Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 179 - Mancata approvazione del concordato.

Valentino Lenoci

Mancata approvazione del concordato.

 

Se nei termini stabiliti non si raggiungono le maggioranze richieste dal primo comma dell'articolo 177, il giudice delegato ne riferisce immediatamente al tribunale, che deve provvedere a norma dell'art. 162, secondo comma1.

Quando il commissario giudiziale rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilita' del piano, ne da' avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto2.

[2] Comma aggiunto dall'articolo 33, comma 1, lettera d-ter), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012.

Inquadramento

Con il decreto correttivo del 2007 era stato espunto dal testo dell'art. 179 l.fall. il richiamo all'art. 178, poiché non più coerente con la disciplina delle maggioranze, come riformata, oramai contenuta esclusivamente nell'art. 177 l.fall.

Invero, richiamando le citate norme, viene in rilievo l'ulteriore ipotesi d'insuccesso dell'iniziativa concordataria nel caso in cui non vengano raggiunte le maggioranze richieste dall'art. 177, comma 1, l.fall. per l'approvazione del concordato. L'art. 179 l.fall. prevede che, verificandosi tale evenienza, il giudice delegato ne dia immediata comunicazione al Tribunale che deve provvedere ai sensi dell'art. 162, comma 2, l.fall. (Cass. n. 16217/2015). Si ricorda che l'art. 177 l.fall., richiamato dall'art. 179 l.fall. prevede, al comma 1, che ai fini dell'approvazione del concordato sia necessaria la maggioranza dei crediti ammessi al voto oppure, in presenza di crediti suddivisi in classi, il raggiungimento della maggioranza dei crediti ammessi nel maggior numero delle classi. Per una corretta interpretazione della norma, si segnala che il recente d.l. 27 giugno 2015, n. 83 (convertito dalla l. 6 agosto 2015, n. 132), ha apportato alcune modifiche alla disciplina dettata in tema di approvazione del concordato nell'ottica del necessario coordinamento con le c.d. proposte alternative. In particolare, il comma 1 dell'art. 177 l.fall. prevede che, quando vengano poste al voto più proposte di concordato (in base a quanto ora consentito dai nuovi artt. 163, comma 4, e 175, comma 5, l.fall.), si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto. In caso di parità — prosegue la norma in commento — prevale quella del debitore e ancora, in caso di parità tra proposte di creditori, prevale quella che sia stata presentata per prima. Il legislatore ha poi introdotto alcuni correttivi destinati ad operare nel caso in cui non venga raggiunta la maggioranza qualificata in ordine alle proposte presentate. La legge, anziché prendere atto della mancata approvazione, tenendo conto di una sorta di effetto «dispersivo» del voto tra molteplici proposte, dispone che il giudice delegato, con decreto da adottare entro 30 giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 4 dell'art. 178 (20 giorni successivi alla chiusura del verbale relativo alle operazioni di voto), rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto e fissa il termine per la comunicazione ai creditori e quello a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio dissenso con le modalità previste sempre dall'art. 178 l.fall. e dunque a mezzo telegramma, lettera, telefax o posta elettronica. In ogni caso — precisa la norma — «si applicano il primo e secondo periodo del presente comma»: ciò significa che, anche per quel che riguarda l'approvazione della proposta rimessa al voto dal Giudice delegato, sarà necessario rispettare le maggioranze «qualificate», con la conseguenza che il concordato sarà approvato solo se votino favorevolmente i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto e, nel caso in cui siano previste diverse classi di creditori, se tale maggioranza si verifichi nel maggior numero di classi. Il comma 4 dell'art. 177 l.fall. estende poi l'esclusione (già esistente) dal voto e dal computo delle maggioranze anche alla società controllante la società debitrice in concordato, nonché le società controllate e quelle sottoposte a comune controllo.

 Il fatto che, nella pendenza del procedimento di concordato preventivo, la dichiarazione di fallimento possa essere dichiarata soltanto nei casi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. non esclude che essa possa avvenire durante le eventuali fasi di impugnazione, non sussistendo tra le due procedure un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica (Cass. S.U. n. 9935/2021; Cass. ord. n. 8982/2021).

