Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 73 - Udienza di discussione

Roberto Chieppa

Udienza di discussione

Art. 73

1. Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza, fino a venti giorni liberi 12.

1-bis. Non è possibile disporre, [ d'ufficio o ] su istanza di parte, la cancellazione della causa dal ruolo. Il rinvio della trattazione della causa è disposto solo per casi eccezionali, che sono riportati nel verbale di udienza, ovvero, se il rinvio è disposto fuori udienza, nel decreto presidenziale che dispone il rinvio 3.

2. Nell'udienza le parti possono discutere sinteticamente.

3. Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest'ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie.

[2] Per l'abbreviazione dei termini di cui al presente comma, vedi l'articolo 84, comma 5, del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27.

[3] Comma inserito dall'articolo 17, comma 7, lettera a), punto 2), del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2021, n. 113 e successivamente modificato dall'articolo 7, comma 2-bis, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79.

Note operative

Tipologia di atto Termine Decorrenza
Produzione di documenti 40 giorni liberi Prima dell'udienza
Produzione di memorie 30 giorni liberi Prima dell'udienza
Repliche scritte 20 giorni liberi Prima dell'udienza

Nel caso di giudizi abbreviati, i termini sopra indicati sono ridotti della metà.

Inquadramento

L'art. 73 definisce tutti i termini connessi con l'udienza di discussione con progressive scadenze finalizzate a consentire un contraddittorio pieno e l'esercizio del diritto di difesa delle parti su ogni questione.

A tal fine sono introdotte anche le memorie di replica, non previste dalla previgente disciplina.

La finalità di garantire sempre il pieno esercizio dei diritti di difesa delle parti è resa ancora più evidente dal terzo comma dell'art. 73, che codifica l'obbligo del giudice di segnalare alle parti eventuali questioni rilevabili d'ufficio emerse dopo la chiusura dell'istruttoria se queste debbano essere poste alla base della sentenza; l'obbligo è assolto o tramite la indicazione verbalizzata in udienza o, se la questione emerge in camera di consiglio dopo il passaggio in decisione della causa, attraverso l'assegnazione con ordinanza alle parti di un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie per replicare sulla questione.

I termini per le difese delle parti: deposito documenti, memorie e repliche

Il Codice tutti i termini che precedono lo svolgimento dell'udienza di merito, a partire dalla comunicazione alle parti della sua fissazione e dalla nomina del giudice relatore (art. 71), per finire con quelli per il deposito di memorie, documenti e note di replica, che costituiscono un ulteriore elemento di novità nel processo amministrativo diretto a garantire che dopo la presentazione delle ultime memorie la replica non sia affidata, come avviene ora, alla sola difesa orale, ma si possa svolgere anche con repliche scritte.

Ciò dovrebbe restringere le difese orali a solo sintetici riferimenti, essendo già stata esercitata la facoltà di replica.

I nuovi termini sono i seguenti:

decreto di fissazione: comunicato almeno sessanta giorni prima dell'udienza fissata in luogo dei quaranta precedenti; il termine è ridotto a quarantacinque giorni, su accordo delle parti, se l'udienza di merito è fissata a seguito di rinuncia alla definizione autonoma della domanda cautelare (art. 71);

nomina del relatore: 30 giorni prima dell'udienza (art. 71);

produzione di documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell'udienza (al posto dei venti precedenti);

produzione di memorie fino a trenta giorni liberi prima dell'udienza (al posto dei dieci precedenti)

repliche scritte fino a venti giorni liberi prima dell'udienza.

Quando il termine è fissato in giorni liberi prima dell'udienza, tra il giorno del deposito e il giorno dell'udienza devono esservi il numero di giorni indicato come termine senza contare né il giorno del deposito né il giorno dell'udienza. 

