Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 67 - Consulenza tecnica d'ufficio

Gabriele Carlotti

Consulenza tecnica d'ufficio

 

1. Con l'ordinanza con cui dispone la consulenza tecnica d'ufficio, il collegio nomina il consulente, formula i quesiti e fissa il termine entro cui il consulente incaricato deve comparire dinanzi al magistrato a tal fine delegato per assumere l'incarico e prestare giuramento ai sensi del comma 4. L'ordinanza è comunicata al consulente tecnico a cura della segreteria.

2. Le eventuali istanze di astensione e ricusazione del consulente sono proposte, a pena di decadenza, entro il termine di cui al comma 1 [e sono decise dal presidente o dal magistrato delegato con decreto non impugnabile] 1.

3. Il collegio, con la stessa ordinanza di cui al comma 1, assegna termini successivi, prorogabili ai sensi dell'articolo 154 del codice di procedura civile, per:

a) la corresponsione al consulente tecnico di un anticipo sul suo compenso;

b) l'eventuale nomina, con dichiarazione ricevuta dal segretario, di consulenti tecnici delle parti, i quali, oltre a poter assistere alle operazioni del consulente del giudice e a interloquire con questo, possono partecipare all'udienza e alla camera di consiglio ogni volta che è presente il consulente del giudice per chiarire e svolgere, con l'autorizzazione del presidente, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche;

c) la trasmissione, ad opera del consulente tecnico d'ufficio, di uno schema della propria relazione alle parti ovvero, se nominati, ai loro consulenti tecnici;

d) la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;

e) il deposito in segreteria della relazione finale, in cui il consulente tecnico d'ufficio dà altresì conto delle osservazioni e delle conclusioni dei consulenti di parte e prende specificamente posizione su di esse.

4. Il giuramento del consulente è reso davanti al magistrato a tal fine delegato, secondo le modalità stabilite dall'articolo 193 del codice di procedura civile.

5. Il compenso complessivamente spettante al consulente d'ufficio è liquidato, al termine delle operazioni, ai sensi dell'articolo 66, comma 4, primo e terzo periodo.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Ordinanza con cui si dispone la consulenza tecnica Nell'ordinanza il collegio assegna termini successivi per: a) la corresponsione di un anticipo al consulente tecnico; b) l'eventuale nomina dei consulenti tecnici di parte; c) la trasmissione dello schema di relazione del consulente tecnico; d) la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti di parte; e) il deposito in segreteria della relazione finale. Le decorrenze saranno quelle stabilite nell'ordinanza con cui sia stata disposta la consulenza tecnica.
Istanze di astensione e di ricusazione del consulente tecnico Da proporre, a pena di decadenza, entro il termine fissato dal collegio nell'ordinanza con cui sia stata disposta la consulenza tecnica. Dalla pubblicazione dell'ordinanza con cui sia stata disposta la consulenza tecnica ed entro i termini entro i quali, rispettivamente, il consulente tecnico nominato deve comparire avanti al magistrato delegato per prestare il giuramento o deve sottoscrivere digitalmente la dichiarazione di giuramento.

Inquadramento

La disposizione disciplina in modo molto dettagliato il procedimento di assegnazione dell'incarico al consulente tecnico d'ufficio e lo svolgimento dello specifico mezzo istruttorio.

Al riguardo, il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 2223/2024) ha chiarito che la consulenza tecnica d'ufficio, al pari della verificazione, è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, rientrando nel suo potere discrezionale la decisione di disporre, o no, la nomina dell'ausiliario e potendo la motivazione dell'eventuale diniego essere anche implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, sicché non può essere fondatamente predicata alcuna omessa pronuncia o violazione del giusto processo per non aver il giudice di primo grado dato seguito alla su citata richiesta dell'interessato. Al riguardo, il Consiglio di Stato (Cons. St. II, n. 2223/2024) ha chiarito che la consulenza tecnica d'ufficio, al pari della verificazione, è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, rientrando nel suo potere discrezionale la decisione di disporre, o no, la nomina dell'ausiliario. Ne consegue che non può essere censurata la scelta del giudice di primo grado di ricorrere al mezzo istruttorio né quella di aver aderito, all'esito di un autonomo percorso argomentativo, alle conclusioni alle quali sia giunto il verificatore (Cons. St. IV, n. 1166/2025). La motivazione dell'eventuale decisione di non disporre la verificazione può essere anche implicitamente desunta dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato, sicché non può essere fondatamente predicata alcuna omessa pronuncia o violazione del giusto processo per non aver il giudice di primo grado dato seguito alla richiesta dell'interessato. Sia nel caso della verificazione sia in quello della consulenza tecnica d'ufficio, è, dunque, consentito disattendere le conclusioni esposte dal verificatore o dal consulente, purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto; si deve, pertanto, escludere in modo radicale qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi del verificatore sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico (Cass. SU, n. 4331/2024).

Il procedimento di assegnazione dell'incarico si snoda in due fasi: la prima, rappresentata dall'adozione dell'ordinanza, e la seconda, successiva sia da un punto di vista cronologico sia processuale, consistente nella prestazione del giuramento da parte del consulente tecnico avanti al magistrato delegato (fatta salva l'applicazione, a discrezione del giudice, del novellato secondo comma dell'art. 193 c.p.c. in ordine alle modalità di prestazione del giuramento; v., sul punto, il par. 2).

La nomina del consulente è disposta dal collegio con ordinanza. Tale ordinanza ha un contenuto articolato, giacché – oltre alla nomina del consulente – deve contenere:

a) la formulazione dei quesiti;

b) il termine entro il quale il consulente incaricato deve comparire avanti al magistrato del collegio, delegato al fine di raccogliere il giuramento del consulente;

c) l'assegnazione di termini, prorogabili prima della scadenza, successivi a quello fissato per la comparizione del consulente, relativi a: i) la corresponsione (obbligatoria) al consulente tecnico di un anticipo sul compenso; ii) la nomina (eventuale) di consulenti tecnici delle parti; iii) la trasmissione, da parte del consulente tecnico d'ufficio, di uno schema della propria relazione alle parti o ai consulenti tecnici di queste ultime; iv) la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle (eventuali) osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte; v) il deposito, in segreteria, della relazione finale.

Un ulteriore contenuto dell'ordinanza è indicato nel comma 2, primo periodo, dell'art. 65, secondo cui l'ordinanza con la quale il collegio disponga un mezzo istruttorio deve fissare anche la data della successiva udienza (ma la regola vale anche per le camere di consiglio) di trattazione del ricorso.

La seconda fase del procedimento di nomina si svolge avanti al magistrato delegato e alla presenza del consulente tecnico il quale deve rendere il giuramento. In particolare, il magistrato delegato ricorda al consulente l'importanza delle funzioni che è chiamato ad adempiere e ne riceve il giuramento di bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di fare conoscere ai giudici la verità.

La disposizione prevede anche il termine (quello di comparizione del consulente), stabilito a pena di decadenza, entro il quale devono essere presentate le istanze di astensione (da parte del consulente stesso) o di ricusazione (proveniente dalle parti).

Infine la disposizione determina le modalità da seguire relativamente alla liquidazione definitiva del compenso, rinviando a quanto stabilito per il verificatore, fatta eccezione per la misura del compenso medesimo.

