Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 216 - Bancarotta fraudolenta.Bancarotta fraudolenta.
È punito con la reclusione da tre a dieci anni, se è dichiarato fallito, l'imprenditore, che: 1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti; 2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili. È punito con la reclusione da uno a cinque anni il fallito, che, prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula titoli di prelazione. Salve le altre pene accessorie, di cui al capo III, titolo II, libro I del codice penale, la condanna per uno dei fatti previsti nel presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa1. [1] La Corte Costituzionale, con sentenza 5 dicembre 2018, n. 222 (in Gazz. Uff. 12 dicembre 2018, n. 49), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anziche': «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacita' ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni». InquadramentoL'opinione prevalente nella dottrina penalistica ravvisa nel reato di bancarotta un delitto contro il patrimonio. All'interno di tale orientamento esegetico, alcuni autori hanno sottolineato che l'oggetto giuridico del reato è più specificatamente il diritto di garanzia che i creditori hanno sul patrimonio del debitore (Longhi, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Milano, 1930). Altri autori hanno specificato che l'oggetto giuridico è rappresentato nel diritto dei creditori al trattamento egualitario alla distribuzione del patrimonio del debitore (Punzo, Il delitto di bancarotta, Torino, 1953, 24 e ss.). Altri ancora hanno posto in rilievo l'aspetto della tutela del diritto di credito contro gli atti di illecita disposizione dei propri beni da parte del debitore (Delitala, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. Dott. Comm. 1926, I, 437). Gli autori più moderni estendono la tutela penale del patrimonio ricomprendendo non solo i diritti dei creditori, ma anche i loro interessi, e ravvisano l'oggetto giuridico del reato di bancarotta nella tutela degli interessi patrimoniali dei creditori (Conti, Diritto penale commerciale, II, 1967). Un ulteriore orientamento ravvisa nella bancarotta un reato plurioffensivo che oltre ad offendere gli interessi patrimoniali dei creditori in senso lato, fra i quali l'interesse a conoscere la consistenza del patrimonio del debitore, l'interesse al trattamento paritetico in caso di insolvenza, l'interesse al soddisfacimento nella maggior misura e nel minor tempo possibile, offende e pone in pericolo altri beni, e cioè la pubblica economia e, dopo la dichiarazione di fallimento, l'amministrazione della giustizia (Antolisei, Manuale di diritto penale, 1987, 22 e ss.). La funzione della sentenza dichiarativa di fallimentoÈ sempre stata dominante in giurisprudenza e in dottrina l'opinione secondo cui, dovendosi ravvisare nella decisione del giudice del fallimento la determinazione di un vero e proprio status, quello di fallito, ed essendo tale status un presupposto per l'applicazione degli artt. 216 e ss. l.fall., ha ritenuto che la sentenza di fallimento risolvesse una vera e propria controversia sullo status delle persone. Nella vigenza del codice di procedura penale del 1931, si era ripetutamente affermato che la sentenza dichiarativa di fallimento facesse stato nel procedimento penale per bancarotta sull'esistenza dei presupposti soggettivi, come la qualità di imprenditore commerciale, o la qualità di socio illimitatamente responsabile, o lo status di fallito, e gli estremi oggettivi, come lo stato di insolvenza rilevante ai fini del fallimento e delle altre procedure fallimentari (Antolisei, 249). Tale tesi è stata messa in discussione in seguito alla riforma del codice di procedura penale del 1988 che ha affermato la regola generale dell'autonoma cognizione del giudice penale per quanto concerne le questioni strumentali rispetto alla decisione finale e, più in generale, quella dell'autosufficienza della giurisdizione penale. Conseguentemente è venuto a formarsi un secondo orientamento secondo cui la sentenza dichiarativa del giudice civile non faceva stato nel procedimento penale Cass. pen. n. 7961/1998). Il contrasto è stato poi superato e risolto dalle Sezioni Unite, che hanno statuito che il giudice penale non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza ed a quelli soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore. Va infine rimarcato che, una volta divenuta definitiva la sentenza di fallimento, le successive vicende della relativa procedura sono irrilevanti ai fini penali, con la conseguenza che il concordato fallimentare non è causa di estinzione del reato di bancarotta semplice o fraudolenta (Cass. n. 2011/7469). La natura giuridica della sentenza dichiarativa di fallimentoLa qualificazione della sentenza dichiarativa di fallimento nell'ambito delle fattispecie di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice rappresenta una vexata quaestio, che sembrava aver trovato stabile soluzione nel consolidato orientamento – peraltro assai criticato dalla dottrina – inaugurato da S.U. , n . 2 del 25 gennaio 1958 , Mezzo (“La dichiarazione di fallimento, rispetto ai fatti di bancarotta che siano anteriori alla sua pronuncia, costituisce una condizione di esistenza del reato, oltre a determinare la punibilità. Pertanto si differenzia concettualmente dalla condizione obiettiva di punibilità, perché mentre queste presuppongono un reato già perfetto oggettivamente e soggettivamente, essa inerisce, invece, così intimamente alla struttura del reato da qualificare quei fatti, i quali, come fatti di bancarotta sarebbero penalmente irrilevanti fuori del fallimento. La dichiarazione di fallimento segna il momento consumativo del reato di bancarotta, e cioè il momento in cui si realizza la fattispecie penale”). Una più recente sentenza (Cass. pen. V, n. 47502/2012, Corvetta e altri, Rv. 253493), partendo proprio dal presupposto per cui, secondo la tradizionale posizione della giurisprudenza di legittimità, il fallimento sarebbe elemento costitutivo della fattispecie tipica, ha affermato in particolare come, in quanto tale, esso non potrebbe che costituire, secondo i principi generali dell'ordinamento penale, l'evento della bancarotta, avvinto alla condotta distrattiva da un rapporto di derivazione causale, ritenendo in tal senso di poter rinvenire un addentellato a tale conclusione nell'art. 223 l.fall., il quale sarebbe «norma di chiusura che prevede la punibilità anche di altre condotte che siano state determinanti nella causazione del fallimento, pur non rientrando nell'elenco di cui all'art. 216», ma che, attesa la presenza di aree di sovrapponibilità tra l'oggetto di quest'ultima e le altre fattispecie ivi previste, troverebbe proprio nel rapporto eziologico tra condotte punite e dissesto il minimo comune denominatore, non trovando altrimenti spiegazione l'omogenea risposta sanzionatoria. Non di meno, sempre secondo la pronunzia citata, in quanto evento del reato, il dissesto e la sua causazione rientrerebbero necessariamente nell'oggetto del dolo del reato. In proposito è opportuno ricordare innanzi tutto come, secondo il citato orientamento generato dalle Sezioni Unite nel lontano 1958, la sentenza dichiarativa di fallimento, pur rappresentando un elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, costituirebbe una «condizione di esistenza del reato » o, per meglio dire, un elemento al cui concorso sarebbe collegata l'esistenza del reato, e non già una condizione obiettiva di punibilità. Ed invero, mentre quest'ultima presupporrebbe un reato già perfetto oggettivamente e soggettivamente, essa, relativamente a quei fatti commissivi od omissivi anteriori alla sua pronunzia, inerirebbe così strettamente all'integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti. In altri termini non sarebbe possibile ritenere che la lesione o il pericolo del bene protetto con l'incriminazione si verifichi per effetto solamente della commissione dei fatti di bancarotta, di guisa che la funzione della sentenza dichiarativa di fallimento sia semplicemente quella di rendere punibile un fatto già di per se stesso costituente reato e, comunque, illecito (Cass. pen. S.U., n. 2/1958, imp. Mezzo). Seguendo questa linea interpretativa si è affermato, in maniera per lo più tralaticia, che gli atti di disposizione che l'imprenditore compie sui propri beni ed i comportamenti, attivi od omissivi, ch'egli tiene nella condotta dei propri affari sono penalmente irrilevanti, siccome libera manifestazione del diritto di gestire l'impresa nel modo che a lui sembra più conveniente per la tutela dei propri interessi. Essi, invece, diventerebbero rilevanti penalmente quando, con la constatazione giudiziale della insolvenza, viene accertata la lesione arrecata ai diritti dei creditori con la conseguenza che soltanto con la dichiarazione di fallimento si verifica l'esposizione a pericolo (e, quindi, si realizza l'offesa) dell'interesse tutelato. Prima di tale momento sarebbe, per contro, impossibile affermare che la condotta abbia intaccato l'interesse dei creditori, perché esso sarebbe pienamente salvaguardato finché esistono altri beni sufficienti (ossia una capacità patrimoniale adeguata) a soddisfare regolarmente le obbligazioni. Detto altrimenti, finché non sopraggiunge il fallimento, che è l'unico mezzo tecnico idoneo ad accertare lo stato di dissesto, si dovrebbe ritenere che la capacità patrimoniale sia adeguata e che non sia, pertanto, attuale l'ipotesi di una lesione dell'interesse dei creditori (ex multis Cass. pen. I, n. 1825/07; Cass. pen. I, n. 4356/2001; Cass. pen. I, n. 2392/1996; Cass. pen. I, n. 4859/1995; Cass. pen. I, n. 2988/1991; Cass. pen. V, n. 3049/87, e più di recente Cass. pen. V, n. 20736/2010). In tal senso, si è sintetizzato che la sentenza dichiarativa di fallimento sarebbe un elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che fatti altrimenti irrilevanti sul piano penale o, comunque, integranti altri reati possono essere considerati lesivi degli interessi dei creditori ed incidenti negativamente sul regolare svolgimento dell'attività imprenditoriale, tanto da essere specificamente perseguiti penalmente (Cass. pen. V, n. 46182/2004). Ancora va ricordato come, in tempi più recenti, l'orientamento accreditato dalle Sezioni Unite Mezzo sia stato, seppur incidentalmente, confermato in maniera autorevole anche dallo stesso Supremo Collegio, il quale — nel ribadire, a commento del secondo comma dell'art. 236 l.fall., che il decreto di ammissione all'amministrazione controllata ripete, nell'ambito della corrispondente