 1309; Tedeschi, 982). In via generale la Suprema Corte ha enunciato il principio per cui la domanda di insinuazione tardiva è ammissibile solo se diversa, per petitum e causa petendi, rispetto alla domanda tempestiva (Cass. lav., n. 10882/2012; Cass. I, n. 24049/2006). Scendendo nello specifico dei criteri di ammissibilità delle domande tardive proposte da creditore già insinuato al passive, si può ricordare che: 1) il creditore ammesso (come da domanda) in via chirografaria, non può presentare domanda tardiva per il riconoscimento di un diritto di prelazione sul medesimo credito, a condizione che il curatore provi che la domanda di ammissione tardiva si riferisce ad un credito già insinuato (Cass. I, n. 14936/2016); 2) il creditore che abbia rinunciato all'ammissione al passivo anche se già ammesso può riproporre l'istanza di insinuazione in via tardiva (Cass. I, n. 814/2016); 3) è ammissibile la domanda tardiva proposta in relazione ad un credito con la quale il cessionario di un credito garantito da ipoteca, ceduto unitamente all'azienda con accollo non liberatorio del cedente e già ammesso al passivo del fallimento di quest'ultimo in via chirografaria, chieda l'ammissione dello stesso credito in privilegio ipotecario a seguito della risoluzione del contratto di cessione dell'azienda e della conseguente retrocessione del bene immobile su cui grava il diritto di prelazione nel patrimonio dell'imprenditore fallito (Cass. I, n. 13090/2015); 4) è ammissibile l'insinuazione tardiva del credito relativo agli interessi moratori di una sorte capitale già ammessa al passivo, in quanto fondata su una diversa causa petendi, con la sola eccezione del caso in cui gli interessi costituiscano una mera componente della pretesa già azionata (Cass. S.U., n. 6060/2015; ma anche Cass. I, n. 4554/2012); 5) per i crediti derivanti da un unico rapporto di lavoro subordinato, il principio di infrazionabilità del credito preclude la possibilità di presentare la domanda in via frazionata solo nel caso in cui il rapporto si sia concluso, ed il creditore abbia dichiarato di voler agire soltanto per una parte delle spettanze, laddove la successiva insinuazione tardiva è ammissibile nel caso in cui il creditore abbia omesso una considerazione unitaria del credito per mero errore (Cass. I, n. 9317/2013); 6) è ammissibile la domanda tardiva per retribuzioni relative a mensilità diverse da quelle richieste con l'antecedente domanda (Cass. I, n. 26539/2011); 7) è ammissibile la domanda tardiva relativa alla indennità sostitutiva del preavviso e all'indennità supplementare al TFR rispetto a quella tempestiva relativa a crediti per retribuzioni, ferie non godute e TFR (Cass. I, n. 20534/2011); 8) è ammissibile l'insinuazione tardiva proposta per la sanzione pecuniaria dopo che era stata tempestivamente ammesso al passivo il credito per l'imposta evasa, in quanto il fatto generatore dei due crediti non può dirsi identico (Cass. V, n. 7661/2006). Le modalità dell'accertamentoUna delle novità della riforma è la totale assimilazione del trattamento delle domande tardive alle domande tempestive sul piano procedurale. L'insinuazione tardiva deve avere le stesse forme ed i medesimi contenuti previsti per le domande e rivendiche tempestive – e quindi non occorre la difesa tecnica (D'Orazio, 895; Fauceglia, 1680) neppure per le insinuazioni presentate dall'Amministrazione dello Stato (Fauceglia, 1680) — ad anche l'esame avviene nelle stesse modalità previste per le domande tempestive, con possibilità di disporre l'ammissione con riserva (D'Orazio, 896; Tedeschi, 986). L'esame si conclude con la declaratoria di esecutività dello stato passivo, ed il suo deposito in cancelleria nonché comunicazione anche ai creditori già ammessi in precedenza (D'Orazio, 897). Per la sola ipotesi della rivendica, con previsione affine a quella contemplata dall'art. 93, è contemplata la possibilità di chiedere la sospensione delle operazioni di liquidazione dei beni rivendicati sino alla decisione sulla rivendica. Discostandosi dalla previsione appena citata, tuttavia, la norma in commento subordina tale possibilità alla prova della non imputabilità del ritardo nella presentazione della rivendica, secondo un modello che ricalca quello delle istanze cautelari (Fauceglia, 1690). Si è giustamente notata l'incongruità di una previsione che finisce indirettamente per consentire l'alienazione di beni che, a posteriori, potrebbero rivelarsi non essere stati di proprietà del fallimento, trasformando la rivendica sul bene in rivendica sul prezzo così ricavato (Fabiani, 1254; Montanari, 1556). Identico – per effetto del richiamo agli artt. 98 e 99 – è anche il regime delle impugnazioni. Sul piano organizzativo viene prevista la fissazione ad opera del giudice delegato di una udienza di esame delle domande tardive con cadenza ogni quattro mesi, in ideale connessione con la cadenza che segna i riparti parziali (Fabiani, 1253). È previsto che della data dell'udienza di verifica il curatore dia notizia a tutti coloro che hanno presentato domanda tardiva. All'obiezione che le esigenze di garanzia del contraddittorio incrociato con tutti i creditori dovrebbero imporre di dare comunicazione dell'udienza anche ai creditori già ammessi anteriormente, per consentirne la partecipazione (Menchini-Motto, 633; Tedeschi, 986), si replica che la lettera della norma non contempla tale