Il mancato raggiungimento delle maggioranze

Scaduto il suddetto termine di venti giorni il giudice delegato, se le maggioranze richieste dal primo comma dell'art. 177 non sono raggiunte, riferisce immediatamente al tribunale che deve provvedere a norma dell'art. 162, secondo comma. Il rinvio all'art. 162, secondo comma, aveva creato non pochi dubbi interpretativi nel periodo precedente all'entrata in vigore del correttivo del 2007, perché tale norma non era stata toccata rispetto al testo originario del '42 ed appariva del tutto priva di coordinamento con la disciplina del concordato introdotta con la novella del 2005.

- Si era ritenuto, difatti, da parte della giurisprudenza e della dottrina, che l'art. 162 fosse stato integralmente abrogato per incompatibilità in quanto richiamava, quali ragioni di inammissibilità della proposta, l'inesistenza delle condizioni previste dal primo e dal secondo comma dell'art. 160 — commi completamente riscritti dal legislatore del 2005 — e prevedeva, altresì, al secondo comma, la dichiarazione di fallimento d'ufficio, di certo non più compatibile con le disposizioni di cui agli artt. 6 e 7 l.fall., come sostituiti dal d.lgs. n. 5/2006 (Cass. n. 5657/2012; Cass. n. 8186/2010; Trib. Mantova 9 febbraio 2007). Quindi la riformulazione dell'art. 162, secondo comma, in tema di inammissibilità della proposta ha imposto, a seguito dell'entrata in vigore del «correttivo», che lo stesso procedimento debba essere applicato anche per il caso di mancato raggiungimento delle maggioranze.

In pendenza del procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162,173,179 e 180 l. fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato è stata dichiarata inammissibile, quando è stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non è stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, il concordato è stato respinto; la dichiarazione di fallimento, peraltro, poiché non sussiste un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo (Cass. VI, n. 8982/2021).

Il g.d., pertanto, riferirà immediatamente al tribunale che, sentito il debitore in camera di consiglio, con decreto non soggetto a reclamo, dovrà pronunziare l'improcedibilità della proposta concordataria, già dichiarata ammissibile a sensi dell'art. 163 l.fall.

Al decreto di improcedibilità potrà seguire il fallimento del debitore, ma solo su istanza del creditore o su richiesta del PM ed accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.fall. Tuttavia, prima di dichiarare l'improcedibilità, il tribunale deve compiere un'autonoma indagine in ordine al mancato raggiungimento delle maggioranze, controllando (esattamente come è tenuto a fare nel giudizio di omologazione, in sede di verifica della regolarità della procedura e dell'esito della votazione) la legittimazione al voto, la legittimità dei provvedimenti emessi d al giudice delegato e la regolarità della votazione.

In applicazione dell'art. 162, il tribunale deve a tale fine convocare il debitore in camera di consiglio per consentirgli l'esercizio del diritto di difesa sulle questioni che influiscono sul calcolo delle maggioranze.

In proposito la Suprema Corte (Cass. n. 9802/2012) ha statuito l'inammissibilità del regolamento di competenza avverso il decreto con il quale il tribunale, dato atto del mancato raggiungimento delle maggioranze, convoca il debitore in camera di consiglio, trattandosi di provvedimento avente natura meramente ordinatoria e non di sentenza implicita sulla competenza territoriale per l'eventuale dichiarazione di fallimento, e quindi inidoneo a pregiudicare la relativa questione.

- L'istruzione probatoria procede ad impulso d'ufficio secondo il principio valevole per i procedimenti camerali (art. 738 c.p.c.): il tribunale potrà assumere sommarie informazioni e disporre l'audizione di terzi, oltre che del commissario giudiziale (Maffei Alberti, 1187).

La reclamabilità del provvedimento del g.d.

Gli interventi del legislatore del 2005 e del 2007, sebbene abbiano inciso in maniera notevole sull'istituto del concordato preventivo, per la parte che qui occupa, non pare siano stati significativi e, pertanto, si dovrebbe propendere ancora oggi per la reclamabilità ex art. 26 l.fall. del provvedimento del g.d.