Si desume dal contenuto dell'ordinanza anche quale sia lo svolgimento delle operazioni di consulenza, una volta perfezionata la nomina con il giuramento. In particolare, il consulente dovrà:

1) avvisare le parti e i rispettivi consulenti (ove nominati) dell'inizio delle operazioni peritali, onde consentire loro di assistere e di interloquire con il consulente stesso;

2) all'esito delle operazioni, predisporre un primo schema, non definitivo, della relazione e inviarlo alle parti e ai loro consulenti per riceverne le eventuali osservazioni e conclusioni;

3) quindi, redigere la relazione finale, nella quale il consulente tecnico d'ufficio prenderà posizione sulle osservazioni e le conclusioni delle parti;

4) depositare la relazione presso la segreteria del giudice che lo ha nominato, così che la segreteria possa comunicare alle parti l'avvenuto deposito;

5) infine, se richiesto dal giudice, comparire a una successiva udienza (o camera di consiglio) per rispondere alle eventuali richieste di chiarimenti del giudice e delle parti.

La comparizione del consulente e il giuramento

Si è, tuttavia, accennato sopra alla circostanza che occorre tener conto, riguardo alle modalità di prestazione del giuramento, di quanto disposto dall'art. 3, comma 14, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, recante «Attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata». Il richiamato decreto legislativo ha dato attuazione alla legge 26 novembre 2021, n. 206Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonche' in materia di esecuzione forzata »), con la quale è stata delineata una profonda e articolata riforma del processo civile. Tra le altre novità portate dalla riforma (c.d. “Riforma Cartabia”, dal nome del Ministro della giustizia proponente), il comma 14, sopra menzionato, ha introdotto, nell'art. 193 c.p.c., un secondo comma dal seguente tenore: «In luogo della fissazione dell'udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d'ufficio il giudice può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma. Con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall'articolo 195, terzo comma». La disposizione costituisce attuazione del criterio di delega di cui all'art. 1, comma 17, lett. n), della sunnominata l. n. 266/2021, con il quale si è imposto al Legislatore delegato di: «prevedere che il giudice, in luogo dell'udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d'ufficio, può disporre il deposito telematico di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale recante il giuramento di cui all'articolo 193 del codice di procedura civile».

Non vi è dubbio che il primo periodo della riferita novella legislativa si applichi anche al processo amministrativo, dal momento che, come sopra accennato, il comma 4 della disposizione in commento rinvia direttamente all'art. 193 c.p.c.

 Concorda sulla diretta applicabilità del nuovo secondo comma dell'art. 193 c.p.c. al processo amministrativo l'Ufficio Studi e formazione della Giustizia amministrativa (DURANTE), secondo il qualela modifica in discorso trova piena applicazione anche nel processo amministrativo, in considerazione del diretto e integrale rinvio operato dall'art. 67 c.p.a. alle “modalità” di cui all'art. 193 c.p.c., sì che l'udienza di comparizione per il giuramento  delegata a un magistrato potrà essere sostituita dal deposito della dichiarazione sottoscritta.

 Nel medesimo senso si è di recente pronunciato anche il Consiglio di Stato (Cons. St. III, n. 365/2025, decr.). Si è, per l'appunto, affermato che, in considerazione del diretto e integrale rinvio operato dall'art. 67 c.p.a. alle modalità di cui all'art. 193 c.p.c., il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale deve trovare piena applicazione anche nel processo amministrativo.

Deve, per contro, escludersi che, al processo amministrativo, possa trovare applicazione il secondo periodo del secondo comma dell'art. 193 c.p.c., là dove si è stabilito che, con il medesimo provvedimento di assegnazione al consulente di un termine per il giuramento, il giudice fissi (e, dunque, obbligatoriamente, una volta scelta la via del deposito della dichiarazione in luogo della comparizione personale del consulente) i termini previsti dall'art. 195, terzo comma, c.p.c. Le ragioni della ritenuta inapplicabilità del terzo comma dell'art. 195 c.p.c. (che recita: «La relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti costituite nel termine stabilito dal giudice con ordinanza resa all'udienza di cui all'articolo 193. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione e il termine, anteriore alla successiva udienza, entro il quale il consulente deve depositare in cancelleria la relazione, le osservazioni delle parti e una sintetica valutazione sulle stesse») poggiano sulla considerazione che il codice del processo amministrativo reca una previsione anteriore e speciale rispetto a quella contenuta nel terzo comma dell'art. 195 c.p.c. e che, dunque, prevale su quest'ultima (norma successiva e di carattere generale). Invero, l'intero portato precettivo del terzo comma dell'art. 195 c.p.c., peraltro con un maggior grado di precisione, si ritrova nelle lett. c), d) ed e) del comma 3 della disposizione in commento.

Sul piano pratico, il Collegio, qualora intenda applicare l'art. 193, secondo comma, c.p.c., adotterà l'ordinanza collegiale di nomina del consulente, recante tutti i contenuti dell'art. 67 c.p.a., ivi inclusa la formulazione dei quesiti, limitandosi ad aggiungere, in luogo del termine per la comparizione del consulente avanti al magistrato delegato (delega che non sarà più necessaria), l'indicazione del termine per il deposito della dichiarazione, sottoscritta digitalmente dal consulente nominato, recante il predetto giuramento. È bene evidenziare che il ricorso all'art. 193, secondo comma, c.p.c. costituisce oggetto di una facoltà del Collegio, e non di un obbligo, il cui esercizio sarà, quindi, riservato di volta in volta alla discrezionalità del giudice (ad esempio, nei casi in cui il consulente abbia rappresentato difficoltà per comparire personalmente o, più in generale, per esigenze di celerità di svolgimento della consulenza).

Nel caso in cui trovi applicazione il secondo comma dell'art. 193 c.pc. l'incarico di consulente si perfezionerà con il deposito (in via telematica) della dichiarazione sottoscritta digitalmente.

Va precisato che la novella dell'art. 193 c.p.c., sebbene il d.lgs. n. 149/2022 sia entrato in vigore il 18 ottobre 2022 (v. l'art. 52, comma 1, in base al quale il decreto è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 17 ottobre 2022), è applicabile, anche ai processi pendenti (e, quindi, pure quelli instaurati), a decorrere dal 1° gennaio 2023. Tanto prevede, infatti, l'art. 1, comma 380, della l. 29 dicembre 2022, n. 197 (legge di bilancio 2023) con cui è stato sostituito l'originario disposto dell'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 (che prevedeva l'entrata in vigore, tra l'altro, della nuova versione dell'art. 192, comma 3, c.p.c. il 30 giugno 2023 e, per di più, soltanto ai procedimenti instaurati successivamente a tale data). Vero è che il novellato comma 2 dell'art. 35 del d.lgs. n. 149/2022 riferisce espressamente l'entrata in vigore dell'art. 193, secondo comma, c.p.c.«ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione» e non si occupa del processo amministrativo, sennonché non è seriamente contestabile che il riferimento a tutti gli uffici giudiziari della Giustizia ordinaria (v. anche il comma 3 del novellato art. 35) implichi l'applicabilità della disposizione anche al processo amministrativo.

Con riferimento alle possibili anomalie del procedimento di nomina, bisogna distinguere, anche sul piano degli effetti, il caso del rifiuto del consulente di prestare il giuramento dalla diversa ipotesi dell'omesso giuramento. Il rifiuto di prestare il giuramento assume il significato di una rinuncia all'incarico e, se non giustificato, configura il delitto di «rifiuto di uffici legalmente dovuti» previsto e punito dall' art. 366, primo e secondo comma, c.p.

Può invece accadere, nell'ipotesi della comparizione personale del consulente, che, per varie ragioni (anche per mera dimenticanza del magistrato delegato), il consulente ometta (e non già rifiuti) di prestare il giuramento. Tale omissione comporta una mera irregolarità e non determina alcuna invalidità della consulenza successivamente svolta (in disparte la circostanza che il giuramento omesso, in sede della prima comparizione del consulente, può essere prestato anche successivamente).

[*PRASSI*]  Ancora nell'ipotesi della comparizione personale avanti al magistrato delegato, non va poi confusa l'omessa prestazione del giuramento con la sua mancata pronuncia, a voce, da parte del consulente tecnico, della relativa formula, come talora accade, dandosi per prestato il giuramento con la sola indicazione del relativo adempimento nel verbale della camera di consiglio. 