possibilità, e che il contraddittorio con gli altri creditori è comunque garantito dalla comunicazione anche a loro del decreto di esecutività (D'Orazio, 896). La fissazione ogni quattro mesi è prevista anche nel caso in cui non siano ancora pervenute domande (Fabiani, 1253), e deve quindi avvenire d'ufficio (Fauceglia, 1681), essendo peraltro prevista la possibilità, per ragioni di urgenza, di fissare udienza in anticipo, potendosi ravvisare l'urgenza nell'esigenza di porre il creditore in condizione di partecipare al prossimo riparto (Tedeschi, 985). Per quanto concerne le domande ultratardive si registrano prassi favorevoli alla possibilità di declaratoria immediata di inammissibilità senza contraddittorio, laddove le ragioni del ritardo non siano addotte o risultino palesemente non condivisibili. In senso contrario – con eccezione dell'ipotesi in cui la domanda neppure alleghi l'incolpevolezza del ritardo, chiedendo la rimessione in termini (D'Orazio, 895; contra Nardecchia, 1317) — milita il dato testuale della previsione in commento, che estende anche a tali domande (definite comunque «tardive» dalla norma) «le forme dell'art. 95», e quindi la predisposizione e deposito del progetto, con successivo esame in udienza (Fabiani, 1247; Nardecchia, 1317; Miccio, 665), fermo restando che anche la declaratoria di inammissibilità de plano dovrebbe ritenersi impugnabile con l'opposizione allo stato passivo (Tedeschi, 977), anche se non mancano voci favorevoli al reclamo ex art. 26 (Miccio, 665). Anche l'opposizione allo stato passivo inerente le domande tardive è regolata dall'art. 99 (Cass. VI, n. 19145/2012). Un precedente di merito ha espressamente escluso che il provvedimento con cui il g.d. dichiara inammissibile la domanda tardiva possa essere impugnato con lo strumento di cui all'art. 26, dovendo tale provvedimento essere impugnato con lo strumento di cui all'art. 98 (Trib. Treviso, 9 dicembre 2011, in Fall. 2012, 451) Merita menzione un ulteriore precedente di merito, secondo il quale l'istanza ex art. 93 di sospensione della liquidazione dei beni rivendicati (cui l'istanza di sospensione prevista dall'art. 101 è affine) costituisce un rimedio di natura cautelare esperibile solo nel procedimento di accertamento dello stato passivo, e non è proponibile può essere proposta dopo l'esecutività dello stato passivo e, in particolare, in pendenza del giudizio di opposizione allo stato passivo (Trib. Milano, 7 ottobre 2015, in Fall. 2016, 709) Domanda tardiva e riflessi sul ripartoLe modalità di partecipazione ai riparti dei creditori e rivendicanti ammessi tardivamente sono disciplinate con il rinvio all'art. 112, il quale detta un regime di parziale disfavore. La regola generale, infatti, prevede che il creditore possa partecipare solo ai riparti successivi al momento in cui viene reso esecutivo lo stato passivo che ha visto ammettere la sua insinuazione, senza che l'insinuazione medesima possa avere alcun effetto prenotativo e dia diritto ad accantonamenti (Fabiani, 1250; Fauceglia, 1689), non essendo tale ipotesi prevista dall'art. 113 (D'Orazio, 896). Ulteriore segnale di disfavore è il fatto che, pacificamente, anche in pendenza dell'accertamento di una domanda tardiva, la procedura può essere chiusa (Fauceglia, 1689; D'Orazio, 896) come desumibile anche dal disposto di cui all'art. 118, n. 1) (Menchini-Motto, 629). Tale regola supplementare trova una duplice deroga: 1) nel caso dei creditori muniti di titolo di prelazione; 2) nel caso dei creditori quelli chirografari che si siano insinuati tardivamente per causa non imputabile. In questi due casi i creditori tardivi possono prelevare nei riparti successivi le quote che sarebbero loro spettate nelle precedenti ripartizioni, tuttavia nei limiti delle disponibilità residue e senza possibilità di ripetere somme dagli altri creditori, stante il vincolo dell'art. 114 (Fabiani, 1251). Il riferimento all'ipotesi di non imputabilità del ritardo nella seconda ipotesi di deroga giustifica la lettura che ritiene che il creditore ultratardivo che fornisca la prova della non imputabilità del proprio ritardo e venga ammesso al passivo dovrebbe essere automaticamente ammesso a prelevare nei riparti successivi le quote che gli sarebbero spettate nelle precedenti ripartizioni (Fabiani, 1251). A ben vedere, tuttavia la norma in commento definisce come «tardivi» tutti i creditori che hanno presentato domanda dopo il trentesimo giorno che precede l'esame dello stato passivo delle domande tempestive. Ne consegue che la prova del ritardo non imputabile ben potrebbe essere fornita anche dal creditore «tardivo ma non ultratardivo», sempre allo scopo di invocare il trattamento speciale (Nardecchia, 1318). Non è invece più previsto che il creditore sopporti le spese conseguenti al ritardo della domanda – e fermo restando che tale problema può porsi nella sola fase di eventuale impugnazione – è da ritenersi che il regime delle spese segua i criteri generali (Fauceglia, 1682; Tedeschi, 987). La domanda d'insinuazione tardiva di un credito non preclude agli organi della procedura il compimento di ulteriori attività processuali, compresa la chiusura del fallimento, e non comporta un obbligo di procedere all'accantonamento di una parte dell'attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi (Cass. VI, n. 18550/2014). 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