- Quanto al provvedimento del g.d., dichiarativo del mancato conseguimento delle maggioranze richieste per l'approvazione del concordato, sul punto, si sono riscontrati contrasti in giurisprudenza: alcune pronunce hanno sostenuto che avverso il provvedimento del g.d., dichiarativo del mancato conseguimento delle maggioranze richieste per l'approvazione del concordato, potesse essere proposto reclamo al tribunale ex art. 26 l.fall. (Cass. n. 3521/2000); altri giudici, invece, hanno evidenziato che, stante la natura preparatoria ed interlocutoria rispetto alla successiva attività del Tribunale (cui spetta la verifica dell'effettivo mancato raggiungimento delle maggioranze e l'eventuale convocazione del debitore in camera di consiglio), il provvedimento del g.d. non sarebbe reclamabile (Trib. Bergamo 21 gennaio 2010; Trib. Roma 23 ottobre 2006). Pertanto, il reclamo, se ammissibile, avrà ad oggetto, in particolare, l'ammissione al voto di uno o più creditori. In tal caso il creditore, il cui credito sia contestato, non assume peraltro la veste di parte del giudizio, in quanto l'ammissione del credito al voto non è destinata ad esplicare alcuna incidenza sull'accertamento della sussistenza e della dimensione del diritto dello stesso a fini satisfattori (Cass. n. 3521/2000).

Viene invece comunemente esclusa la reclamabilità e la ricorribilità ex art. 111 Cost. del decreto di convocazione del debitore, in quanto atto meramente ordinatorio che non pregiudica la valutazione dell'esito della votazione (Norelli, 500).

Quanto al decreto di improcedibilità emesso dal tribunale, al contrario, questoè stato espressamente qualificato non soggetto a reclamo dall'art. 162, rilevandosi tuttavia in dottrina che, se ciò era comprensibile nel sistema originario «in cui alla inammissibilità o improcedibilità si accompagnava necessariamente la dichiarazione di fallimento», appare «meno logicamente congrua nel sistema riformato — ed ancor meno in quello corretto nel 2007 — in cui la dichiarazione di fallimento è solo eventuale» Filocamo, Sub art. 179, 2014, 2414).

Tale inciso trova conferma anche in altra pronuncia giurisprudenziale, in cui la previsione contenuta nell'art. 162, comma 2, l.fall. non lascia ombra di dubbio sulla non reclamabilità del provvedimento del tribunale non accompagnato dalla dichiarazione di fallimento, ipotesi nella quale potranno essere fatte valere anche tutte le contestazioni in ordine alla procedibilità della proposta di concordato (App. Salerno 19 ottobre 2010). Quanto alla ricorribilità in cassazione ex art. 111 Cost, in alcune pronunce ne è stata esclusa la possibilità proprio per il carattere non definitivo né decisorio del provvedimento di improcedibilità emesso dal tribunale (Cass. n. 8186/2010); in altre pronunce, invece, è stato evidenziato che in tema di concordato preventivo, il decreto del tribunale che neghi l'ingresso alla procedura richiesta dal debitore è ricorribile per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., essendo non reclamabile ai sensi dell'art. 162 l.fall., tutte le volte in cui la dichiarazione di inammissibilità (come nella specie per difetto di giurisdizione in favore di giudice straniero, al pari dell'inammissibilità per l'esclusione della qualità di imprenditore commerciale o assenza dello stato d'insolvenza) ha intrinseco carattere decisorio, essendo dipesa da ragioni che escludono la consequenziale declaratoria di fallimento; fermo restando l'inammissibilità del suddetto ricorso quando il decreto è inscindibilmente connesso (per difetto delle condizioni di cui all'art. 160 della stessa legge) alla successiva e consequenziale sentenza dichiarativa di fallimento (anche non contestuale), dovendo in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza (Cass. S.U., n. 9743/2008).

- Una parte della dottrina, comunque, esclude anche la ricorribilità in cassazione del decreto di improcedibilità, trattandosi di provvedimento privo di contenuto decisorio su diritti che non preclude la ripresentazione di nuova domanda di concordato preventivo né una diversa soluzione concorsuale (Pajardi – Paluchowski 2008, 847)

Il mutamento delle condizioni di fattibilità del piano

Il secondo comma della norma in commento — introdotto dall'art. 33 del d.l. n. 83/2012 (conv. in l. n. 134/2012) — si riferisce ad eventi successivi all'approvazione del concordato che mutino le condizioni di fattibilità del piano.

Per quanto la norma si riferisca sia ai concordati con continuità aziendale, sia ai concordati di liquidazione, la disposizione sembra di maggiore incidenza sui primi, data la maggiore complessità del piano.

I mutamenti devono riguardare le condizioni di fattibilità del piano, che sono altra cosa rispetto alla convenienza della proposta concordataria. Si pensi, ad es., alla sopraggiunta indisponibilità dei finanziamenti previsti come necessari o alla sopraggiunta indisponibilità di terzi all'acquisto dell'azienda, o di suoi rami o di altri cespiti.

L'iniziativa spetta al commissario giudiziale e non è previsto l'intervento del tribunale o del giudice delegato.