fattispecie di bancarotta, la stessa natura e gli stessi effetti della sentenza dichiarativa di fallimento ed integra, pertanto, un elemento costitutivo del reato e non già una mera condizione obiettiva di punibilità, presupponendo questa un reato già strutturalmente perfetto, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo e che é solo per effetto dell'ammissione all'amministrazione controllata che determinate condotte del ceto gestorio della società si connotano come bancarotta — ha ulteriormente precisato che questo racchiude «l'insieme o la somma degli elementi che incarnano il volto di una specifica figura di reato», ivi compresi i così detti elementi normativi i quali, instaurando una stretta relazione giuridica con la condotta, partecipano alla descrizione della medesima fattispecie e rimangono imprescindibilmente inseriti nel suo nucleo essenziale (Cass. pen. S.U., n. 24468/2009). E tra questi, per l'appunto, le Sezioni Unite ritengono debba essere annoverata anche la sentenza dichiarativa di fallimento, elemento normativo interno alla fattispecie incriminatrice della bancarotta. Ancora più recentemente, si è altresì precisato in termini espliciti come la giurisprudenza successiva alle Sezioni Unite“Mezzo” non si sia invero discostata dalla sua ricostruzione della fattispecie di bancarotta, evocando — nel riferirsi alla sentenza di fallimento — la categoria dell'elemento costitutivo del reato in senso improprio, mirato più che altro a rimarcare la rilevanza della data e del luogo della dichiarazione di fallimento ai fini dell'applicabilità di determinati istituti sostanziali e processuali, quali la prescrizione del reato o la competenza territoriale (Cass. pen. V, n. 32031/2014). In tal senso la giurisprudenza è comunque costante nell'escludere che la dichiarazione di fallimento costituisca l'evento del reato di bancarotta e la necessità che per la sua integrazione sia necessario accertare un nesso eziologico tra la condotta realizzatasi con l'attuazione di un atto dispositivo — che incide sulla consistenza patrimoniale di un'impresa commerciale — ed il fallimento o i suoi presupposti sostanziali (ex multis Cass. pen. S.U., n. 22474/2016; Cass. pen. I, n. 40172/2009; Cass. pen. V, n. 36088/2006 e Cass. pen. V, n. 8327/1998, nonché Cass. pen. V, n. 15850/1990, per cui l'evento naturalistico delle condotte descritte nel primo comma dell'art. 216 dovrebbe semmai essere individuato nella diminuzione della garanzia patrimoniale che esse determinano). Ciò ha condotto ad affermare che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento (o altro atto equipollente), detti fatti assumerebbero rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza ed a prescindere dalla consistenza del passivo accertato (ex multis Cass. pen.S.U., n. 22474/2016; Cass. pen. V, n. 27993/2013; Cass. pen. V, n. 7545/13; Cass. pen. V, n. 232/13; Cass. pen.fer., n. 32779/2012; Cass. pen.I, n. 40172/2009; Cass. pen.V, n. 34584/2008; Cass. pen.V, n. 36088/2006; Cass. pen.V, n. 8327/1998; Cass. pen. V, n. 15850/1990). La giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di definire ulteriormente i concetti illustrati in precedenza, precisando come l'incidenza causale della condotta distrattiva sul fallimento sia un aspetto irrilevante ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta, il cui evento è esclusivamente di tipo giuridico ed è costituito dalla lesione dell'interesse patrimoniale della massa creditoria (Cass. pen. V, n. 16759/2010), già riconducibile alla condotta di sottrazione di beni a detrimento della garanzia patrimoniale o di documentazione in pregiudizio delle possibilità di verifica contabile, e non anche dal dissesto della società, estraneo alla struttura del reato in quanto mero substrato economico dell'insolvenza (Cass. pen. I, n. 40172/2009). Estraneo al reato è di conseguenza anche il rapporto causale fra la condotta ed il dissesto che peraltro, ove inteso dal legislatore come viceversa rilevante per la ravvisabilità del reato, è espressamente previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria di cui all'art. 223, comma secondo, l.fall., norma significativamente modificata dall'art. 4 d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, con l'estensione della necessità del nesso causale fra il dissesto e la commissione di determinati reati societari, senza che analoga disposizione sia stata con l'occasione introdotta per gli altri reati fallimentari (cfr. Cass. pen. V, n. 3560/14). È affermazione altrettanto costante quella per cui la dichiarazione di fallimento sarebbe svincolata dal dolo necessario per la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta. In tal senso la rappresentazione del fallimento esulerebbe dall'elemento soggettivo del reato, con la conseguente irrilevanza del fatto che nell'agente manchi la consapevolezza di poter fallire (ex multis Cass. pen. V, n. 17044/2001). E nel medesimo senso si è precisato che per la sussistenza del dolo della bancarotta distrattiva non è necessario che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, risultando dunque irrilevante che questo si sia o meno già manifestato al momento della consumazione della condotta illecita (Cass. pen. S.U., n. 22474/2016; Cass. pen. V, n. 3229/13; Cass. pen. V, n. 11633/2012; Cass. pen. V, n. 44933/2011; Cass. pen. V, n. 29896/2002). L'orientamento della Corte di legittimità si è dunque progressivamente assestato verso una lettura della fattispecie prevista dal primo comma dell'art. 216 l.fall. come reato di condotta e di pericolo, sorretto dal dolo generico, al cui oggetto rimarrebbe estranea non solo la sentenza dichiarativa di fallimento, ma anche solo lo stato d'insolvenza o il dissesto che ne costituiscono il presupposto (ex multis e tra le più recenti Cass. pen. V, n. 3229/13; Cass. pen. V, n. 11633/2012; Cass. pen. V, n. 44933/2011). Nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell'agente e deve essere, altresì, sorretto dall'elemento soggettivo del dolo (Cass. pen. V, n. 47502/2012, imp. Corvetta). La ricostruzione della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale prospettata nella sentenza Corvetta non può in ogni caso essere condivisa. Numerose sono infatti le obiezioni che possono muoversi al percorso argomentativo seguito nell'occasione. Innanzi tutto appare come un mero paralogismo quello per cui il fallimento, in ossequio agli artt. 40 e 41 c.p., deve risultare in rapporto di derivazione causale con la condotta in quanto evento del reato. Infatti, la premessa minore («il fallimento costituisce «evento» del reato di bancarotta») è a ben vedere tautologica, non essendo offerta alcuna dimostrazione del perché la dichiarazione giudiziale di insolvenza sia da ritenere «evento» (termine medio del sillogismo) della bancarotta, ergo soggetto alla regola enunciata dalla premessa maggiore («l'«evento» del reato è conseguenza della condotta secondo il nesso eziologico exartt. 40 e 41 c.p.»), così da giungere alla conclusione per cui tra condotta di bancarotta e fallimento debba sussistere il nesso eziologico exartt. 40 e 41 c.p. In altri termini che il fallimento sia evento del reato è affermazione che, per poter essere posta al centro del ragionamento, richiede di essere previamente dimostrata, onere che la sentenza non può dirsi abbia assolto se non ricorrendo ad una petizione di principio, e cioè che in quanto asserito elemento costitutivo del fatto tipico non può che assumere tale qualifica. Non di meno l'evocata identificazione della declaratoria di fallimento come elemento costitutivo del reato in senso proprio è il frutto, come già evidenziato, di una lettura superficiale dell'effettivo contenuto dell'orientamento giurisprudenziale tradizionale. Sotto altro profilo va poi ribadito che ogni qualvolta il legislatore ha ritenuto necessaria la sussistenza di un collegamento causale tra il fallimento, il dissesto o lo stato d'insolvenza e le condotte di bancarotta (artt. 217 n. 4, 223 comma secondo nn. 1 e 2 e 224 n.2), lo ha esplicitato, ricorrendo ad una terminologia inequivocabile e tipicamente evocativa in tal senso (ex multis e da ultima Cass. pen. V, n. 32352/2014). Risulterebbe dunque quantomeno singolare che, proprio nella disposizione che in qualche modo rappresenta il fulcro del sistema di incriminazioni in materia fallimentare, lo stesso legislatore abbia invece deciso di «criptare» l'indicazione di un requisito in ipotesi così significativo nell'economia della fattispecie tipizzata. Né l'interpretazione proposta dalla sentenza Corvetta della funzione dell'art. 223 e dei rapporti intercorrenti tra le fattispecie in esso previste appare condivisibile, giacché meramente assertiva e frutto di una ingiustificata manipolazione della lettera della norma. Peraltro la proposta ricostruzione del suo significato al più consentirebbe di interpretare in chiave causale la bancarotta impropria, ma non anche quella propria, atteso che i reati previsti nel secondo comma del citato art. 223 non riguardano l'imprenditore individuale. Ma a questo punto risulterebbe a dir poco stridente la sperequazione tra lo statuto penale dedicato a quest'ultimo e quello invece destinato al ceto gestorio delle società. È invece proprio l'introduzione del dissesto quale evento della fattispecie di bancarotta da reato societario (art. 223 comma secondo n. 1) operata dal d.lgs. n. 61/2002 a dimostrare, come già ricordato, che il legislatore, anche in tempi recenti e nella consapevolezza del diritto vivente, ubi voluit dixit. Conclusivamente sul punto, deve dunque ribadirsi che attraverso il primo comma dell'art. 216 il legislatore ha voluto punire condotte che attentano all'integrità della garanzia patrimoniale dei creditori indipendentemente dalla loro effettiva incidenza causale sulla determinazione del fallimento, ancorché, sul piano fattuale, ben possano registrarsi (e invero frequentemente si registrano) casi in cui le condotte normotipo effettivamente determinino il dissesto dell'impresa. In tal senso, è stato comunque chiarito come il genuino significato dell'orientamento giurisprudenziale per cui, se la dichiarazione di fallimento attribuisce rilevanza penale alle condotte contemplate dall'art. 216 (essendo al pari di tutti gli elementi della fattispecie uno dei presupposti di tale rilevanza), non per questo può essergli attribuita anche un'efficacia – per di più retrospettiva — qualificante dei fatti di bancarotta sul piano dell'illiceità o addirittura della tipicità. Deve insomma ribadirsi – come da tempo affermato dalla più autorevole dottrina — che le condotte incriminate non sono prive di un autonomo