Individuato il giorno di scadenza del termine, va valutato dopo l'entrata in vigore del processo telematico l'orario entro cui deve essere effettuato il deposito; il comma 4 dell' art. 4 disp. att. c.p.a ., come modificato dall' art. 7, d.l. 31 agosto 2016, n. 168 , prevede che “È assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito. Il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine. Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12:00 dell'ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo”. Sulla interpretazione di tale norma si è creato un contrasto di giurisprudenza: con una prima sentenza la norma è stata interpretata nel senso che il deposito con il processo amministrativo telematico (Pat) è possibile fino alle ore 24.00 ma se effettuato l'ultimo giorno utile rispetto ai termini previsti dal comma 1 dell' art. 73 c.p.a ., ove avvenga oltre le ore 12 ( id est , l'orario previsto per i depositi prima dell'entrata in vigore del Pat), si considera – limitatamente ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche – effettuato il giorno successivo, ed è dunque tardivo. In altri termini, il termine ultimo di deposito alle ore 12 permane, anche all'indomani dell'entrata in vigore del Pat, come termine di garanzia del contraddittorio tra le parti e della corretta organizzazione del lavoro del Collegio giudicante ( Cons. St. III, n. 3136/2018; Cons. giust. amm. Sicilia, n. 344/2018 , che applica lo stesso principio a tutti quegli atti depositati in funzione di un'udienza, camerale o pubblica); successivamente è stato affermato invece che la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell'ultimo giorno consentito dal citato art. 4, comma 4, e tale soluzione non contrasta con quanto indicato dell'ultimo periodo della stessa disposizione, secondo cui il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12 dell'ultimo giorno si considera eseguito il giorno successivo. Questo effetto, posto a garanzia del diritto di difesa delle controparti, significa unicamente che per contestare gli atti depositati oltre le ore 12 i termini per controdedurre decorrono dal giorno successivo (C ons. St. IV, n. 3309/2018;  Cons. St. III, n. 4833/2018; T.A.R. Toscana, 4 gennaio 2019, n. 7 ).

Il contrasto interpretativo avrebbe dovuto ritenersi risolto a seguito di Corte cost. n. 75/2019, che , benchè con riferimento al processo civile, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179  inserito dall'art. 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Ha osservato la Corte che il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 ha lo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe stato, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica; ma non anche giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene invece impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l'art. 155 c. p. c. computa «a giorni» e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell'ultimo giorno.

Applicando tale interpretazione anche al processo amministrativo si giunge alla conclusione che pure in tale giudizio la possibilità di depositare gli atti in forma telematica è assicurata fino alle ore 24 dell'ultimo giorno consentito, come chiarito da Cons. St. IV, n. 3419/2019, secondo cui la possibilità di depositare con modalità telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell'ultimo giorno consentito secondo i termini perentori senza che l'orario di deposito telematico possa assumere rilevanza preclusiva.

Tuttavia, tale orientamento non si è consolidato e permane un contrasto tra le tesi che richiede che il deposito avvenga entro le ore 12 dell'ultimo giorno utile per la presentazione della memoria, dovendosi dopo tale orario intendersi come «effettuato il giorno successivo» (Cons. St. VI, n. 3149/2020Cass. V, n. 1137/2020Cass. V, n. 1372/2020; Cass. V, n. 8241/2020; T.a.r. Sicilia (Catania) I, 23 settembre 2020, n. 2292; T.a.r. Lombardia IV, 8 giugno 2020, n. 1031) e la tesi che consente invece anche nell'ultimo giorno utile il deposito entro le ore 24 (Cons. St. V, n. 1451/2020;  T.a.r. Lazio  II-quater, 18 marzo 2020, n. 3376). La prima tesi non sembra tenere conto della sopra menzionata sentenza della Corte costituzionale.

In dottrina è stata ipotizzata la strada della proposizione di una questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a. per contrasto con la differente disciplina del processo civile a seguito di Corte cost. n. 75/2019 (Dapas – Viola; v. anche il commento all'art. 4 disp. att. c.p.a.).

L'introduzione dei nuovi termini ha posto un primo problema di diritto transitorio, relativo al modo di applicare i nuovi termini a ritroso per le udienze successive all'entrata in vigore del Codice, fissate prima di tale entrata in vigore.

Secondo una tesi doveva farsi riferimento alla data di fissazione dell'udienza, applicando i nuovi termini solo se successiva al 16 settembre 2010; secondo altra tesi il discrimen era la data di comunicazione dell'avviso di fissazione, che però poteva essere diversa per le parti.