Dalla data del prestato giuramento si perfeziona l'affidamento dell'incarico al consulente, il quale, quindi, da detta data può (e deve) iniziare a svolgere le attività delegate.

La decisione sull'astensione e la ricusazione del consulente tecnico

La disciplina sull'astensione e la ricusazione del consulente tecnico è contenuta negli artt. 19 e 20 (ai cui commenti si rinvia). Il comma 2 della disposizione in rassegna fissa il termine per la proposizione delle eventuali istanze di astensione (provenienti dal consulente nominato) o di ricusazione (formulate dalle parti). Il termine entro il quale debbono essere presentate dette istanze è sicuramente perentorio, atteso che la sua mancata osservanza comporta la decadenza dal potere di proporre le relative istanze e, conseguentemente, l'inammissibilità di queste ultime, qualora presentate tardivamente. In assenza di diverse indicazioni, deve ritenersi che le istanze in parola possano essere formulate in occasione della comparizione, in camera di consiglio, del consulente avanti al magistrato delegato.

Al riguardo la giurisprudenza ha osservato che, nel giudizio amministrativo, l'istanza di ricusazione del consulente tecnico d'ufficio è sottoposta a precisi limiti temporali, idonei anche a scongiurare espedienti dilatori che mal si conciliano con le esigenze di addivenire a una definizione del giudizio in tempi ragionevoli, con la specificazione che il termine ultimo, entro il quale l'istanza di ricusazione deve essere presentata, è il momento del giuramento del consulente tecnico (e, quindi, anche il momento della scadenza del termine eventualmente fissato dal giudice per il deposito della dichiarazione, sottoscritta digitalmente, che rechi il giuramento del consulente, ai sensi del secondo comma dell’art. 193 c.p.c.), e l'istanza proposta verbalmente in limine litis, cioè all'udienza di discussione, un attimo prima che la causa sia introitata per la decisione, non solo è tardiva, ma anche nulla o addirittura inesistente ( T.A.R. Molise I, n. 110/2016).

In ogni caso, sulle istanze di astensione e di ricusazione, quand'anche eventualmente formulate avanti al magistrato delegato, potrà decidere soltanto il collegio, stante il combinato disposto degli artt. 65, comma 2, secondo cui (come ripete il comma 1 della disposizione in commento) la decisione sulla consulenza è sempre adottata dal collegio, e 20, comma 1 e 2, ultimo periodo, in base ai quali il giudice può esonerare il consulente dal prestare il suo ufficio (al ricorrere di un giustificato motivo) e il giudice che ha nominato il consulente conosce anche della sua ricusazione. Sicché il magistrato delegato che abbia ricevuto un'istanza di astensione o di ricusazione, in occasione della camera di consiglio fissata per la comparizione di questi, non potrà far altro che rimettere le istanze alla valutazione del collegio. Il collegio, una volta adottata la decisione, provvederà anche sull'ulteriore corso del giudizio.

Il provvedimento con il quale il collegio decide sulle astensioni e le ricusazioni assume, di norma, la forma dell'ordinanza. Non soltanto in ragione del principio del contrarius actus, atteso che la nomina del consulente avviene con ordinanza, ma anche perché l'art. 36, comma 1, impone che il giudice provveda con ordinanza in tutti i casi in cui non definisca nemmeno in parte il giudizio. Nulla vieta, tuttavia, che il giudice si pronunci sulle istanze di astensione o di ricusazione solo con la sentenza, anche non definitiva. Difatti, il comma 2 in esame impone solo un termine per la proposizione delle istanze, ma non anche un termine al giudice per decidere su di esse.

Il contraddittorio nell'ambito del procedimento di consulenza. La proroga dei termini

La disposizione in commento è fortemente ispirata al principio del contraddittorio, che permea la formazione della prova, e presenta evidenti isomorfismi con l' art. 195 c.p.c. Le parti hanno, infatti, la possibilità di interloquire su ogni aspetto dello svolgimento della consulenza, fin dalla scelta dell'ausiliario del giudice. La struttura della previsione è, tuttavia, particolare, dal momento che la piena attuazione del contraddittorio, nel procedimento di consulenza, è affidata essenzialmente all'ordinanza con la quale il collegio provvede sullo specifico mezzo istruttorio. Tale ordinanza ha molti contenuti obbligatori e, soprattutto, deve recare l'indicazione di una serie di termini i quali, considerati nel loro insieme, costituiscono quasi una sorta di «cronoprogramma» della consulenza. La soluzione, sebbene efficace, rischia però di non risultare efficiente, dal momento che i tempi occorrenti per il compimento di una consulenza sono spesso imprevedibili e, quindi, al collegio si pongono due alternative: o fissare termini, ivi inclusi quelli intermedi, molto lunghi (contro il principio, tuttavia, della ragionevole durata del processo) oppure fissare termini più ravvicinati, ma accettando l'eventualità di doverli prorogare una o più volte (con il conseguente maggiore impegno, del collegio, delle parti e del consulente, in termini di fissazione di camere di consiglio e di adozione di plurimi provvedimenti in relazione a un medesimo affare).

La giurisprudenza ( Cons. St. V, n. 5610/2013) ha avuto modo di segnalare che il mancato svolgimento del contraddittorio tra consulente tecnico d'ufficio e consulenti tecnici di parte, siccome disposto dall'art. 67, determina la violazione del diritto di difesa, con conseguente annullamento della sentenza di primo grado e rimessione della causa al tribunale amministrativo regionale.

Dispone il comma 2 che i termini fissati inizialmente con l'ordinanza con cui sia stata disposta la consulenza sono prorogabili ai sensi dell' art. 154 c.p.c. Tale articolo prevede che il giudice, prima della scadenza, possa abbreviare o prorogare, anche d'ufficio, i termini che non siano stabiliti a pena di decadenza. La proroga non può avere una durata superiore al termine originario e, di regola, è concessa una sola volta; difatti, le proroghe ulteriori alla prima possono essere consentite soltanto al ricorrere di motivi particolarmente gravi e con provvedimento motivato: ciò significa che, se per la prima proroga, l'ordinanza collegiale potrà anche essere sorretta da una scarna motivazione, per le eventuali ulteriori proroghe occorrerà una dimostrazione argomentativa della necessità dei relativi provvedimenti.

La norma del codice di procedura civile consente sia la proroga sia l'abbreviazione dei termini. Sebbene la disposizione in commento rinvii espressamente all' art. 154 c.p.c. solo per la proroga dei termini, deve tuttavia ritenersi che nulla impedisca al giudice amministrativo di applicare la medesima previsione, anche per abbreviare i termini già fissati, quando ne ricorra la necessità.

La circostanza che le eventuali richieste di proroga debbano essere presentate prima della scadenza implica che non possono essere prorogati i termini già scaduti. Sebbene poi le richieste di proroga debbano essere presentate prima della scadenza, il giudice, come già accennato, può anche provvedere successivamente a tale scadenza. Ovviamente, l'eventuale scadenza dei termini non incide, di per sé, sull'esigenza di completare comunque la consulenza, qualora il giudice l'abbia ritenuta indispensabile. La scadenza dei termini fissati nell'ordinanza comporta solo la necessità di rinnovarli e, quindi, l'adozione di una nuova ordinanza con la quale il collegio provveda sul punto. Inoltre, qualora il mancato rispetto dei termini originariamente fissati o prorogati sia dipeso da negligenza del consulente, il giudice, anche su eventuale sollecitazioni delle parti, potrà valutare se sussistano motivi per disporne la sostituzione (v. infra).