disvalore, anche prima della declaratoria giudiziale del fallimento. L'esame delle pronunzie menzionate in precedenza rivela invero l'intenzione di accentrare il disvalore dei fatti di bancarotta nelle condotte incriminate, emarginando progressivamente il ruolo dell'atto formale che instaura la concorsualità, al quale viene oramai assegnata la esclusiva funzione di selezionare per la punizione comportamenti sulla cui natura contraria ai valori tutelati dall'ordinamento il legislatore ha comunque espresso un giudizio negativo. Intenzione plasticamente sintetizzata in un passaggio incidentale della più recente delle pronunzie delle Sezioni Unite menzionate in precedenza, per cui «la condotta si perfeziona....con la distrazione, mentre la punibilità della stessa è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo e comunque esterno alla condotta stessa» (Cass. pen. S.U., n. 22474/2016). Appare evidente, a questo punto, come, anche senza affermarlo apertis verbis, la giurisprudenza di legittimità abbia finito per considerare la sentenza di fallimento alla stregua di una condizione obiettiva di punibilità delle condotte di bancarotta, ritenendola sì elemento costitutivo della fattispecie tipica, ma estraneo alla definizione del fatto di reato, che presuppone completo in tutte le sue componenti costitutive essenziali. Soluzione quest'ultima che anche in dottrina è stata sempre considerata come una posizione minoritaria (Punzo, 92 e ss.). Sul punto, va tuttavia segnalato l' arresto della Cassazione che ha, sul punto qui da ultimo in esame, espressamente affermato che “In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare, la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sè offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento” (In motivazione, la Corte ha richiamato la sentenza Corte cost. n. 1085 del 1988, quanto al sottrarsi delle condizioni obiettive di punibilità alla regola della rimproverabilitàex art. 27, comma primo, Cost.) (Cass. n.13910/2017). Nello stesso senso si è espressa Cass. pen. V, n. 31974/2019, per la quale il momento consumativo del reato di bancarotta va identificato con l'avveramento della condizione oggettiva di punibilità della declaratoria di fallimento; e il luogo del commesso delitto, funzionale alla determinazione della competenza, è nel luogo in cui tale pronuncia è avvenuta. In tema di bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione, la sentenza dichiarativa di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, poiché si pone come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente.(In motivazione la Corte ha precisato che la natura di reato di pericolo concreto della bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione non è in contrasto con la qualifica della dichiarazione di fallimento come condizione obiettiva di punibilità) (Cass. V n . 2899 de l 02/10/2018). In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, ricorrono gli "indici di fraudolenza", rilevanti per l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico, nella condotta di partecipazione ad un sistema di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di ricezione di assegni in assenza di prestazione, solo apparentemente pattuita, realizzato in prossimità del fallimento quando lo stato di dissesto sia già conclamato (Cass. pen., V, n. 12052/2021). Il momento consumativo del reato di bancarottaL’orientamento giurisprudenziale più risalente aveva ritenuto ladichiarazione di fallimento un elemento costitutivo del reato di bancarotta e non una condizione oggettiva di punibilità, di guisa che tale reato si concretizza in tutti i suoi elementi costitutivi solo nel caso in cui il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione di beni, sia dichiarato fallito (nella fattispecie, relativa a revoca di indulto, la Corte ha ritenuto ininfluente, ai fini dell'individuazione del momento di consumazione del reato, la data, riportata in calce al capo di imputazione, che indicava solo il periodo di sottrazione dei beni dell'impresa) (Cass. pen. I, n. 4859/1994). Nello stesso senso si erano espresse: “La sentenza dichiarativa di fallimento è un elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta, con la conseguenza che fatti altrimenti irrilevanti sul piano penale o, comunque, integranti altri reati possono essere considerati lesivi degli interessi dei creditori ed incidenti negativamente sul regolare svolgimento dell'attività imprenditoriale, tanto da essere specificamente perseguiti penalmente. Ne deriva che la prescrizione decorre dal momento della consumazione del reato e, quindi, nella specie, dalla sentenza dichiarativa di fallimento (Cass. pen. V, n. 46182/2004); La sentenza dichiarativa di fallimento costituisce non una semplice condizione di punibilità dei reati di bancarotta, sia semplice che fraudolenta, bensì un elemento costitutivo di essi, indispensabile per la integrazione della fattispecie normativa prevista per ognuno di detti reati, il cui momento consumativo, allorché la condotta si esaurisca prima della dichiarazione di fallimento, si perfeziona all'atto e nel luogo della pronunzia della sentenza dichiarativa e non in quello, eventualmente diverso, in cui è stata realizzata la condotta vietata dal precetto penale (fattispecie in cui erano state pronunciate nei confronti della stessa impresa commerciale più sentenze dichiarative di fallimento e la Cassazione, nell'affermare il principio di cui in massima, ha ritenuto che il momento ed il luogo di consumazione del contestato delitto di bancarotta fraudolenta dovessero essere individuati in quelli della emissione della prima delle pronunzie) (Cass. pen. I, n. 2988/1991)". Da ultimo si è affermato: “Il momento consumativo del reato di bancarotta va identificato con l’avveramento della condizione oggettiva di punibilità della declaratoria di fallimento; e il luogo del commesso delitto, funzionale alla determinazione della competenza, va individuato nel luogo in cui tale pronuncia è avvenuta” (Cass. pen. V, n. 31974/2019). Conformi Cass. 2899/2018; Cass. V, 13910/2017). Nel caso di estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile il momento consumativo del reato si individua nella data di dichiarazione del suo fallimento (Cass. pen. V, n. 11936/2020, per il caso di socio di società irregolare dichiarata fallita; Cass. pen. V, n. 42591/2018 e Cass. pen. n. 13091/2016 per il caso di socio di società in nome collettivo dichiarata fallita). Il tentativoIn tema di bancarotta fraudolenta il tentativo è incomparabile rispetto a fatti anteriori alla dichiarazione di fallimento (Cass. pen. V, n. 875/1967). Ai fini della causa di non punibilità di cui al terzo comma dell'art. 56 c.p., la desistenza dall'azione deve intervenire durante lo svolgimento del processo esecutivo del reato, quando cioè l'attività esecutiva non è ancora esaurita, così da impedirne il completamento; altrimenti può configurarsi soltanto l'ipotesi del recesso attivo mediante impedimento dell'evento (nella specie si è ritenuto che le dimissioni da amministratore della società non costituiscono desistenza volontaria in relazione ai fatti di distrazione posti in essere prima della dichiarazione di fallimento) (Cass. pen. V, n. 4123/1983). Peraltro, la questione della configurabilità del tentativo nei reati fallimentari è unanimemente risolta, nel senso della sua esclusione, nelle ipotesi di bancarotta colposa e nelle ipotesi di reato omissivo improprio, come nel caso di omessa tenuta delle scritture contabili ovvero dell'art. 217 n. 5 l.fall. (Giuliani, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006, 571). La bancarotta fraudolenta patrimonialeL'art. 216 delinea tre diverse figure di reato: la bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216, comma 1, n. 1); la bancarotta fraudolenta documentale (art. 216, comma 1, n. 2); la bancarotta cd. preferenziale (art. 216, comma 3). La bancarotta si distingue, inoltre, a seconda che i fatti criminosi siano perpetrati prima della dichiarazione di fallimento o successivamente, in pre-fallimentare e post-fallimentare. Il soggetto attivo del reato Soggetto attivo del reato è l'imprenditore commerciale individuale assoggettabile a fallimento ai sensi dell'art. 1 l.fall. e alla cui definizione si rimanda. Sono stati ritenuti possibili soggetti attivi del reato di bancarotta fraudolenta anche l'imprenditore occulto (Conti, 36) e l'imprenditore la cui attività commerciale si rivolga a perseguire un fine illecito. L'oggetto materiale Le due diverse locuzioni usate dalla legge per individuare l'oggetto materiale della bancarotta patrimoniale sono i beni (art. 216, n. 1) e il patrimonio (art. 216, n. 2) dell'imprenditore fallito. Oggetto materiale del reato è dunque il patrimonio del fallito, inteso come l'insieme dei rapporti giuridici economicamente valutabili di cui sia titolare l'imprenditore. Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta è necessario che la distrazione sia riferita a rapporti giuridicamente ed economicamente valutabili, con la conseguenza che non può costituire oggetto di distrazione l'avviamento commerciale di un'azienda ove questo venga identificato come prospettiva di costituire rapporti giuridici solo teoricamente immaginabili. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse costituire condotta distrattiva l'avere l'agente indirizzato i principali clienti della società fallita alla impresa individuale con la quale aveva proseguito l'attività produttiva al fine di favorire la instaurazione di futuri rapporti contrattuali in capo a quest'ultima) (Cass. pen. V, n. 26542/2014). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la distrazione di un ramo di azienda è configurabile solo in caso di cessione avente ad oggetto, unitariamente, oltre che i singoli beni e rapporti giuridici, anche l'avviamento riferibile a tale autonoma organizzazione produttiva (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva annullato il sequestro preventivo di un intero complesso aziendale, che si ipotizzava costituisse l'oggetto di una cessione fittizia, rilevando come nella specie, pur essendovi una distrazione di veicoli, dei dipendenti, di denaro e di locali della società cedente successivamente fallita, non potesse configurarsi, in assenza della cessione dell'avviamento, una distrazione dell'intera azienda) (Cass. pen. V, n. 31703/2015). In tema di illegale ripartizione di utili, la distribuzione di somme di denaro corrispondenti ad asseriti utili «in nero» concreta — ancorché essi rappresentino il profitto effettivo della gestione — una manomissione del capitale che integra la bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, ancorché l'utile non costituisca di per sé l'oggetto materiale della condotta di distrazione fraudolenta, essendo di spettanza dei soci e non della società, quando la sua assegnazione avvenga senza la pre-deduzione dell'onere tributario e della conseguente penalità tributaria (che sorge al momento della erogazione della ricchezza) si riscontra manomissione della ricchezza sociale poiché la distribuzione eccede quanto di pertinenza dei soci (Cass. pen. V, n. 17692/2009). L'elemento oggettivo Le ipotesi di reato di cui all'art. 216 n.1 si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione fittizia o effettiva del patrimonio del fallito in danno della massa dei creditori. La diminuzione fittizia può essere effettuata mediante storno di attività (occultamento e dissimulazione) o mediante simulazione di passività (esposizione o riconoscimento di passività inesistenti); la diminuzione effettiva mediante la distrazione, la distruzione e la dissipazione (Antolisei, 59 e ss.). È orientamento pacifico quello secondo cui il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito con conseguente depauperamento in danno dei creditori, in cui si concretizza l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento di azioni apprestate a favore della curatela (Cass. pen. n. 2008/44891). Dottrina e giurisprudenza riconoscono però l'irrilevanza della cd. bancarotta riparata, che si manifesta qualora l'imprenditore realizzi comportamenti di segno contrario a quelli potenzialmente illeciti posti in essere in precedenza, così da farne venire meno la carica offensiva, sempre che ciò avvenga prima della sentenza di fallimento (Bricchetti-Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2011, 49). Va da ultimo chiarito che, secondo la giurisprudenza, le condotte integranti il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale assumono rilevanza penale in qualsiasi momento siano state commesse e dunque anche quando l'impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza (Cass. pen. n. 2010/11899). La distrazione Consiste nella destinazione di un bene diversa da quella legittima (Longhi, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Milano, 1930, 111). La giurisprudenza maggioritaria individua la distrazione in tutte quelle attività di distacco o estromissione di uno o più beni dal patrimonio che comportino uno squilibrio tra attività e passività idoneo a porre in pericolo le ragioni dei creditori. Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni e altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (Cass. pen. V, n. 36850/2020). Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l'esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l'agente abbia cagionato il depauperamento dell'impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (in motivazione, la Corte ha precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l'impresa non versava in condizioni di insolvenza) (Cass. pen. S.U., n. 22474/2016). In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell'occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell'amministratore, della destinazione dei beni suddetti (nell'affermare tale principio, la Corte ha osservato che la responsabilità dell'imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l'obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 l.fall. sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell'impresa, giustificano l'apparente inversione dell'onere della prova a carico dell'amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine sufficiente la generica asserzione per cui gli stessi sarebbero stati assorbiti dai costi gestionali, ove non documentati né precisati nel loro dettagliato ammontare) (Cass. pen. V, n. 8260/2015). La prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società dei beni risultanti dagli ultimi documenti attendibili, redatti prima di interrompere l’esatto adempimento degli obblighi di tenuta dei libri contabili (Cass. pen. V, n. 6548/2018). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la distrazione di un ramo di azienda è configurabile solo in caso di cessione avente ad oggetto, unitariamente, oltre che i singoli beni e rapporti giuridici, anche l'avviamento riferibile a tale autonoma organizzazione produttiva. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta l'ordinanza del Tribunale del riesame che aveva annullato il sequestro preventivo di un intero complesso aziendale, che si ipotizzava costituisse l'oggetto di una cessione fittizia, rilevando come nella specie, pur essendovi una distrazione di veicoli, dei dipendenti, di denaro e di locali della società cedente successivamente fallita, non potesse configurarsi, in assenza della cessione dell'avviamento, una distrazione dell'intera azienda) (Cass. pen. V, n. 31703/2015). In materia di bancarotta fraudolenta, il depauperamento, apprezzabile ai fini della configurazione del reato di cui all'art. 216 l.fall., va inteso come riferito ad una nozione giuridica di patrimonio in senso lato, comprensivo cioè non solo dei beni materiali ma anche di entità immateriali, fra cui rientrano anche le ragioni di credito che avrebbero dovuto concorrere alla formazione dell'attivo del compendio patrimoniale (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di bancarotta con riferimento alla mancata riscossione di una parte di un credito) (Cass. pen. V, n. 32469/2013). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto all'impresa a seguito di contratto di «leasing», qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l'acquisizione alla massa integra il reato determinando la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell'inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (Cass. pen. V, n. 9427/2011). Analoga pronuncia ha riguardato la sottrazione o dissipazione di un bene pervenuto alla società fallita a seguito di un contratto di “leasing”, anche se risolto dopo la dichiarazione di fallimento, in quanto la perdita del valore del bene, suscettibile di riscatto e l’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione verso il concedente determinano un pregiudizio per la massa fallimentare (Cass. pen. V, n. 15403/2020). In tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in «leasing», ai fini della configurabilità del reato in capo all'utilizzatore poi fallito, è necessario che tali beni fossero nella sua effettiva disponibilità, in conseguenza dell'avvenuta consegna, e che di essi vi sia stata appropriazione, non rilevando la tipologia del contratto di «leasing» (traslativo o di godimento) (Cass. pen. V, n. 44898/2015). In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, la pregressa cessione d'un contratto di locazione finanziaria comporta, all'atto del fallimento, che il patrimonio a garanzia dei creditori risulti decurtato dei diritti e delle facoltà nascenti dal negozio, a partire dalla possibilità di riscatto del bene nel momento di scadenza del rapporto. La distrazione è però configurabile nel solo caso in cui la cessione abbia determinato un effettivo nocumento nei confronti dei creditori, e cioè quando la permanenza del rapporto negoziale nel patrimonio affidato al curatore avrebbe costituito in concreto, dal punto di vista economico, una risorsa positiva e non un onere. (In motivazione la Corte ha specificato come il giudice di merito debba verificare, sulla base delle molte variabili che condizionano la gestione fallimentare, se la continuazione del rapporto di «leasing» avrebbe rappresentato per la curatela un peso economico improduttivo — il che escluderebbe il significato distrattivo della cessione — oppure un potenziale vantaggio patrimoniale, ad esempio attraverso l'utile acquisizione della proprietà del bene mediante riscatto) (Cass. pen. V, n. 30492/2003). In tema di reati fallimentari, integra la distrazione rilevante ai fini della bancarotta fraudolenta patrimoniale il trasferimento di risorse tra società appartenenti allo stesso gruppo, effettuato, senza alcuna contropartita economica, da società che versi in gravi difficoltà finanziarie a vantaggio di società in difficoltà economiche, posto che, in tal caso, nessuna prognosi fausta dell'operazione può essere consentita (Cass. pen. V, n. 37370/2011). Nello stesso senso: In tema di reati fallimentari, integra distrazione rilevante ai fini della bancarotta fraudolenta la condotta di finanziamento di ingenti somme in favore di società dello stesso gruppo, effettuato dalla società fallita quando già si trovava in situazione di difficoltà finanziaria, in mancanza di garanzie e senza vantaggi compensativi sia per il gruppo nel suo complesso che per la stessa società fallita (Cass. pen. V, n. 20039/2013); in tema di bancarotta fraudolenta, i cd. vantaggi compensativi per la società fallita facente parte di una realtà di «gruppo» non possono essere successivi al fallimento né possono consistere in una diminuzione dell'entità del passivo, conseguente a concordato preventivo cui venga ammessa altra società controllante, appartenente allo stesso gruppo, grazie a mutui fondiari concessi per la destinazione del patrimonio immobiliare della società fallita. (Fattispecie riferita alla cessione di tutto il patrimonio immobiliare di una società prima del suo fallimento alle altre società del gruppo che, successivamente fallite anch'esse, avevano in tal modo visto accrescere l'entità del proprio attivo fallimentare) (Cass. pen. V, n. 7079/2015). In tema di reati fallimentari, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la concessione di un'ipoteca senza un sinallagma rispondente al fine istituzionale dell'impresa, in quanto essa realizza di per sé ed automaticamente una diminuzione patrimoniale; inoltre, poiché ai fini della configurabilità del reato è postulato il dolo generico, la divergenza oggettiva dell'atto di disposizione dal fine suddetto dà sufficientemente conto della direzione del volere dell'agente, essendo del tutto irrilevanti i motivi che hanno determinato il suo comportamento (Cass. pen. V, n. 45332/2009). Integra la distrazione, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 216 l.fall. (bancarotta fraudolenta patrimoniale), la condotta di colui che, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di una società finanziaria successivamente fallita, costituisca in pegno titoli di stato, poiché il pegno, in caso di mancato pagamento della somma data in prestito nella quantità, nei tempi e nei modi pattuiti, può essere escusso dal creditore, con perdita del patrimonio societario che costituisce la garanzia per i creditori (la circostanza — ha