Va considerato che con la riforma del processo civile attuata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (entrata in vigore il 28 febbraio 2023) è stato modificato l'art. 147 c.p.c. che ora prevede che le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato possono essere eseguite senza limiti orarie che si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Tuttavia, se quest'ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, la notificazione si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7.

Una comunicazione del Presidente del Consiglio di Stato del 27 settembre 2010, indirizzata ai Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato e ai presidenti dei Tar ha optato per l'applicazione immediata dei nuovi termini, a prescindere dalla data di fissazione dell'udienza, in tutti i casi in cui dalla data dell'udienza decorrono (a ritroso) tutti i termini nella vigenza delle nuove disposizioni (in pratica, per il rito ordinario i nuovi termini sono stati applicati dalle udienze successive al 16 novembre 2010 e per il rito abbreviato dalle udienze successive al 16 ottobre 2010.

La giurisprudenza, con qualche eccezione, ha seguito tale tesi, facendo comunque largo uso dell'errore scusabile soprattutto in quei casi in cui le comunicazioni di segreteria facevano riferimento ai vecchi termini.

I nuovi termini sono, quindi, stati applicati agli atti difensivi da depositare in relazione all'udienza pubblica per le udienze celebrate dopo 60 giorni dall'entrata in vigore del Codice (30 per il rito abbreviato).

Il computo a ritroso e la precisazione che deve trattarsi di giorni liberi determina che in caso di scadenza che cade in un giorno festivo, la stessa debba essere anticipata al giorno precedente.

Ai sensi dell'art. 73 comma 1, le parti possono produrre documenti nel termine perentorio di quaranta giorni liberi prima dell'udienza, di trenta giorni liberi per le memorie e di venti giorni liberi per le repliche, ma se l'ultimo giorno libero cade in un giorno festivo il deposito va anticipato a pena di esclusione al giorno precedente; peraltro, ai sensi del precedente art. 52 comma 4, detta regola non si applica per i termini a ritroso che scadono di sabato ( Cons St. V n. 3252/2011).

La giurisprudenza ha anche chiarito che i termini previsti dall'art. 73, comma 1, sono termini perentori, che non possono essere superati sul semplice accordo delle parti, essendo il deposito tardivo di memorie e documenti ammesso in via del tutto eccezionale nei soli casi di dimostrazione della estrema difficoltà di produrre l'atto nei termini di legge (art. 54, comma 1).

La violazione dei predetti termini, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, conduce all'inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti, che vanno considerati tamquam non essent ed espunti dagli atti del giudizio Cons. St. III n. 24/2015; Cons. St. III n. 1335 2015; Cons. St. III, n. 1640/2013; Cons. St. V n. 6690/2012, T.A.R. Emilia-Romagna (Parma) I, n. 179 /2016.

Il mancato rispetto dei termini deve essere verificato in relazione all'udienza in cui effettivamente l'affare viene trattenuto in decisione, poiché la perentorietà del termine per il deposito di memorie difensive e documenti è posta a presidio del contraddittorio. Sicché il differimento dell'udienza impone di computare i termini a ritroso sanciti dal menzionato art. 73 in relazione alla nuova data Cons. St. V n. 6261/2012; T.A.R. Catania (Sicilia) I, n. 2950/2016.

Dalla lettura delle disposizioni disciplinanti il processo amministrativo è agevole evincere che non sussiste alcun termine entro cui la controparte può muovere eccezioni, se non quello ultimo per depositare memoria conclusionale che, secondo l'art. 73, è di trenta giorni liberi prima dell'udienza. T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 1139/2011.

Il contenuto degli scritti difensivi deve limitarsi a illustrare gli argomenti a sostegno delle ragioni dedotte nel ricorso, non potendo gli stessi introdurre nuovi motivi o censure con cui far valere l'illegittimità dell'atto impugnato.

Sono inammissibili le censure introdotte per la prima volta nel giudizio con semplice memoria depositata ai sensi dell'art. 73, dovendo essere introdotte con la proposizione di un atto ritualmente notificato alle controparti (come richiesto dalla disciplina dei motivi aggiunti) ( T.A.R. Lazio (Roma) III, n. 13882/2015).