La comunicazione ai creditori inviata dal commissario giudiziale legittima gli stessi, previa costituzione nel giudizio di omologazione, a modificare il voto. È stato rilevato che, generalmente si tratterà di modifica del voto positivo in voto negativo, ma che non può essere esclusa neppure l'ipotesi contraria (Maffei Alberti, 1188). Infatti, il riferimento a qualsiasi mutamento delle condizioni di fattibilità (sia peggiorativo che migliorativo) ed a qualsiasi modificazione del voto (sia favorevole che contrario) induce a conferire al meccanismo descritto un ambito operativo più generale, nel senso che esso consente – al verificarsi dei descritti presupposti (mutamento delle condizioni di fattibilità comunicato dal c.g. ai creditori) – anche di modificare il dissenso — espresso o presunto — in adunanza o nei venti giorni successivi in voto favorevole, ovvero di modificare l'assenso in voto contrario (App. Firenze 10 febbraio 2014; Ambrosini 2012, 7-8; Filocamo, 2416).

Ovviamente, al commissario giudiziale rimane riservata ogni valutazione in ordine alla rilevanza dell'evento sopravvenuto sulle condizioni di fattibilità del piano, apparendo corretto ritenere, difatti, che l'avviso ai creditori, ai fini di consentire a questi ultimi la eventuale costituzione nel giudizio di omologa per la modificazione del voto, possa trovare giustificazione solo in presenza di un effettivo ed apprezzabile mutamento delle condizioni stesse. Spetterà poi al Tribunale, in sede di omologazione e per il caso di contestazioni, verificare la sussistenza o meno di fatti modificativi della fattibilità del piano e sempre solo ed esclusivamente ai fini del ricalcolo del voto e della verifica del raggiungimento delle maggioranze.

Sotto il profilo temporale, dal tenore letterale della norma si evince che possono essere presi in considerazione soltanto i mutamenti delle condizioni di fattibilità rilevati dopo l'approvazione della proposta, quand'anche, eventualmente, verificatisi prima dell'approvazione: Nardecchia 2012, 2)

La giurisprudenza ha inoltre precisato che il secondo comma dell'art. 179 non può fondare l'ammissibilità di modifiche del piano successive all'approvazione, perché la norma si rivolge ai creditori (e non al debitore) ed implica l'iniziativa del commissario giudiziale in relazione ad eventi estranei alla volontà del debitore e sopravvenuti all'approvazione del concordato, che hanno determinato un mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, ed è quindi una norma non utilizzabile in relazione a carenze originarie della proposta (Cass. n. 8575/2015). In conclusione, l'innesto del secondo comma nell'art. 179 l.fall. segna, definitivamente, per il futuro che solo i creditori, modificando il voto, possono incidere indirettamente sull'esito del giudizio di omologazione; d'altra parte non si vede perché mai, se i creditori non si lamentano del peggioramento delle condizioni di fattibilità, debba essere il Tribunale a negare l'omologazione (Fabiani, 2012, 19).

Di certo con il nuovo secondo comma dell'art. 179 l.fall. si garantisce ulteriormente, anche dopo l'adunanza e sino al giudizio di omologazione, che la formazione del consenso dei creditori sulla proposta concordataria debba essere improntata alla consapevole ed adeguata informazione, garanzia dell'espressione nel voto della valutazione — consapevole e ponderata — della fattibilità del piano in essa illustrato (Cass. n. 18987/2011).

La modificazione del voto espresso in adunanza deve avvenire, comunque, mediante formale costituzione nel giudizio di omologazione, che può avvenire fino all'udienza fissata ai sensi dell'art. 180, comma 1, l.fall. Tale costituzione, pertanto, è svincolata dal termine previsto dal termine dal secondo comma dello stesso art. 180 l.fall., il che potrebbe determinare una disparità di trattamento tra creditori dissenzienti ab origine (che devono costituirsi nel termine di dieci giorni prima dell'udienza fissata) e creditori dissenzienti post approvazione (Finardi 2013, 1412).

Si ritiene che i creditori che abbiano modificato il voto da favorevole a contrario, in quanto dissenzienti, siano anche legittimati ad opporsi all'omologazione per sopravvenuta carenza delle condizioni di fattibilità, quanto meno nei limiti in cui tale controllo è consentito al tribunale, e quindi limitatamente alla fattibilità giuridica (Finardi 2013, 1412; Maffei Alberti 2013, 1189).

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