altresì osservato la Corte — che l'acquisto di detti titoli sia avvenuto su mandato e nell'interesse dei clienti non esclude che siano divenuti patrimonio della società fallita e, dunque, oggetto di distrazione proprio con l'utilizzazione degli stessi come propri avvenuta con la costituzione in pegno senza l'autorizzazione dei clienti, verificandosi così una interversione del possesso) (Cass. pen. V, n. 36595/2009). Integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la stipula, in epoca precedente alla dichiarazione di fallimento, di un contratto di locazione di beni aziendali dell’impresa fallita senza che i relativi canoni siano versati nelle casse aziendali (Cass. pen. V, n. 49489/2018). Integra il delitto in oggetto la risoluzione, nell’imminenza della dichiarazione di fallimento, di un contratto di compravendita con patto di riservato dominio cui segua la consegna al venditore dei beni acquistati, rientrando anch’essi nel complesso dei rapporti giuridici economicamente valutabili facenti capo all’imprenditore (Cass. S.U.pen. n. 28910/2019). Commette il reato il mandatario, con o senza rappresentanza, che ha acquisito la disponibilità di beni o somme di denaro in nome e per conto o nell’interesse del mandante, confondendoli con il suo patrimonio od omettendo di provvedere a riversarli quando, intervenuto il fallimento dello stesso mandatario, tali beni illecitamente ritenuti non siano rinvenuti, senza valida giustificazione, nel suo patrimonio (Cass. pen. V, n. 37525/2020). In tema di illegale ripartizione di utili, la distribuzione di somme di denaro corrispondenti ad asseriti utili «in nero» concreta — ancorché essi rappresentino il profitto effettivo della gestione — una manomissione del capitale che integra la bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto, ancorché l'utile non costituisca di per sé l'oggetto materiale della condotta di distrazione fraudolenta, essendo di spettanza dei soci e non della società, quando la sua assegnazione avvenga senza la pre-deduzione dell'onere tributario e della conseguente penalità tributaria (che sorge al momento della erogazione della ricchezza) si riscontra manomissione della ricchezza sociale poiché la distribuzione eccede quanto di pertinenza dei soci. (Cass. pen. V, n. 17692/2009). Integra la distrazione, costitutiva del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il trasferimento senza alcun corrispettivo dei diritti di utilizzazione di un brevetto dal patrimonio della società fallita, in coincidenza temporale con le prime sofferenze economiche, ad altra società che avvii l'attività di produzione del bene brevettato, possibile in quanto vi sia trasferimento del compendio di conoscenze tecniche (cosiddetto know how), già di per sé autonomo elemento patrimoniale suscettibile di utilizzazione economica (Cass. pen. V, n. 3489/2008). In tema di reati fallimentari, non integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione il finanziamento concesso al socio e da questi restituito in epoca anteriore al fallimento, in quanto la distrazione costitutiva del delitto di bancarotta si ha solo quando la diminuzione della consistenza patrimoniale comporti uno squilibrio tra attività e passività, capace di porre concretamente in pericolo l'interesse protetto e cioè le ragioni della massa dei creditori ed il momento cui fare riferimento per verificare la consumazione dell'offesa è quello della dichiarazione giudiziale di fallimento e non già quello in cui sia stato commesso l'atto, in ipotesi, antidoveroso. (Cass. pen. V, n. 39043/2007). Il recupero o la possibilità di recupero è ininfluente sulla sussistenza dell’elemento materiale del reato in quanto la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore anche se il reato viene a giuridica esistenza con la dichiarazione di fallimento (Cass. pen. V, 11928/2020; Cass. pen. V, n. 13820/2020; Cass. pen. n. 39635/2010; Cass. pen. n. 4739/1999). L'occultamento Parte della dottrina e la giurisprudenza minoritaria ritengono che per occultamento si debba ritenere qualsiasi forma di nascondimento, materiale o con mezzi giuridici dei beni (Conti, 158; Cass. pen. 15 aprile 1969, in D. Fall., 1970, II, 739). L'orientamento oggi prevalente della giurisprudenza di legittimità ritiene che per occultamento si debba intendere solo il materiale nascondimento dei beni, tale da impedirne o renderne difficoltosa l'apprensione da parte degli organi fallimentari; mentre per dissimulazione si debba intendere il nascondimento realizzato mediante negozi giuridici simulati (Cass. pen. 13 marzo 1974; così, anche Antolisei, 61). La dissimulazione Si richiama quanto affermato nel paragrafo che precede. La distruzione Secondo la dottrina la distruzione consiste nell'eliminazione o diminuzione del valore economico caratteristico del bene (Antolisei, 63, Conti, 160). La stessa dottrina ammette che il reato di bancarotta fraudolenta per distruzione possa realizzarsi anche con una condotta omissiva. La dissipazione La giurisprudenza ha rappresentato la figura della dissipazione con lo sciupare, il distruggere, lo scialacquare, lo sprecare il proprio patrimonio (Cass. pen. 23 novembre 1981, D. Fall., 1982, II, 1181) o con la distruzione giuridica o economica di un bene attuata mediante atti negoziali diretti a depauperare il patrimonio con la consapevolezza di ledere l'interesse dei creditori. Tale fattispecie si distingue dalla bancarotta semplice realizzata con operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti sia per la diversa caratterizzazione dell'elemento psicologico, in quanto necessita di coscienza e volontà di diminuire il proprio patrimonio, per scopi del tutto estranei all'impresa, sia per il diverso atteggiarsi dell'elemento oggettivo, in quanto l'operazione fraudolenta è priva del pur minimo profilo di coerenza con le esigenze dell'impresa (Cass. pen. n. 2011/47040). L'esposizione o il riconoscimento di passività inesistenti Si tratta di una operazione fittizia di diminuzione patrimoniale volta a sottrarre all'esecuzione fallimentare una certa quota di beni, che si concreta o con un'azione posta in essere direttamente dal fallito, che denunzia passività non reali (esposizione di passività inesistenti), o con un'azione attuata con il concorso di creditori inesistenti, che rivendicano crediti del tutto fittizi (riconoscimento di passività inesistenti) (Antolisei, 61-62). L'elemento soggettivo In tema di reati fallimentari, l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico; è, pertanto, sufficiente che la condotta di colui che pone in essere o concorre nell'attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo (Cass. pen. V, n. 51715/2014). Le condotte distrattive compiute prima dell'ammissione al concordato preventivo di una società poi dichiarata fallita integrano il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale anche nel caso in cui l'agente abbia ottenuto l'ammissione al concordato preventivo, si sia adoperato per il buon esito della procedura, e questo non sia stato conseguito per fatti indipendenti dalla sua volontà, in quanto, laddove si verifichi il fallimento, ai fini della configurabilità del dolo, è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Cass. pen. V, n. 33268/2015). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, oggetto del dolo non è la consapevolezza del dissesto o la sua prevedibilità in concreto, quanto la rappresentazione del pericolo che la condotta costituisce per la conservazione della garanzia patrimoniale e per la conseguente tutela degli interessi creditori (Cass. pen. V, n. 40981/2014). In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione od occultamento, ad integrare l'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, dal momento che è necessario che l'agente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, abbia coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, in quanto aventi quale conseguenza la lesione del patrimonio aziendale, la diminuzione delle garanzie patrimoniali e l'indebolimento della posizione dei creditori (Cass. pen. V, n. 2876/1998). Il dolo nel reato di bancarotta fraudolenta è generico e pertanto può essere anche eventuale. Poiché l'evento del reato consiste nella lesione dell'interesse dei creditori all'integrità del patrimonio e non nella dichiarazione di fallimento, nel caso in cui un collaboratore dell'imprenditore contribuisca alla determinazione di condotte di distrazione, è sufficiente che egli sia consapevole del contributo causale apportato alla diminuzione patrimoniale e non è necessario che sia consapevole che tale distrazione produca insolvenza e perciò pericolo immediato di fallimento (Cass. pen. V, n. 10941/1996). In senso evolutivo, si segnala il recente arresto della giurisprudenza di legittimità secondo cui ”In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'accertamento dell'elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di "indici di fraudolenza", rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell'azienda, nel contesto in cui l'impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell'amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall'altro, all'accertamento in capo all'agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa” (Cass. pen. n. 38396/2017 ). La bancarotta fraudolenta documentaleSecondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti, l'interesse protetto dalle diverse condotte previste dal n. 2 dell'art. 216 l.fall. è quello specifico dei creditori ad una esatta conoscenza del patrimonio del debitore destinato a soddisfare le loro ragioni, dunque una conoscenza documentata e giuridicamente utile (Conti, 181; Cass. pen. 33 maggio 2000, CED cass. pen., rv. 218383). Va evidenziato che l'obbligo di documentazione contabile non può comportare la violazione del principio nemo tenetur se detegere, dovendosi, pertanto, ritenere giustificate quelle irregolarità contabili dirette a mascherare attività distrattive, atteso che il diritto di difesa deve trovare applicazione anche fuori dal processo (così, Bricchetti-Pistorelli, 116). Il soggetto attivo Soggetto attivo è l'imprenditore dichiarato fallito. L'oggetto materiale Costituiscono oggetto materiale del reato tutte le scritture contabili aventi carattere di definitività, che possano in qualche modo essere utili ed assumere efficacia probatoria rispetto alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari dell'imprenditore fallito (Antolisei, 72). Possono pertanto formare oggetto dell'incriminazione non solo i documenti indicati dall'art. 2214 c.c., ma anche tutti quelli che possono giovare, in mancanza o