La novità di un ulteriore termine per le repliche, introdotta dal codice del processo amministrativo, ha la funzione di consentire alle parti di replicare alle memorie degli avversari e di evitare l'inconveniente del vecchio sistema, in cui alle difese esposte solo nell'ultima memoria (che a volte contiene le uniche argomentazioni difensive di controparte) era possibile replicare solo oralmente in udienza. Tuttavia, tale ratio consente di utilizzare il termine per le repliche solo quando la controparte ha depositato una memoria finale nel termine di trenta giorni (quindici nel rito abbreviato), previsto dall'art. 73, comma 1 ( Cons. St. V, n. 1970/2011, in un caso in cui la controparte non aveva depositato alcuna memoria finale e non vi era, quindi, alcuna memoria cui dover replicare)

Tale questione è stata precisata nel primo correttivo ( d.lgs. 15 novembre 2011, n. 195) con la modifica dell'art. 73, comma 1, con la precisazione per cui le repliche sono svolte in relazione «ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell'udienza».

Ciò consente le repliche solo se è stata depositata, dalla controparte, una memoria o documenti in vista dell'udienza di merito; tali atti costituiscono altresì il limite contenutistico delle stesse repliche, nel senso che possono essere trattate nelle repliche solo questioni attinenti agli atti appena depositati.

Si fa riferimento anche ai documenti e ciò significa che la replica può essere utilizzata anche, in assenza di nuove memorie di controparte, per rispondere alla produzione documentale (anche se in realtà già con l'ultima memoria è possibile rispondere a tale produzione).

Pertanto, le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della parte resistente ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte ricorrente stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti). La ragione di tale vincolo è da ricondurre all'esigenza di impedire la proliferazione degli atti difensivi, nel garantire la par condicio delle parti, nell'evitare l'elusione dei termini per la presentazione delle memorie e, soprattutto, nel contrastare l'espediente processuale della concentrazione delle difese nelle memorie di replica, con la conseguente impossibilità per l'avversario di controdedurre per iscritto. Ne deriva che il ricorrente è tenuto ad argomentare tutte le proprie difese nella memoria difensiva diretta da depositarsi nel termine di 30 giorni liberi dall'udienza.

È infondata l'eccezione di inammissibilità della memoria di replica non preceduta da memoria conclusionale, non ravvisandosi — dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2 e 73— una sorta di obbligo di produrre in ogni caso una memoria conclusiva, quale presupposto essenziale per depositare successiva memoria di replica. La stessa giurisprudenza civile, nelle rare occasioni in cui si è occupata della questione in relazione all'art. 190 c.p.c., ha escluso che il deposito della comparsa conclusionale assurga a condizione necessaria per il deposito della memoria di replica (T.A.R. Lombardia (Milano) II, n. 7509/2010).

Nel processo amministrativo è inammissibile la memoria di replica depositata in carenza di atti e documenti di controparte alla quale replicare né la stessa può essere considerata prima memoria se depositata oltre il termine di 30 giorni previsto dall'art. 73 (Cons. St. III, n. 390/2015). Nello stesso senso, T.A.R. Friuli-Venezia Giulia I, 7 marzo 2016 n. 66 secondo cui in forza del divieto generale di abuso degli strumenti processuali, non è consentito utilizzare la memoria di replica per opporsi alle argomentazioni proposte dalla controparte negli scritti difensivi diversi dalla memoria conclusiva di cui all'art. 73 comma 1, perché diversamente si determinerebbe una elusione dei termini decadenziali previsti per i suddetti incombenti processuali. Si è dunque affermato che il deposito di memorie conclusionali o di documenti costituisce il presupposto indefettibile per la presentazione nei termini prescritti delle memorie di replica, che sono quindi inammissibili in mancanza delle prime. T.A.R. Lazio (Roma) I, 11 giugno 2015 n. 8168, T.A.R. Liguria I, n. 220/2015 In sostanza, l'oggetto della replica deve restare contenuto nei limiti della funzione di contrasto alle difese svolte nella memoria conclusionale avversaria o dei nuovi documenti prodotti, onde evitare che il deposito della memoria di replica si traduca in un mezzo per eludere il termine di legge per il deposito delle memorie conclusionali (Cons. St. II, n. 6534/2019).