Va ulteriormente osservato che il comma 3 della disposizione in rassegna, nella parte in cui stabilisce che sono prorogabili i termini originariamente fissati nell'ordinanza, costituisce una deroga all'art. 52, comma 1, secondo cui i termini assegnati dal giudice sono perentori. Si è già accennato sopra, passim, che anche la forma del provvedimento con il quale il collegio dispone la proroga dei termini è comunque l'ordinanza.

Il magistrato delegato

La disposizione in commento assegna un ruolo al «magistrato delegato». Questi, infatti, deve ricevere il giuramento del consulente tecnico d'ufficio, qualora ne sia stata prevista la comparizione personale. Va osservato che, al di là della evidente omologia, la figura in questione è differente da quella menzionata nell'art. 65, comma 1. Ed invero, il magistrato delegato avanti al quale deve comparire il consulente tecnico è sempre un componente del collegio chiamato a decidere la causa, nell'ambito della quale, sia stata disposta la consulenza tecnica (mentre il presidente può delegare, per il compimento di attività istruttoria, qualunque magistrato assegnato alla sezione). Tale magistrato è inoltre delegato per un singolo atto ossia, per l'appunto, per il compimento delle attività descritte dal comma 1 della disposizione in esame, mentre il magistrato delegato dal presidente può adottare provvedimenti istruttori di vario tipo e anche relativi a più di una controversia, se così disposto dal presidente medesimo.

Il contenuto dell'ordinanza che dispone la consulenza. Regime dell'impugnazione

La disposizione in rassegna indica quale debba essere il contenuto necessario dell'ordinanza che dispone la consulenza tecnica; segnatamente, l'ordinanza deve contenere:

a) la nomina del consulente tecnico;

b) il termine entro il quale il consulente nominato dovrà comparire, avanti al magistrato a tal fine delegato, per assumere l'incarico e prestare il giuramento;

c) la formulazione dei quesiti;

d) l'assegnazione di termini successivi per:

- la corresponsione di un anticipo al consulente tecnico;

- l'eventuale nomina dei consulenti tecnici delle parti;

- la trasmissione di una schema di relazione del consulente tecnico alle parti o, se nominati, ai loro consulenti;

- la trasmissione al consulente tecnico d'ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;

- il deposito in segreteria della relazione finale.

Sebbene il comma 1 della disposizione in commento preveda, quale forma ordinaria di assunzione dell'incarico del consulente tecnico, che questi compaia, all'udienza pubblica o alla camera di consiglio appositamente fissata, avanti al magistrato a tal fine delegato, nulla impedisce al collegio di stabilire che il consulente compaia avanti al collegio medesimo per prestare il giuramento di rito.

Fondamentale è la «formulazione dei quesiti». I quesiti infatti perimetrano l'oggetto dello specifico strumento istruttorio e devono essere accuratamente indicati dal giudice onde orientare l'attività di indagine del consulente. Importante è poi considerare che la consulenza tecnica non può mai risolversi in un aggiramento dell’onere di fornire gli elementi di prova, gravante sulle parti ai sensi dell’art. 64, comma 1. A parte questo divieto, il consulente tecnico, nei limiti dei quesiti formulati dal giudice, dispone di un ampio potere di indagine, da esercitare sempre nel rispetto delle regole del contraddittorio.

A questo proposito e, in merito al campo di intervento assegnato al consulente tecnico d’ufficio, va riferito di una recente pronuncia della Cassazione (Cass. S.U.  n. 3086/2022), secondo cui il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare, anche in materia di esame contabile (su cui v. infra) tutti i fatti inerenti all'oggetto della e acquisire, anche a prescindere dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio.

Il Codice contempla poi un altro contenuto obbligatorio dell'ordinanza che dispone la consulenza tecnica. Sennonché la norma relativa non si trova inserita nell'art. 67, ma nel comma 2 dell'art. 65, ove è previsto che, quando l'istruttoria è disposta dal collegio, questo provvede con ordinanza con la quale fissa la data della successiva udienza di trattazione del ricorso (ma la regola vale anche per il rito in camera di consiglio). In mancanza di detta fissazione, le parti potranno chiedere una integrazione dell'ordinanza o, comunque, chiedere un separato provvedimento.

Opportunamente l'ultimo periodo del comma 1 della disposizione in commento stabilisce che l'ordinanza con la quale sia stata disposta una consulenza tecnica sia comunicata dalla segreteria anche al consulente tecnico; diversamente quest'ultimo potrebbe non venire a conoscenza dell'incarico ricevuto.

L'ordinanza che dispone la consulenza tecnica è comunque comunicata alle parti costituite, al pari di ogni altro provvedimento del giudice, a norma degli artt. 33, comma 3, e 89, comma 3, secondo i quali, tra l'altro, le ordinanze, se non pronunciate in udienza o in camera di consiglio e inseriti nel relativo verbale, sono comunicati alle parti dalla segreteria entro cinque giorni dall'avvenuto deposito.

Dell'avvenuto deposito della relazione finale del consulente tecnico devono essere messe a conoscenza le parti: tanto si desume dall'art. 68, comma 4, secondo cui il segretario comunica alle parti l'avviso che l'istruttoria disposta è stata eseguita e che i relativi atti sono a disposizione presso la segreteria.

La relazione finale e la valutazione della consulenza. L'esame contabile

Il comma 3 disciplina il subprocedimento che conduce dalla nomina del consulente fino al deposito della relazione finale. Quest'ultima è il frutto di un contraddittorio di carattere tecnico tra l'ausiliare del giudice e le parti (o i loro consulenti tecnici); la sua formazione è stata proceduralizzata dalla disposizione in commento, secondo un programma trifasico, in cui alla trasmissione di uno schema (tesi) di relazione, seguono le osservazioni e le conclusioni delle parti e dei consulenti di parte (antitesi) e, infine, la redazione della relazione finale, con la quale il consulente tecnico d'ufficio dà conto delle ridette osservazioni e conclusioni e prende posizione rispetto ad esse (sintesi).

La redazione e il deposito della relazione finale rappresenta il traguardo a cui tende lo specifico mezzo istruttorio e il principale compito del consulente, ma questi deve anche rendersi disponibile a rendere eventuali chiarimenti, orali o scritti, richiesti dal giudice, anche su sollecitazione delle parti. Tanto si desume dalla lettura della disposizione in rassegna, là dove, nel comma 3, lett. b), si accenna alla partecipazione del consulente all'udienza e alla camera di consiglio. Qualora siano richiesti chiarimenti orali, il consulente dovrà comparire avanti al giudice e alle parti.

Ove necessario il giudice può anche chiedere al consulente, adottando un'ulteriore ordinanza, di effettuare un supplemento di consulenza (v. infra), in relazione a un nuovo o differente tema di indagine o per approfondire taluni aspetti già esaminati nel corso dell'incarico svolto.

La relazione finale del consulente, di norma, presenta una struttura tipica e ben definita. Solitamente essa si apre con la descrizione sommaria della controversia, nell'ambito della quale, è stata disposta la consulenza tecnica. Si dà atto dell'avvenuta comparizione del consulente per il giuramento (o della data in cui sia stata sottoscritta digitalmente la relativa dichiarazione ai sensi dell'art. 192, secondo comma, c.p.c.) e dell'espletamento delle altre formalità correlate al perfezionamento dell'incarico dell'ausiliario. Viene poi riportato il contenuto dei quesiti. Inoltre sono indicate esattamente tutte le operazioni compiute (eventualmente in differenti sedute) e le persone che abbiano partecipato ad esse. Sono in seguito esposti, in termini teorici, i problemi affidati all'esame del consulente e si illustra la metodologia di indagine seguita. Vengono dopo riferite le osservazioni e le conclusioni delle parti e dei loro consulenti sullo schema di relazione. Il consulente prende posizione su di esse e risponde ai quesiti, sotto forma di conclusioni.