ad integrazione della contabilità legale, alla ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; vengono pertanto in rilievo non solo le scritture assolutamente (art. 2214 c.c.) e relativamente (art. 2214 c.c.) obbligatorie, ma anche quelle meramente facoltative (Conti, 77). Oggetto materiale non sono solamente i documenti cartacei, ma anche i supporti informatici e pertanto il reato di bancarotta fraudolenta documentale è integrato anche dalla distruzione della memoria centrale del computer contente i dati relativi ai clienti amministrati, alle somme affidate, agli impieghi decisi, ai conteggi relativi ai crediti. In tema di bancarotta fraudolenta documentale post fallimentare per falsificazione, oggetto della falsificazione può essere sia il documento da annotare nella scrittura contabile dell'impresa sia l'atto formato posteriormente e finalizzato a giustificare una falsa annotazione già compiuta ed a rafforzarne la portata illecita, quale ostacolo alla ricostruzione del patrimonio (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto al reato in esame la formazione di un contratto ideologicamente falso di vendita finalizzato a supportare una falsa fattura già precedentemente annotata in contabilità e relativa alla vendita di quello stesso bene) (Cass. pen. V, n. 17084/2014). Non costituiscono oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale societaria i reclami dei clienti alla Consob ed il relativo registro: essi, infatti, non sono scritture contabili rilevanti ai fini della ricostruzione del patrimonio sociale e del movimento degli affari ma strumenti preordinati a garantire maggiore efficacia alle attività di vigilanza. (In applicazione di questo principio la S.C. ha censurato la decisione con cui il giudice di appello ha affermato la responsabilità, a titolo di bancarotta fraudolenta documentale, nei confronti dell'amministratore che aveva omesso di annotare tempestivamente i reclami dei clienti alla Consob nel relativo registro, osservando, tuttavia, che tale condotta può rilevare sotto il profilo dell'art. 2638 c.c., quale ostacolo all'esercizio delle funzioni pubbliche di vigilanza) (Cass. pen. V, n. 36595/2009). La previsione di cui all'art. 216 l.fall. individua l'oggetto materiale del reato di bancarotta documentale nei libri e nelle scritture contabili preordinate a rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, con la conseguenza che i fissati bollati rappresentativi di contratti mai stipulati, in quanto inidonei a costituire ostacolo alla ricostruzione del movimento degli affari della società non costituiscono oggetto materiale del delitto di bancarotta fraudolenta documentale (Cass. pen. V, n. 36595/2009). Le singole condotte criminose Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, le condotte di mancata consegna ovvero di sottrazione, di distruzione o di omessa tenuta dall'inizio della documentazione contabile, sono tra loro equivalenti, con la conseguenza che non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque certa la sussistenza di una di esse ed è inoltre acquisita la prova in capo all'imprenditore dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e di rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Cass. pen. V, n. 47923/2014). In tema di bancarotta documentale, non integra l'aggravante prevista dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fallimentare, la commissione di una pluralità di condotte, distinte sotto il profilo naturalistico e materiale, ma tutte aventi ad oggetto le scritture contabili obbligatorie e la loro funzione di veridica rappresentazione della realtà finanziaria, economica ed operativa dell'impresa, poiché tali comportamenti danno luogo ad un'unica e complessa azione penalmente rilevante (Cass. pen. I, n. 18148/2014). Il reato di inosservanza dell'obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dagli articoli 220 e 16 n. 3, l.fall., concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all'art. 216, comma primo, n. 2), l.fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all'art. 217, comma secondo, l.fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. (Cass. pen. V, n. 49789/2013). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo integra la fattispecie di cui all'art. 216, comma primo, n. 2, l.fall., in quanto rientra nell'ambito della norma incriminatrice anche la condotta di falsificazione dei dati realizzata attraverso la rappresentazione dell'evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa (Cass. pen. V, n. 3114/2010). La bancarotta documentale prevede diverse condotte. La sottrazione consiste in tutte quelle manovre tese a determinare la indisponibilità totale o parziale delle scritture rispetto agli organi fallimentari. La distruzione comporta l'eliminazione materiale in tutto o in parte dei documenti, con conseguente annullamento della loro efficacia e finalità (Antolisei, 72). La falsificazione integra un vero e proprio falso materiale e ideologico in scrittura privata e consiste nell'alterazione volontaria del vero in relazione alla destinazione e all'idoneità probatoria dell'atto (Conti, 178). La tenuta delle scritture in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari (la cd. bancarotta documentale generale), si configura anche quando la ricostruzione della situazione patrimoniale, pur non essendo impossibile, è possibile di fatto solo grazie all'abilità e alla diligenza degli organi fallimentari (Cass. pen. n. 21588/2010). L'elemento soggettivo In tema di bancarotta fraudolenta documentale, per la configurazione delle ipotesi di reato di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili previste dall'articolo 216, primo comma n. 2 prima parte, l.fall. è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori (Cass. pen. V, n. 17084/2014). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, il reato previsto dall'art. 216, comma primo n. 2, seconda parte, della legge fallimentare richiede il dolo generico, costituito dalla consapevolezza nell'agente che la confusa tenuta della contabilità potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione. (Cass. pen. V, n. 5264/2013). L'integrazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell'art. 216, comma primo n. 2, l.fall. richiede il dolo generico, ossia la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, in quanto la locuzione «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari» connota la condotta e non la volontà dell'agente, sicché è da escludere che essa configuri il dolo specifico (Cass. pen. V, n. 21872/2010). In tema di bancarotta documentale, qualora sia assente o insufficiente l'accertamento in ordine allo scopo eventualmente propostosi dall'agente ed in ordine alla oggettiva finalizzazione di tale carenza, la mera mancanza dei libri e delle scritture contabili deve essere ricondotta alla ipotesi criminosa di bancarotta semplice. Invero la bancarotta fraudolenta documentale, prevista dall'art. 216 comma primo n. 2) legge fallimentare, è un delitto doloso, mentre la bancarotta semplice è punibile indifferentemente a titolo di dolo o di colpa, per cui è superflua la indagine sulla efficacia causale dell'omessa o irregolare tenuta dei predetti documenti, che è punita per sé stessa, indipendentemente dalle conseguenze (Cass. pen. V, n. 10364/1999). Il dolo generico deve essere desunto dalle modalità della condotta contestata e non dal solo fatto che lo stato delle scritture sia tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, fatto che costituisce l'elemento materiale del reato ed è comune alla diversa e meno grave fattispecie di bancarotta semplice, incriminata dall'art. 217, comma 2, l. fall.; né può essere dedotto dalla circostanza che l'imprenditore si sia reso irreperibile dopo il fallimento, costituendo detta condotta un posterius rispetto al fatto-reato (Cass,pen. V, n. 26613/2019). La bancarotta post-fallimentareAi fini della configurabilità dei reati di bancarotta post fallimentare, quali previsti dall'art. 216, secondo comma, l.fall., non è richiesta, sotto il profilo soggettivo, la prova che l'agente abbia avuto conoscenza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento, atteso che la struttura di detti reati non è diversa da quelle dei reati di bancarotta prefallimentare previsti dal primo comma del medesimo art. 216, per i quali la dichiarazione di fallimento opera per il solo fatto del suo sopravvenire a condotte che altrimenti sarebbero lecite o potrebbero dar luogo ad altre e diverse figure di reato (Cass. pen. V, n. 44884/2007). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare impropria, la condotta distrattiva, non potendo essere compiuta interamente dall'amministratore, ad eccezione dei casi in cui la disponibilità dei beni dell'impresa fallita è conservata dallo stesso, si manifesta, di regola, nella forma del concorso di persone nel reato, poiché è necessario il contributo dei soggetti che, in quanto titolari di funzioni nella procedura concorsuale, sono in grado di adottare gli atti dispositivi dei beni del fallimento o di consentire il compimento della azioni distruttive (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva affermato il concorso nel reato dell'amministratore della società fallita, del curatore fallimentare e del giudice delegato, in relazione ad una transazione, autorizzata da quest'ultimo, con la quale, realizzandosi effetti pregiudizievoli per i creditori, erano state alienate l'azienda e gli immobili dell'impresa a due società gestite dallo stesso amministratore della fallita) (Cass. pen. V, n. 15951/2015). In tema di bancarotta fraudolenta documentale post fallimentare per falsificazione, oggetto della falsificazione può essere sia il documento da annotare nella scrittura contabile dell'impresa sia l'atto formato posteriormente e finalizzato a giustificare una falsa annotazione già compiuta ed a rafforzarne la portata illecita, quale ostacolo alla ricostruzione del patrimonio (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva ricondotto al reato in esame la formazione di un contratto ideologicamente falso di vendita finalizzato a supportare una falsa fattura già precedentemente annotata in contabilità e relativa alla vendita di quello stesso bene) (Cass. pen. V, n. 17084/2014). In tema di reati fallimentari, qualora il fallito dopo la dichiarazione di fallimento intraprenda una nuova attività di impresa (nella specie edilizia) acquistando materie prime ed attrezzature e pagandole con il ricavato dei lavori eseguiti, non è configurabile la distrazione di cui all'art. 216, comma secondo, l.fall., se essa concerna i ricavi reinvestiti