La memoria di replica non può essere utilizzata per eludere il termine per la produzione di documenti attraverso l’inserimento dell’immagine del documento nella memoria stessa e in questi casi, pur in presenza di una memoria di replica ammissibile, alla immagine del documento, ivi riprodotta, non può essere attribuito alcun valore probatorio, trattandosi di documento prodotto dopo la scadenza del termine perentorio stabilito dall’art. 73 (Tar Piemonte, 13 ottobre 2023 n. 796).

Anche le note di udienza, se non precedute dal deposito di controparte di una antecedente memoria conclusionale sono inammissibili (Cons. St. V,, n. 6450/2014; Cons. St. V, n. 5757/2014; Cons. St. V, n. 1058/2012).

La preclusione opera, naturalmente, anche in presenza di termini dimidiati (Cons. St. III, n. 1401/2014).

La norma precisa, con formula innovativa rispetto al precedente art. 23 l. Tar, che all'udienza le parti «possono discutere sinteticamente» (comma 2).

Si è rilevato come l'avverbio assume particolare valore, specie alla luce dell'introduzione delle memorie di replica, con l'effetto di concentrare il contraddittorio sugli scritti, dedicando alla forma di discussione orale in udienza un ruolo marginale (Pecchioli, 720).

La violazione dei termini previsti per il deposito di memorie e documenti integra una lesione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e comporta che i documenti tardivamente prodotti non possono in alcun modo essere utilizzati ai fini della decisione della causa, anche se gli atti sono stati ormai acquisiti al fascicolo informatico d'ufficio e comunque visionati dal Collegio (Cons. St., V, n. 4059/2022).

Limiti al rinvio della causa e divieto della cancellazione della causa dal ruolo su istanza di parte

Con il comma 1-bis, introdotto dall'articolo 17, comma 7, lettera a) punto 2) del d.l. n. 80/2021, conv., con modif., dalla l. n. 113/2021, era stato previsto un divieto assoluto di cancellazione della causa dal ruolo al fine di evitare un utilizzo strumentale dell'istituto per posticipare la decisione della causa. Il primo riferimento normativo alla cancellazione della causa dal ruolo era stato previsto dall'art. 71 c.p.a., che aveva fissato il dies a quo per la richiesta di fissazione dell'udienza non solo dal deposito del ricorso ma anche dalla cancellazione della causa dal ruolo.

Con la stessa novella sono stati posti limiti anche al semplice rinvio della trattazione della causa, che può ora essere disposto solo in casi eccezionali, da riportare espressamente nel verbale di udienza o nel decreto presidenziale che dispone il rinvio fuori udienza.

Il divieto assoluto di cancellazione della causa dal ruolo è stato rimeditato ed eliminato dall'art. 7, comma 2 bis, d.l. n. 36/2022, conv. con modif. in l. n. 79/2022, che ha soppresso le parole « d'ufficio o» con la conseguenza che ora la cancellazione della causa dal ruolo è possibile d'ufficio, restando un divieto alla cancellazione su istanza di parte.

La norma reintroduce cos' nel codice del processo amministrativo l'istituto della cancellazione della causa dal ruolo, già sussistente fino al 2021, giacché la soppressione di tale strumento processuale (avvenuta a opera dell'articolo 17, comma 7, lett. a), n. 2), del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80) aveva dato luogo al controproducente e paradossale effetto di ostacolare la definizione delle cause pendenti, che avveniva mediante la loro fissazione in ruoli supplementari (c.d. ruoli aggiunti) e successiva cancellazione, con conseguente estinzione, di tutte quelle per cui si accerta il venir meno dell'interesse di tutte le parti alla decisione.

E’ stato precisato che la cancellazione dal ruolo è finalizzata al decorso del termine per la dichiarazione di perenzione ordinaria, che non decorre nei riti in cui non occorre l’impulso di parte e da ciò deriva che la cancellazione dal ruolo, pur essendo consentita solo d’ufficio e non su istanza di parte, è comunque possibile solo nei riti connotati dall’impulso di parte, ossia che richiedono una istanza di fissazione di udienza, e non anche nei riti connotati dall’impulso d’ufficio, come il giudizio di ottemperanza, nei quali la fissazione di udienza avviene d’ufficio e deve essere disposta entro termini specifici (Cons. St. V, n. 697/2023).