Le conclusioni rassegnate dal consulente tecnico d'ufficio, come risposta ai quesiti formulati dal collegio, sono liberamente valutabili dal giudice, sulla base del suo prudente apprezzamento, come recita l'art. 64, comma 4. D'altra parte, anche dallo svolgimento della consulenza tecnica e dall'atteggiamento e dai comportamenti tenuti dalle parti in occasione di essa, il giudice può desumere argomenti di prova. Tale discrezionalità del giudice nel valutare l'esito del mezzo istruttorio è pienamente compatibile con la possibilità che il giudice, il quale è peritus peritorum (ossia che è chiamato a valutare autonomamente e discrezionalmente l'operato dei consulenti), ritenga di disattendere l'opinione del consulente tecnico d'ufficio e di aderire motivatamente alla posizione espressa da un consulente di parte oppure di non aderire a nessuna opinione tecnica e di disporre il rinnovo della consulenza. Differente, tuttavia, sarà la motivazione della sentenza (o dell'ordinanza, in caso di rinnovazione del mezzo istruttorio) nell'ipotesi in cui il giudice aderisca alla posizione espressa dal consulente tecnico d'ufficio o quando, al contrario, disattenda la valutazione del consulente tecnico d'ufficio o, finanche, aderisca a quella espressa da una parte o da un consulente tecnico di parte. Nel primo caso il giudice non deve diffondersi sulle ragioni del suo convincimento: l'adesione alle prospettazioni del consulente tecnico d'ufficio, resa palese sovente da una motivazione per relationem al contenuto della relazione finale, è di per sé sufficiente per ritenere che il collegio abbia deciso di non accettare le differente tesi sostenute dalle parti, qualora non compatibili con la posizione espressa dal ridetto consulente tecnico d'ufficio (e, pertanto, di sposare le controargomentazioni spiegate dal consulente tecnico nella relazione finale), senza alcuna necessità di confutarle in modo dettagliato. Nel secondo caso, per contro, il giudice dovrà esporre compiutamente le ragioni del dissenso maturato rispetto alle conclusioni formulate dal consulente tecnico d'ufficio e alle indagini da questi esperite, giustificando le proprie critiche. Più in particolare, il giudice dovrà chiarire perché ritenga che il consulente tecnico d'ufficio sia incorso in errori nell'accertamento dei fatti o in vizi metodologici nell'espressione delle sue valutazioni.

Nel medesimo senso è anche la posizione delle Sezioni unite, le quali hanno precisato, che, è sempre consentito al giudice amministrativo disattendere le conclusioni esposte dal consulente tecnico (o dal verificatore), purché delle ragioni del dissenso il giudice dia adeguato conto nella motivazione della sentenza (le stesse Sezioni unite escludono, invero, qualsiasi vincolatività dei giudizi valutativi dell'ausiliario sulla autonomia della cognizione del giudice amministrativo rispetto alle conclusioni assunte in sede di accertamento tecnico; Cass. SU, n. 158/2000).  

Un più intenso sforzo motivazionale è altresì richiesto al giudice allorquando, nel corso del medesimo grado del giudizio, in relazione al medesimo tema d'indagine, siano state effettuate differenti consulenze tecniche d'ufficio, tra loro non coerenti. Anche al ricorrere di questa evenienza, difatti, nella sentenza dovranno essere spiegate le ragioni della preferenza per l'uno o l'altro esito istruttorio.

La dottrina è allineata ai suesposti principi in materia di valutazione dell'esito della consulenza tecnica d'ufficio. Si è difatti affermato (Mambriani) che, in linea generale, il giudice è libero nella valutazione e nell'apprezzamento dei risultati raggiunti dal consulente. Più in particolare, quando si conformi ai risultati della consulenza, il giudice non è tenuto a motivare in modo analitico il percorso logico seguito nel merito delle questioni trattate nella consulenza, essendo sufficiente indicare e ragioni per cui la ritenga attendibile; nei casi in cui, invece, il giudice intenda discostarsi dai risultati della consulenza tecnica d'ufficio, allora è tenuto a motivare in modo specifico le sue valutazioni. Il giudice inoltre può trarre argomenti per la sua decisione dalla consulenza tecnica d'ufficio anche quando questa abbia esorbitato i limiti dell'incarico senza svolgere accertamenti estranei all'oggetto dell'indagine, a condizione, però, che non si siano verificate nullità per violazione del contraddittorio.  Altra dottrina (Biarella) ha precisato che, sebbene il giudice non sia mai vincolato alle valutazioni espresse dal consulente, nondimeno tale discrezionalità valutativa soggiace alla condizione della dimostrazione, con adeguata motivazione, delle ragioni alla base del dissenso e – stante il divieto del ricorso alla scienza privata - dell'indicazione degli altri elementi probatori o valutativi di cui il giudice si sia avvalso per disattendere le conclusioni del consulente.

In linea generale, la giurisprudenza ha chiarito che la discrezionalità valutativa del giudice non può spingersi fino al punto di ignorare del tutto la consulenza tecnica d'ufficio. In tal senso il Supremo Collegio (Cass. VI, n. 18956/2021, ord.) ha affermato che non è consentito ignorare la consulenza come se non fosse stata espletata, andandosi incontro, diversamente, a un vizio consistente nell'omesso esame di un fatto, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che sia stato oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

Sebbene la disposizione in rassegna non ne faccia menzione espressa, nulla vieta che pure il giudice amministrativo possa disporre, qualora ritenga il mezzo istruttorio indispensabile, una consulenza tecnica nella forma dell'esame contabile di cui all' art. 198 c.p.c. Del resto, il comma 4 dell'art. 63 enuncia il principio generale, secondo il quale il giudice può disporre l'assunzione di qualunque mezzo di prova previsto dal codice di procedura civile, esclusi l'interrogatorio formale e il giuramento. In base all' art. 198 c.p.c., nell'esame contabile, il consulente tecnico – al quale viene affidato il compito principale di esaminare documenti contabili e registri – può essere autorizzato dal collegio giudicante a tentare la conciliazione delle parti; in questo caso, il consulente sente le parti e, previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa (sebbene di tali documenti e registri non si possa fare menzione nella relazione). Nel giudizio civile la conciliazione, se raggiunta, viene consacrata in un verbale suscettibile di acquisire efficacia di un titolo esecutivo per ordine del giudice. Nel processo amministrativo la conciliazione, qualora intervenuta, si manifesta, di norma, in una rinuncia al ricorso o nel suo abbandono per perenzione.

Con riferimento alla possibilità di una conciliazione, da affidare al consulente tecnico, nel giudizio amministrativo, la dottrina (Adorno) ha rilevato che, in astratto, non vi sarebbero ostacoli a prospettare tale possibilità della giurisdizione esclusiva, ove vengano in rilievo diritti soggettivi, mentre alcune perplessità sorgerebbero qualora le controversie avessero ad oggetto la legittimità di un atto amministrativo lesivo di interessi legittimi. Infatti, la particolare natura della situazione soggettiva coinvolta nel giudizio di legittimità, nonché il limite imposto dalla sfera di discrezionalità riservata alla pubblica amministrazione, indurrebbe a dubitare della possibilità per il consulente tecnico di tentare la conciliazione delle parti.

Seppure non frequenti, vi sono però provvedimenti con i quali i giudici amministrativi affidano al consulente tecnico anche l'incarico di “tentare un componimento bonario tra le parti”. Per un esempio in tal senso, T.A.R. Torino II, n. 1054/2018, ord.   