nell'esercizio dell'impresa, posto che la curatela fallimentare ha facoltà, ex art. 42, comma secondo, l.fall., di appropriarsi dei risultati positivi della nuova attività al netto delle spese incontrate per la loro realizzazione (Cass. pen. V, n. 9812/2006). Il concorso di persone nel reato può assumere anche la forma del consiglio, dell'invito, del suggerimento e dell'istigazione a compiere un'azione penalmente illecita. Integra, pertanto, concorso nel reato di bancarotta documentale post fallimentare (art. 216 comma secondo parte II, l.fall.) il suggerimento, dato dal curatore fallimentare al fallito, di distruggere le scritture contabili, nel caso il suggerimento sia accettato e realizzato. Integra il delitto di bancarotta post-fallimentare il trattenimento da parte del fallito dei proventi dell’attività lavorativa esercitata dopo la dichiarazione di fallimento ma soltanto per la parte di guadagno effettivo – calcolato detraendo i costi dai ricavi – che ecceda i redditi necessari per il mantenimento suo e della sua famiglia (Cass. pen., V, n. 15650/2020). La bancarotta preferenzialeCostituisce una figura di reato del tutto autonoma rispetto alle altre ipotesi di bancarotta fraudolenta, e non una forma attenuata di bancarotta (Antolisei, 82; Conti, 191). Recentemente si è assistito ad un ampliamento della portata della norma probabilmente a causa del tentativo di coinvolgere penalmente soggetti estranei all'imprenditore (professionisti e istituti di credito), a fini principalmente risarcitori (Bricchetti, Pistorelli, 135). Va segnalato, con riferimento al momento consumativo, quell'orientamento giurisprudenziale che lo colloca nel momento dei pagamenti, ritenendo irrilevante la data della sentenza dichiarativa di fallimento. La tutela penale prevista dall'art. 216, comma 3, l.fall., integra le norme che disciplinano la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori (Antolisei, 82 e ss.), rappresentando la «recinzione penalistica della cittadella della par condicio» (Pajardi, Paluchoscki, 1028). L'interesse tutelato dalla norma è invero quello a che il patrimonio del fallito soddisfi i creditori nel rispetto della par condicio e, come tale, il reato non è escluso dalla circostanza che il pagamento o la prelazione simulata siano revocabili. L'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale (Cass. pen. V, n. 54465/2018, che l'ha escluso se il pagamento è volto alla salvaguardia dell'attività sociale o imprenditoriale e il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile). Il reato non sussiste qualora il fallito paghi il canone di locazione dell'abitazione familiare in quanto il rapporto di locazione è preordinato al soddisfacimento di un'esigenza primaria di vita ed ha pertanto natura strettamente personale, estranea al fallimento ex art. 46, n. 1, l. fall. (Cass. pen. V, n. 54512/2018). Se il fallito provvede al pagamento di crediti privilegiati, perché sussista il reato occorre che concorrano altri creditori con privilegio di grado prevalente o uguale, rimasti insoddisfatti per effetto del pagamento (Cass. pen., n. 54502/2018). L'elemento oggettivo È costituito da due distinte condotte criminose, la prima delle quali è costituita dal pagamento preferenziale dei crediti e la seconda dalla simulazione di titoli di prelazione, che consiste nel fingere l'esistenza di titoli di prelazione che in realtà non esistono, e presuppone l'esistenza di un negozio giuridico apparente il quale, per effetto di un altro accordo intervenuto tra le parti, non ha alcun valore tra le stesse (simulazione assoluta) ovvero nasconde un negozio giuridico diverso (simulazione relativa). Risponde di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato (Cass. pen. V, n. 48017/2015). In tema di omesso versamento di Iva, non risponde del reato di cui all'art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, per difetto dell'elemento soggettivo, il liquidatore di società che, a fronte di istanza di fallimento già presentata anteriormente alla scadenza del termine per il pagamento dell'imposta, ometta di adempiere l'obbligazione tributaria nel legittimo convincimento, erroneo quanto alla circostanza fattuale del non ancora intervenuto fallimento, che il versamento violi la regola della «par condicio creditorum» di cui agli artt. 51 e 52 della legge fallimentare ed integri, a determinate condizioni, il reato di bancarotta preferenziale (Cass. pen. III, n. 5921/2014). Ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale è necessaria la violazione della «par condicio creditorum» nella procedura fallimentare (elemento oggettivo) e il dolo specifico costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri (elemento soggettivo), con la conseguenza che la condotta illecita non consiste nell'indebito depauperamento del patrimonio del debitore ma nell'alterazione dell'ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori. Pertanto, nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti de quibus e non già di qualsiasi altro credito (Cass. pen. V, n. 15712/2014). Il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale si consuma nel momento dei pagamenti, irrilevante essendo la data della sentenza dichiarativa di fallimento (fattispecie in tema di prescrizione) (Cass. pen. V, n. 37428/2009; Cass. pen. V, n. 26548/2014). Non è ipotizzabile il delitto di bancarotta preferenziale, per difetto dell'elemento psicologico, nel fatto del titolare dell'azienda che provveda al pagamento di alcuni creditori al fine di eliminare istanze di fallimento, con la intenzione di migliorare la situazione dell'azienda medesima ed evitare la procedura concorsuale (Cass. pen. V, n. 7248/1992). La fattispecie di cui all'art. 216, terzo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (bancarotta preferenziale) si riferisce al fallito che esegue pagamenti o simula titoli di prelazione allo scopo di favorire, a danno di altri creditori, alcuni di essi. Occorre, quindi — quanto all'oggetto del reato — la violazione della «par condicio creditorum» nella procedura fallimentare e, in relazione all'elemento psicologico, il dolo specifico, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri (nella specie, relativa ad annullamento di sentenza di condanna, la S.C. ha osservato che il ricorrente pagò crediti privilegiati — liquidazioni di propri dipendenti —, onde l'eventuale sussistenza del reato implicava il concorso di altri crediti — con privilegio di grado prevalente o eguale — rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti «de quibus», e non di qualsiasi altro credito, come erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata) (Cass. pen. V, n. 7230/1991). Per quanto riguarda la seconda tipologia di condotta, si segnala il recente orientamento che, interpretando in modo atecnico la nozione di simulazione, applica tale fattispecie a quei meccanismi giuridici con i quali le banche, secondo una prassi notissima, soddisfano i propri crediti chirografari sostituendoli con mutui a garanzia reale (Cass. pen. n. 2004/16688). In tal caso, il funzionario di banca può essere chiamato a rispondere a titolo di concorso del creditore favorito nella bancarotta preferenziale, qualora abbia fornito un contributo causale alla realizzazione della violazione della par condicio, nonostante la consapevolezza dello stato di insolvenza del cliente e allo scopo di favorire la banca medesima. L'elemento soggettivo L'elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale è costituito dal dolo specifico, ravvisabile quando l'atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a preferire intenzionalmente un creditore, con concomitante riflesso, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri. (Cass. pen. V, n. 673/2013). In tema di bancarotta preferenziale, l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Cass. pen. V, n. 16983/2014). In tema di bancarotta preferenziale, l'elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo specifico, consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l'accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale; ne consegue che tale finalità non è ravvisabile allorché il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia della attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile (Cass. pen. V, n. 16983/2014). Il concorso di reatiIn relazione al profilo del concorso e alla configurabilità della continuazione nell'ambito del delitto di bancarotta, occorre rifarsi, in primis, a quanto statuito dall'art. 219 cpv. l.fall., norma che, essendo più favorevole al reo, deve considerarsi derogativa, non solo delle norme concernenti il concorso materiale e formale dei reati, ma anche quelle che rigiravano il reato continuato (Antolisei, 166). L'istituto della continuazione risulta invece applicabile al caso in cui i fatti delittuosi si riferiscono a fallimenti distinti ed autonomi. La continuazione può infine ritenersi applicabile, ove ricorra il medesimo disegno criminoso, anche nell'ambito dello stesso fallimento, tra più fattispecie previste in altri articoli diversi dalla legge fallimentare (Antolisei, 166). In tema di reati fallimentari, l'esposizione fraudolenta di passività di cui all'art. 216, comma primo, n. 1, seconda parte, l.fall. e l'esposizione di costi fittizi dissimulante la diversa destinazione data alle corrispondenti attività non si risolvono nella falsificazione idonea ad integrare l'ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma primo, n. 2, l.fall. né l'ipotesi di falso in bilancio, a norma degli articoli 223, comma secondo, n. 1 l.fall. e 2621-2622 c.c.; al contrario ciascuna di queste ultime previsioni può concorrere sia con la bancarotta patrimoniale costituita dall'esposizione di passività inesistenti sia con la bancarotta patrimoniale costituita da attività distrattive mascherate attraverso l'esposizione di costi inesistenti (Cass. pen. V, n. 29336/2007). In tema di bancarotta fraudolenta documentale, la parziale omissione del dovere annotativo integra la fattispecie di cui all'art. 216, comma primo, n. 2, l.fall., in quanto rientra nell'ambito della norma incriminatrice anche la condotta di falsificazione dei dati realizzata attraverso la rappresentazione dell'evento economico in modo incompleto e distorto in ordine alla gestione di impresa e agli esiti della stessa (Cass. pen. V, n. 3114/2010). Non sussiste il concorso formale dei reati di bancarotta fraudolenta ed appropriazione indebita (nella specie con riferimento a beni oggetto di locazione finanziaria), quando oltre ad esservi perfetta identità della cosa su cui si sono concentrate le rispettive attività