Il contraddittorio sulle questioni rilevate d'ufficio

Per esigenze di tutela del contraddittorio e in conformità a quanto previsto dal codice di procedura civile (art. 101 c.p.c.), al fine di evitare che la causa sia decisa sulla base di una questione non discussa in contraddittorio dalle parti, si è fatto obbligo al giudice di segnalare a queste ultime ogni questione che ritenga di rilevare d'ufficio, assicurando così su di essa un effettivo contraddittorio, secondo i casi orale o scritto. L'indicazione a verbale della questione rilevata d'ufficio in udienza realizza formalmente il contraddittorio nei confronti di tutte le parti, comprese quelle che abbiano scelto di non presenziare all'udienza.

Tuttavia, è possibile che la questione emerga in camera di consiglio dopo il passaggio in decisione della causa e, in questo caso, il collegio riserva la decisione, assegnando con ordinanza alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie per replicare sulla questione e poi decide senza lo svolgimento di una ulteriore udienza.

Il codice del processo amministrativo prevede una sola ipotesi (art. 73, comma 3) in cui il collegio, dopo il passaggio in decisione della causa, è tenuto a stimolare il contraddittorio delle parti assegnando loro un termine per il deposito di memorie: e questo è il caso in cui il giudicante ravvisi la sussistenza di una questione nuova, rilevata d'ufficio (e quindi non affrontata dalle parti nelle loro difese), capace di dirimere la lite. Cons. St. VI, n. 18/2015.

Il contraddittorio opera, quindi, anche rispetto ai poteri officiosi del giudice, in modo che le parti possano appunto contraddire sui presupposti per l'esercizio di tali poteri e sulla questione rilevata d'ufficio.

La disposizione si pone in linea anche con il novellato art. 101 c.p.c., modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (modifica entrata in vigore il 28 febbraio 2023) con il seguente nuovo secondo comma: “il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni. Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

La soluzione individuata dal Codice era stata anticipata da un pronuncia del 2000 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, che però non aveva avuto piena attuazione da parte della successiva giurisprudenza; la Plenaria aveva già affermato, infatti, che il giudice amministrativo, prima di decidere una questione rilevata d'ufficio, deve indicarla alle parti, per consentirne la trattazione, in attuazione del principio del contraddittorio (nella specie, il Consiglio di Stato, prima di rilevare d'ufficio l'irricevibilità dell'appello, aveva indicato in udienza la relativa questione e aveva assegnato alle parti un termine per presentare memorie in proposito) Cons. St. Ad. plen., n. 1/2000.

In tale occasione, era stato osservato che in un sistema processuale come quello vigente fondato sul principio del contraddittorio la rilevabilità d'ufficio di una questione da parte del giudice non significa che, per ciò stesso, tale questione possa essere decisa d'ufficio senza esser sottoposta al contraddittorio delle parti.

In questa prospettiva, «rilevare d'ufficio» sta per «indicare d'ufficio alle parti» (arg. ex art. 183, comma 3, c.p.c., secondo cui il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, ed ex art. 184, comma 3, c.p.c., secondo cui nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi).

Qualora il giudice, ai sensi dell'art. 73 comma 3, ritenga di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, è obbligato a indicarla in udienza dandone atto a verbale. Qualora invece la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice dovrà assegnare con ordinanza alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie, riservandosi la decisione ( Cons. St. IV n. 2786/2014). In funzione della sua formulazione, la norma è idonea a ricomprendere tutte le questioni rilevabili d'ufficio e in concreto rilevate, sulle quali non si sia sviluppato il contraddittorio processuale ( Cons. St. IV n. 2420/2014).

La necessità di garantire in siffatto modo il contraddittorio è richiamata anche dall'art. 123, comma 2, per le sanzioni ulteriori che il g.a. può irrogare nel processo in materia di appalti (sul punto si rinvia al commento a tale disposizione).

La violazione della disposizione di cui all'art. 73, comma 4, in primo grado costituisce un vizio del contraddittorio e, quindi, una ipotesi di rimessione al Tar ai sensi dell'art. 105. Per un caso in cui a seguito del rinvio in primo grado il Consiglio di Stato ha stabilito che il giudice di primo grado chiamato a decidere nuovamente la controversia debba procedere in diversa composizione , ex artt. 17 c.p.a. e 51, n. 4, c.p.c.  v. Cons. St., IV, n. 1199/2021, che si è espresso sulla natura del rinvio - proprio o prosecutorio - previsto dall'art. 383,1º comma, c.p.c. e sulla nozione di alterità del giudice rispetto ai magistrati che adottarono la decisione impugnata.