Tornando all'esame contabile va comunque osservato che la ratio sottesa all'istituto, mal si concilia con il giudizio amministrativo e ciò spiega perché non si registrino casi di ricorso a tale speciale forma di consulenza tecnica d'ufficio. Invero la stessa esistenza di un materiale contabile che le parti intendano mantenere riservato non si presenta coerente con il fondamentale principio di trasparenza che permea ormai l'intero diritto amministrativo. Appare, infatti, difficile ipotizzare che una pubblica amministrazione, che sia parte in causa, possa trarre alcuna utilità differenziale dall'esperimento di una conciliazione nell'ambito di un esame contabile su documenti non riservati (come quasi tutti i documenti amministrativi).

Il c.d. «supplemento di consulenza». La sostituzione del consulente e il rinnovo della consulenza

Come sopra accennato, può accadere che il giudice amministrativo affidi ulteriori indagini al consulente tecnico d'ufficio. Tale scelta può essere dettata da vari motivi. Può discendere, ad esempio, da una incompletezza dei quesiti originariamente formulati nell'ordinanza oppure può accadere che, durante l'effettuazione della consulenza, emerga l'esigenza di compiere ulteriori approfondimenti istruttori. Ancora, può verificarsi che l'esigenza di estendere gli accertamenti derivi dall'accoglimento di una richiesta delle parti in tal senso.

In tutti questi casi il giudice amministrativo può disporre un supplemento di consulenza. Occorre, a tal fine, che il collegio adotti un'altra ordinanza, nella quale sia precisato l'oggetto delle ulteriori indagini e che contenga tutte le previsioni elencate nella disposizione in rassegna.

Differente è, invece, il caso in cui il giudice non sia soddisfatto della consulenza tecnica eseguita (perché il consulente abbia dato prova di scarsa competenza o diligenza o non abbia risposto in modo adeguato ai quesiti o non abbia osservato, senza giustificato motivo, i termini stabiliti dal giudice o abbia commesso gravi errori) oppure essa risulti viziata (giuridicamente o scientificamente) e, anche su sollecitazione delle parti, disponga di rinnovare la consulenza, sostituendo però l'ausiliario. D'altra parte, alla sostituzione del consulente tecnico, soprattutto qualora emerga la sua incapacità o inesperienza oppure un suo sopraggiunto impedimento oggettivo, il collegio può provvedere anche durante lo svolgimento delle operazioni, senza attenderne il compimento. Tali ipotesi sono disciplinate dall' art. 196 c.p.c., secondo cui il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico. A questo riguardo il giudice amministrativo ha gli stessi poteri di quello civile. Si tratta, peraltro, di poteri il cui esercizio è ampiamente discrezionale e, dunque, le eventuali richieste di parte in tal senso non sono vincolanti per il giudice, valendo alla stregua di mere sollecitazioni. La sostituzione del consulente tecnico d'ufficio è, tuttavia, un provvedimento grave e, dunque, si impone al giudice un obbligo motivazionale particolarmente rigoroso della relativa ordinanza.

I consulenti tecnici di parte

Il comma 3, lett. b), della disposizione in esame prevede che il collegio assegni un termine alle parti per provvedere all'eventuale nomina, con dichiarazione ricevuta dal segretario, di propri consulenti tecnici. Questi possono assistere, per legge, alle operazioni compiute dal consulente del giudice e interloquire con detto ausiliario. I consulenti di parte possono partecipare alle udienze e alle camere di consiglio ogni volta che sia presente al consulente. Invece, solo in virtù di una previa autorizzazione del presidente, i consulenti di parte possono svolgere, in udienza o in camera di consiglio, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche.

In questo modo è stata sostanzialmente riprodotto nel Codice il contenuto dell' art. 201 c.p.c. D'altra parte l' art. 87 c.p.c. prevede che la parte possa farsi assistere anche da un consulente tecnico. I consulenti tecnici di parte sono dunque una sorta di ausiliari delle parti o, meglio, del difensore, con il compito di integrarne le conoscenze di carattere non giuridico.

Per la dottrina (Potetti) le consulenze di parte, pur inerendo all'istruzione probatoria, non costituiscono mezzi di prova, ma semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico, prive di autonomo valore probatorio.

La disposizione in rassegna non prevede limiti al numero di consulenti tecnici nominabili da ciascuna parte. Nell'ordinanza collegiale, tuttavia, può essere stabilito un limite.

La previsione sui consulenti tecnici di parte va correttamente intesa. Il Codice non vieta alle parti di nominare propri consulenti tecnici, anche in assenza di un'ordinanza collegiale che disponga una consulenza tecnica d'ufficio. Anzi, è frequente la nomina di consulenti tecnici al fine di redigere perizie stragiudiziali da depositare in giudizio (tali figure corrispondono al «perito» contemplato dalla normativa previgente). In questi casi, però, la nomina rimane nell'esclusivo ambito di un rapporto privatistico tra la parte, il difensore e il consulente. La disposizione in commento, invece, assegna al consulente tecnico di parte, qualora nominato, alcune potestà processuali di stimolo, controllo e critica dell'attività dell'ausiliario del giudice; vengono cioè disciplinati i casi e le modalità di partecipazione del consulente tecnico di parte al processo, ma tale forma di partecipazione attiva postula sempre la previa nomina di un consulente tecnico d'ufficio. La nomina di consulenti tecnici di parte, come sopra già osservato, consente di realizzare un pieno contraddittorio tra le parti, in relazione alla consulente tecnica e, sotto questo profilo, viene data piena attuazione al diritto inviolabile alla difesa ( art. 24 Cost.).

La nomina del consulente tecnico di parte, mai obbligatoria, avviene con dichiarazione ricevuta dal segretario. Tale dichiarazione, a condizione che sia rispettato il termine stabilito dal collegio nell'ordinanza, può essere fatta anche fuori udienza e può essere, indifferentemente, orale o scritta (nel primo caso sarà verbalizzata dal segretario).

Nella dichiarazione dovranno essere indicate le generalità del consulente tecnico di parte e i suoi recapiti, affinché il consulente tecnico d'ufficio (o la segreteria del giudice) possa contattarlo quando necessario. Le parti, ovviamente, non vanno incontro a vincoli soggettivi nella nomina del consulente di parte e, dunque, possono scegliere anche persone differenti da quelle appartenenti alle categorie indicate nell'art. 19, comma 2. Né si pongono, per i consulenti tecnici di parte, problemi di incompatibilità, astensione o ricusazione. I consulenti tecnici di parte, ovviamente, non devono prestare alcun giuramento (nulla vieta, però, che le loro osservazioni siano rese, sulla base di una loro libera scelta, nella forma di una perizia giurata).

Il comma 3 della disposizione in commento prevede, nelle lettere b) e d), alcuni limiti all'attività dei consulenti tecnici di parte. I consulenti tecnici di parte, infatti, non possono far pervenire le loro osservazioni al consulente tecnico d'ufficio a loro piacimento, ma solo nei termini stabiliti dal giudice e non oltre, dal momento che delle osservazioni o conclusioni eventualmente formulate dai consulenti tecnici di parte il consulente d'ufficio deve dar conto nella relazione finale (per il cui deposito il giudice fissa un termine che il predetto consulente d'ufficio è tenuto ad osservare). Diversamente, risulterebbe violato il contraddittorio tra le parti in sede di formazione della consulenza.

In tal senso, Cons. St. V, n. 2195/2014, secondo cui le norme sancite dall'art. 67, comma 3, lett. d) ed e), pongono in capo ai consulenti tecnici di parte l'obbligo di consegnare le proprie eventuali osservazioni critiche alla bozza di relazione peritale prima che il consulente d'ufficio rediga la relazione finale.

Deve ritenersi che, in caso di un oggettivo e serio impedimento del consulente tecnico di parte a partecipare alle operazioni peritali, il consulente tecnico d'ufficio debba rinviare la seduta all'uopo fissata, onde non incorrere in una violazione del contraddittorio.

Si è poi accennato alla necessità di una previa autorizzazione del giudice perché i consulenti tecnici di parte possano svolgere le loro osservazioni in udienza o in camera di consiglio.

 Di recente, la Corte di cassazione si è pronunciata sulla valenza dei rilievi dei consulenti tecnici di parte è ha enunciato il principio, applicabile anche al processo amministrativo, secondo cui (Cass. S.U. n. 5624/2022) le contestazioni ed i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di invalidità relative al suo procedimento, costituiscono mere argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico-giuridico riferite alla attendibilità e alla valutazione delle risultanze della consulenza medesima e sono volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio.

La disciplina del compenso del consulente

L'attività dei consulenti non è svolta a titolo gratuito, ma oneroso. Tanto si ricava dal comma 4 dell' art. 66 c.p.a. e dal comma 5 della disposizione in commento, che rinvia, per la determinazione e la liquidazione del compenso del consulente a quanto previsto dal sunnominato art. 66, comma 4, primo e terzo periodo, c.p.a. La disciplina di carattere generale che ne risulta è la seguente. Il presidente del collegio, su istanza del consulente, una volta che questi abbia terminato l'incarico, liquida con decreto il compenso complessivamente spettante all'ausiliario, ponendolo provvisoriamente a carico di una delle parti; poi, con la sentenza che definisce il giudizio il collegio regola definitivamente il relativo onere, ponendolo a carico di una o di alcune o di tutte le parti, secondo l'esito del giudizio, in base ai principi che disciplinano le spese processuali. Non è possibile ignorare la peculiarità della disciplina dettata dal Codice per la liquidazione del compenso del consulente: difatti, l'anticipo sul compenso è liquidato con ordinanza collegiale (così prevede il comma 3, lett. a); il compenso complessivo con decreto presidenziale (così il comma 5 che richiama il comma 4 dell'art. 66) e quello definitivo con sentenza (ancora si veda il combinato disposto del comma 5 e del comma 4 dell'art. 66).

Con riferimento al tema della contestazione della liquidazione del compenso dell'ausiliario, effettuata con il decreto presidenziale, è intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 10/2024, affermando alcuni rilevanti principi e, in dettaglio, che: 1) ogni richiesta di revisione del compenso già liquidato deve essere riqualificata alla stregua di un'opposizione, prevista dagli artt. 84 e 170 (che ora fa rinvio all'art. 15 del d.lgs. n. 150 del 2011) del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, applicabili anche al processo amministrativo; 2) la liquidazione del compenso al verificatore, ai sensi dell'art. 66, comma 4, c.p.a., o al consulente tecnico d'ufficio, ai sensi dell'art. 67, comma 5, c.p.a., deve essere effettuata con decreto dal presidente del collegio, mentre spetta alla sentenza che definisce il giudizio regolare l'onere economico del mezzo istruttorio, ponendolo a carico secondo l'esito del giudizio, in base alla soccombenza, di una o di alcune o di tutte le parti; quand'anche la liquidazione del compenso fosse effettuata con sentenza, il relativo capo conserverebbe, comunque, un'autonoma natura di decreto (e non potrebbe, quindi, considerarsi alla stregua di un capo, impugnabile, della decisione), sebbene inserito in un sentenza, e di esso rimarrebbe immutato il regime di impugnativa (cioè soltanto con l'opposizione); 3) l'opposizione alla liquidazione introduce un nuovo e autonomo giudizio e non già una seconda fase né una revisione accessoria al giudizio in cui è stata effettuata la liquidazione; 4) nonostante alcune pronunce di segno contrario (Cons. St. VI, n. 4826/2017, ord.), la giurisprudenza amministrativa assolutamente prevalente è nel senso di ritenere che sull'opposizione alla liquidazione sussista la giurisdizione del giudice ordinario (tra le altre, Cons. St. V, n. 11026/2023), trattandosi di una controversia civile (Corte cost. n. 80/2020) su diritti soggettivi (Cass. SU n. 20501/2023); 5) a identica soluzione, con riguardo alla giurisdizione del giudice ordinario, deve pervenirsi anche nell'ipotesi in cui l'opposizione sia stata proposta dall'ausiliario del giudice amministrativo rispetto alla liquidazione effettuata in prima istanza, perché, anche in questo caso il giudizio ha carattere civilistico, avendo ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale e la spettanza di compensi per le prestazioni rese da un professionista.

Per il consulente tecnico si applicano le tariffe stabilire in materia di spese di giustizia. Le regole di determinazione di tali compensi si rinvengono negli artt. 49,50,51,52,53,54,55,56 e 57 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (ossia nel Titolo VII del citato provvedimento normativo, dedicato agli «Ausiliari del magistrato nel processo penale, civile, amministrativo, contabile e tributario»), recante il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Siffatte previsioni dispongono, in sintesi, che:

- agli ausiliari del magistrato spettano l'onorario, l'indennità di viaggio e di soggiorno, le spese di viaggio e il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico; gli onorari sono fissi, variabili e a tempo (art. 49);

- la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo, è stabilita mediante tabelle, approvate con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (ossia, attualmente, dal d.m. 30 maggio 2002), ai sensi dell' art. 17, commi 3 e 4, della l. 23 agosto 1988, n. 400; le tabelle sono redatte con riferimento alle tariffe professionali esistenti, eventualmente concernenti materie analoghe, contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico; le tabelle relative agli onorari a tempo individuano il compenso orario, eventualmente distinguendo tra la prima e le ore successive, la percentuale di aumento per l'urgenza, il numero massimo di ore giornaliere e l'eventuale superamento di tale limite per attività alla presenza dell'autorità giudiziaria (art. 50);

- nel determinare gli onorari variabili il magistrato deve tener conto delle difficoltà, della completezza e del pregio della prestazione fornita; gli onorari fissi e variabili possono essere aumentati, sino al venti per cento, se il magistrato dichiara l'urgenza dell'adempimento con decreto motivato (art. 51);

- per le prestazioni di eccezionale importanza, complessità e difficoltà gli onorari possono essere aumentati sino al doppio; se la prestazione non è completata nel termine originariamente stabilito o entro quello prorogato per fatti sopravvenuti e non imputabili all'ausiliario del magistrato, per gli onorari a tempo non si tiene conto del periodo successivo alla scadenza del termine e gli altri onorari sono ridotti di un terzo (art. 52);

- quando l'incarico sia stato conferito ad un collegio di ausiliari il compenso globale è determinato sulla base di quello spettante al singolo, aumentato del quaranta per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, a meno che il magistrato dispone che ognuno degli incaricati deve svolgere personalmente e per intero l'incarico affidatogli (art. 53);

- la misura degli onorari fissi, variabili e a tempo è adeguata ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze (art. 54);

- per l'indennità di viaggio e di soggiorno, si applica il trattamento previsto per i dipendenti statali. L'incaricato è equiparato al dirigente di seconda fascia del ruolo unico, di cui all' articolo 15 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165; viene fatta salva l'eventuale maggiore indennità spettante all'incaricato dipendente pubblico; le spese di viaggio, anche in mancanza di relativa documentazione, sono liquidate in base alle tariffe di prima classe sui servizi di linea, esclusi quelli aerei; le spese di viaggio con mezzi aerei o con mezzi straordinari sono rimborsate se preventivamente autorizzate dal magistrato (art. 55);

- gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico e allegare la corrispondente documentazione; il magistrato accerta le spese sostenute ed esclude dal rimborso quelle non necessarie; se gli ausiliari del magistrato sono stati autorizzati ad avvalersi di altri prestatori d'opera per attività strumentale rispetto ai quesiti posti con l'incarico, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui sopra; quando le prestazioni di carattere intellettuale o tecnico di detti prestatori abbiano una propria autonomia rispetto all'incarico affidato, il magistrato conferisce incarico autonomo (art. 56).

In merito alla questione della perdurante applicabilità del sopra citato d.m. 30 maggio 2002, il Consiglio di Stato ( Cons. St. V, n. 2015/2015) ha osservato che, sebbene il Codice stabilisca che per il compenso dovuto agli ausiliari del giudice si applicano le tariffe stabilite dalle disposizioni in materia di spese di giustizia, nondimeno, attualmente, la liquidazione del compenso in favore di detti ausiliari deve avvenire mediante l'utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e non più in base al sistema tariffario di cui al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell'adozione del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall' art. 1, comma 1, della l. 24 marzo 2012, n. 27, che ha abrogato ( ex art. 9 del d.l. n. 1/2012, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali e, comunque, non oltre il centoventesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione) il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano. In questo senso anche T.A.R. Campania (Napoli) II, n. 4225/2013, secondo cui, tra l'altro, il compenso spettante al consulente tecnico di ufficio va liquidato in base ai parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi per le professioni regolamentate, di cui al d.m. 20 luglio 2012 n. 140, e in particolare, in base all'art. 38 di detto decreto, a mente del quale il compenso per le prestazioni di consulenza, analisi ed accertamento, se non determinabile analogicamente, è liquidato tenendo particolare conto dell'impegno del professionista e dell'importanza della prestazione. Tuttavia la giurisprudenza è prevalentemente orientata nel senso che il sistema dei parametri non sia vincolante per il giudice e che esso assuma solo un valore orientativo, essendo imperniato su criteri soggettivi, oggettivi e funzionali. Occorre, peraltro, tener conto anche del d.m. 21 febbraio 2013, n. 46, per gli iscritti all'albo dei consulenti del lavoro, e, per le professioni dei medici veterinari, farmacisti, psicologi, infermieri, ostetriche e tecnici sanitari di radiologia medica, del d.m. 19 luglio 2016, n. 165.

Di recente il T.A.R. Campania (Salerno) I, ord. n. 468/2020 si è pronunciato sul problema dell'individuazione della normativa applicabile alla fattispecie della determinazione del compenso degli ausiliari del giudice amministrativo (se quella di cui al d.m. 30 maggio 2002, ovvero quella di cui al d.m. n. 140 del 2012, ferma restando l'applicazione del d.P.R. n. 115 del 2002), in taluni casi propendendo la giurisprudenza per la prima soluzione (Cons. St. IV, n. 5043/2018), in altri per la seconda (Cons. St. V, n. 401/2014). Il Tar ha ritenuto corretta la prima soluzione in quanto la sopravvenuta normativa di cui al d.m. n. 140 del 2012, nel prevedere (all'art. 1) che l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti applica, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, le disposizioni del presente decreto, farebbe chiaramente riferimento allo svolgimento della ordinaria attività libero-professionale (di evidente aspetto privatistico) svolta dal professionista su incarico di terzi soggetti, pubblici o privati, ma non anche all'attività svolta dal medesimo professionista su incarico del giudice quale commissario ad acta o, comunque, quale suo ausiliario (attività, questa, caratterizzata invece da chiara connotazione pubblicistica); in questo senso si sarebbe espressa anche la relazione illustrativa di accompagnamento al d.m. n. 140 del 2012, laddove si afferma apertis verbis che il d.m. lascia intatta la specialità della disciplina dei compensi spettanti agli ausiliari del giudice di cui al testo unico delle spese di giustizia di cui al d.P.R. n. 115/2002. Conseguentemente, il d.m. n. 140 del 2012 potrebbe essere un utile parametro di riferimento per la liquidazione del compenso dell'ausiliario qualora questi abbia svolto un'attività inquadrabile tra quelle proprie delle professioni indicate dal medesimo decreto, quindi delle professioni "ordinistiche", ma non potrebbe trovare applicazione nel caso di svolgimento, da parte di un professionista, di prestazioni di diversa natura, come sono quelle svolte quale ausiliario del giudice; per le attività non disciplinate dal d.m. n. 140 del 2012 dovrebbe, quindi, continuare a trovare applicazione il d.m. 30 maggio 2002, che consente di determinare gli emolumenti dell'ausiliario per attività di supporto per l'esecuzione della pronuncia giurisdizionale, non rientranti tra quelle proprie delle professioni regolamentate; sicché, l'attività esecutiva del giudicato espletata dal commissario ad acta in sostituzione dell'amministrazione inadempiente non rientra tra quelle oggetto della disciplina regolamentare del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e può essere di conseguenza regolata sulla base del d.m. 30 maggio 2002 che all'art. 2 dell'allegato stabilisce i compensi per "la perizia o la consulenza tecnica in materia amministrativa". In ogni caso v a, al riguardo, segnalato che l' art. 1 del d.m. n. 140/2012 detta, inoltre le seguenti regole generali:

- l'organo giurisdizionale che deve liquidare il compenso dei professionisti, in difetto di accordo tra le parti in ordine allo stesso compenso, applica le disposizioni del decreto e può applicare analogicamente tali disposizioni anche ai casi non espressamente regolati;

- nei compensi non sono comprese le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, compresa quella concordata in modo forfettario. Non sono altresì compresi oneri e contributi dovuti a qualsiasi titolo. I costi degli ausiliari incaricati dal professionista sono ricompresi tra le spese dello stesso;

- i compensi liquidati comprendono l'intero corrispettivo per la prestazione professionale, incluse le attività accessorie alla stessa;

- nel caso di incarico collegiale il compenso è unico ma l'organo giurisdizionale può aumentarlo fino al doppio. Quando l'incarico professionale è conferito a una società tra professionisti, si applica il compenso spettante a uno solo di essi anche per la stessa prestazione eseguita da più soci;

- per gli incarichi non conclusi, o prosecuzioni di precedenti incarichi, si tiene conto dell'opera effettivamente svolta;

- l'assenza di prova del preventivo di massima costituisce elemento di valutazione negativa da parte dell'organo giurisdizionale per la liquidazione del compenso;

- in nessun caso le soglie numeriche indicate nel decreto, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, sono però vincolanti per la liquidazione stessa.

Occorre,poi, ricordare che sul giudice, anche amministrativo, grava l'obbligo di verificare, a pena di responsabilità erariale, la correttezza della determinazione del compenso richiesto dagli ausiliari (in tal senso, Corte conti (Lombardia) 2006, n. 553/2006, secondo cui costituisce colpa grave l'omesso controllo sulla liquidazione dei compensi ai consulenti tecnici).

Ancorché l'attuale disciplina degli onorari a tempo sia affidata interamente alle previsioni tabellari, va, comunque, segnalato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 16/2025, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3, primo comma, Cost.,  dell'art. 4, secondo comma, della legge 8 luglio 1980, n. 319, sui compensi spettanti ai periti, ai consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite a richiesta dell'autorità giudiziaria, nella parte in cui, per le vacazioni successive alla prima, dispone la liquidazione di un onorario inferiore a quello stabilito per la prima vacazione.

Bibliografia

Adorno, La consulenza tecnica d'ufficio nel codice del processo amministrativo, in Dir. proc. amm. 2014, 486; Mambriani, Appunti in tema di consulenza tecnica nel processo civile. Il ruolo del consulente tecnico d'ufficio, in Riv. dottori comm. 2013, 559; Potetti, Novità e vecchie questioni in tema di consulenza tecnica d'ufficio nel processo civile, in Giur. merito 2010, 24B; Biarella, C.T.U. ed esame contabile: Le S.U. del 2022 precisano poteri e nullità, in Ventiquattrore Avvocato, 2, 2022, 16; Durante, Relazione sugli effetti diretti e sulle implicazioni sistematiche che la riforma del processo civile, apprestata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, reca al processo amministrativo – Ufficio Studi e formazione della Giustizia Amministrativa, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022, 30.

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