criminose e simultaneità delle attività stesse, unica risulti la destinazione data dal soggetto attivo ai beni da lui appresi indebitamente, in quanto la condotta dell'apprensione di beni di cui il fallito abbia la disponibilità, pur essendo astrattamente riconducibile alle due distinte ipotesi delittuose in questione, ricade sotto la previsione dell'art. 84 c.p., con la conseguenza che il reato meno grave di appropriazione indebita è assorbito da quello di bancarotta fraudolenta. (Cass. pen. V, n. 37298/2010). Il reato di bancarotta fraudolenta integra una figura di reato complesso ex art. 84 c.p. rispetto a quello di appropriazione indebita, con assorbimento di quest'ultimo in quello di bancarotta, sicché gli stessi fatti, già contestati ex art. 646 c.p., possono essere ricondotti, dopo la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, alla fattispecie di bancarotta (la S.C. ha affermato tale principio ritenendo legittima un'ipotesi di modifica dell'imputazione ex art. 516 c.p.p., operata in dibattimento dal pubblico ministero una volta intervenuta la sentenza di fallimento) (Cass. pen. V, n. 2295/2015). In tema di reati fallimentari, il delitto di truffa avente ad oggetto il conseguimento di finanziamenti bancari mediante falsificazione dei bilanci e di altra documentazione relativa alla situazione economico-patrimoniale di una società non assorbe la condotta di bancarotta successivamente realizzata dal medesimo imputato attraverso la sottrazione al ceto creditorio delle somme derivanti dall'anzidetta condotta illecita, trattandosi di fatti illeciti naturalisticamente differenziati. (In motivazione, la Corte ha precisato che il rapporto strutturale tra i reati in oggetto è diverso da quello ricorrente tra appropriazione indebita e bancarotta, nel quale si ravvisa un'ipotesi di continenza). (Cass. V n . 13399/2019 c.c.). Il concorso di personeIn tema di bancarotta fraudolenta, quando l'apporto del terzo abbia per oggetto comportamenti che non abbiano esaurito la potenzialità offensiva degli interessi della massa dei creditori prima della dichiarazione di fallimento, sussiste la responsabilità di questi, ex art. 110 c.p., nel reato del soggetto 'propriò, avendo l'extraneus concorso a realizzare un segmento efficace del risultato illecito, la cui consumazione coincide con l'accertamento giudiziale dell'insolvenza. (Cass. pen. V, n. 30412/2011). In tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell'evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l'imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell'impresa (Cass. pen. V, n. 27367/2011). In tema di concorso in bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. Ne consegue che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell'art. 216 l.fall. in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest'ultimo, il quale non costituisce l'evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell'interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l'entità dell'operazione che incide negativamente sul patrimonio della società (Cass. pen. V, n. 16579/2010). Integra il concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, il soggetto che agevoli il titolare della società fallenda nella costituzione di una società di cui assuma l'amministrazione e con cui la prima stipuli un contratto di locazione connotato da un canone sensibilmente inferiore a quelli di mercato al fine di mantenere la disponibilità materiale dell'immobile locato alla famiglia del titolare della società fallenda. (Cass. pen. V, n. 49642/2009). Ai fini del concorso nella bancarotta fraudolenta per distrazione, non è necessario il previo concerto dell'extraneus con l'amministratore della società fallita, essendo sufficiente il dolo generico. (Fattispecie in tema di concorso nel reato dell'amministratore di società che aveva acquistato beni della società fallita, non corrispondendo il relativo prezzo) (Cass. pen. V, n. 34584/2008). In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale societaria per distrazione, integra l'ipotesi di concorso dell'extraneus nel reato di cui all'art. 223, comma secondo, n. 1, l.fall. la condotta del socio e procuratore speciale della società fallita che abbia contribuito alla cessione, materialmente posta in essere dall'amministratore, del patrimonio immobiliare della società in decozione ad altra società della quale egli stesso era socio-amministratore, senza che sia stato poi effettivamente pagato il prezzo pattuito. (Cass. pen. V, n. 33306/2016). In tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'«intraneus», con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. (Cass. pen. V, n. 12414/2016). In tema di concorso in bancarotta preferenziale, il dolo dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'«intraneus», con la consapevolezza che essa determina la preferenza nel soddisfacimento di uno dei creditori rispetto agli altri, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Cass. pen. V, n. 16983/2014). In tema di concorso in bancarotta fraudolenta documentale, il dolo dell'extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell'«intraneus», con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società (Cass. pen. V, n. 1706/2013). Concorre, in qualità di extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell'amministratore di diritto della società dichiarata fallita, fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori e lo assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero svolga attività dirette a garantirgli l'impunità o a rafforzarne, con il proprio ausilio e con le proprie assicurazioni, l'intento criminoso (nella specie l'imputata, in qualità di ragioniere e fiduciario dell'amministratore di diritto aveva consapevolmente proposto, coltivato e insistito per porre in essere atti depauperatori del patrimonio sociale a danno dei creditori) (Cass. pen. V, n. 49472/2013). Concorre in qualità di extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale il legale o il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore o dell'amministratore di una società in dissesto, fornisca a questi consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o lo assista nella conclusione dei relativi negozi, ovvero ancora svolga un'attività diretta a garantire l'impunità o a rafforzare, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l'altrui progetto delittuoso (nella specie, l'imputato, quale consulente incaricato della tenuta della contabilità di varie società fallite, aveva consapevolmente partecipato alla realizzazione di numerose manipolazioni delle scritture contabili al fine di occultare la distrazione di ingenti somme di denaro). Integra il concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, il consulente della società che, consapevole dei propositi distrattivi dell'imprenditore e degli amministratori della società, concorra all'attività distrattiva posta in essere da questi ultimi progettando e portando ad esecuzione la conclusione di contratti (nella specie affitto di azienda) privi di effettiva contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori (Cass. pen. V, n. 10742/2008). Non sussiste, tuttavia, la responsabilità ex art. 110 c.p. se l’extraneus, in epoca successiva alla condotta distrattiva e senza preventivo accordo con l’intraneus, pone in essere un comportamento autonomo che rende di fatto irreversibile l’effetto distrattivo, anche se tale condotta è posta in essere prima del fallimento (Cass. pen. V, n. 49499/2018, con riferimento a professionista di fiducia dell’amministratore di società). La pena accessoriaOccorre ricordare che da ultimo la Corte costituzionale, con sentenza 5 dicembre 2018, n. 222 (in Gazz. Uff. 12 dicembre 2018, n. 49), ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultimo comma dell'articolo in commento, nella parte in cui dispone: «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa», anzichè «la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni». Vi è da aggiungere che la Sezione V penale della Corte di Cassazione ha rimesso, con ordinanza del 12 dicembre 2018, alle Sezioni Unite della Corte la questione del se le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dall'art. 216, ultimo comma, l. fall., per come riformulato ad opera della sentenza n. 222/2018 della Corte Cost, debbano considerarsi pene con durata “non predeterminata” e quindi ricadere nella regola generale di computo di cui all'art. 37 c.p. (che prevede la commisurazione della pena accessoria non predeterminata alla pena principale inflitta), con la conseguenza che è la stessa Cassazione a poter operare la detta commisurazione con riferimento ai processi pendenti ; ovvero se, per effetto della nuova formulazione, la durata delle pene accessorie, debba invece considerarsi predeterminata entro la forbice data, con la conseguenza che non trova applicazione l'art. 37 c.p. In tema di bancarotta fraudolenta, la durata delle pene accessorie previste dall'art. 216, ult. comma, l. fall., nella formulazione derivata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, non necessariamente deve essere parametrata alla stessa durata della pena principale ai sensi dell'art. 37 c. p., in quanto i principi di proporzionalità e di individualizzazione del trattamento sanzionatorio, posti alla base della decisione di illegittimità costituzionale, non consentono di applicare alcun tipo di automatismo sanzionatorio. (In applicazione del principio la Corte, riconoscendo d'ufficio l'illegalità delle pene accessorie irrogate prima della declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 216, ult. comma, legge fall., ha annullato con rinvio la sentenza impugnata limitatamente al punto delle pene accessorie, al fine di consentire al giudice di merito di stabile la durata delle stesse, trattandosi di giudizio, che implicando valutazioni discrezionali, è sottratto al giudice di legittimità). Conf. Cass. V, n. 6115/2019 del 14/12/2018 (dep. 07/02/2019); Cass. V, n.4780/2019 del 20/12/2018 (dep. 30/01/2019) (Cass. V, n. 5882/2019).
BibliografiaAntolisei, Manuale di diritto penale, 1987, 22 e ss.; Conti, Diritto penale commerciale, II, 1967; Bricchetti-Pistorelli, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, Milano, 2011, 49; Delitala, Contributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, Riv. Dott. Comm., 1926, I, 437; Giuliani, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006, 571; Longhi, Bancarotta ed altri reati in materia commerciale, Milano, 1930; Pajardi, Paluchoscki, Manuale di diritto fallimentare, 1028; Punzo, Il delitto di bancarotta, Torino, 1953, 24 e ss. |