Costituisce violazione del diritto di difesa, rilevabile d'ufficio ex art. 73 comma 3, porre a fondamento della sentenza di primo grado una questione rilevata d'ufficio, quale la perenzione del giudizio, senza previa indicazione in udienza o assegnazione di un termine per controdedurre al riguardo, con conseguente obbligo per il giudice di appello di annullamento della sentenza stessa e rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 105 comma 1 ( Cons. St. IV, n. 1808/2016; Cons. St. n. 1438/2015).

E’ stata ritenuta anche rientrare nella necessità di dare previo avviso alle parti la riqualificazione della vicenda controversa come enucleata dagli atti processuali, da cui sono state tratte ricadute di diritto decisive per la sorte del giudizio (Cons. giust. Amm. reg. Sic., n. 154/2025, che ha annullato con rinvio una sentenza del Tar che non aveva prospettato ciò alle parti).

Se tuttavia la questione posta alla base della decisione era già stata espressamente sollevata dalle difese delle parti, non rileva ai fini del dovere del giudice di cui all'art. 73, comma 3, la diversa qualificazione che quest'ultimo dà della questione (ad esempio, in termini di nullità, anziché annullabilità dell'atto). Ciò infatti, non comporta un obbligo di previo avviso alle parti, trattandosi di esercizio del potere attribuito al giudice di apprezzare le conseguenze giuridiche dei fatti sottoposti alla sua attenzione. In caso contrario, si amplierebbe in modo eccessivo il dovere del giudice di venire in soccorso alle parti ex art. 73, comma 3, dovere che è posto a garanzia del contraddittorio, e non di un inesistente diritto delle parti di essere previamente informate su come il giudice valuterà, in termini di qualificazione giuridica, i fatti portati alla sua attenzione ( Cons. St. IV, n. 3364/2015). Una eccezione può essere sollevata dalle parti anche in udienza e in questo caso se la controparte chiede un termine per contro dedurre si applica il medesimo principio stabilito dall'art. 73, comma 3 per le questioni rilevate d'ufficio (Cons. St. III, n. 3337/2018, che ha ritenuto che, per garantire un effettivo contraddittorio, la parte ha diritto ad un congruo termine per replicare alla eccezione di inammissibilità del proprio ricorso, dedotta dalla parte resistente solo nel corso della discussione orale della causa, nonostante che la notifica del ricorso risalisse a molti mesi addietro).

Più problematico è individuare le conseguenza della violazione della norma in appello.

L'alternativa è lasciare la violazione priva di sanzione o configurare una ipotesi di revocazione nei casi in cui emerga che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto che la questione era stata discussa dalle parti.

Qualche perplessità è stata espressa sulla collocazione della norma, che i riferisce alla sola udienza pubblica di discussione del ricorso, mentre questioni rilevabili d'ufficio possono emergere anche in sede cautelare o nei procedimenti camerali.

Si osserva che sembra contrastare con la ratio della norma, da intendere come espressiva del principio generale del contraddittorio (art. 2) ritenere che la collocazione della disposizione sia idonea a limitarne l'ambito di applicazione alle sole udienze pubbliche.

È, invece, preferibile optare per la tesi che si tratta di un principio applicabile a tutti i giudizi in tutti i riti e in tutte le fasi del processo (e non solo nell'udienza pubblica fissata per la discussione finale nel processo di cognizione).

In sostanza, l'art. 73, comma 3, attua il principio generale del giusto processo, che rende l'applicazione analogica atto dovuto, sulla base delle considerazioni già espresse prima dell'entrata in vigore del c.p.a. dalla Adunanza plenaria n. 1 del 2000.

Peraltro, la possibilità ormai generalizzata che la fase cautelare del procedimento si trasformi in fase di merito con sentenza immediata rende evanescente il confine tra camera di consiglio e udienza pubblica, come dimostra anche il fatto che la rubrica dell'art. 60 parla di udienza cautelare.

La regola vale quindi per ogni tipo e ogni fase di giudizio amministrativo.

L'obbligo per il giudice, che intenda porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, di informarne le parti, dandone atto a verbale, è applicabile anche in sede cautelare, trattandosi di prescrizione dettata a tutela del diritto di difesa e del contraddittorio tra le parti, ogni qual volta il giudice deve adottare una decisione, nonché manifestazione del principio del giusto processo ( Cons. St. V n. 5956 / 2013).

La ratio della previsione di cui all'art. 73 comma 3, nello stabilire che «... se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale», non prevede la necessaria presenza dei difensori nella sede dibattimentale, è quella di offrire ai difensori delle parti, in piena attuazione del diritto di difesa ex art. 24 Cost., la possibilità di controdedurre, alla quale, non presenziando in udienza ovvero in camera di consiglio, il procuratore rinuncia» (T.A.R. Campania (Napoli) VI, n. 215/2011).

La presenza dei difensori delle parti in udienza

In seguito all'entrata in vigore del nuovo codice è sorta una questione legata al caso del mancato intervento delle parti e dei difensori all'udienza di discussione.

In passato, l' art. 55 del r.d. 17 agosto 1907 n, 642 stabiliva che «il ricorso nel giorno stabilito è deciso, ancorché non intervengano le parti né i loro difensori».

Tale disposizione è stata abrogata dall'All. 4 al d.lgs. n. 104/2010, con cui è stato approvato il Codice del processo amministrativo e secondo una tesi a seguito della citata abrogazione, ove nelle udienze di merito non siano presenti i difensori delle parti, la causa non può essere trattenuta per la decisione, ma dovrà essere fissata — ai sensi degli artt. 181 e 309 c.p.c. — una successiva udienza, di cui deve essere data comunicazione alle parti con estinzione del giudizio se nessuno compare anche a tale seconda udienza.

Tale tesi non è stata seguita dalla maggiora parte dalla giurisprudenza maggioritaria e, benché potesse ritenersi preferibile la riproduzione nel codice della stessa disposizione dettata dall' art. 55 del r.d. n. 642/1907, vi sono diversi argomenti per ritenere non applicabile al processo amministrativo la regola processualcivilistica contenuta negli artt. 309 e 181 c.p.c..

Tra questi argomenti:

a) l' art. 309 c.p.c. rinvia all'art. 181, comma 1, il quale, dopo la novella del 2008, prevede dopo due mancate comparizioni la cancellazione dal ruolo e l'estinzione immediata; nel processo amministrativo le cause di estinzione sono indicate nell' art. 35, comma 2, c.p.a. e tra queste non vi è l'ipotesi della mancata comparizioni delle parti per due udienze;

b) la non revocabilità dell'istanza di fissazione ( art. 71, comma 1, c.p.a.) determina che dopo la sua proposizione la decisione del ricorso non è nella disponibilità delle parti, salvo rinuncia che determina l'estinzione e, di conseguenza, non vi è spazio per applicare in via analogica i citati articoli del c.p.c.;

c) il principio che regola il processo amministrativo è, quindi, che l'impulso di parte è dato una sola volta e ciò è sufficiente a far procedere il giudizio, ad eccezione delle ipotesi di perenzione dei c.d. ricorsi ultraquinquennali, che è però ipotesi speciale e peraltro oggetto di critiche;

d) la diversità tra processo amministrativo e rito civile, caratterizzato da più udienze dove sono espressamente richieste attività delle parti.

Bibliografia

  Dapas - Viola, Gli orari per il deposito degli atti processuali telematici dopo la Corte cost. n. 75/2019, in Urbanistica e appalti, 2019, 4, 488 ss.; D'Arpe, Il codice del processo amministrativo – La gestione del processo: nuovi termini e adempimenti, in giustizia-amministrativa.it, 30 novembre 2010; Fabiani, Contraddittorio e questioni rilevabili d'ufficio, in Le novità per il processo civile, in Foro it. 2009, V, 264; Gallo, Art. 73, in Quaranta-Lopilato (a cura di), Il processo amministrativo, Milano, 2011, 713; Pecchioli, Riunione, discussione e decisione dei ricorsi, in Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, 2015, 720.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario