Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 136 - Disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici

Ines Simona Immacolata Pisano

Disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici

 

1. I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario. La comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa. È onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione del recapito di fax o di indirizzo di posta elettronica certificata. Ai fini dell'efficacia delle comunicazioni di segreteria è sufficiente che vada a buon fine una sola delle comunicazioni effettuate a ciascun avvocato componente il collegio difensivo1.

2. I difensori, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche. In casi eccezionali, anche in considerazione della ricorrenza di particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia il presidente del tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono dispensare, previo provvedimento motivato, dall'impiego delle modalità di sottoscrizione e di deposito di cui al comma 2-bis ed al primo periodo del presente comma; in tali casi e negli altri casi di esclusione dell'impiego di modalità telematiche previsti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 1, delle norme di attuazione, si procede al deposito ed alla conservazione degli atti e dei documenti2.

2-bis. Salvi i casi di cui al comma 2, tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale. Dall'attuazione del presente comma non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica3.

2-ter. Quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l'asseverazione di cui all'articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Analogo potere di attestazione di conformità è esteso agli atti e ai provvedimenti presenti nel fascicolo informatico, con conseguente esonero dal versamento dei diritti di copia.[Resta escluso il rilascio della copia autentica della formula esecutiva ai sensi dell'articolo 475 del codice di procedura civile, di competenza esclusiva delle segreterie degli uffici giudiziari]. La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento. Nel compimento dell'attestazione di conformità di cui al presente comma i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali4.

[2-quater Il presidente della sezione o il collegio se la questione sorge in udienza possono autorizzare il privato chiamato in causa dallo stesso giudice, che non possa effettuare il deposito di scritti difensivi o di documenti mediante PEC, a depositarli mediante upload attraverso il sito internet istituzionale] 5.

[1] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera oo), del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195 e successivamente sostituito dall'articolo 45-bis, comma 3, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114e successivamente dall'articolo 7, comma 1, lettera b) numero 01) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2017.

[2] Comma sostituito dall'articolo 20, comma 1-bis, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132, a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico e successivamente dall'articolo 7, comma 1, lettera b) numero 1) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2017.

[3] Comma aggiunto dall'articolo 1, comma 1, lettera v), del D.Lgs. 14 settembre 2012, n. 160. Successivamente, sostituito dall'articolo 38, comma 1-bis, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 114, come modificato dall'articolo 2, comma 1, lettera b) del D.L. 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni dalla Legge 27 febbraio 2015, n. 11, dall' articolo 20, comma 1, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 , dall'articolo 4, comma 1, del D.L. 30 dicembre 2015, n. 210, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 febbraio 2016, n. 21, dall'articolo 1, comma 1, del D.L. 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 agosto 2016, n. 161, a decorrere dal 1° gennaio 2017 , successivamente sostituito dall'articolo 7, comma 1, lettera b) numero 2) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2017.

[4] Comma aggiunto dall'articolo 7, comma 1, lettera b) numero 3) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2017, per l'efficacia di tale disposizione vedi l'articolo 7 comma 3 del medesimo D.L. Comma, successivamente, modificato dall'articolo 26, comma 2, lettera b) del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197.

[5] Comma aggiunto dall'articolo 7, comma 1, lettera b) numero 3) del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197, a decorrere dal 1° gennaio 2017, per l'efficacia di tale disposizione vedi articolo 7 comma 3 del medesimo D.L. Comma da ultimo abrogato dall'articolo 4, comma 3 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 giugno 2020, n. 70. Vedi il Decreto 22 maggio 2020.

Note operative

Oscuramento preventivo dati personali (art. 52 d.lgs. n. 193/2006)
Atto Termini
Istanza Prima della definizione del grado di giudizio (poiché l'istanza richiede una valutazione del Giudice, è tuttavia necessario depositarla prima della eventuale richiesta di decreto monocratico, della trattazione cautelare o della discussione nel merito nella quale verrà emanato il provvedimento da oscurare)
Decisione Contestualmente alla redazione del provvedimento del Giudice
Annotazione All'atto del deposito della sentenza o del provvedimento, la segreteria appone e sottoscrive l'annotazione volta ad omettere le generalità e altri dati identificativi.

 

Emergenza Covid-19: Misure per contrastare la diffusione epidemiologica

Linee guida sull’applicazione dell’art. 4 del d.l. 28/2020 e sulla discussione da remoto 

V. Allegato.

Inquadramento

 

La disposizione in oggetto racchiude, nei suoi vari commi, i punti cardinali del processo telematico: da un lato le comunicazioni telematiche (comma 1); dall'altro la c.d. «forma digitale» degli atti processuali (commi 2, 2-bis, 2-ter), unitamente alla disciplina dei casi in cui, pur dopo l'avvio del Pat, la forma cartacea è eccezionalmente ammessa (comma 2-quater).

Può dirsi, quindi, che tutto il processo amministrativo telematico è racchiuso, quanto alla normativa di rango primario, nella norma in oggetto, fatta eccezione per il regime delle notificazioni a mezzo PEC, la cui disciplina è contenuta negli artt. 52,129 e 130 del c.p.a., oltre che nell'art. 3-bis della l. n. 53/1994, in virtù del c.d. «rinvio esterno» di cui all'art. 39, comma 2 c.p.a.

Va tuttavia evidenziato che il recentissimo d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, che attua la riforma del processo civile delegata al Governo dalla l. 26 novembre 2021, n. 206 ha fortemente modificato la disciplina in materia di notificazioni, anche telematiche, intervenendo sia sugli artt. 136 e 147 c.p.c. che sulla l. n. 53/1004, e la rilevanza di tali modifiche nell'ambito del processo amministrativo deriva, come già in precedenza evidenziato, dalla previsione dell'art. 39, comma 2, c.p.a., ai sensi del quale «le notificazioni degli atti del processo amministrativo sono comunque disciplinate dal codice di procedura civile e dalle leggi speciali concernenti la notificazione degli atti giudiziari in materia civile», salve ovviamente le previsioni legislative espressamente di senso contrario.

Anche dopo il consistente intervento normativo apportato con il d.l. n. 168/2016 e con la l. di conversione n. 197/2016, tuttavia, la gran parte della regolamentazione tecnico-giuridica del Pat è racchiusa  nelle disposizioni attuative di rango secondario  attualmente dettate dal  d.P.C.S. 28 luglio 2021(pubbl. in G.U. n. 183 del 2 agosto 2021) «Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico».

Al riguardo, si evidenzia infatti che il d.l. n. 28/2020 - seppur apparentemente rivolto a dettare la disciplina derogatoria del processo amministrativo limitata alla sola fase emergenziale del Covid-19- all'art. 4 comma 2 ha introdotto una rilevantissima modifica «a regime» prevedendo,  analogamente a quanto previsto per la Corte dei Conti, che anche le regole tecnico-operative per la sperimentazione e la graduale applicazione degli aggiornamenti del processo amministrativo telematico avvengano non più con d.P.C.M. - come originariamente previsto dall'art.13 All.2 disp.att. c.p.a.- bensì con decreto del Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri competente in materia di trasformazione digitale e gli altri soggetti indicati dalla legge.

Per quanto attiene alle comunicazioni telematiche, l'art. 136, comma 1, c.p.a. si limita ad indicare gli adempimenti posti a carico delle parti costituite in giudizio tramite difensore, propedeutici affinchè le Segreterie degli uffici giudiziari della Giustizia Amministrativa possano procedere alle comunicazioni di segreteria, ormai effettuate quasi esclusivamente con modalità telematiche e, dunque, va integrata con le disposizioni specificatamente dettate per il PAT dall'art.13 del richiamato d.P.C.S. 28 luglio 2021.  

Quanto invece alle comunicazioni processuali di segreteria da effettuarsi direttamente nei confronti delle parti personalmente, non costituite in giudizio, sebbene dal complessivo articolato normativo delle disposizioni vigenti la comunicazione a mezzo PEC costituisca ormai la regola, in mancanza di un espresso richiamo nelle vigenti Regole tecniche è dubbia l'applicabilità nel PAT della novità di recente introdotta dall'art. 24 d.l. n. 76/2020 in materia di comunicazioni dell'amministrazione a soggetti non dotati di domicilio digitale o con domicilio digitale non attivo, secondo cui fino alla data fissata nel decreto di cui al comma 3-bis (dell'art. 3-bis d.lgs. n. 82/2005), le amministrazioni e in generale i soggetti di cui all'art. 2, comma 2, possono predisporre le comunicazioni ai soggetti che non hanno un domicilio digitale ovvero nei casi di domicilio digitale non attivo, non funzionante o non raggiungibile come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, da conservare nei propri archivi, ed inviare agli stessi, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, copia analogica di tali documenti sottoscritti con firma autografa sostituita a mezzo stampa predisposta secondo le disposizioni di cui all'art. 3 d.lgs. 12 dicembre 1993, n. 39 ovvero un avviso con le indicazioni delle modalità con le quali i suddetti documenti sono messi a disposizione e consegnati al destinatario.”. Ciò significa, pertanto, che le comunicazioni nei confronti di tali soggetti - e, prevalentemente, le comunicazioni da effettuarsi a persone fisiche-  nel processo amministrativo rimangono, allo stato, soggette alla tradizionale forma cartacea ai sensi dell'art. 2 comma 6 disp. att. c.p.a. e art. 45 disp. att. c.p.c.

Va evidenziato, peraltro, che la nuova norma contenuta nell'art. 3 ter, l. n. 53 del 1994, introdotto con il d.lgs. 149 del 2022, espressamente prevede la possibilità che la notificazione a soggetti privati avvenga a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando questi abbiano un indirizzo risultante da pubblici elenchi (art. 3 bis, l. n. 53 del 1994); per quanto questa innovazione riguardi le notificazioni degli atti processuali civili e, peraltro, nel processo amministrativo tale modalità è possibile, ma non doverosa, per espressa limitazione normativa, vi è da chiedersi se tale modifica sia destinata ad impattare anche nella materia delle comunicazioni di Segreteria, rendendo possibile anche il ricorso alle modalità telematiche almeno nei confronti dei privati dotati di indirizzo risultante dai pubblici elenchi, considerato che le disposizioni in materia di notificazione dettate per il civile sono direttamente applicabili (salvo limitazione espressa) nel processo amministrativo, in virtù della espressa previsione di cui all'art. 39 c.p.a.. Il legislatore della riforma ha anche modificato l'ultimo comma dell'art. 136 c.p.c. (anche se non ha abrogato l'obbligo per il difensore di indicare il proprio numero di fax sancito dall'art. 125 c.p.c..), abolendo l'obsoleto uso del fax quale forma di comunicazione del biglietto di cancelleria - in caso di impossibilità di consegna dello stesso al destinatario secondo le forme ordinarie -, stabilendo in tal caso che il biglietto sia rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica (e introducendo correlativamente anche l'art. 149 bis cpc per disciplinare la notificazione a mezzo posta elettronica certificata eseguita dall'ufficiale giudiziario), e c'è da chiedersi se anche tale previsione sia destinata ad impattare sulla previsione di cui all'art. 136 c.p.a. comma 1 e di cui all'art 13 comma 7 All. 1 e 13 comma 8 All. 2 d.P.C.S. 28 luglio 2021.

Va evidenziato inoltre che per effetto di quanto sancito dall'art. 42 del d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014 («Comunicazioni e notificazioni per via telematica nel processo amministrativo»), la disciplina delle comunicazioni di segreteria di cui all'art.136 c.p.a. va integrata con le disposizioni di cui ai commi 4, 6, 7, 8, 12 e 13 dell'art. 16 del d.l. n. 179/2012, inizialmente dettate per il processo civile telematico (PCT) e oggi espressamente estese anche al processo amministrativo. Le richiamate disposizioni in materia di comunicazioni telematiche nel PAT devono oggi essere coordinate sia con le novità introdotte dall'art. 24 del d.l. n. 76/2020, che ha apportato modifiche all'art. 6-bis del CAD in materia di pubblici elenchi, sia con le novità introdotte dall'art. 28, recante «semplificazione della notificazione e comunicazione telematica degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale», che ha introdotto rilevanti modifiche all'art. 16, commi 12 e 13,  nonché all'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012 prevedendo espressamente - oltre all'eliminazione del termine entro cui procedere a tale elezione di domicilio digitale - la possibilità di utilizzare l'Indice delle P.A. (IPA) al fine delle notifiche in proprio degli avvocati tramite PEC ai sensi della l. n. 53/1994.

Specificamente, il nuovo comma 1-ter all'art. 16-ter del d.l. 179/2012 introduce un meccanismo di sostituzione per quelle amministrazioni che continuassero a rendersi inadempienti agli obblighi di comunicazione dell'indirizzo PEC per le comunicazioni e notificazioni da indicare (oggi non più in un termine prestabilito)  per il popolamento del registro PP.AA.: in tal caso, infatti, tanto la comunicazione di segreteria quanto la notificazione da parte del difensore potrà essere validamente effettuata  all'indirizzo PEC dell'amministrazione risultante dal registro previsto dall'art. 6-ter d.lgs. 82/2005 (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), che ora ha assunto la denominazione di Indice dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione e dei Gestori dei Pubblici Servizi; l'indirizzo di riferimento sarà quello indicato come primario secondo le previsioni delle Linee guida di AgID, nella sezione ente dell'amministrazione pubblica destinataria.

Il legislatore, tuttavia, prevede la possibilità dell'utilizzo di tale indirizzo PEC solo in caso di mancata comunicazione e quindi di assenza dell'indirizzo PEC dell'amministrazione dall'elenco di cui all'articolo 16, comma 12 (registro PP.AA.).

In tal caso, la notificazione - e la comunicazione di segreteria -  alla pubblica amministrazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale è validamente effettuata, a tutti gli effetti, al domicilio digitale indicato nell'elenco previsto dall'art. 6-ter d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (IPA Indice delle Pubbliche Amministrazioni).

A seguito delle modifiche apportate, è inoltre oggi  consentito alle amministrazioni di comunicare più indirizzi di posta elettronica certificata ciascuno dei quali corrispondenti ai propri organi o articolazioni anche territoriali a cui inviare comunicazioni o notificazioni telematiche, nei casi previsti dalla legge ovvero in caso di autonoma capacità o legittimazione processuale. Le amministrazioni che si costituiscono in giudizio tramite i propri dipendenti possono comunicare ulteriori indirizzi di posta elettronica certificata, corrispondenti a specifiche aree organizzative omogenee, presso cui eleggono domicilio ai fini del giudizio. Detti indirizzi confluiscono in una speciale sezione dell'elenco già previsto al citato art. 16 d.l. n. 179/2012.

Va segnalato che il d.l. n. 76/2020 attribuisce alla Direzione generale per i sistemi informativi automatizzati (DGSIA) del Ministero della Giustizia il potere/dovere di emanare, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione del decreto in commento e quindi entro il 15 ottobre 2020, le specifiche tecniche per l'attuazione delle disposizioni di cui all'art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 e quindi per adeguare il registro PP.AA., già presente nel portale dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, affinché possa ricevere e contenere gli indirizzi PEC della pubblica amministrazione corrispondenti ai propri organi o articolazioni anche territoriali, con effetti destinati ad esplicarsi anche nell'ambito della Giustizia Amministrativa. È comunque immediata l'applicazione dell'art. 16-ter, comma 1-ter, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221, per cui, sin dal 17 luglio 2020, l'avvocato, ove l'indirizzo PEC della PA non sia presente nel registro PP.AA. potrà utilizzare quello indicato nell'IPA.

Va detto comunque che il già citato d.lgs n. 149/2022 ha introdotto un nuovo comma 1 bis all'art 3 bis della l. n. 54/1993 che sancisce espressamente la validità della notifica effettuata presso l'indirizzo individuato ai sensi dell'articolo 16 ter, comma 1 ter, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.

Con riferimento, invece, invece, alla sottoscrizione e al deposito con modalità telematiche degli atti processuali (la c.d. «forma digitale») l'evoluzione normativa ha avuto, nel corso di pochi anni, una svolta decisiva. Si è infatti passati dalla mera «possibilità» all'obbligo, posto a carico di tutti gli attori processuali, di sottoscrivere e depositare gli atti e i provvedimenti di causa con le modalità telematiche disciplinate dall'all.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021.

 Tale obbligo, che l'art. 136, comma 2 e comma 2-bis, c.p.a. enuncia per i ricorsi incardinati dal 1° gennaio 2017, a decorrere dal 1° gennaio 2018 riguarda anche i ricorsi incardinati precedentemente, con riferimento però ai soli atti e documenti depositati dopo tale data (c.d. «doppio binario»), secondo quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, d.l. n. 168/2016, conv., con modif., in l. n. 197/2016 che prevede espressamente che le modifiche introdotte col PAT hanno efficacia, oltre che con con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017, anche ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, con riferimento ai quali le disposizioni previgenti del c.p.a. in materia di sottoscrizione e deposito, altrimenti applicabili fino all'esaurimento del grado di giudizio, cesseranno di essere applicabili dal il 1° gennaio 2018.

L'art. 136, comma 2-ter, c.p.a. contempla, sia pure con alcuni limiti, la possibilità di depositare in giudizio copia informatica di documenti analogici. In tal caso viene richiesto al difensore di attestare la conformità della copia depositata in giudizio all'atto o al documento cartaceo in suo possesso, compiendo l'asseverazione di cui all'art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005 (Cad).

Tale disposizione  ha subito modificazioni per effetto del d.lgs. n. 217/2017, lasciando aperti numerosi interrogativi circa le modalità con cui, nel processo amministrativo telematico, debba essere compiuta l'attestazione di conformità.

 Giova evidenziare che nell'attestazione di conformità, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 136 c.p.a.,  il difensore assume espressamente, a tutti gli effetti di legge, la qualifica di «pubblico ufficiale».

Analogo potere di attestazione di conformità nel processo amministrativo telematico è esteso ai difensori anche al fine di consentire loro di estrarre copia autentica degli atti e dei provvedimenti presenti nel fascicolo informatico, con conseguente esonero dal versamento dei diritti di copia.

L'art. 136, comma 2, c.p.a. fa comunque salva la possibilità per il Giudice – in casi eccezionali, anche in considerazione della ricorrenza di particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia – di dispensare la parte, previo provvedimento motivato, dall'impiego delle modalità di sottoscrizione e di deposito telematico.

Il nuovo comma 2-quater dell'art. 136 c.p.a. è stato invece abrogato dall'art. 4 comma 3 d.l. n. 28/2020: ciò significa che anche il privato cittadino, eventualmente chiamato in causa dal Giudice (ad esempio, nei casi di cui all'art. 28 comma 3 c.p.a.), non potrà sottrarsi al  rispetto delle modalità telematiche per il deposito di scritti difensivi o documenti mediante PEC, non essendo più prevista la possibilità del Giudice di consentire l'autorizzazione al deposito mediante upload.

L'art. 11 del già citato d.lgs. n. 149 del 2022 ha proceduto all'abrogazione degli artt. 16 bis, 16 septies, 16 decies e 16 undecies d.l. n. 179 del 2012, e la collocazione della disciplina della giustizia digitale nel nuovo Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, con contestuale modifica “di coordinamento”, degli artt. 36 e 87 disp. att. c.p.c.; in particolare, con l'art. 196 quater disp. att. c.p.c., il legislatore delegato ha introdotto nel processo civile una norma generale in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice, con la precisazione che, in considerazione della limitazione contenuta nella legge di delega ai soli documenti e atti «delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore», non è stata prevista l'obbligatorietà del deposito telematico ai casi in cui la parte stia in giudizio personalmente. Il nuovo Capo II del Titolo V-ter, disp. att. c.p.c., costituito dagli artt. dal 196 octies al 196 undecies c.p.c., poi, contiene le disposizioni relative alla certificazione di conformità delle copie.  E' stato tuttavia osservato in una recente Relazione dell'Ufficio Studi della GA che tali innovazioni introdotte nel PCT dalle norme di cui al nuovo Titolo Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile non sembrano destinate ad incidere più di tanto sul processo amministrativo, in quanto, in forza del combinato disposto dell'art. 13, disp. att. c.p.a., da un lato, e delle analitiche previsioni contenute nel d.P.C.S. 28 luglio 2021, dall'altro lato, il processo amministrativo telematico è già dotato di una disciplina autosufficiente, destinata a non essere modificata dalle recenti modifiche introdotte dal legislatore delegato; ciò salvo quanto previsto in tema di rilascio della copia autentica della formula esecutiva ai sensi dell'articolo 475 del codice di procedura civile, essendo stato eliminato dal legislatore delegato l'istituto dell'apposizione della formula esecutiva, quale elemento necessario per procedere all'esecuzione forzata.

Le comunicazioni a mezzo PEC per i ricorsi precedenti all'entrata in vigore del c.p.a.

Nell'originaria formulazione dell'art. 136, comma 1, c.p.a.  la comunicazione a mezzo PEC era solo una delle possibili modalità con cui la Segreteria poteva procedere alle comunicazioni processuali, in alternativa alla comunicazione via fax o a quella con il tradizionale «biglietto di cancelleria», nei confronti del difensore che, a tal fine, era onerato di indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo «un» indirizzo PEC, oltre quello fax “ove intende ricevere le comunicazioni”.

La giurisprudenza ritiene pacifica l'applicabilità della disciplina delle comunicazioni a mezzo PEC anche per i ricorsi incardinati prima dell'avvio del Pat. È indispensabile, tuttavia, che si tratti di comunicazioni effettuate dopo l'entrata in vigore del c.p.a., pur se indirizzate a un difensore che aveva omesso di indicare il proprio indirizzo di PEC nel ricorso o nel primo atto difensivo (T.a.r. Piemonte I, n. 5/2017T.a.r. Napoli I, ord. n. 974/2017). In tal senso si è espresso anche il Cons. St. Ad. plen., ord. n. 33/2014 secondo cui l'efficacia della comunicazione effettuata a mezzo PEC non è condizionata alla indicazione da parte del difensore del proprio indirizzo PEC; pertanto il decreto di perenzione quinquennale, emanato ai sensi dell'art. 82, è validamente comunicato con tale modalità anche al difensore che non abbia indicato il suo indirizzo PEC (l'ordinanza precisa che in caso di tardività dell'opposizione rispetto a tale comunicazione, non può essere concesso il beneficio dell'errore scusabile); anche la comunicazione di fissazione dell'udienza si considera ritualmente effettuata a mezzo PEC anche quando il difensore abbia indicato negli atti di causa il proprio recapito di fax ma non l'indirizzo PEC (T.a.r. Lazio (Roma), n. 87/2013). Dello stesso avviso Cons. St., ord. n. 33/2014, secondo cui la validità di tale interpretazione risulta avvalorata dall' art. 7, comma 2, l. n. 247/2012, che, laddove obbliga gli ordini professionali a pubblicare in apposito elenco, consultabile dalle pubbliche amministrazioni, gli indirizzi PEC comunicati dagli iscritti, «anche al fine di consentire notifiche di atti e comunicazioni per via telematica da parte degli uffici giudiziari», chiarisce che le comunicazioni processuali via PEC possono essere effettuate anche a prescindere dall'indicazione dell'indirizzo PEC del difensore nel singolo processo di riferimento e tramite l'accesso diretto delle segreterie e delle cancellerie all'elenco pubblico formato dagli ordini professionali.

Con circolare del Segretariato Generale della G.A. prot. 9286 del 23 aprile 2014 sono state emanate istruzioni alle segreterie circa le comunicazioni per i ricorsi incardinati prima dell'avvio del Pat, con effetti a decorrere dalle comunicazioni effettuate dal 16 giugno 2014. A fronte del limite costituito dalla possibilità per il sistema informativo di effettuare un'unica comunicazione a mezzo PEC, la circolare risolveva il problema del rapporto tra PEC del dominus e quella del domiciliatario dando la prevalenza a questa, tranne diversa esplicita dichiarazione del dominus. Con l'avvio del Pat e col superamento di detto limite tecnico, resta da chiarire se tale circolare continuerà ad avere una sua operatività con riferimento ai ricorsi incardinati prima del 1° gennaio 2017, con riferimento al caso in cui negli scritti difensivi sia indicata tanto la PEC dei difensori quanto quella del domiciliatario e manchino precise indicazioni da parte del dominus della causa.

In materia di rapporto tra PEC del dominus e PEC del domiciliatario prima dell'avvio del Pat, il T.a.r. Lazio (Roma) III-bis, n. 11534/2014 è andato di contrario avviso rispetto alla circolare del 23 aprile 2014, ritenendo che in caso di indicazione nel ricorso tanto dell'indirizzo PEC del dominus quanto di quello del domiciliatario, è al primo che deve essere data preferenza nella comunicazione di Segreteria. Il difensore che ha omesso di controllare la mail, non può quindi pretendere che l'ordinanza con cui si ingiunge l'integrazione del contraddittorio sia spedita al domiciliatario e, quindi, di essere rimesso in termini ai fini dell'integrazione del contraddittorio alla cui mancanza consegue l'inammissibilità del ricorso. Anche Cons. St. IV, n. 1582/2017 ritiene che le comunicazioni di Segreteria tramite PEC sono valide anche se riferite a ricorsi notificati prima dell'entrata in vigore del c.p.a. (purché, comunque, successive ad esso) e anche se indirizzate a un difensore che aveva omesso di indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata nel ricorso o nel primo atto difensivo; inoltre la validità e l'efficacia della comunicazione tramite PEC possono essere contestate solo adducendo un difetto di funzionamento del sistema informatico o una causa di forza maggiore non imputabile al destinatario.

La dottrina ha osservato che, quanto alle modalità di espletamento delle comunicazioni di Segreteria (PEC, fax o tradizionale biglietto di cancelleria), prima dell'avvio del Pat si trattava di una scelta del tutto discrezionale, rimessa all'ufficio giudiziario. Peraltro, dopo le modifiche apportate all' art. 136 comma 1, c.p.a. dal d.lgs. n. 195/2011, qualora i difensori avessero indicato nell'atto introduttivo del giudizio più indirizzi PEC anziché uno solo, come richiesto dal c.d. “correttivo” al Codice, ben poteva la Segreteria scegliere di effettuare la comunicazione ad uno qualsiasi degli indirizzi indicati (Pisano).

L'obbligatorietà delle comunicazioni PEC dopo il d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014

La disciplina dettata, in materia di comunicazioni, dall' art. 136, comma 1, c.p.a. è estremamente scarna. Nella sua attuale formulazione, la norma si limita a prevedere:

a) l'onere dei difensori comunicare alla Segreteria e alle parti costituite «ogni variazione» del recapito di fax e di quello PEC (non è esplicitato se ciò debba avvenire negli scritti difensivi o sia sufficiente, a tal fine, compilare gli appositi campi del Modulo di deposito);

b) l'onere di indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario;

c) che la comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa.

Da ciò si evince che la comunicazione a mezzo PEC, dopo la l. n. 114/2014, è ritenuta dal legislatore la modalità privilegiata per effettuare le comunicazioni di Segreteria, tanto nei confronti dei soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di PEC, quanto nei confronti di chi, pur non essendovi obbligato, abbia a tal fine comunicato la propria PEC alla Segreteria: in quest'ultimo caso, tuttavia, gli effetti della dichiarazione PEC sono limitati allo specifico ricorso per cui tale comunicazione è resa ( art. 13, comma 4, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021).

Dopo la l. n. 114/2014, invece, tanto la comunicazione a mezzo fax quanto, in via residuale, quella tramite biglietto di cancelleria ex art. 45 disp. att. c.p.c. sono invece limitate ai casi di «impossibilità oggettiva» di effettuare la comunicazione a mezzo PEC derivante dal malfunzionamento del sistema informativo.

È bene rilevare, infatti, che si tratta di modalità utilizzabili esclusivamente quando la comunicazione a mezzo PEC non va a buon fine per causa non imputabile al destinatario perché altrimenti la comunicazione si intenderà regolarmente effettuata tramite deposito in Segreteria.

Ne deriva che, anche a fronte di una espressa indicazione di elezione di domicilio «fisico» da parte del difensore, le comunicazioni dovranno essere comunque effettuate a mezzo PEC. La PEC alla quale ricevere le comunicazioni, ai sensi dell’art. 13, comma 1, All.1 al d.P.C.S., potrà essere eventualmente quella del domiciliatario. In considerazione dell'ambiguo tenore del nuovo art. 13, comma 1-quater, disp.att. c.p.a., non è chiaro se tale possibilità sia ancora ammessa essendo ormai decorso il termine del 1° gennaio 2018.

Si evidenzia che, malgrado l' art. 13 del richiamato All.1 al d.P.C.S. preveda la comunicazione al domiciliatario “in alternativa” a quella del dominus (o del collegio difensivo), l'attuale predisposizione del Modulo di deposito Ricorso prevede la possibilità di “linkare” anche la possibilità di ricevere la PEC tanto al collegio difensivo che al domiciliatario (fermo restando che, al fine del perfezionamento della comunicazione, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 136, comma 1  c.p.a. , è sufficiente che vada a buon fine solo una di esse).

La questione del rapporto tra elezione di domicilio fisico e PEC è stata recentemente affrontata dal parere reso dall'Ufficio Studi del Consiglio di Stato del 7 marzo 2018 (rinvenibile nella sezione Documentazione, cartella Processo Amministrativo Telematico del sito web istituzionale della G.A.) nel senso che il domicilio digitale, corrispondente all'indirizzo PEC del difensore contenuto nei pubblici registri (ReGIndE), costituisce domicilio eletto ex lege. Secondo l'interpretazione dell'Ufficio Sudi, il difensore ha l'onere di indicare tale indirizzo PEC e di comunicarne le successive variazioni, almeno sino a che il PAT non sarà, dal punto di vista tecnico, in grado di assicurare alle parti e alle segreterie degli uffici giudiziari la piena accessibilità (anche in chiave di aggiornamento) ai pubblici registri contenti gli indirizzi PEC al momento detenuti presso il Ministero della Giustizia. La sola indicazione del domicilio digitale può essere considerata sufficiente; in tale evenienza, in caso di mancato funzionamento della PEC indicata, per causa imputabile al destinatario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell'atto presso la segreteria dell'ufficio giudiziario ai sensi dell'art. 16-sexies d.l. n. 179/2012; la parte ha, perciò, l'onere di indicare eventuali modifiche della PEC indicata come domicilio digitale, all'atto della costituzione. Secondo l'Ufficio Studi, non vi sarebbe l'obbligo di eleggere un domicilio fisico e nel caso di omessa indicazione sia del domicilio digitale (o di mancato funzionamento della PEC), sia del domicilio fisico nel Comune ove ha sede l'ufficio giudiziario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell'atto presso la segreteria dell'ufficio giudiziario, previo invio alla parte di una comunicazione di cortesia. L'elezione di domicilio fisico (in aggiunta al domicilio digitale) è ritenuta dall'Ufficio Studi ancora ammissibile e giuridicamente rilevante, anche nel nuovo assetto normativo. Solo nel caso in cui la PEC indicata come domicilio digitale non sia utilizzabile (per causa imputabile al destinatario) e il domicilio fisico sia stato eletto in un comune diverso da quello dove ha sede l'ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la lite, potrebbe infine procedersi alle notificazioni presso la segreteria.

La fonte dell'obbligo, per le segreterie, di effettuare le comunicazioni e le notificazioni «esclusivamente» per via telematica è da rinvenire nell' art. 45-bis, d.l. n. 90/2014, conv. con l. n. 114/2014 che, a decorrere dalla data dell'8 agosto 2014, estende al processo amministrativo analoga previsione prevista per il processo civile telematico.

Dopo l'entrata in vigore del Pat ai fini delle comunicazione processuali non potrà più essere utilizzato un qualsiasi indirizzo PEC — come nell'originaria formulazione dell'art. 136, comma 1 — bensì esclusivamente l'indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi; inoltre, deve trattarsi di un indirizzo PEC individuale (art. 13, comma 1, All.1 al d.P.C.S.).

Al riguardo, si evidenzia che Cons. giust. amm. Sicilia,  n. 295/2019  ha ritenuto  valida la comunicazione dell'avviso di perenzione effettuata via PEC al domiciliatario fisico, anche se non nominato quale avvocato difensore dalla parte, all'indirizzo PEC del detto domiciliatario, indipendentemente dalla circostanza che il summenzionato indirizzo non sia stato indicato nel ricorso, risultando lo stesso dai pubblici registri dai quali può essere tratto.

I pubblici elenchi

La definizione dei “pubblici elenchi”, ai fini delle comunicazioni e notificazioni processuali, è codificata nell'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, inserito dalla l. n. 228/2012. In virtù di tale disposizione, a decorrere dal 15 dicembre 2013 ai fini delle notificazioni e comunicazioni degli atti in materia civile, penale, amministrativa e stragiudiziale si intendono tali:

a) quelli previsti dagli articoli 4 (Anagrafe nazionale della popolazione residente- Anpr) e 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012;

b) dall' art. 16, comma 6, del d.l. n. 185/2008, convertito con modificazioni dalla l. n. 2/2009 (Registro delle imprese);

c) dall' art. 6-bis del d.lgs. n. 82/2005 (Indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti);

d) il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia (ReGIndE).

Tale disposizione, al di là dell'elencazione dei c.d. «pubblici elenchi», assume un significato particolare: la precisazione, infatti, che si tratta di pubblici elenchi «ai fini delle comunicazioni e notificazioni processuali» sta a significare che, per esigenze di certezza giuridica connesse a tali adempimenti processuali, il legislatore ha inteso porre un limite alla possibilità, fino a tale momento ampiamento sfruttata, di utilizzare ai fini delle comunicazioni e notificazioni processuali qualsiasi indirizzo PEC – ora, più propriamente, inquadrato nell'ambito della più ampia categoria del “domicilio digitale” come definita dall'art.1 comma 1 lettera n-ter del CAD - del destinatario, ritenendo ammessa ai fini processuali la notificazione e comunicazione esclusivamente all'indirizzo PEC incluso nei pubblici elenchi espressamente contemplati dall'art. 16-terl. n. 228/2012.

Sebbene, astrattamente, il CAD qualifichi come “domicilio digitale” qualsiasi strumento che abilita un recapito qualificato valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, attualmente la PEC è l'unico strumento di domicliazione digitale disponibile al pubblico e, attese le definizioni contenute nel d.P.C.S. del 28 luglio 2021, l'unico domicilio digitale utilizzabile ai fini PAT.

  Ai sensi dell'art. 16-ter, comma 1-bis, aggiunto dall'articolo 45-bis, comma 2, lett. a), n. 2) del d.l. n. 90/2014, conv., con modif., in l. n. 114/2014, tale disposizione si applica espressamente anche alla giustizia amministrativa: ne deriva che i soggetti il cui indirizzo PEC risulta inserito (o dovrebbe essere inserito per legge) in uno dei suindicati registri, sono ex lege assoggettati alla ricezione delle comunicazioni processuali di cui all'art. 136, comma 1, c.p.a. con tale modalità.

Sarà importante verificare quale impatto avrà sull'art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, la modifica introdotta dall'art. 9 del d.lgs. n. 217/2017, che ha introdotto il nuovo art. 6-quater del d.lgs. n. 82/2005 (CAD) intitolato «Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese» il cui ultimo comma prevede, implicitamente, che tali indirizzi possano essere usati anche senza il consenso degli interessati ogni qualvolta la comunicazione sia finalizzata «all'invio di comunicazioni aventi valore legale o comunque connesse al conseguimento di finalità istituzionali dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 2».

Si è già in precedenza evidenziato, peraltro, come l'art. 3 bis l. n. 54/1993 come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ha stabilito il dovere, in capo all'avvocato che debba procedere alla notificazione degli atti giudiziari in materia civile e degli atti stragiudiziali, di eseguire la notificazione di tali atti a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario sia un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi, ovvero se questi abbia eletto domicilio digitale ai sensi dell'art. 3 bis, comma 1 bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell'art. 6 quater del CAD; la stessa norma prevede poi che ove la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato risulti impossibile per causa imputabile al destinatario, se il destinatario è un'impresa o un professionista iscritto nell'indice INI-PEC, l'avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell'area web riservata prevista dall'art. 359, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.d. codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l'inserimento e la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento; se invece il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, ma che ha eletto il domicilio digitale, allora l'avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie.

Il legislatore delegato ha peraltro modificato anche l'art. 149 bis c.p.c. in tema di notifiche telematiche effettuate dall'ufficiale giudiziario, prevedendo anche in tal caso che il medesimo effettui la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo, quando il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica o servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultante dai pubblici elenchi oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'articolo 3 bis, comma 1 bis, del CAD.  

Tali innovazioni testimoniano la possibilità, pertanto, che anche gli indirizzi di cui all'art 6 – quater CAD possano essere usati anche senza il consenso degli interessati per effettuare le notificazioni degli atti processuali civili, mentre invece nel processo amministrativo, la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o a mezzo di servizio elettronico di recapito certificato qualificato a soggetti privati è possibile, ma non doverosa, quando questi abbiano un indirizzo risultante da pubblici elenchi (art. 3 bis, l. n. 53 del 1994), e non è previsto che, nei confronti di un'impresa o un professionista iscritto nell'indice INI-PEC, possa perfezionarsi mediante inserimento nell'area web dedicata; non è ben comprensibile la ragione di tale distinzione, tuttavia almeno la lettera della norma (che limita espressamente la propria operatività ai soli atti giudiziari in materia civile e agli atti stragiudiziali) sembra non consentirne un'estensione nella sua totalità anche al processo amministrativo.

 Cons. St. n.8347/2020 ha ritenuto che la notifica telematica del ricorso alle Amministrazioni deve essere effettuata presso gli indirizzi mutuati dall'elenco tenuto dal Ministero della Giustizia escludendo, in apice, ogni forma di equipollenza, con la conseguenza che nemmeno l'indirizzo Pec risultante dal registro IPA e gli indirizzi internet indicati nei siti dell'amministrazione possono ritenersi validi ai fini della notifica degli atti giudiziari alle P.A.

T.A.R. Campania (Napoli) , ord. n. 209/2020 ha ritenuto nulla la notifica del ricorso per motivi aggiunti – in difetto di costituzione in giudizio del Comune, eventualmente rilevante ex art 44, comma 3, c.p.a. – effettuata al Comune all'indirizzo p.e.c. tratto dall'Indice PA (che peraltro a seguito delle modifiche apportate all'art. 16-ter della L. n. 221/2012 dall'art. 45-bis, comma 2, lett. a), del d.d. n. 90/2014 non è più stato inserito tra i registri pubblici da cui trarre gli indirizzi Pec della P.A), e non invece all'indirizzo p.e.c. del difensore dell'Amministrazione Comunale resistente, regolarmente comunicato nella memoria di costituzione in giudizio, in conformità a quanto previsto dall'art. 43, comma 2, c.p.a, che testualmente prevede che “Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell'art. 170 c.p.c.”.

T.A.R. Sicilia (Catania), n. 2806/2017 ha dichiarato inammissibile – dopo una compiuta ricostruzione della normativa – la notifica all'indirizzo istituzionale dell'amministrazione pubblicato sul sito web ma non contenuto negli specifici registri appositamente individuati dalla legge determini, attesa la non configurabilità di un errore scusabile (cfr. nello specifico T.A.R. Basilicata, n. 607/17) tenuto conto che «incombe sul ricorrente l'onere di verificare (sempre) se l'eventuale recapito indicato dall'Amministrazione sul proprio sito sia utile non solo per l'accettazione della corrispondenza proveniente dall'utenza, ma anche ai fini della notificazione dei ricorsi in vigenza del c.d. «Processo Amministrativo Telematico»: né tale attività si appalesa di speciale difficoltà, risolvendosi la stessa nella consultazione dei registri all'uopo individuati dalle disposizioni di riferimento innanzi richiamate»;T.A.R. Sicilia (Catania) I, n. 366/2018 ha rilevato che, comunque, qualunque presunta irregolarità della notifica via PEC e degli atti allegati rimane quindi sanata dalla notifica cartacea a mezzo posta, e del relativo deposito.

Più di recente, Cons. St. III, n. 744/2018 ha evidenziato che il vizio di notifica del ricorso effettuato a un indirizzo PEC non contenuto nell'indicato elenco ufficiale delle PEC della P.A. tenuto presso il Ministero della Giustizia, ex art. 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012 risulta sanato, ex art. 44, comma 3, c.p.a. dall'intervenuta costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata. In ogni caso, dall'eventuale assenza nell'elenco ufficiale dell'indirizzo PEC di una P.A. non possono comunque derivare preclusioni processuali per la parte privata. Contra: T.A.R. Basilicata Potenza n. 433/2018, secondo cui in materia di notifica a mezzo PEC non sussistono gli estremi del riconoscimento dell'errore scusabile, in quanto incombe sul ricorrente l'onere di verificare se i recapiti PEC siano utili ai fini della notificazione dei ricorsi in vigenza del c.d. processo amministrativo telematico.

I soggetti obbligati a dotarsi di PEC

a) Sono soggetti obbligati a dotarsi di PEC, innanzitutto, i difensori ( art. 16, comma 7, del d.l. n. 185/2008). In virtù dell'originaria formulazione dell'art. 136, comma 1, gli stessi erano tenuti espressamente ad indicare nel ricorso o nel primo scritto difensivo il proprio indirizzo PEC e il proprio recapito fax, al fine di consentire alla Segreteria di effettuare le comunicazioni processuali (eventualmente) con modalità telematiche. Con le modifiche apportate dal d.lgs. n. 195/2011 (c.d. «primo correttivo» al Codice) il legislatore ha stabilito che, anche in caso di collegio difensivo, l'indirizzo PEC e il recapito fax da indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo dovesse essere uno soltanto. La l. n. 114/2014, di conversione del d.l. n. 90/2014, ha eliminato il riferimento all'obbligo del difensore di indicare negli atti di causa uno (o più) indirizzi PEC: attualmente, l'art. 136, comma 1, prescrive ai difensori di indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo «un» recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario»; a seguito delle modifiche apportate dalla l. n. 197/2016, resta invece formalmente prescritto l'onere dei difensori comunicare alla Segreteria e alle parti costituite «ogni variazione» del recapito di fax e dell'indirizzo di posta elettronica certificata. Va evidenziato che l'omessa indicazione dell'indirizzo PEC e del numero fax nel ricorso principale, in quello incidentale e nei motivi aggiunti che introducono domande nuove, benché non espressamente contemplata nell'art. 136 comma 1, è (tuttora) sanzionata dall' art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115/2002 ( T.U. Spese di giustizia), con l'aumento della metà dell'importo del contributo unificato. Benché la norma sanzioni espressamente la mancata «indicazione», a seguito delle recenti modifiche normative dell' art. 136, comma 1, c.p.a. è da ritenere quindi che detta la sanzione possa essere applicata (anche) in caso di mancata comunicazione della «variazione». Più problematica, invece, è l'individuazione, oltre che dei destinatari, anche delle modalità con cui tale “variazione” debba essere effettuata. Sul punto, infatti, mancano indicazioni tanto nell' art. 136 comma 1 c.p.a., quanto nell’All. 1 al d.P.C.S. 

Fermo restando, quindi, per quanto riguarda i difensori l'obbligatorietà dell'indicazione sia dell'indirizzo PEC che della sua variazione al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, che provvederanno a comunicare tale indirizzo al pubblico elenco gestito dal Ministero della Giustizia (ReGIndE), si reputa opportuno comunicare la variazione del proprio indirizzo, oltre che negli atti processuali, anche alla Segreteria dell'Ufficio Giudiziario procedente.

Sul punto, la FAQ n. 35 delle “Istruzioni operative interne sul processo amministrativo telematico”, alla domanda “Cosa accade se un avvocato modifica il proprio indirizzo di posta elettronica? (2 gennaio 2017)”, si limita genericamente a rispondere:

Ai sensi dell' art. 7, comma 6, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, gli avvocati (e le amministrazioni) possono utilizzare solo gli indirizzi di posta elettronica certificata risultante dai pubblici registri gestiti dal Ministero della giustizia. Eventuali variazioni della PEC devono quindi essere sempre comunicate al ReGIndE, unico elenco rilevante per il corretto invio dei Moduli di Deposito del PAT. Nei ricorsi antecedenti il PAT, nei quali l'avvocato è costituito (in giudizio) anche come domiciliatario, per eventuali modifiche nelle nostre anagrafiche ai fini della comunicazione degli avvisi di cancelleria occorre dare comunicazione del cambio PEC alla Segreteria di ciascun Ufficio Giudiziario, atteso che l'anagrafica domiciliatari è gestita localmente.

L'avvocato è responsabile della gestione della propria utenza PEC, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività, processuali (Cass. sez. lav., n. 15070/2014 ; Cass. pen. III, n. 54141/2017 ha di recente precisato che è imputabile al difensore la mancata consegna della comunicazione per effetto della c.d. “casella piena”, non avendo il difensore adempiuto all'obbligo di dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella e di verificare l'effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione, di cui all'art. 20, comma 5, D.M. n. 44 del 2011; T.a.r. Roma, II, ord. n. 7334/2017 ha precisato che è onere del difensore controllare anche la “casella spam” deputata all'archiviazione della posta indesiderata). Tale principio è stato ribadito e articolatamente affrontato anche da Cons. St.  Ad. plen. , ord. n. 33/2014 che, con specifico riferimento al processo amministrativo, ha affermato la ritualità delle comunicazioni a mezzo PEC nei confronti del dominus pur con riferimento a ricorsi nati prima dell'emanazione del c.p.a. e  da Cons. St., ord. n. 2658/2017 con riferimento alla tematica della comunicazione a mezzo PEC effettuata nei confronti del domiciliatario. Nel dare comunicazione dell'avviso di perenzione con invio alla PEC dell'avvocato domiciliatario,  secondo il Consiglio di Stato la Segreteria della Sezione ha fatto corretta applicazione della circolare del Segretariato generale della Giustizia amministrativa n. 9286 del 23 aprile 2014, secondo la quale, per i ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore del codice del processo amministrativo (16 settembre 2010) le comunicazioni vanno fatte all'indirizzo PEC dell'avvocato domiciliatario risultante dai pubblici registri, salvo che il difensore, con atto successivamente depositato, dichiari di voler ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo PEC o il domiciliatario manchi. Inoltre, non vi sono i presupposti per accordare la rimessione in termini per errore scusabile, considerando che l'istituto riveste carattere eccezionale. Infatti, esso si risolve in una deroga al principio fondamentale di perentorietà dei termini processuali (ivi incluso quello entro il quale è necessario, per evitare la perenzione, presentare domanda di fissazione di udienza per i ricorsi ultraquinquennali), con la conseguenza che la disposizione che lo ha codificato (art. 37) deve ritenersi di stretta interpretazione anche per non inficiare il principio, quantomeno di pari dignità rispetto all'esigenza di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale, della parità delle parti relativamente all'osservanza dei termini processuali perentori (cfr. Cons. St.  Ad. plen. , n. 33/2014, cit.).

L'attuale formulazione dell' art. 136, comma 1, c.p.a. non prevede espressamente l'obbligo del difensore di indicare nel ricorso o nel primo scritto difensivo uno (o più) indirizzi PEC al quale ricevere le comunicazioni processuali. Avuto riguardo all'analoga modifica dell' art. 125 c.p.c., si era inizialmente ritenuto che tale obbligo fosse definitivamente venuto meno (ritenendosi che, come nel Pct, 'indirizzo PEC del difensore potesse essere reperito automaticamente dal sistema informativo della g.a., attingendo al ReGIndE). Dopo le ulteriori modifiche apportate all' art. 136, comma 1, c.p.a. dalla l. n. 197/2016, deve invece giungersi a conclusione opposta. Pur nel silenzio della norma, se il legislatore ha voluto imporre ai difensori di comunicare «ogni» variazione dell'indirizzo PEC, a maggior ragione il difensore deve ritenersi obbligato ad indicare la PEC medesima. Nel Pat, infatti, a differenza di quanto accade nel Pct, l'indirizzo PEC non è — allo stato attuale- reperito automaticamente dal sistema informativo della g.a. Ne consegue che il difensore è tuttora onerato di fornire la relativa informazione non soltanto all'Ordine, che lo comunica al ReGIndE, ma alla stessa Segreteria dell'ufficio giudiziario (sebbene dalla norma non risulti chiaro se tale informazione va fornita attraverso gli atti processuali o sia sufficiente la compilazione del Modulo di deposito) (Pisano).

b) Analogo obbligo è imposto alle pubbliche amministrazioni di cui all' articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001. Ai sensi dell' art. 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012, esse sono tenute a comunicare al Ministero della Giustizia un (unico) indirizzo PEC a cui ricevere, in generale, qualsiasi comunicazione (e notificazione) processuale. L' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 prevedeva per la comunicazione di tale indirizzo al Ministero della Giustizia il termine di 180 giorni dalla pubblicazione del decreto, prorogato dal d.l. n. 90/2014 alla data del 30 novembre 2014. Considerate le conseguenze processuali a cui va incontro l'amministrazione che non provveda, è preferibile ritenere che tale termine non abbia natura perentoria: in caso di mancata comunicazione di tale indirizzo, infatti, la comunicazione si intenderà eseguita, a tutti gli effetti di legge, tramite deposito in Segreteria ( art. 16, comma 13, d.l. n. 179/2012).Va peraltro rilevato che il Consiglio di Stato, nel parere reso dall'Adunanza della Commissione speciale del 4 ottobre 2017 sullo Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179, concernente “modifiche e integrazioni al Codice dell'amministrazione digitale di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, al  fine di consentire il definitivo superamento dei problemi connessi al mancato popolamento del registro delle P.A. gestito dal Ministero della giustizia, causati dalla ingiustificata inerzia di numerose pubbliche amministrazioni, ha ritenuto  di dover segnalare l'opportunità di prevedere, nell'art. 62 dello schema del decreto correttivo, anche un potere sostitutivo che l'AgID, decorso un ragionevole tempo dall'accertata inerzia, potrebbe esercitare per l'iscrizione del soggetto pubblico inadempiente nel registro.

Va evidenziato che il “decreto semplificazioni” (d.l. n. 76/2020), a circa 10 anni circa dall’entrata in vigore dell’obbligo di PEC per imprese e professionisti, ha dal 1° ottobre 2020 previsto espressamente il più ampio obbligo – senza implicazioni, tuttavia, per il PAT, attesa la specifica disciplina derogatoria contenuta nel d.P.C.S. – per professionisti e imprese di dotarsi di un vero e proprio “domicilio digitale”, per la prima volta prevedendo un regime sanzionatorio per chi contravvenga a tale obbligo. Lo scopo è di permettere l’avvio del domicilio digitale, legato per ora esclusivamente alla PEC, non essendo stata ancora emanata a livello europeo la normativa esecutiva sul SERC, (Servizio elettronico di recapito certificato qualificato), che conformemente al Regolamento europeo s-IDAS (Regolamento UE n. 910/2014) renderà certe le identità di mittente e destinatario. 

Per Cons . giust . amm . Sicilia, n. 217/2018 qualora l'amministrazione non abbia comunicato un indirizzo PEC al ministero della giustizia per l'iscrizione nell'apposito registro, deve essere riconosciuto l'errore scusabile alla parte che abbia notificato il ricorso a mezzo PEC a un indirizzo dell'amministrazione non inserito nel registro di cui all'art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012.

Una regola peculiare è dettata dall' art. 16, comma 7, d.l. n. 179/2012 per i casi in cui è consentito dal c.p.a. alle PP.AA. di stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti. In tali casi, il legislatore prevede che la comunicazione processuale sia effettuata utilizzando esclusivamente gli indirizzi di PEC comunicati a norma del comma 12. Tale ipotesi, per quanto attiene al processo amministrativo appare tuttavia applicabile in casi del tutto residuali, ad esempio, in materia di accesso agli atti ex art. 116, comma 3, c.p.a.

In considerazione della sostanziale differenza tra il concetto di «parte» e quello di «parte costituita», è da ritenere che anche per quanto riguarda le amministrazioni rappresentate e difese in giudizio, ex lege, dall'Avvocatura dello Stato, l'indirizzo di cui trattasi debba essere un indirizzo PEC individuale, idoneo ad identificare l'amministrazione come parte pubblica, ulteriore rispetto agli indirizzi PEC dell'Avvocatura.

Secondo il Tar Lazio (Roma) III-bis, ord. n. 4548/2017, anche qualora l'amministrazione sia rappresentata ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, ove il Giudice ritenga di acquisire chiarimenti istruttori la comunicazione deve essere effettuata a mezzo PEC, in proprio, alla parte pubblica. Con altra decisione (T.A.R. Lazio (Roma) ord.,  III-bis, n. 4540/2017) la medesima sezione del Tar Roma ha disposto la comunicazione dell'ordinanza istruttoria venisse trasmessa, con le medesime modalità telematiche, anche all'Avvocatura costituita in giudizio, con l'avviso che, in caso di mancata risposta, potranno essere acquisiti elementi di prova ex art. 64 c.p.a.

c) Sono obbligate a dotarsi di un indirizzo PEC risultante dai pubblici elenchi, e pertanto tenute agli obblighi di ricezioni delle comunicazioni processuali a mezzo PEC, le società e le imprese individuali.

I presupposti, le condizioni e le sanzioni relativi all'obbligo delle società e delle imprese individuali di munirsi di indirizzo PEC, sono state recentemente affrontate nella direttiva del Ministero dello Sviluppo Economico, emanata d'intesa con quello della Giustizia il 29 aprile 2015. In particolare, nel caso in cui l'impresa non abbia provveduto a dotarsi e comunicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, anche a seguito delle cancellazioni effettuate dall'Ufficio del registro, qualora presenti una domanda di iscrizione, essa viene sospesa per 45 giorni se si tratta di impresa individuale o mesi, se si tratta di società. La mancata comunicazione all'Ufficio dell'indirizzo di posta elettronica certificata entro tali termini, costituisce omessa comunicazione di atti e notizie nel registro delle imprese e comporta il rigetto dell'istanza, con la conseguente applicazione delle sanzioni previste agli artt. 2194 c.c. per le imprese individuali e 2630 c.c. per le società.

d) Per quanto riguarda, invece, i privati cittadini, il relativo pubblico elenco — cioè l'A.N.P.R., previsto dall' art. 62 del d.lgs. n. 82/2005 (Cad) — sebbene in via di sperimentazione in alcuni comuni italiani, non è ad oggi, ancora pienamente operativo. Ciò rende problematica l'applicazione dell' art. 136, comma 1, c.p.a. nella parte in cui prevede la doverosità della comunicazione a mezzo PEC anche per i cittadini il cui domicilio digitale sia già inserito in tale elenco, potendosi dubitare dell'efficacia giuridica di un elenco fino a che la sua piena operatività non sia resa ufficiale. Con riferimento ai procedimenti nei quali sta in giudizio personalmente una parte privata il cui indirizzo di PEC non risulti da pubblici elenchi, l' art. 16 del d.l. n. 179/2012 attribuisce alla stessa la possibilità di indicare alla Segreteria dell'Ufficio Giudiziario presso cui è stato incardinato il ricorso l'indirizzo PEC al quale vuole ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al procedimento. In tale caso le comunicazioni e notificazioni si effettueranno con modalità telematiche e si applicano i commi 6 e 8 dell' art. 16 d.l. n. 179/2012. È bene evidenziare che tale disposizione si applica esclusivamente ai soggetti che non siano obbligati ex lege a dotarsi di un indirizzo PEC destinato a confluire in un pubblico elenco (quindi, non può applicarsi ai difensori né alle PP.AA. al fine, ad esempio, di consentire l'invio della comunicazione ad una PEC diversa da quella risultante dai pubblici elenchi specificamente destinati alle comunicazioni e notificazioni processuali). L'operatività della previsione in oggetto, quindi, nel processo amministrativo è per lo più destinata ai casi in cui la parte sia autorizzata a stare in giudizio senza l'assistenza di un difensore ( art. 22 e 23 c.p.a.). L' art. 13, comma 4, All.1 al d.P.C.S. stabilisce che la parte interessata debba «specificamente» indicare l'indirizzo PEC, pur non risultante da pubblici elenchi, al quale intende ricevere le comunicazioni, con efficacia limitata al ricorso per cui tale comunicazione è resa. Come chiarito dall' art. 13, comma 1, dell’All.1 al d.P.C.S. dovrà anche in tal caso trattarsi di una PEC individuale (cioè, di una PEC idonea ad identificare un individuo soltanto).

La comunicazione mediante deposito in Segreteria dopo l'avvio del PAT

L'art. 16, comma 8, del d.l. n. 179/2012 — espressamente applicabile al processo amministrativo- stabilisce che per i soggetti obbligati a dotarsi di PEC risultante dai pubblici elenchi o per coloro che, pur essendovi obbligati, non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo all'Ordine, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in Segreteria. Le stesse modalità sono adottate nei casi di mancata consegna del messaggio di PEC per (qualsiasi) causa imputabile al destinatario ( art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012). Con l'entrata in vigore del Pat per «deposito della comunicazione in Segreteria» si intende, tuttavia, non il deposito «fisico» del provvedimento cartaceo, bensì il deposito del provvedimento digitale nel fascicolo processuale tenuto con modalità informatica ( art. 13, comma 9 e 5, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021).

Le medesime regole valgono nel caso in cui la comunicazione abbia ad oggetto un provvedimento: l'art. 13, comma 4, dell' allegato1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021). precisa che in tutti i casi in cui il c.p.a. prevede che sia data comunicazione del provvedimento giurisdizionale, questa avviene mediante messaggio PEC contenente gli estremi del provvedimento e l'indicazione che il provvedimento è visualizzabile nel fascicolo informatico e, comunque, nell'area pubblica del Sito istituzionale della g.a.. In merito, va sottolineato che il provvedimento originale, sottoscritto con firma digitale, è accessibile alle parti e al Giudice esclusivamente nel fascicolo informatico, mentre nell'area pubblica del sito istituzionale sono rese accessibili le c.d. «copie uso studio», prive di firma digitale e, quindi, di validità giuridica (art. 17, comma 3, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021).

Il c.p.a. prevede numerose fattispecie in cui la comunicazione da effettuarsi nei confronti dell'amministrazione ha ad oggetto un provvedimento: oltre alle ipotesi di cui all' art. 33, comma 3, e 89, comma 3 c.p.a. — in cui la comunicazione avviene alla parte costituita- ciò avviene con l' art. 111, comma 1 c.p.a. (che in caso di sospensione della sentenza prevede che copia dell'ordinanza sia trasmessa alla cancelleria della Corte di cassazione); l' art. 121, comma 3 c.p.a. (che dispone la trasmissione delle sentenze alla Presidenza del Consiglio dei Ministri — Dipartimento per le politiche comunitarie); l' art. 130, comma 8 c.p.a. (ai sensi del quale la sentenza è immediatamente trasmessa in copia, a cura della Segreteria del tribunale amministrativo regionale, al Sindaco, alla giunta provinciale, alla giunta regionale, al presidente dell'ufficio elettorale nazionale, a seconda dell'ente cui si riferisce l'elezione). In tali casi, può dubitarsi dell'utilità della norma che prevede che, in caso di mancata comunicazione dell'indirizzo di cui all' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012, la comunicazione si ha per eseguita in Segreteria.

Pur a fronte della specifica previsione di cui all' art. 16, comma 8, d.l. n. 179/2012, non pare potersi dubitare della possibilità, per il Giudice, di disporre che la comunicazione venga effettuata con ulteriori modalità telematiche, ad es. a mezzo fax, o tramite il tradizionale biglietto di cancelleria, qualora ciò sia richiesto dalla peculiare finalità connessa alla comunicazione (ad es. esigenze di interesse pubblico che richiedono che la comunicazione giunga al destinatario; esigenze istruttorie, etc.), che non possono ritenersi assolte con il deposito in Segreteria.

Si è già in precedenza evidenziato come il d.lgs. n. 149 del 2022 ha anche modificato l'ultimo comma dell'art. 136 c.p.c. (anche se non ha abrogato l'obbligo per il difensore di indicare il proprio numero di fax sancito dall'art. 125 c.p.c..), abolendo l'uso del fax quale forma di comunicazione del biglietto di cancelleria - in caso di impossibilità di consegna dello stesso al destinatario secondo le forme ordinarie -, stabilendo in tal caso che il biglietto sia rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica, e c'è da chiedersi se anche tale previsione sia destinata ad impattare sulla previsione di cui all'art. 136 c.p.a. comma 1 e di cui all'art 13 comma 7 All. 1 e 13 comma 8 All. 2 d.P.C.S. 28 luglio 2021.

Di questo orientamento il T.a.r. Lazio III-bis, n. 4548/2017  che nella richiamata ordinanza istruttoria ha disposto che, nel caso in cui l'amministrazione non abbia provveduto ad assolvere all'onere di  comunicare l'indirizzo PEC a cui ricevere le comunicazioni e notificazioni processuali di cui all' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012 e tale indirizzo non sia reperibile nel registro delle PP.AA. tenuto dal Ministero della Giustizia, la comunicazione dell'ordinanza può essere effettuata, da parte della Segreteria, direttamente alla parte pubblica a mezzo fax o tramite biglietto di cancelleria; con riferimento ad analoga tematica, è interessante segnalare che per quanto riguarda il processo civile di cassazione, Cass.  S.U., n. 11383/2016, in virtù di un'interpretazione orientata all'effettività del diritto di difesa e alla ragionevole durata del processo, ha ritenuto che il cancelliere può eseguire la comunicazione dei provvedimenti tramite deposito in cancelleria (sempre che il difensore non abbia eletto domicilio in Roma) solo se non è andata a buon fine la trasmissione a mezzo PEC, né quella via fax. La pronuncia ha ad oggetto, tuttavia, una fattispecie anteriore alla disciplina sulle comunicazioni telematiche obbligatorie ex art. 16 d.l. n. 179/2012, conv. in l. n. 221/2012, divenuta operativa riguardo al procedimento di cassazione dal 15 febbraio 2016 per effetto del d.m. 19 gennaio 2016. Si presti attenzione al fatto che è ben diverso l'orientamento giurisprudenziale in materia di notificazioni a mezzo PEC alle amministrazioni ad indirizzi diversi da quello di cui all' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012, ed in particolare all'indirizzo pubblicato dalla stessa sul sito web (v. Tar Sicilia (Catania), II,  n. 2806/2017 che ha di recente dichiarato inammissibile la notificazione, escludendo la possibilità di ipotizzare l'errore scusabile e Tar Basilicata  n. 607/2017; di diverso avviso Tar Campania, Napoli, IV, n.4674/2016 secondo cui si tratterebbe non di inesistenza ma di nullità sanabile con la costituzione in giudizio dell'amministrazione).

Anche secondo la dottrina, è preferibile interpretare l' art. 136, comma 1, c.p.a. nel senso che la Segreteria può procedere ad effettuare le comunicazioni a mezzo fax e, in via subordinata, con la tradizionale modalità del biglietto di cancelleria ex art. 45 c.p.c. in tutti i casi in cui il Giudice, a prescindere dall'impossibilità di procedere alla comunicazione a mezzo PEC per cause imputabili all'amministrazione della giustizia, lo ritenga necessario ai fini del raggiungimento dello scopo processuale che la comunicazione mira a perseguire (ad esempio, nei confronti del cittadino il cui indirizzo PEC non sia ancora contemplato nell'A.N.P.R. o nel caso in cui l'amministrazione non abbia provveduto a comunicare l'indirizzo PEC al Registro PP.AA. secondo quanto previsto dall' art. 16, comma 12, d.l. n.179/2012). In tali casi infatti la modalità descritta nell' art. 16, comma 13, d.l. n. 179/2012 (e, oggi, anche nell' art. 13, comma 8, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021) — secondo cui la “comunicazione si intende eseguita con il deposito dell'avviso o del provvedimento nel fascicolo processuale tenuto in modalità elettronica”, potrebbe risultare inutile, ad esempio nel caso in cui la comunicazione miri a una richiesta istruttoria effettuata direttamente alla parte pubblica non costituita in giudizio (Pisano).

La presunzione di conoscenza delle comunicazioni PEC

L'attuale formulazione dell'art. 136, comma 1- a differenza della precedente testo della norma per effetto delle modifiche apportate dall' art. 1, comma 1, lett. o), d.lgs. n. 195/2011 (c.d. “primo correttivo”) — non contiene, per quanto attiene al profilo tecnologico, un esplicito riferimento alla «presunzione di conoscenza» delle comunicazione effettuata a mezzo PEC.

A tal fine, soccorre sia l'esplicito rinvio dell'art. 1, lett. g) dell' All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021, alle regole tecniche in materia di comunicazioni a mezzo PEC di cui al d.P.R. n. 68/2005, sia l'art. 13, comma 6, dell’All.1 al citato  d.P.C.S.,  che esplicita che la comunicazione effettuata a mezzo PEC da parte dell'ufficio giudiziario si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario e produce gli effetti di cui agli artt. 45 e 48 del d.lgs. n. 82/2005 (Cad) :ciò significa, in particolare, che il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito dal mittente se inviato al proprio gestore, e si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore; inoltre, la trasmissione del documento informatico per via telematica, effettuata ai sensi del comma 1, equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta. L'art. 6 d.lgs. n. 82/2005 (CAD), come recentemente modificato dal d.lgs. n. 217/2017 -  espressamente applicabile al PAT, in virtù del rinvio contenuto nel d.P.C.S. 28 luglio 2021, testualmente precisa che le comunicazioni elettroniche trasmesse ad uno dei domicili digitali di cui all'articolo 3 -bis producono, quanto al momento della spedizione e del ricevimento, gli stessi effetti giuridici delle comunicazioni a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno ed equivalgono alla notificazione per mezzo della posta salvo che la legge disponga diversamente. Le suddette comunicazioni si intendono spedite dal mittente se inviate al proprio gestore e si intendono consegnate se rese disponibili al domicilio digitale del destinatario, salva la prova che la mancata consegna sia dovuta a fatto non imputabile al destinatario medesimo. La data e l'ora di trasmissione e ricezione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.

Con la nuova formulazione dell' art. 136, comma 1, c.p.a. (a seguito della l. n. 197/2017) la presunzione di conoscenza assume una connotazione particolare sotto il profilo giuridico: l'ultimo inciso dell' art. 136, comma 1, c.p.a. esplicita infatti che, ai fini dell'efficacia delle comunicazioni di Segreteria, è sufficiente che vada a buon fine una sola delle comunicazioni effettuate a ciascun avvocato componente il collegio difensivo..

Al riguardo va osservato che, per quanto riguarda i ricorsi depositati dopo l'avvio del Pat, le previsioni dettate dall' art. 136, comma 1 c.p.a. vanno integrate con quanto previsto nell' art. 13, comma 1, All. 1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 ai sensi del quale che le comunicazioni di Segreteria sono effettuate a mezzo PEC (...) non più nei confronti di uno soltanto, ma nei confronti di ciascun avvocato componente il collegio difensivo ovvero, alternativamente, nei confronti dell'avvocato domiciliatario eventualmente nominato, agli indirizzi PEC risultanti dai pubblici elenchi.

In proposito, Cons. St. IV,n. 714/2019  ha ribadito che nel processo amministrativo quando una parte sia costituita in giudizio con più procuratori, ciascuno dei quali con poteri di rappresentanza processuale, la notificazione o la comunicazione di atti processuali ad uno solo di essi è idonea a produrre gli effetti che alla stessa correlati e, pertanto, deve essere effettuata nei confronti di tutti.

In mancanza di espresse limitazioni, è da ritenere che l'efficacia delle comunicazione “ad uno soltanto” degli avvocati del collegio difensivo valga quale che sia la modalità di comunicazione prescelta dalla Segreteria, e quindi non soltanto per la comunicazione mezzo PEC, ma anche per quella effettuata a mezzo fax e per quella tradizionale tramite biglietto di cancelleria. È bene rilevare che la possibilità, per i difensori, di esprimere l'opzione se ricevere le comunicazioni all'intero collegio difensivo piuttosto che all'unico domiciliatario è espressamente prevista nell’All.1 al d.P.C.S. 28 dicembre 2020 esclusivamente con riferimento alle sole comunicazioni a mezzo PEC, ma — ferma restando per la Segreteria la possibilità di effettuare la comunicazione ad unico soggetto — nulla sembra ostare alla possibilità per il dominus di indicare negli atti processuali che debba essere il domiciliatario, anziché il dominus, il destinatario anche della comunicazione a mezzo fax o tramite biglietto di Segreteria.

In tema di validità delle comunicazioni effettuate a mezzo PEC in caso di pluralità di difensori, secondo Cons. St. IV, n. 2411/2020 è valida la comunicazione dell'avviso della perenzione al solo codifensore domiciliatario, benchè non  inviata a ciascun componente del collegio difensivo, atteso che in base alla lettera dell'art. 136 del D.Lgs. n. 104/2010 è valida ad ogni effetto la comunicazione di segreteria effettuata ad uno solo dei difensori. D'altra parte, in presenza di elezione di domicilio, la comunicazione va effettuata al domiciliatario, anche se il domiciliatario non è avvocato perché, l'assenza dello ius postulandi in capo al domiciliatario, diverso dal difensore, non rende inefficace l'elezione di domicilio, con conseguente validità della notifica effettuata presso lo stesso. L'elezione di domicilio presso una determinata persona va comunque intesa come scelta di quella persona quale destinataria della consegna degli atti da notificarsi ed è valida la notificazione eseguita in qualunque luogo il domiciliatario abbia un proprio recapito; secondo la medesima pronuncia, in presenza della comunicazione dell'avviso al difensore domiciliatario, la prassi delle segreterie di effettuare la comunicazione a tutti i codifensori non può certamente determinare, in caso di avviso al solo domiciliatario, una compressione dei diritti di difesa; Cass., sez. lav., n. 10635/2017, confermando un orientamento ormai costante (cfr. Cass. S.U., n. 12924/2014 e Cass. n. 11334/2004), ribadisce che nel caso di pluralità di difensori è valida, poiché sufficiente al raggiungimento dello scopo, la comunicazione inviata ad uno solo di essi, dovendosi presumere, peraltro, che, in mancanza di una volontà di segno contrario della parte, il mandato alle liti conferito a più difensori deve ritenersi disgiunto. Ed invero, la Corte precisa che nel caso in cui la parte sia costituita in giudizio tramite due o più procuratori, la rappresentanza, indipendentemente dal fatto che sia congiuntiva o disgiuntiva, esplica nel lato passivo i suoi pieni effetti nei confronti di ciascun procuratore; da ciò discende, dunque, la sufficienza della comunicazione ad uno solo dei procuratori costituiti. Con riferimento, invece, all’obbligo di effettuare le comunicazioni di segreteria all’indirizzo PEC del difensore e non al domicilio fisico del codifensore domiciliatario v. Cons. St. IV, ord., n. 2095/2018.

Secondo giurisprudenza consolidata, nel giudizio amministrativo le comunicazioni pervenute all'indirizzo PEC ovvero a un recapito fax indicato dai difensori nel ricorso o nel primo atto difensivo ai sensi dell' art. 136 c.p.a. «si presumono conosciute» (Cons. St. IV, n. 1400/2017) e ciò vale a escludere qualunque lesione di buona fede, correttezza, affidamento. La validità e l'efficacia della comunicazione tramite PEC possono essere contestate solo adducendo un difetto di funzionamento del sistema informatico o una causa di forza maggiore non imputabile al destinatario (Cons. St. V, n. 1617/2015). Peraltro la comunicazione del documento informatico per via telematica risulta assistita, sul piano tecnico, dall'utilizzo di protocolli di trasmissione che ne assicurano l'assoluta affidabilità in ordine all'indirizzo del mittente, a quello del destinatario, al contenuto della comunicazione ed all'avvenuto recapito del messaggio (Cons. St. Ad. plen., n. 33/2014; T.A.R. Campania (Napoli), n. 2945/2015Cons. St. VI, n. 3508/2013).

Le comunicazioni a mezzo fax

L' art. 136, comma 1, c.p.a. prevede l'onere dei difensori di indicare nel ricorso o nel primo scritto difensivo il numero di fax — e, successivamente, qualsiasi variazione di tale numero- al fine di ricevere eventuali comunicazioni processuali anche con tale modalità. La ratio della norma induce a ritenere che non si tratti di una mera facoltà, ma di un vero e proprio obbligo, assicurando alla Segreteria la possibilità di effettuare le comunicazioni con tale modalità (solo) qualora la comunicazione a mezzo PEC non sia possibile a causa del malfunzionamento del sistema informativo.

L' art. 13, comma 7, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 precisa che deve trattarsi di impossibilità originata da un «errore non superabile imputabile al Sistema»: in tal caso l'invio della comunicazione viene ripetuto e, in caso di ulteriore avviso di mancata consegna, la comunicazione viene effettuata dalla Segreteria a mezzo fax. A tale ipotesi l' art. 16, comma 8, del d.l. n. 179/2012 equipara le ipotesi in cui la Segreteria non possa procedere alla comunicazione tramite PEC per qualsiasi causa non imputabile al destinatario (ad esempio, nei confronti di controinteressati o parti private in quanto tali non forniti di indirizzo PEC risultante da pubblici elenchi, sempre che ne sia noto il recapito fax). L' art. 136, comma 1, c.p.a. invece, non sembrerebbe ammettere la possibilità di procedere alla comunicazione a mezzo fax in casi in cui la comunicazione a mezzo PEC sia impossibile per causa imputabile al destinatario. Tale caso ricorre, in particolare nei confronti delle pubbliche amministrazioni non costituite in giudizio che non abbiano provveduto ad istituire e comunicare l'indirizzo PEC di cui all' art. 16, comma 12, del d.l. n. 179/2012.

Si tratta, tuttavia, di un obbligo posto a carico del solo difensore e non, ad esempio, delle parti non costituite in giudizio o delle c.d. parti irrituali (consulente tecnico; commissario ad actaetc.). Con riferimento a tali soggetti, quindi, la comunicazione a mezzo fax presuppone la previa comunicazione da parte del predetto dell'utenza alla quale effettuare la comunicazione (ad esempio, in sede di conferimento dell'incarico). Tuttavia, se il possesso di una PEC è obbligatorio, per legge, per tutti i consulenti iscritti in Albi professionali, lo stesso non vale per il possesso di un recapito fax: ne deriva che, nei confronti di tali soggetti, la comunicazione con le tradizionali modalità cartacee potrebbe rivelarsi, anche dopo l'avvio del PAT, l'unica possibilità.

Alla luce anche delle recenti modifiche dell' art. 45 d.lgs. n. 82/2005 ( CAD) che ha decretato la progressiva eliminazione del fax quale strumento di comunicazione tra le pubbliche amministrazioni il fax deve comunque considerarsi uno strumento anacronistico, con una residua rilevanza esclusivamente a fini processuali. Anche in tale ambito, comunque, il fax è utilizzabile dalla Segreteria esclusivamente per le comunicazioni processuali «in uscita» e unicamente nei confronti dei difensori che abbiano indicato negli atti di causa una specifica utenza fax, mentre è assai dubbia l'utilizzabilità del fax per effettuare comunicazioni processuali alle amministrazioni il cui recapito non sia stato specificatamente comunicato alla Segreteria o comunque reso noto, ad esempio, mediante pubblicazione sul proprio sito web.. L'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 non contempla, invece, il fax come modalità di deposito in giudizio degli atti processuali (che, in tal caso, sarebbero in forma di copia informatica non sottoscritta con firma digitale, e quindi in ogni caso non rientrerebbero tra i formati ammessi ai sensi dell' art.12 All.1  al suindicato d.P.C.S): ne deriva che il fax, quindi, dopo l'avvio del Pat non è utilizzabile dai difensori e dalle altre parti processuali non soltanto per effettuare qualsiasi comunicazione processuali alla Segreteria «in entrata», ma altresì per depositare in giudizio atti e documenti processuali (secondo una prassi tollerata durante la vigenza del tradizionale processo cartaceo).

Si è già in precedenza evidenziato come il dlgs n. 149 del 2022 ha anche modificato l'ultimo comma dell'art. 136 c.p.c. (anche se non ha abrogato l'obbligo per il difensore di indicare il proprio numero di fax sancito dall'art. 125 c.p.c..), abolendo l'uso del fax quale forma di comunicazione del biglietto di cancelleria - in caso di impossibilità di consegna dello stesso al destinatario secondo le forme ordinarie -, stabilendo in tal caso che il biglietto sia rimesso all'ufficiale giudiziario per la notifica, e c'è da chiedersi se anche tale previsione sia destinata ad impattare sulla previsione di cui all'art. 136 c.p.a. comma 1 e di cui all'art 13 comma 7 All. 1 e 13 comma 8 All. 2 d.P.C.S. 28 luglio 2021.

In tema di fax, secondo prudente giurisprudenza amministrativa (Cons. St. IV, n. 4925/2016) la presunzione di conoscenza che consegue all'invio della comunicazione a mezzo fax al relativo recapito, accompagnata dal rapporto di ricezione, non ha natura assoluta. Difatti, può essere fornita la prova contraria che può riguardare proprio la funzionalità dell'apparecchio ricevente: in tale ipotesi, la prova deve essere necessariamente fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio secondo l'ordinaria regola processualcivilistica. In altri termini, il destinatario della comunicazione fax può superare la presunzione semplice di avvenuta conoscenza che consegue al c.d. rapporto di trasmissione opponendo il malfunzionamento dell'impianto ricevente.

L'obbligo di indicazione, da parte del difensore, di un numero di fax per la ricezione delle comunicazioni di Segreteria comporta la necessità, per il destinatario, di tenere attivata costantemente l'apparecchiatura in forma automatica ovvero di presidiare (o far presidiare), quantomeno nelle ore antimeridiane, il luogo in cui essa è installata sì da consentirne l'eventuale attivazione manuale, dovendosi ritenere, in difetto, che il duplice tentativo di invio del fax, effettuato dalla cancelleria in giorni diversi ed in ore antimeridiane, esaurisca le attività che possono ragionevolmente essere richieste all'Ufficio, con conseguente regolarità della notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza (Cass. VI, ord. n. 7080/2016); con riferimento alla analoga previsione contenuta nell' art. 134, comma 3, c.p.c., la giurisprudenza ha ritenuto che l'apposizione di un timbro contenente il numero di fax sulla memoria difensiva consente, in mancanza di indicazioni contrastanti evincibili dall'intestazione della medesima memoria, di ritenere implicita la volontà del difensore di voler ricevere le comunicazioni al predetto numero (Cass. I, n. 2561/2014). Una volta dimostrato l'inoltro del documento a mezzo fax al numero corrispondente a quello del destinatario, è perfettamente logico presumere che detta trasmissione sia effettivamente avvenuta. Ne consegue, pertanto, che a fronte di una comunicazione a mezzo fax ai sensi di quanto disposto dall' art. 136 c.p.a., della quale è provata sia la trasmissione che la ricezione, è onere del destinatario dimostrare in concreto le circostanze, ovvero i fatti che hanno effettivamente impedito la conoscenza di quanto asseritamente trasmesso (Cons. giust. amm. Sicilia, n. 555/2014). Nello stesso senso T.A.R. Lazio (Roma), n. 151/2015 secondo il quale il principio vigente in tema di documentazione amministrativa, come desumibile dal d.P.R. n. 445/2000, secondo cui la comunicazione mediante fax rappresenta strumento idoneo (in carenza di espresse previsioni che dispongano altrimenti) a determinare la piena conoscenza di un atto o di un documento, implica che laddove risulti debitamente documentato l'invio dell'atto dal c.d. rapporto di trasmissione, si forma una presunzione della sua ricezione in capo al destinatario, la quale, mentre non può essere vanificata da semplici dichiarazioni del destinatario che opponga tout court di non avere ricevuto il fax, può essere comunque vinta opponendo la mancata funzionalità dell'apparecchio ricevente depositando il rapporto di intervento dei tecnici e la causale di tale malfunzionamento.

Sulla base del consolidato orientamento secondo cui gli accorgimenti tecnici che caratterizzano la comunicazione via fax garantiscono una sufficiente certezza circa la ricezione del messaggio, tale mezzo è stato ritenuto idoneo a far decorrere i termini perentori per l'impugnazione, salva la prova contraria in ordine alla funzionalità dell'apparecchio ricevente, che deve essere fornita da chi afferma la mancata ricezione del messaggio (Cons. St. V, n.5845/2010; T.A.R. Sicilia (Catania) III, n. 861/2011; T.a.r. Campania  VI, n. 5202/2011). Secondo altro e più condivisibile orientamento, il fax non fornisce alcuna garanzia in ordine al soggetto che materialmente raccoglie l'atto né in ordine alla effettiva leggibilità della copia spedita, in ciò differenziandosi nettamente dalla PEC, che perviene ad una casella di posta elettronica che si presume nella sola disponibilità del destinatario e che certamente consente al medesimo di ricevere una copia integra (T.A.R. Piemonte I, n. 648/2012).

La dottrina ha manifestato perplessità in merito alle caratteristiche tecniche del fax che, contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza, non sono affatto idonee a dimostrare la certezza della ricezione della comunicazione (Pisano).

Le tradizionali comunicazioni tramite biglietto di cancelleria e il rapporto tra PEC ed elezione di domicilio

L'attuale formulazione dell'art. 136, comma 1, c.p.a. – in combinato disposto con l’art.2, comma 6, disp.att. c.p.a. - attribuisce alle tradizionali comunicazioni con biglietto di cancelleria un ruolo del tutto residuale: esse potranno effettuarsi solo in via del tutto eccezionale, cioè quando non solo non sia possibile procedere a mezzo PEC per impossibilità di funzionamento del sistema informativo o, più in generale, in ogni caso di causa non imputabile al destinatario, ma neppure sia possibile procedere a mezzo fax (cfr. art. 16, comma 8, d.l. n. 179/2012, in combinato con l' art. 136 c.p.a.).

Solo in tali casi, quindi, la Segreteria potrà procedere ad inviare il tradizionale biglietto di cancelleria al difensore oppure — secondo quanto previsto dall' art. 25 c.p.a. per gli avvocati che esercitano il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del Tribunale al quale sono assegnati- al domicilio da questi eletto nel comune sede del Tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata dove pende il ricorso.

Tuttavia, come già evidenziato, l'art. 136, comma 1, a rigore non impone ai difensori l'onere di indicare nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di domiciliazione «fisica», per i limitati casi in cui tale domiciliazione può ancora rilevate dopo l'avvio del Pat (cioè, la comunicazione con tradizionale biglietto di Segreteria nei casi eccezionali evidenziati o la notificazione con le tradizionali modalità cartacee).

Né tale obbligo è posto dall'art. 25, comma 1, (intitolato, appunto, “Domicilio”), ai sensi del quale, fermo quanto previsto, con riferimento alle comunicazioni di segreteria, dall'articolo 136, comma 1, nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi regionali, la parte, se non elegge domicilio nel comune sede del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata dove pende il ricorso, si intende domiciliata, ad ogni effetto, presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale o della sezione staccata e, nei giudizi davanti al Consiglio di Stato, se non elegge domicilio in Roma, si intende domiciliata, ad ogni effetto, presso la segreteria del Consiglio di Stato.

Dal 1° gennaio 2018, non essendo più operante la disposizione che prevedeva implicitamente la possibilità di eleggere domicilio fisico presso la Segreteria dell’ufficio giudiziario,  si pone quindi per le segreterie il problema del «domicilio fisico» in cui effettuare tale tipologia di comunicazioni, qualora il difensore non abbia esplicitamente provveduto.

L'art. 25, comma 1-ter, inserito dall'art. 7, comma 1, della l. n. 197/2016, stabilisce infatti che per i ricorsi soggetti alla disciplina del processo amministrativo telematico (cioè, i ricorsi depositati con modalità telematiche dal 1° gennaio 2017), a decorrere dal 1º gennaio 2018 non si applicherà più il comma 1 dell' art. 25 c.p.a., in virtù del quale in mancanza di tale indicazione la domiciliazione si intendeva ex lege effettuata presso la Segreteria dell'ufficio giudiziario. Ci si chiede, quindi, se anche in tal caso opererà o meno la presunzione di conoscenza contenuta nella fonte regolamentare, secondo cui «la comunicazione si ha per eseguita con il deposito del provvedimento nel fascicolo informatico, secondo quanto previsto dalle specifiche tecniche di cui all'articolo 19» ( art. 13, comma 9, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021).

La questione del rapporto tra elezione di domicilio fisico e PEC è stata recentemente affrontata dal parere reso dall’Ufficio Studi del Consiglio di Stato del 7 marzo 2018 (rinvenibile nella sezione Documentazione, cartella Processo Amministrativo Telematico del sito web istituzionale della G.A.) nel senso che il domicilio digitale, corrispondente all’indirizzo PEC del difensore contenuto nei pubblici registri (RegINde), costituisce domicilio eletto ex lege. Secondo l’interpretazione dell’Ufficio Sudi, il difensore ha l’onere di indicare tale indirizzo PEC e di comunicarne le successive variazioni, almeno sino a che il PAT non sarà, dal punto di vista tecnico, in grado di assicurare alle parti e alle segreterie degli uffici giudiziari la piena accessibilità (anche in chiave di aggiornamento) ai pubblici registri contenti gli indirizzi PEC al momento detenuti presso il Ministero della Giustizia.    La sola indicazione del domicilio digitale può essere considerata sufficiente; in tale evenienza, in caso di mancato funzionamento della PEC indicata, per causa imputabile al destinatario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell’atto presso la segreteria dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 16 sexies d.l. n. 179/2012; la parte ha, perciò, l’onere di indicare eventuali modifiche della PEC indicata come domicilio digitale, all’atto della costituzione. Secondo l’Ufficio Studi, non vi sarebbe l’obbligo di eleggere un domicilio fisico e nel caso di omessa indicazione sia del domicilio digitale (o di mancato funzionamento della PEC), sia del domicilio fisico nel Comune ove ha sede l’ufficio giudiziario, si procederà alle notificazioni mediante deposito dell’atto presso la segreteria dell’ufficio giudiziario, previo invio alla parte di una comunicazione di cortesia. L’elezione di domicilio fisico (in aggiunta al domicilio digitale) è ritenuta dall’Ufficio Studi ancora ammissibile e giuridicamente rilevante, anche nel nuovo assetto normativo. Solo nel caso in cui la PEC indicata come domicilio digitale non sia utilizzabile (per causa imputabile al destinatario) e il domicilio fisico sia stato eletto in un comune diverso da quello dove ha sede l’ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la lite, potrebbe infine procedersi alle notificazioni presso la segreteria.

La dottrina ha criticato la formulazione dell'art. 25, comma 1-ter, inserito dall'articolo 7, comma 1, della l. n. 197/2016, per la sua cripticità. La norma, infatti, non brilla per chiarezza nella parte in cui — analogamente al limite temporale previsto al fine di consentire al domiciliatario il deposito degli atti telematici in luogo del dominus- non si evince se anche le comunicazioni potranno essere effettuate al domiciliatario, in alternativa al difensore, solo fino al 31 dicembre 2017. La disposizione in argomento costituisce infatti retaggio di un mondo legato ad adempimenti «fisici» (quali il deposito in Segreteria di atti processuali o la ricezione di notificazioni o comunicazioni cartacee) che mal si concilia con il processo telematico. La sua ratio quindi, è probabilmente da rinvenirsi in esigenze di «concentrazione» degli adempimenti processuali, atteso che, nello stesso periodo temporale, il dominus della causa è tenuto a garantire il deposito in Segreteria di almeno una copia analogica autentica del ricorso ed è comunque preferibile propendere per la tesi negativa. Ciò malgrado, l’interpretazione dell’Ufficio Studi non è comunque pienamente condivisibile nella parte in cui, nel ritenere la sufficienza dell’elezione del domicilio digitale (corrispondente, nel PAT, alla PEC risultante da pubblici elenchi) da un lato non tiene conto, quanto alle notificazioni, che la ratio della modifica della norma è proprio quella di vietare la notifica presso la Segreteria qualora la parte non abbia eletto domicilio fisico presso la sede (ritenuta invece possibile in detto parere) e che comunque nel processo amministrativo nessuna disposizione di legge prevede – al contrario del “vecchio” art. 125 c.p.c. – che l’indicazione della PEC valga “ad ogni effetto di legge”, ivi comprese le  notificazioni. (Pisano).

L'ambito applicativo del PAT

L'art. 7, comma 3, della l. n. 197/2016 definisce, sotto il profilo temporale, l'ambito applicativo del Pat, stabilendo che le modifiche apportate con tale norma alla tradizionale modalità di svolgimento del processo amministrativo hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017. Ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continueranno ad applicarsi, fino all'esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Con tale intervento, il legislatore va di diverso avviso rispetto a quanto precedentemente statuito nell' art. 21 dell' All.1 al d.P.C.S. 28 dicembre 2020che, per i procedimenti iniziati in data anteriore all'avvio del Pat con il tradizionale regime cartaceo, faceva salve le disposizioni previgenti fino all'esaurimento del grado di giudizio in corso al momento di entrata in vigore del processo telematico. Anche Cons. St., sez. cons. per gli atti normativi, con parere n. 66/2016 aveva ritenuto che «il regime transitorio previsto dal regolamento sia preferibile a quanto disposto con la norma primaria, poiché assicura una più agevole transizione dal vecchio al nuovo regime processuale, consentendo altresì di superare i rilevanti problemi organizzativi connessi con l'applicazione delle norme del processo telematico a procedimenti iniziati con modalità cartacee, problemi che potrebbero riflettersi anche sulla certezza giuridica del processo di informatizzazione stesso».

La ratio della richiamata previsione regolamentare, finalizzata a sottrarre il Pat dalle problematiche applicative verificatesi nel Pct con riferimento all'opzione del c.d. «doppio binario» (consistente nella tenuta dei fascicoli processuali in parte con modalità cartacee e in parte con modalità digitale), risulta quindi sconfessata dal successivo art. 7, comma 3, della l. n. 197/2016 che al contrario ha previsto, anche per i ricorsi nati in modalità cartacea prima del 1 gennaio 2017, che le norme vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 168/2016 cesseranno comunque di avere applicazione, ove il grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa non sia ancora esaurito, alla data del 1° gennaio 2018. Anche per i tradizionali ricorsi «cartacei», quindi, il deposito di tutti gli atti e i documenti di causa che avvenga successivamente alla data del 1° gennaio 2018 dovrà essere effettuato con modalità telematica, in forma digitale e dovranno essere rispettati tutti gli ulteriori adempimenti telematici previsti dalla l. n. 197/2016 nonché dal d.P.C.S.

La Faq n.1, pubblicata nella sezione Faq del Processo amministrativo telematico del sito istituzionale giustizia-amministrativa.it, evidenzia che il Pat si applica ai soli giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017. Come chiarito nella Faqn. 2 questa regola si applica anche ai motivi aggiunti depositati dopo il 1 gennaio 2017 con riferimento a ricorsi nati prima di tale data, sebbene a rigore si tratti di nuovi ricorsi (ciò dipende esclusivamente da ragioni tecniche, in quanto i motivi aggiunti proposti su ricorsi introduttivi nati prima del 1° gennaio 2017 non potrebbero, attualmente, essere incardinati in un fascicolo elettronico). Quanto ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, come chiarito dalla Faq n. 2, continuano ad applicarsi, fino all'esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme vigenti alla data di entrata in vigore del d.l. n. 168/2016.

Sebbene l'art. 7, comma 3, l. n. 197/2016 faccia riferimento ai «ricorsi», lo spartiacque della forma digitale del 1° gennaio 2017 appare applicabile anche alla trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, ai sensi del d.P.R. n. 1199/1971. La particolarità è costituita dal fatto che in tali casi, quale che sia la data di instaurazione del procedimento di ricorso straordinario, dovrà farsi riferimento alla data della costituzione in giudizio ai sensi dell' art. 10 del richiamato d.P.R. n. 1199/1971: il Pat si applicherà, quindi, a tutti i casi di deposito dell'atto di costituzione in sede giurisdizionale a far data dal 1° gennaio 2017 (Pisano).

Segue. La validità degli atti cartacei depositati fino all'1.1.2018 e l'obbligo di depositare le copie in via informatica

Per i ricorsi depositati in data antecedente alla data del 1° gennaio 2017 — che, ai sensi dell' art. 7, comma 3, d.l. n. 168/2016 come mod. dalla l. n. 197/2017, non sono soggetti al regime del Pat — la validità giuridica, fino alla data del 1° gennaio 2018, è attribuita esclusivamente agli atti e ai documenti depositati con le tradizionali modalità cartacee.

Resta tuttavia l'onere, per il difensore costituito, di inviare la «copia in via informatica» dell'originale analogico, quantomeno fino alla data del 1° gennaio 2018, in cui —secondo le intenzioni del legislatore- dovrebbe realizzarsi il completo passaggio dalla modalità cartacea a quella digitale. In tal caso non potranno tuttavia essere utilizzati i nuovi Moduli di deposito, previsti per il Pat, ma dovranno essere seguite le tradizionali modalità relative al deposito della copia «in via informatica» di cui alla vecchia formulazione dell' art. 136, comma 2, c.p.a., descritte nelle «Note tecniche per il deposito di atti difensivi e documenti in formato digitale via posta elettronica certificata» del Segretario Generale della g.a. del 10 novembre 2011.

Queste le principali indicazioni del Segretariato:

– Gli avvocati, solo dopo aver effettuato il tradizionale deposito cartaceo, dovranno trasmettere gli scritti difensivi e i documenti in formato digitale via PEC, inviandoli dalla loro casella PEC professionale alla casella di PEC della sezione interna del TAR o del Consiglio di Stato (o del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana) a cui è assegnato il relativo giudizio.

– Dovrà essere inviato un unico messaggio di posta per ogni atto da depositare, con due allegati.

Il primo allegato dovrà essere il modello predisposto dal Consiglio di Stato, un file in PDF modificabile, in cui, attraverso appositi pop up menu, vanno riportati la tipologia dell'atto per il quale si deposita la copia informatica, il suo numero di protocollo, ed il numero di registro del giudizio a cui si riferisce.

Il secondo allegato è, ovviamente, il file da trasmettere.

In particolare, quando a fronte di un unico numero di protocollo, ci sono più documenti da trasmettere (tipico il caso del ricorso introduttivo con la produzione di documenti ad esso allegata) questi dovranno essere riuniti in un unico file compresso di tipo .zip.

La Faq n. 2, pubblicata nella sezione Faq del Processo amministrativo telematico del sito istituzionale giustizia-amministrativa.it, evidenzia che «Il sistema «blocca» i depositi effettuati con il «canale Pat» di scritti e documenti che si riferiscono a ricorsi proposti prima del 1° gennaio 2017».

È opportuno evidenziare che il concetto di «copia in via informatica» è atecnico e non trova alcuna corrispondenza nelle definizioni di documento informatico del d.lgs. n. 82/2005 (Cad), come recentemente modificato dal d.lgs. n.217/2017, tanto da poter astrattamente consentire l'utilizzo di qualsiasi modalità che consenta il deposito presso la Segreteria dell'ufficio giudiziario di una copia informatica di documento analogico. Ciò aveva portato molti uffici giudiziari a disapplicare la richiamata circolare del Segretario Generale, secondo cui il deposito delle copie in via informatica doveva necessariamente avvenire a mezzo PEC, e a privilegiare ulteriori modalità, quali il deposito di floppy disk, CD Rom, l'invio di mail contenenti il testo word degli atti etc. (Pisano).

La dottrina evidenzia come, anche nel caso di deposito della copia in via informatica di cui all' art. 136, comma 2, c.p.a., si trattasse — e tuttora di tratti, nei casi in cui tale obbligo ancora residua — di un obbligo non sanzionato (Guarnaccia, Pisano).

Segue. L'obbligatorietà della firma digitale

L' art. 136, comma 2-bis, c.p.a. sancisce, con riferimento ai ricorsi depositati dal 1° gennaio 2017, l'obbligo di sottoscrizione di tutti gli atti processuali, dei provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari e del personale degli uffici giudiziari con firma digitale. Ai sensi dell'art. 7, comma 8-bis, l. n. 197/2016, l'obbligatorietà della firma digitale riguarda anche i pareri resi dal Consiglio di Stato e dal Consiglio di giustizia amministrativo per la Regione siciliana e gli atti delle segreterie relativi all'attività consultiva. Dal 1° gennaio 2018, inoltre, la sottoscrizione con firma digitale sarà estesa a qualsiasi atto di parte depositato in giudizio successivamente a tale data, pur se relativo a ricorsi incardinati in data antecedente al 1° gennaio 2017 (art. 7, comma 3, l. n. 197/2016).

Pur in assenza di esplicitazione di un obbligo di sottoscrizione con firma digitale, lo stesso si evince dalla sostituzione della locuzione «possono» — inserita nell'originaria formulazione dell' art. 136, comma 2-bis, c.p.a dal d.lgs. n. 160/2012 (c.d. «secondo correttivo» al Codice) con decorrenza dal 3 ottobre 2012 — con il categorico «sono», con decorrenza dal 1° gennaio 2017. È interessante rilevare che, nel Pat — a differenza del PCT, in cui la relativa previsione è prevista esclusivamente nelle regole tecniche di cui al D.M n. 44/2011 — anche i Giudici — analogamente agli altri attori processuali-sono espressamente soggetti, in virtù di una norma primaria, all'obbligo di sottoscrivere qualsiasi provvedimento con firma digitale. Tale previsione non è espressamente prevista per i magistrati appartenenti ad altre giurisdizioni.

T.A.R. Campania (Napoli) II, n. 1053/2017 ritiene che l' art. 136, comma 2-bis, c.p.a., nello stabilire che tutti gli atti delle parti, salvo specifiche eccezioni, sono sottoscritti con firma digitale, e non più che gli stessi «possono essere sottoscritti con firma digitale» (come nel testo anteriore al d.l. n. 168/2016, convertito in l. n. 197/2016) contenga un'espressa disposizione sulla forma degli atti. La prescrizione dell'art. 40 in base al quale il ricorso deve contenere la sottoscrizione del ricorrente, se sta in giudizio personalmente, o del difensore munito di procura speciale, deve quindi intendersi riferita alla sottoscrizione mediante firma digitale. Nello stesso senso andrebbe interpretato l'art. 44, comma 1, lett. a), per il quale il ricorso è nullo se manca la sottoscrizione, con la conseguenza che la mancanza della sottoscrizione digitale renderebbe nullo il ricorso. Si evidenzia che secondo la giurisprudenza prevalente, alla assoluta mancanza della firma digitale deve essere equiparata la firma digitale apposta solo sul Modulo di deposito ricorso. Tale eventualità si verifica, ad esempio, quando il ricorso notificato sia stato redatto come originale cartaceo, e lo stesso sia depositato in giudizio in formato di copia per immagine. In senso opposto, Cons. St.  V, n. 5490/2017 e n.1541/2017 secondo cui anche dopo l'avvio del PAT l'atto processuale sottoscritto con firma autografa del difensore  va ritenuto meramente irregolare e non inesistente o nullo. Di recente, è stata posta all'attenzione del T.A.R. Roma, III, decr. pres. n. 11181/2017  la questione relativa alla nullità per mancanza di sottoscrizione con firma digitale dei motivi aggiunti, notificati in modalità cartacea e depositati in copia informatica, causata dalla mancata asseverazione, ai sensi dell'art. 23 del C.A.D. della conformità all'originale informatico munito di firma digitale. La questione è stata risolta nel senso che nel caso in esame ricorre una causa di irregolarità sanabile (in fattispecie identica, Cons. St. III, n. 4286/2017).  

Come rilevato dalla dottrina, nell'ottica della realizzazione di un vero processo telematico, la disposizione si rivolge espressamente a tutte le parti processuali — compresi, quindi, il consulente tecnico d'Ufficio, il commissario ad acta; i soggetti pubblici incaricati di effettuare verificazioni e le amministrazioni direttamente investite di richieste di chiarimenti e trasmissione di documentazione a seguito di attività istruttoria nonché alle parti pubbliche e private che intervengono, in proprio, nel processo — e non più soltanto ai difensori costituiti (Pisano).

L'atto processuale informatico

Con l' art. 136, comma 2-bis, c.p.a. il legislatore ha introdotto anche nel processo amministrativo il concetto di «atto processuale informatico», estendendo alla funzione giurisdizionale l'utilizzo di strumenti e categorie previsti, per l'attività della pubblica amministrazione, dal d.lgs. n.82/2005, (Cad ), recentemente modificato dal d.lgs. n.217/2017.

Se tuttavia, secondo la nuova formulazione dell'art.20, comma 1 bis, del CAD « Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'articolo 2702 del c.c. quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'articolo 71 con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore. In tutti gli altri casi, l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità. La data e l'ora di formazione del documento informatico sono opponibili ai terzi se apposte in conformità alle Linee guida.», l'unica tipologia di documento informatico nativo digitale rilevante ai fini Pat, per espresso richiamo della disposizione in argomento, è quello di cui all' art. 21, comma 2, d.lgs. n. 82/2005 (CAD), cioè il documento informatico sottoscritto con firma digitale.  Si evidenzia che con le recenti modifiche al codice dell'amministrazione digitale, apportate con il d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217 si è espressamente affermato (nuovo art.20 comma 1 ter) che “l'utilizzo del dispositivo di firma elettronica qualificata o digitale si presume riconducibile al titolare di firma elettronica, salvo che questi dia prova contraria”.

Non è invece contemplata, allo stato, la possibilità di utilizzare — a fini processuali — sia documenti informatici sottoscritti con firma c.d. «semplice», sia documenti sottoscritti con firma elettronica avanzata o qualificata, la cui definizione è contenuta oggi nell'art. 20, comma 1 bis del d.lgs. n.82/2005, come sostituito dal d.lgs. n. 217/2017.

Secondo quanto specificamente previsto dalle regole tecniche del processo amministrativo dettate dal d.P.C.S. 28 luglio 2021, l'atto processuale in forma di documento informatico è costituito da un atto redatto in formato  Pdf  sottoscritto con firma PAdES - Bes, utilizzando l'algoritmo Sha — 256. In tal modo, sarà possibile apporre una firma digitale valida secondo le disposizioni della Delibera Cnipa 45/2009. Ai fini della validità giuridica della firma inoltre deve trattarsi, come esplicitato dal richiamato d.P.C.S. di una firma corrispondente ai criteri di cui all' art. 24 d.lgs. n. 82/2005 (CAD), che a sua volta rinvia alle Regole tecniche in materia di generazione, apposizione e verifica delle firme elettroniche avanzate, qualificate e digitali, dettate dal d.P.C.M. 22 febbraio 2013.

In particolare, per la generazione della firma digitale deve adoperarsi un certificato qualificato che, al momento della sottoscrizione, non risulti scaduto di validità ovvero non risulti revocato o sospeso, in quanto l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione, salvo che lo stato di sospensione sia stato annullato. La revoca o la sospensione, comunque motivate, hanno effetto dal momento della pubblicazione, salvo che il revocante, o chi richiede la sospensione, non dimostri che essa era già a conoscenza di tutte le parti interessate.

Il d.lgs n. 149 del 2022 ha introdotto una disciplina dettagliata, quanto al processo civile, dell'atto informatico e del deposito telematico, apportando sia modifiche all'art. 46 disp. att. c.p.c. in tema di forma degli atti giudiziari, sia introducendo norme specifiche nel nuovo Titolo V bis; tuttavia attesa la presenza di una disciplina analitica ed autosufficiente per il processo amministrativo, si ritiene che le nuove norme introdotte per il PCT non abbiano alcun impatto diretto.

Secondo Cons. St. V, n. 1614/2019 all'utilizzazione del formato CAdES, anziché del prescritto formato PAdES, consegue la mera irregolarità dell'atto processuale; infatti, il ricorso redatto in formato cartaceo anziché digitale (con conseguente violazione dell'art. dall'art. 136, comma 2-bis, d.lgs n. 104/2010) va ritenuto irregolare e non nullo (né, tanto meno, inesistente), con conseguente obbligo del giudice di assegnare un termine alla parte per la regolarizzazione dell'atto nel formato digitale;  contra T.a.r. Basilicata, n. 160/2017 è inammissibile il ricorso sottoscritto con firma CAdES (evincibile dalla citazione «pdf.p7m»), in considerazione, oltre che della formale violazione degli artt. 6, comma 5, e 12, comma 6 del d.P.C.M. n. 40/2016, ora riproposte integralmente nelle corrispondenti disposizioni dell'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 - che sanciscono l'obbligo del formato di firma digitale PAdES, della sostanziale illeggibilità della relativa documentazione, se non disponendo di uno specifico programma. Per lo stesso motivo si è ritenuta non nulla ma inesistente la notifica del ricorso sottoscritto con la medesima tipologia di firma, non consentita dalle regole tecniche e, perciò, non sanabile ai sensi dell' art. 44, comma 4, c.p.a. con la costituzione in giudizio della controparte, equivalendo ad una notifica priva di sottoscrizione. Di opposto orientamento il T.A.R. Campania (Napoli) IV, n. 1799/2017 che ha rilevato come il formato PAdES  previsto dal d.P.C.M. n. 40/2016 - ora integralmente richiamato nell'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021- al fine della sottoscrizione e del deposito dei Moduli di Deposito, e non per la notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, sicché la violazione delle specifiche tecniche costituirebbe una mera irregolarità sanabile ai sensi dell' art. 156 c.p.c. In questo senso si e espressa anche Cass.  S.U., n. 7665/2016  con riferimento a ricorso depositato in formato word anziché  Pdf. La sentenza è particolarmente interessante perché richiama espressamente il cd. regolamento eIdas ( Regolamento UE n. 910/2014) ai sensi del quale non si può negare validità giuridica alla firma CAdES. Aderisce a tale orientamento T.A.R. Sardegna I, n. 262/2017Cons. St. III,  n.5504/2017 ha di recente evidenziato che le specifiche tecniche del processo amministrativo, aventi valore regolamentare, assumono un carattere eccezionale rispetto alla disciplina generale di matrice europea (regolamento eIDAS e decisione esecutiva della Commissione europea 2015/1506 dell'8 settembre 2015) ma, anche alla luce di siffatte osservazioni, non può essere condivisa la tesi secondo cui la sottoscrizione digitale apposta mediante il formato CAdES sia da considerare addirittura inesistente così da impedirne la sanatoria secondo gli ordinari meccanismi processuali (art. 44 comma 3 del c.p.a.). Ne deriverebbe la mera irregolarità sanabile. 

In tal senso, di recente, Cons . St. n. 744/2018e T.A.R. Campania Napoli, I, ord. n. 673 /2018 secondo cui la circostanza che la copia del ricorso introduttivo utilizzato per la notifica risulti sottoscritta in formato CAdES, anziché PAdES, non integra una ipotesi di inesistenza o di nullità del ricorso per omessa sottoscrizione dell'atto ai sensi dell'art. 44, comma 1 lett. a), c.p.a., né integra una ipotesi di nullità della notificazione dell'atto introduttivo. Si tratta di una mera irregolarità della notificazione determinata dall'inosservanza delle specifiche tecniche del PAT, rispetto alla quale può essere concesso l'errore scusabile con la rimessione in termini per la notifica. 

Per le motivazioni richiamate in detta sentenza, non sembrano potersi applicare al processo amministrativo i principi di recente enunciati da Cass. S.U. n. 10266/2018, secondo cui le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES sono valide ed efficaci anche nel processo civile di Cassazione, senza eccezione alcuna. Entrambe, infatti, sono ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, alla luce di quanto disposto dal diritto dell'Unione europea e dalle norme, anche tecniche, di diritto interno.

Dal punto di vista tecnologico, l'art. 136, comma 2, c.p.a.  nasce già «vecchio», sia in quanto non tiene conto del fatto che il documento sottoscritto con firma digitale corrisponde ad una soltanto delle possibili manifestazioni del «documento informatico» descritte dal Cad, sia in quanto non tiene conto del Regolamento europeo e- Idas , Regolamento UE n. 910/2014, che ha sancito il c.d. principio di «non discriminazione» della firma.

A decorrere dal 1° luglio 2016, con la piena efficacia del Regolamento, è divenuto infatti obbligatorio per tutte le pubbliche amministrazioni che accettano firme digitali (o qualificate) accettare tutti i formati definiti nella Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione dell'8 settembre 2015 (Pisano).

Le modalità di apposizione della firma digitale

Quanto alle modalità con cui la firma digitale deve essere apposta, analogamente a quanto in passato accadeva per la firma autografa, anche la firma va apposta all'atto processuale nativo digitale. Con l'apposizione della firma digitale – visualizzabile attraverso l'apposito programma Adobe gratuitamente scaricabile dal sito internet della Giustizia Amministrativa- infatti, risulterà in modo certo anche la data e l'ora in cui l'atto è stato creato.

La FAQ n.10 pubblicata nel sito istituzionale della Giustizia amministrativa, chiarisce che per “file nativo digitale” si intende il documento informatico ottenuto tramite software di videoscrittura (word, openoffice, libre office, ecc.) trasformato in PDF senza scansione. Nel processo amministrativo telematico tutti gli atti di processuali di parte e/o provvedimenti del giudice devono, quindi, essere così realizzati.

Quanto alla previsione dell' art. 6, comma 5, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 (ai sensi del quale laddove al modulo di deposito siano allegati più atti e documenti, «la firma digitale PAdES (..)si intende estesa a tutti i documenti in essi contenuti»), si tratta di una norma tecnica che descrive la caratteristica tecnologica del Modulo di deposito, che automaticamente estende la sottoscrizione digitale apposta al Modulo a tutti gli atti eventualmente allo stesso allegati. Sotto il profilo giuridico, tuttavia, la mera sottoscrizione con firma digitale del Modulo deposito ricorso non potrebbe valere a sanare la mancanza, ab origine, della firma digitale dell'atto introduttivo del giudizio (che, secondo le regole proprie del processo amministrativo, prima di essere depositato in giudizio in originale deve essere notificato), né la firma digitale apposta sul Modulo dal domiciliatario potrebbe sanare la mancanza di firma digitale del dominus nell'atto di parte allegato.

T.A.R. Lazio, III-Bis, n. 3231/2017 interpretava l' art. 6, comma 5, All. A, d.P.C.M. n. 40/2016 -  ora riproposto integralmente nella corrispondente disposizione dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 - nel senso che il riferimento ai «documenti» allegati al Modulo debba intendersi riferito, in senso onnicomprensivo, anche agli atti di parte. Quindi non soltanto nel caso di deposito di documenti, ma anche nel caso di atti di parte, la sottoscrizione del Modulo si estende agli stessi. Tali atti, naturalmente, si intenderanno firmati soltanto al momento della sottoscrizione di invio del modulo stesso. Nello stesso senso, T.A.R. Calabria I, n. 209/2017. Di diverso avviso T.a.r.. Campania I, n. 1694/2017 che, negando natura di fonte regolamentare alle specifiche tecniche allegate al d.P.C.MM. n. 40/2016, ritiene che l'art. 6, comma 5 dell'All.A. nella parte in cui consente di prescindere dalla sottoscrizione con firma digitale di ogni singolo atto di parte, contrasterebbe con la previsione di rango sovraordinato di cui all' art. 136, comma 2-bis c.p.a., nonché con l' art. 9 del citato d.P.C.M. n. 40/2016; T.a.r. Calabria  I, ord. n. 50/2017, pur negando l'estensione della firma apposta sul Modulo al ricorso allegato in forma digitale che ne era privo nonché la validità di una firma digitale apposta ad un atto introduttivo informatico redatto solo dopo la notificazione di un ulteriore atto cartaceo, ha ritenuto tuttavia di disporre la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell' art. 37 c.p.a.

Secondo la dottrina, non c'è motivo per negare efficacia giuridica alla sottoscrizione degli atti diversi dal ricorso introduttivo (memorie difensive, istanze di prelievo e in generale tutti gli atti che possono essere redatti e depositati contestualmente) con la sola firma di sottoscrizione del Modulo di deposito di cui all’art. 6, comma 5, All. A, d.P.C.M. n. 40/2016- ora riproste nel d.P.C.S. 28 luglio 2021 tenendo conto che, in tal caso, la data, l’ora e l’autore dell’atto processuale saranno identificati con riferimento al momento e al soggetto che procede alla sottoscrizione del Modulo. In tali casi, infatti, le modalità tecnologiche che consentono di «estendere» la firma del Modulo a tutti gli atti ad esso allegati — secondo un principio insito anche nella c.d. firma digitale «plurima», che ad esempio consente al Giudice di firmare con una sola firma innumerevoli provvedimenti- anche sotto il profilo giuridico induce a superare, nel mondo tecnologico, tutte le obiezioni legate alle tradizionali modalità di firma legate al mondo cartaceo (Pisano).

Il deposito degli atti e dei documenti di causa con modalità telematiche

Con la nuova formulazione dell' art. 136, comma 2, c.p.a., come modificato dalla l. n. 197/2016 — che stabilisce, in via di regola, che per i ricorsi incardinati dal 1° gennaio 2017 tutti gli attori processuali sono onerati di depositare in giudizio qualsiasi atto e documento di causa con modalità telematiche- la tradizionale modalità di formazione del fascicolo di causa, ancorata al deposito degli atti cartacei in Segreteria, ha subito un radicale cambiamento. Si tratta di una regola generale che, seppur con l'utilizzo di differenti modalità, riguarda tutti gli attori processuali, dalle parti pubbliche e private (costituite o meno in giudizio), al giudice, ai suoi ausiliari. L' art. 136, comma 2, c.p.a. codifica, in tal modo, la «modalità telematica» come nuova regola del procedimento di incardinamento dei ricorsi amministrativi e della formazione del fascicolo processuale, lasciando invece al successivo comma 2-bis la previsione della c.d. “forma digitale” come forma privilegiata degli atti di causa. Si evidenzia che l'art. 20 comma 1 quater del d.lgs. n. 82/2005, introdotto dall'art.20 del d.lgs. n.217/2017 precisa che “Restano ferme le disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa, anche regolamentare, in materia di processo telematico.»

Le prescrizioni dettate in tema di deposito con modalità telematiche dall' art. 136, comma 2, c.p.a. vanno integrate con quanto previsto dal nuovo art. 13, comma 1, ultimo inciso, disp. att. c.p.a. che al fine di garantire la tenuta del sistema e la perfetta ricezione dei depositi attribuisce al Segretario Generale della Giustizia Amministrativa il potere di stabilire, con proprio decreto, i limiti delle dimensioni del singolo file allegato al modulo di deposito effettuato mediante PEC o upload.

La FAQ  n. 6 pubblicata sul sito internet della G.A. riporta che, ai sensi del decreto del Segretario Generale della Giustizia amministrativa del 23 dicembre 2016, n. 154:

1) la dimensione del singolo file inviato a mezzo PEC non può superare i 10 MB, fermo restando il limite complessivo dei 30 MB per singola PEC e fatta salva la possibilità di depositi frazionati;

2) la dimensione del singolo file caricato mediante upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 30 MB;

3) la dimensione complessiva dei file depositati mediante un caricamento in upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 50 MB, fermo restando la possibilità di depositi frazionati.

I file di dimensioni superiori ai 30 MB, non frazionabili, possono essere acquisiti direttamente dalle Segreterie degli organi giurisdizionali, nel rispetto delle regole tecniche e allegate specifiche, fatta salva la possibilità, in casi eccezionali, di autorizzazione al deposito cartaceo, ai sensi del citato art. 13, comma 1, delle Norme di attuazione del c.p.a.

L'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 dedica al deposito con modalità telematiche degli atti e dei documenti di causa una serie di disposizioni assai dettagliate. In particolare, le modalità del deposito non sono rimesse alla libera scelta degli utenti, ma rigidamente tipizzate: più precisamente, nel Pat il concetto di «deposito di atti e documenti processuali con modalità telematica» è imprescindibilmente legato all'incardinamento dell'atto introduttivo del giudizio e dei successivi atti e documenti mediante la compilazione di particolari «Moduli di deposito», scaricabili gratuitamente dal sito istituzionale della Giustizia Amministrativa. Tali Moduli da un lato presentano dei “campi”, nei quali vanno inserite le informazioni richieste, dall'altro richiedono l'allegazione dell'atto introduttivo del giudizio, dei documenti di causa, delle memorie, degli atti successivi al primo e in generale di qualsiasi richiesta debba essere inoltrata alla Segreteria. In particolare, al “Modulo deposito Ricorso” andrà allegato l'atto di parte, redatto in formato PDF nativo digitale e già autonomamente sottoscritto con firma digitale, affinché il sistema informativo possa creare il fascicolo informatico e attribuire allo stesso un Numero di Registro generale. Il Modulo deposito Ricorso, quindi, andrà a sua volta sottoscritto ma, a differenza di quanto previsto dalle regole tecniche del Pct, esclusivamente con firma PAdES ( art. 6, comma 4, All.1 d.P.C.S. 28luglio 2021).

Il “Modulo deposito Atto”, invece, è il Modulo con il quale vanno depositati in giudizio, indicando il relativo numero, tutti gli atti di causa o documenti che presuppongano la preesistenza di un fascicolo al quale è già stato attribuito, con modalità telematiche, un N.R.G ( art.9, comma 1, All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021). Sono inoltre previsti specifici moduli per le richieste in Segreteria, per il deposito ausiliari del giudice e parti non rituali e per il deposito delle istanze ante causam.

Tali Moduli, al fine del deposito in giudizio, devono quindi essere inviati, di regola, tramite la PEC individuale del difensore, risultante dal ReGIndE alla casella PEC della sede giudiziaria adita pubblicata sul Sito Istituzionale. Solo in casi residuali il deposito dei Moduli potrà avvenire tramite caricamento diretto nel sistema con il c.d. upload. Si rammenta, inoltre, che ai sensi dell' art. 13, comma 1-quater, dell'All.2, disp.att. c.p.a. sino al 31 dicembre 2017 i depositi dei ricorsi, degli scritti difensivi e della documentazione possono essere effettuati con PEC o, nei casi previsti, mediante upload attraverso il sito istituzionale, dai domiciliatari anche non iscritti all'Albo degli avvocati.

Con l'avvio del PAT, quindi, prima ai sensi del d.P.C.M. n. 40/2016 e oggi del d.P.C.S. 28 luglio 2021 non possono ritenersi ammesse ulteriori modalità telematiche di deposito, seppure eventualmente previste dal d.lgs. 82/2005 (CAD) –  che in proposito, con le modifiche apportate dal d.lgs. n.217/2017 all'art. 20, comma 1 quater evidenzia come “restano salve le modalità di deposito previste in materia di processo telematico - o utilizzate nella prassi degli uffici giudiziari (quali, ad esempio, l'invio della documentazione tramite fax o allegandola alle mail; l'invio tramite PEC ad indirizzi diversi da quelli resi noti sul sito istituzionale e non destinati in modo specifico al deposito, oppure l'invio per mail o per PEC di atti o documenti senza l'utilizzo dei prescritti Moduli). Né dovrebbe ritenersi ammessa la tradizionale modalità di deposito «cartaceo» al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, prevalentemente legati alla impossibilità di funzionamento del sistema informativo, e/o specificatamente autorizzati dal Giudice con provvedimento motivato (analogamente a quanto previsto per il Pct dall' art. 16-bis del d.l. n. 179/2012). Ciò in quanto la finalità del processo telematico è, principalmente, quella di garantire la progressiva accelerazione dei tempi processuali ed una migliore efficienza del servizio giustizia, per la quale è necessario emanciparsi dall'utilizzo delle tradizionali modalità, anche organizzative, legate al mondo cartaceo.

  Secondo T.A.R. Campania (Napoli),n. 369/2020 nel processo amministrativo telematico tutti gli atti processuali allegati con il Modulo di deposito, ove non sottoscritti ex ante, devono ritenersi firmati al momento della sottoscrizione di invio del Modulo di deposito (secondo quanto riscontrabile tramite il software Adobe), ai sensi di quanto attualmente previsto dall'art. 6, comma 5, All. 1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 che espressamente prevede che "la firma digitale PADES si intende estesa a tutti i documenti contenuti" (nel Modulo n.d.r.). Deve infatti ritenersi che le indicate regole tecniche vadano ad integrare il disposto dell'art. 136, comma 2-bis, c.p.a. secondo il quale "Salvi i casi di cui al comma 2, tutti gli atti e i provvedimenti del giudice, dei suoi ausiliari, del personale degli uffici giudiziari e delle parti sono sottoscritti con firma digitale". Nel processo amministrativo telematico non ha rilievo la circostanza che all'atto del deposito del ricorso, il ricorrente non depositi la copia del ricorso analogico previamente notificato, in quanto, ai sensi di quanto prescritto dall'art. 45, comma 3, c.p.a., ciò che rileva è che la documentazione comprovante la notifica dell'atto sia depositata prima che il ricorso venga introitato in decisione. L'assenza della sottoscrizione digitale, il deposito della copia del ricorso in forma cartacea e non in formato nativo digitale con sottoscrizione con firma digitale e più in generale violazioni della normativa PAT non configurano ipotesi di nullità ma di irregolarità "sanabili" entro un termine perentorio disposto dal giudice. A tal fine è irrilevante che la predetta regolarizzazione sia stata effettuata dalla parte in via preventiva, in assenza dell'ordine del Giudice, che ove intervenisse, sarebbe inutiliter dato.

Si evidenzia che malgrado nessuna disposizione in tal senso dia attualmente prevista nel d.P.C.S, secondo Cons. giust. amm. Sicilia decr. n. 93/2022, nel regime del processo amministrativo telematico è da stigmatizzare la tecnica di deposito di documenti mediante un mero elenco numerico senza indicazione dell'oggetto di ciascun documento, che costringe il giudice a un defatigante lavoro di apertura dei singoli documenti "alla cieca" con il rischio continuo di errore.

In senso contrario alla tesi della radicale inammissibilità dell'incardinamento del ricorso redatto e depositato con le tradizionali modalità cartacee dopo l'avvio del PAT si è espresso  Cons. St. V, n. 5490/2017, che ha richiamato Cons. St. IV, n. 1541/2017, affermando che nella vigenza della disciplina sul processo amministrativo telematico l'atto di parte prodotto in forma non nativa digitale non è né inesistente, né abnorme, né nullo. Esso deve ritenersi piuttosto irregolare, con la conseguenza che spetta al giudice rilevare la difformità dal modello legale e stabilire un termine per la rinnovazione dell'atto a pena di irricevibilità del ricorso (nel caso di specie, si trattava di un appello depositato in modalità cartacea, con atto sottoscritto con firma autografa). Varrebbe quindi anche per il processo amministrativo il principio generale sancito dall'art. 156, primo comma, c.p.c., secondo il quale l'inosservanza di forme comporta la nullità degli atti del processo solo in caso di espressa comminatoria da parte della legge (cfr. Cons. St. VI, n. 1290/2011; Cass. S.U. , n. 14916/2016 , cit.).

Poiché nella disciplina del Pat manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, viene meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito; difettando, anche in questo caso, disposizioni che sanciscano la nullità dell'adempimento se realizzato in formato cartaceo.

Cons. St. V, n. 4193/2018 ha evidenziato che le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma sono previste come lo strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, il quale si pone come l'obiettivo che la norma disciplinante la forma dell'atto intende conseguire; conseguentemente, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali "non tutela l'interesse all'astratta regolarità dell'attività giudiziaria, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. In termini, Cons. St. V, n.3953/2018, ha ritenuto che anche dopo l'avvio del PAT il ricorso redatto in formato cartaceo è un atto irregolare e non nullo in quanto con conseguente obbligo per il giudice, in caso di mancato rispetto della modalità di redazione in formato digitale, di assegnare un termine alla parte per la regolarizzazione dell'atto nel formato di legge. (Riforma T.A.R. Lazio (Latina), n. 304/2017). In termini anche T.A.R. Sicilia (Catania), n. 474/2020 , secondo cui il  ricorso in appello redatto in formato cartaceo, sottoscritto con firma autografa del difensore e parimenti notificato alla parte appellata è da ritenersi meramente irregolare e non inesistente o nullo, giacché, pur non essendo conforme alle regole di redazione dell'art. 136, comma 2-bis, d.lgs. n. 104/2010, non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (art. 156, primo comma 1, d.lgs. n. 104/2010) e ha comunque raggiunto il suo scopo tipico, dal che consegue la sola oggettiva esigenza della regolarizzazione.

  Quanto all'erroneo deposito, attraverso i prescritti Moduli, di un file diverso da quello che si intendeva depositare, di recente T.A.R. Lazio (Roma) II, ord. 30 aprile 2018, n. 4727 – ha accolto l'istanza di un difensore, tendente ad ottenere la rimessione in termini per il deposito dell'atto di ricorso per motivi aggiunti, nel caso in cui: a) l'omesso deposito di tale atto sia stato la conseguenza del fatto che il difensore, in sede di invio della PEC, ha inavvertitamente allegato il modulo di deposito relativo ad un ricorso diverso da quello di interesse; b) il medesimo difensore abbia regolarmente ricevuto dal SIGA il messaggio di avvenuta «registrazione» del deposito; in tal caso, infatti, può configurarsi una ipotesi di errore scusabile ex art. 37 c.p.a., in quanto verificatosi pochi mesi dopo l'avvio del processo amministrativo telematico e, quindi, in una fase nella quale deve ammettersi che gli avvocati potessero non aver ancora acquisito piena dimestichezza con le nuove modalità di gestione degli adempimenti processuali.

Segue. Il deposito a mezzo PEC

Per quanto riguarda il deposito a mezzo PEC, l’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 dedica a tale modalità di deposito, che costituisce la “regola” per quasi tutti gli attori processuali (ad eccezione del Giudice, dell'Avvocatura dello Stato e delle parti chiamate in giudizio dal Giudice) gli artt. 9, commi da 3 a 6, e l'art.7.

-Quanto alla prima disposizione, in realtà, essa si limita a prevedere le condizioni in virtù delle quali nel PAT il deposito a mezzo PEC si intende perfezionato.

La previsione di tale disciplina nella fonte di rango regolamentare aveva indotto il legislatore (evidentemente scettico riguardo alla possibilità per il d.P.C.M. n. 40/2016 di incidere sulle norme del c.p.a.), a recepire il contenuto dell'art. 9 del d.P.C.M. n. 40/2016 - ora riproposto integralmente nell’art. 9 del d.P.C.S. 28 luglio 2021 -  nel nuovo art.4, comma 4, All. 2 disp.att. c.p.a.

L'art. 7, comma 2, lettera b) del d.l. n. 168, conv. con mod. dalla l. n. 197/2016, con riguardo ai ricorsi depositati in giudizio a decorrere dal 1° gennaio 2017, interviene infatti a precisare il concetto di tempestività del deposito, tenendo conto dell'esigenza — già sorta nel PCT, e risolta con l' art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179/2012, come modificato dalla l. n. 228/2012- di assicurare certezza ai depositi avvenuti con modalità telematiche, sia rispetto ai malfunzionamenti del sistema operativa, sia rispetto ad eventuali problematiche organizzative connesse agli adempimenti di Segreteria conseguenti al deposito.

Con tale disposizione di rango primario viene quindi attribuita espressamente alla parte che effettua il deposito la possibilità di procedere a tale adempimento con modalità telematiche, fino alle ore 24:00 dell'ultimo giorno consentito.

Con riferimento al deposito effettuato a mezzo PEC, la norma precisa che il deposito è tempestivo se entro le ore 24:00 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, ove il deposito risulti, anche successivamente, andato a buon fine (in tal senso dispone anche l' art.9, comma 3, dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021,  richiamando le specifiche tecniche di cui all'art. 19).

Se invece al mittente perviene il messaggio di mancata consegna della PEC di deposito, l’attività di deposito – se ancora i termini non siano scaduti – dovrà essere ripetuta con il medesimo contenuto.

Cons. St., n. 2247/2022 ribadisce l’orientamento giurisprudenziale cheritiene il deposito oltre le ore 12  tardivo ai fini della garanzia dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche. Il termine delle ore 24.00 per il deposito degli atti di parte, previsto dell'art. 4, comma 4, primo periodo, disp. att. c.p.a., vale dunque solo per quegli atti processuali che non siano depositati in vista di una camera di consiglio o di un'udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data. In senso contrario, T.A.R. Toscana n. 562/2021 secondo cui con l'entrata a regime del processo amministrativo telematico, gli atti in scadenza possono essere depositati con modalità telematica fino alle ore 24 dell'ultimo giorno, ai sensi dall'art. 4 co. 4 delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo (All. 2 del d.lgs. n. 104/2010); non è pertanto fondata l'opposizione alla richiesta di discussione orale, per violazione del termine stabilito dall'art. 4 del d.l. n. 28/2020, come richiamato dall'art. 25 del d.l. n. 138/2020, in quanto il deposito oltre le ore 12 dell'ultimo giorno utile dell'istanza non incide in alcun modo sul diritto di difesa delle controparti (in termini, già Cons. St. IV, n. 3309/2018). Precisa T.A.R. Emilia Romagna (Bologna), n.11/2021 che la possibilità di depositare in via telematica atti in scadenza è assicurata fino alle ore 24 dell'ultimo giorno consentito secondo i termini perentori, cioè fino allo spirare dell'ultimo giorno: il deposito telematico si considera, quindi, perfezionato e tempestivo con riferimento al giorno, senza rilevanza preclusiva con riguardo all'ora.

Di contro, Cons. giust. amm. Sicilia, n. 344/2018, con riferimento alla corretta interpretazione da dare all’art. 4 dell’allegato 2 delle disposizioni di attuazione del c.p.a. (dove, per un verso, è scritto che «È assicurata la possibilità di depositare con modalità telematica gli atti in scadenza fino alle ore 24.00 dell’ultimo giorno consentito»; e, per altro verso, che «Agli effetti dei termini a difesa e della fissazione delle udienze camerali e pubbliche il deposito degli atti e dei documenti in scadenza effettuato oltre le ore 12.00 dell’ultimo giorno consentito si considera effettuato il giorno successivo».) ha ritenuto che l’apparente antinomia tra queste due previsioni – la prima tesa a sfruttare a pieno le possibilità e il funzionamento ininterrotto del processo telematico; la seconda riproduttiva di un canone incentrato invece sulla considerazione del fattore umano e sull’organizzazione degli uffici, in particolare delle segreterie – si può spiegare ove si riferisca la prima scadenza a tutti quegli atti di parte che non sono depositati in vista di una camera di consiglio o di un’udienza di cui sia (in quel momento) già fissata o già nota la data; laddove, invece, la seconda scadenza va riferita agli atti depositati in funzione di un’udienza, camerale o pubblica, già stabilita, per i quali la garanzia dei termini a difesa ha suggerito al legislatore di anticipare il deposito.

L'art.4 ultimo comma assolve in realtà esclusivamente alla ratio, qualora una controparte intenda replicare ad un atto processuale, di consentirgli –analogamente a quanto previsto per le Segreterie- una dilazione nel prendere materialmente contezza dell'atto digitale, qualora questo sia depositato oltre le ore 12.00. Ad accedere alla tesi del T.a.r. Lombardia, peraltro, si perverrebbe alla conclusione secondo cui la medesima memoria sarebbe ammissibile o meno, a seconda che la controparte ritenga o meno di depositare una memoria di replica (in quanto solo in tal caso opererebbe la regola che la memoria si considererebbe depositata il giorno successivo). Qualora, quindi, il difensore depositi oltre le ore 12.00 del giorno di scadenza,   la controparte potrà giovarsi, a sua volta, di un ulteriore giorno per redigere la memoria di replica, applicandosi tal caso la disposizione nella parte in cui prevede - con una ratio, in verità, piuttosto incomprensibile atteso che le segreterie degli studi legali non “chiudono” alle ore 12.00 – che ai fini della decorrenza del (solo) termine a difesa – ma non della tempestività del deposito- ove effettuato con modalità telematiche oltre le ore 12.00, il deposito si considera effettuato il giorno successivo (Pisano).

Qualora invece i termini siano scaduti,  l’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021,  all'art. 9, comma 3, descrive una peculiare ipotesi, propedeutica alla rimessione in termini “ex post”: il depositante dovrà comunque effettuare il deposito telematico e, ai fini della successiva richiesta di rimessione in termini al Giudice, dovrà allegare in giudizio il messaggio di mancata consegna unitamente alla ricevuta di avvenuta accettazione generata tempestivamente. Tali documenti, in quanto generati come originali informatici, ben potranno essere allegati secondo le consuete modalità al Modulo di Deposito.

La fattispecie in questione costituisce, a ben vedere, una sorta di “regolarizzazione” del deposito telematico, del tutto diversa dalla rimessione in termini di cui all' art. 37 c.p.a.

Il presupposto dell'istanza di cui trattasi non è, pertanto, la sussistenza di “oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto”, ma la circostanza oggettiva della ricezione da parte del mittente del messaggio di mancata consegna del messaggio PEC. In tal caso, quindi, a differenza di quanto previsto dall' art. 37 c.p.a., non sembra sussistere alcuna discrezionalità del Giudice nel concedere la rimessione in termini (rectius: regolarizzazione) ai fini della tempestività del deposito, tranne nel caso in cui il Giudice dal messaggio di mancata consegna depositato in giudizio non tratta elementi per ritenere che il mancato deposito nei termini di legge è addebitabile al difensore.

L'ipotesi in questione è, inoltre, differente da una ulteriore ipotesi di “rimessione in termini”, elaborata in via giurisprudenziale al fine di consentire al difensore di regolarizzare il deposito telematico che, pur intervenuto nei termini, a rigore doveva ritenersi inammissibile per mancato rispetto dei formati di cui all'art. 12 dell’All.2 al d.P.C.S. 28 luglio 2021.

Quando invece il messaggio di posta elettronica certificata ecceda la dimensione massima gestibile dalla casella del mittente, il deposito degli atti o dei documenti può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata (c.d. frazionamento).

In tal caso il deposito, ove andato a buon fine, si perfeziona con la generazione dell'ultima ricevuta di accettazione. Si applica la disposizione di cui al secondo periodo del comma 3 (art. 9, comma 5, di cui all’All.1 del  richiamato d.P.C.S.).

Occorre evidenziare che nel PAT la tempestività del deposito assume un significato diverso rispetto alla simile (ma non identica) previsione prevista per il PCT, cioè il richiamato art. 16-bis comma 7, d.l. n. 179/2012, anche sotto un altro profilo: nel PCT infatti, non solo si tiene conto della ricevuta di avvenuta consegna e non di quella di accettazione, ma il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza (e quindi non fino alle ore 24.00, ma fino alle ore 23:59:59). È inoltre necessario evidenziare che la tempestività del deposito potrebbe non coincidere con il perfezionamento del deposito, per il quale occorre la ricezione di un messaggio di avvenuta protocollazione, con il quale il S.I.G.A. comunica all'avvocato depositante che il deposito è avvenuto con successo.

Analogamente a quanto previsto dall' art. 4, comma 2, disp. att. c.p.a. per il deposito con le tradizionali modalità cartacee, anche l' art. 9, comma 4, dell’All.1 al d.P.C.S.  stabilisce che nei casi in cui il codice prevede il deposito di atti o documenti sino al giorno precedente la trattazione di una domanda in camera di consiglio, anche il deposito effettuato con modalità telematiche deve avvenire entro le ore 12.00 dell'ultimo giorno consentito (e non, quindi, entro le ore 24 del giorno di scadenza). Resta comunque salva la possibilità per il difensore di costituirsi in udienza, in quanto l' art. 9, comma 8, dell’All.1 al richiamato d.P.C.S rinvia espressamente ai commi 7 e 8 dell' art. 55 del c.p.a. In tal caso, il Collegio è tenuto ad autorizzare l'avvocato a costituirsi mediante deposito di copia cartacea (discutibile, invece, è la possibilità del Giudice di autorizzare la costituzione mediante la consegna di un supporto informatico contenente i singoli atti e documenti in forma digitale, non trattandosi di modalità ammessa dal richiamato d.P.C.S, art.12 All.2).

- L'art.7 All. A (specifiche tecniche) scende invece nel dettaglio tecnico del deposito a mezzo PEC, prevedendo che l'invio tramite PEC dell'atto introduttivo, dei relativi allegati e degli altri atti di parte venga effettuato dalla casella PEC individuale dell'avvocato difensore alla casella PEC della sede giudiziaria adita all'indirizzo pubblicato. A tal fine, l'avvocato che utilizza la PEC dovrà abilitare, analogamente a quanto previsto per il PCT, l'opzione di «ricevuta completa» sulla propria casella PEC prima di inviare il Modulo Deposito Ricorso o il Modulo Deposito Atto.

Una volta proceduto all'invio, l'avvocato riceverà automaticamente:

a) dal proprio gestore, un messaggio PEC di avvenuta accettazione della PEC di deposito, con indicazione della data e dell'ora di accettazione;

b) successivamente, dal gestore dell'Amministrazione un messaggio di avvenuta consegna della PEC di deposito. Inoltre, il S.I.G.A. invierà all'avvocato, entro le ore 24.00 del giorno lavorativo successivo alla ricezione della PEC di avvenuta consegna, un ulteriore messaggio PEC, denominato «registrazione di deposito», che riporta l'indicazione del numero progressivo di protocollo assegnato e l'elenco di tutti gli atti e documenti trasmessi con il ModuloDepositoRicorso o il ModuloDepositoAtto. Diversamente da quanto previsto nel PCT, ai fini del rispetto dei termini processuali, una volta ricevuto il messaggio di cui al comma 4, il deposito si considera effettuato nel momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della PEC, di cui al comma 3, lettera a).

Il messaggio di registrazione di deposito contiene le indicazioni sulle eventuali anomalie di carattere tecnico riscontrate nel deposito, che tuttavia non impediscano il deposito.

Qualora invece il deposito non possa essere elaborato dal S.I.G.A. a causa del mancato rispetto delle caratteristiche tecniche del messaggio di PEC (c.d. Errore Fatale), il mittente riceverà a mezzo PEC, nello stesso termine di cui al comma 4, un messaggio di «mancato deposito», attestante il mancato perfezionamento del deposito.

L'avvenuta registrazione del deposito può essere verificata anche attraverso l'apposita funzione del Portale dell'Avvocato.

Infine, si prevede che nel caso di messaggi eccedenti il limite di capacità della casella di posta certificata del mittente, il S.I.G.A. consente il frazionamento del deposito del ricorso introduttivo e dei relativi allegati. In tal caso, nel primo modulo inviato, deve essere inserito l'indice di tutti i documenti in corso di deposito, mentre nei successivi invii deve farsi riferimento al primo modulo inviato. Infine, qualora il deposito del ricorso introduttivo sia fatto a mezzo PEC l’All.1 al d.P.C.S. 28 idicembre 2020 consente, nei casi di cui all'articolo 6, comma 8, il deposito dei relativi allegati nonché degli atti successivi al primo anche tramite upload.

Rispetto alle modalità tecniche del deposito a mezzo PEC descritte dall’All.1 al richiamato d.P.C.S., l'art. 7 della l. n. 197/2016 è intervenuto con tratti fortemente limitativi.

Sotto un primo profilo, infatti, l'art. 7, comma 6 della l. n. 197/2016 stabilisce che al fine di garantire la sicurezza del sistema informativo (S.i.g.a.), a decorrere dal 1° gennaio 2017 per i depositi telematici degli atti processuali e dei documenti effettuati dai difensori e dalle Pubbliche amministrazioni può utilizzarsi esclusivamente l'indirizzo di PEC risultante dai pubblici elenchi, gestiti dal Ministero della giustizia (che, con riferimento alle PP.AA., corrisponde all'indirizzo di cui all' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012).

La ratio di tale previsione appare nebulosa, atteso che sotto il profilo tecnologico inerente alla «sicurezza» il deposito effettuato tramite le PEC dei pubblici elenchi di cui all'art. 16-terl. n. 228/2012 non appare assistito da maggiori garanzie rispetto al quello effettuato tramite PEC risultante da altri pubblici elenchi (ad esempio, l'Indice Ipa, gestito dall'AgID). Si rileva, peraltro, che la norma va di contrario avviso rispetto a quanto precedentemente statuito nel d.P.C.M. n. 40/2016 e ora ribadito nell’All.1 al d.P.C.S. 28 dicembre 2020 che, per esigenze di semplificazione, con riferimento al deposito in giudizio da parte delle amministrazioni non costituite in giudizio prevedeva la possibilità di utilizzare qualsiasi casella PEC in possesso del dipendente purché risultante dai pubblici elenchi. La norma, tuttavia, è priva di sanzione: non è chiaro quindi se l'utilizzo di una diversa PEC impedisca, tecnicamente, che il deposito vada a buon fine o se a tale eventualità possano conseguire conseguenze giuridiche, quali l'eventuale inammissibilità del deposito.

Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd.  n. 707/2022 ha di recente ritenuto, in materia di ricorso elettorale, che l'errore nell'invio della Pec a un ufficio diverso del medesimo tribunale non obbliga il giudice o la segreteria dell'ufficio giudiziario a provvedere alla regolarizzazione dell'adempimento non andato a buon fine e che di fatto non determina la litispendenza della causa davanti al giudice amministrativo. In caso di invio ad indirizzo PEC errato pur se dello stesso ufficio il deposito dovrà considerarsi tamquam non esset.

Sotto un secondo profilo, il legislatore è intervenuto attribuendo al Segretario generale della g.a. il potere di introdurre ulteriori limiti anche al deposito tramite PEC (limiti che nel d.P.C.M. n. 40/2016 tenevano esclusivamente conto della capacità della casella di PEC mittente), volti a salvaguardare l'integrità del S.I.G.A. ricevente. In particolare, ai sensi del decreto del Segretario generale della Giustizia amministrativa del 23 dicembre 2016, n. 154 la dimensione del singolo file inviato a mezzo PEC non può superare i 10 MB, fermo restando il limite complessivo dei 30 MB per singola PEC e “fatta salva la possibilità di depositi frazionati”. Ne consegue che, qualora tale “frazionamento” non sia possibile, al difensore impossibilitato a procedere al deposito con modalità telematiche non resterà che presentare istanza di autorizzazione al deposito cartaceo, ai sensi dell' art. art.13, comma 1, All.2, disp.att. c.p.a.

La dottrina rileva che l'intervento di cui all'art.7, comma 6 della l. n. 197/2016 comporterà effetti organizzativi particolarmente gravosi, specie per le amministrazioni di grandi dimensioni: ciascun singolo ufficio, infatti, dovrà trasmettere, eventualmente anche tramite utilizzo di semplice posta elettronica istituzionale, la documentazione richiesta e gli eventuali atti di accompagnamento (sottoscritti con firma digitale del funzionario delegato a provvedere) all'unico ufficio titolare della PEC deputata al deposito in giudizio degli atti processuali. Secondo tale norma, infatti, il deposito dovrà necessariamente essere effettuato con una PEC dell'amministrazione diversa da quella del funzionario che ha redatto e firmato la relazione al Modulo: è superfluo precisare che, in tal caso, tanto la relazione allegata che il modulo dovranno comunque essere firmati (in tal caso, la firma di chi effettua il deposito risulterà diversa da quella di chi ha firmato l'atto depositato). Ne deriva che, qualora l'amministrazione che deve procedere all'adempimento processuale non sia munita di indirizzo PEC ai sensi dell' art. 16, comma 12, d.l. n. 179/2012, le saranno inibiti i depositi telematici. È del tutto evidente, quindi, che dal 1° gennaio 2017 non potranno essere ritenuti ammissibili — anche ove eventualmente tollerate prima di tale data — depositi di relazioni istruttorie effettuate dall'amministrazione (oltre che con modalità cartacea) a mezzo fax o con PEC indirizzate ad indirizzi diversi da quelli Pat, resi noti sul sito istituzionale dell'amministrazione della giustizia (e diversi da quelli attualmente utilizzati per il deposito delle copie in via informatica di cui all'attuale formulazione dell'art. 136, comma 2).

La FAQ n. 6 pubblicata sul sito internet della G.A. (aggiornata al 30 marzo 2017) alla domanda Quali sono le dimensioni massime che deve avere il file inviato dalla parte?” risponde:

Ai sensi del decreto del Segretario generale della Giustizia amministrativa del 23 dicembre 2016, n. 154:

1) la dimensione del singolo file inviato a mezzo PEC non può superare i 10 MB, fermo restando il limite complessivo dei 30 MB per singola PEC e fatta salva la possibilità di depositi frazionati;

2) la dimensione del singolo file caricato mediante upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 30 MB;

3) la dimensione complessiva dei file depositati mediante un caricamento in upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 50 MB, fermo restando la possibilità di depositi frazionati.

I file di dimensioni superiori ai 30 MB, non frazionabili, possono essere acquisiti direttamente dalle Segreterie degli organi giurisdizionali, nel rispetto delle Regole e Specifiche tecniche, fatta salva la possibilità, in casi eccezionali, di autorizzazione al deposito cartaceo, ai sensi del citato art. 13, comma 1, delle Norme di attuazione del c.p.a.

La FAQ n. 47 delle “Istruzioni operative interne sul processo amministrativo telematico”, facendo seguito

alla FAQ n.6, prescrive che ove i depositi superino le dimensioni previste dal decreto del Segretario generale della Giustizia amministrativa del 23 dicembre 2016, n. 154 l’avvocato deposita, con il Modulo atti l’indice documenti nel quale è indicato il documento (l’indice acquisirà un suo numero di protocollo), con una nota firmata con la quale dichiara che il documento sarà depositato in formato cartaceo perché supera i limiti consentiti. L’avvocato deposita direttamente presso l’Ufficio Ricevimento o la Segreteria della Sezione il documento in formato digitale purchè con la relativa attestazione di conformità (su supporto Usb o Cdrom); l’ufficio provvederà all’acquisizione e il documento prenderà un nuovo numero di protocollo.

La FAQ n. 39 delle Istr. oper.int.  alla domanda “Come può l’avvocato verificare che il deposito tramite PEC sia avvenuto correttamente? (2-1-2017)” risponde:

L'invio tramite PEC genera automaticamente due ricevute:

1) Ricevuta di Accettazione (generata dal proprio gestore di PEC);

2) Ricevuta di Consegna (generata dal gestore di PEC del destinatario).

Il Sistema della G.A. genera poi, entro le 24 ore successive, una terza Ricevuta PEC.

La terza Ricevuta contiene le informazioni sul deposito (conferma di avvenuto deposito o motivazione per cui il deposito non è andato a buon fine). Alla domanda “Cosa può fare l’avvocato se il deposito non va a buon fine? (2-1-2017)” la FAQ n.38 risponde che deve sanare le anomalie indicate nella PEC di risposta generata dal sistema (terza ricevuta). Può tuttavia accadere che l’avvocato non riesca a visualizzare nel Portale dell'Avvocato gli atti depositati per motivi diversi, e cioè che pur essendo il deposito in realtà andato a buon fine: a) non siano trascorse almeno 2-3 ore dal deposito; b) il browser non risulti correttamente configurato (è ad esempio necessario abilitare i “Pop-Up” in quanto i documenti sono aperti in schermate differenti da quella principale, e controllare i livelli di protezione di antivirus e firewall. In tal caso, qualora il difensore non provveda a verificare, potrebbe verificarsi il deposito multiplo dello stesso atto o scritto difensivo. Come chiarito dalla FAQ 24 delle Istr. oper. int. in tal caso ove la Segreteria riesca ad accorgersi dell’anomalia invia immediatamente all’avvocato una “comunicazione di cortesia”, segnalando l’accaduto e chiedendo se  vuole che siano cancellati i depositi  successivi al primo. La risposta dell’avvocato dovrà essere trasmessa entro 24 ore dalla ricezione della “comunicazione di cortesia”, al fine di evitare che il deposito sia “lavorato” dalla Segreteria o che, nel caso in cui tale deposito multiplo sia di ricorsi, ci sia l’atto di costituzione in giudizio di altre parti del rapporto processuale. In tali ipotesi la cancellazione non sarebbe più possibile e diventerebbe obbligatorio il versamento del contributo unificato. La richiesta di cancellazione può essere effettuata dallo stesso avvocato entro 24 ore dal compiuto deposito. Non è possibile procedere alla cancellazione se il deposito di un atto difensivo è diverso da quello indicato nel modulo (ad es. nel Modello Depositi Ricorsi si indica il ricorrente Tizio Rossi mentre si allega il ricorso proposto da Caio Bianchi o si deposita una memoria in conferente con il ricorso pendente.

Segue. Il deposito a mezzo upload

Come già evidenziato, nel disciplinare le modalità di deposito “telematico” di cui all' art.136, comma 2, c.p.a., il d.P.C.M. n. 40/2016, ora richiamato integralmente dagli All.1 e 2 del d.P.C.S. ,  propende nettamente per il deposito tramite PEC, prevedendo il caricamento diretto, o “upload” come modalità assolutamente residuale. Ciò non toglie che tale modalità costituisca una assoluta novità nell'ambito del processo telematico (seppure allo stato limitata alle ipotesi tassativamente individuate dagli allegati 1 e 2  del d.P.C.S) e che il suo potenziamento potrebbe porre al riparo i difensori dalla quasi totalità delle problematiche di natura tecnica connesse al deposito in giudizio degli atti e dei documenti processuali tramite PEC. In particolare, l' art. 9, comma 6 dell’All.1 al d.P.C.S. stabilisce che (solo) “nel caso in cui, per ragioni tecniche o per la particolare dimensione del documento, il deposito non può avvenire mediante PEC, ad esso può procedersi mediante upload attraverso il sito istituzionale. In tal caso, ai fini del rispetto dei termini, il deposito si considera perfezionato all'atto della registrazione dell'invio da parte del S.I.G.A”. In tali casi – cioè, o quando ricorrono particolari ragioni tecniche (non imputabili ad difensore) che precludono l'utilizzo della PEC o quando lo stesso sia reso impossibile dalle particolari dimensioni dell'atto o del documento, non supportate dalla PEC del mittente, in genere limitate a 30 mbyte (ad esempio, quando si proceda al deposito di numerosi documenti scansionati, come ad es. le procure dei ricorsi collettivi etc.)- secondo il d.P.C.S., il difensore potrebbe procedere direttamente al caricamento diretto, limitandosi ad indicarne la motivazione all'atto del deposito. Rispetto alle modalità tecniche descritte nel richiamato d.P.C.S, tuttavia, la successiva l. n. 197/2016 – mossa dall'evidente intento di scongiurare rischi di “crash” del sistema informativo- ha limitato (oltre ai parametri tecnici per procedere al deposito tramite un'unica PEC), l'ambito applicativo dell'upload. In particolare, l' art. 13, comma 1 bis, all. 2, disp.att., c.p.a. – al fine di garantire la tenuta del sistema e la perfetta ricezione dei depositi — ha attribuito al Segretario generale della Giustizia Amministrativa il potere di stabilire, con proprio decreto, i limiti delle dimensioni del singolo file allegato al modulo di deposito effettuato mediante PEC o upload . A differenza del decreto n. 40/2016 — che ammette il caricamento con upload in ogni caso in cui il file da depositare superi i 30 MB –il decreto n. 154/2016 del Segretario Generale della Giustizia amministrativa stabilisce che dimensione del singolo file caricato mediante upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 30 MB e la dimensione complessiva dei file depositati mediante un caricamento in upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 50 MB, fermo restando la possibilità di depositi frazionati. Per effetto di tale decreto, nella sostanza, la possibilità di ricorrere al deposito mediante upload viene ad essere depotenziata all'unica ipotesi dell'impossibilità tecnica di procedere al deposito mediante PEC (per comprovati ed oggettivi problemi legati al gestore di posta), purché il singolo file non superi i 30 MB. In mancanza di una espressa sanzione processuale per il caso in cui il difensore si avvalga dell'upload al di là dei ristrettissimi limiti stabiliti nel decreto n. 154/2016, la preventiva autorizzazione del Giudice potrebbe soccorrere ogni qual volta non possa procedersi al deposito dell'atto o del documento con una unica PEC e tuttavia non sia possibile/non appaia opportuno procedere al deposito con modalità telematiche mediante c.d. “frazionamento” dell'atto/documento in più invii PEC, che renderebbe assai disagevole la lettura dell'atto o del documento depositato e nel contempo, trattandosi di difensore “fuori sede” sia altrettanto disagevole far caricare l'atto informatico recandosi personalmente in Segreteria

Per quanto attiene alla tempestività del deposito effettuato con upload, il riferimento dell' art. 4, comma 4, disp. att. c.p.a. alle ricevute di accettazione e di consegna, di cui al d.P.R. n. 65/2008, implica necessariamente che il deposito di cui si tratta e effettuato a mezzo PEC, non valendo tali definizioni con riferimento al deposito effettuato tramite caricamento diretto (upload). In tal caso, in mancanza di riferimenti nella norma primaria, la tempestività e il perfezionamento del deposito seguono le regole di cui all' art. 8, comma 4 All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021, secondo cui ai fini del rispetto dei termini processuali, il deposito con upload si considera effettuato nel momento in cui il S.I.G.A. ha registrato l'invio del ricorso o degli altri atti processuali, generando la ricevuta di registrazione ai sensi del comma 3. Analogamente a quanto avviene per il deposito a mezzo PEC, anche in tal caso la tempestività del deposito potrebbe non coincidere col perfezionamento dello stesso. Una volta completato il caricamento del Modulo mediante upload, il S.I.G.A. genera immediatamente un messaggio di avvenuta ricezione. Secondo l' art. 8, comma 4, All.1 al d.P.C.S., ai fini del rispetto dei termini processuali, il deposito si intende effettuato al momento di generazione del messaggio di ricezione. Si tratta, tuttavia, di un perfezionamento «provvisorio», in quanto il deposito si intende andato a buon fine solo con il successivo invio, da parte della Segreteria, del messaggio di avvenuto deposito. Tale messaggio di deposito, in modo del tutto analogo al messaggio di protocollazione del deposito PEC, reca il numero di protocollo dell'atto e il numero R.G. del procedimento. La Segreteria dovrà inviare il messaggio di deposito entro le ore 24 del giorno lavorativo successivo alla elaborazione del messaggio di ricezione.

La FAQ n.12 pubblicata sul sito internet della G.A. prevede che il deposito senza l'utilizzo della PEC è consentito, utilizzando la funzionalità di UPLOAD all'interno dell'area riservata del Portale dell'Avvocato, in due (in realtà tre) casi:

a) a causa di problemi tecnici relativi al gestore di PEC della Giustizia amministrativa, segnalati nel sito istituzionale.

b) a causa di problemi tecnici imputabili al proprio gestore di PEC. Tale disservizio deve essere debitamente documentato.

c) quando il singolo documento da depositare eccede i 10 MB.”.

La FAQ n.41 Istr . oper.int.  precisa che il deposito senza l'utilizzo della PEC è consentito, utilizzando la funzionalità di upload all'interno dell'area riservata del Portale dell'Avvocato a causa di problemi tecnici: 

a) relativi al gestore di PEC della Giustizia amministrativa, segnalati nel sito istituzionale;

b) imputabili al proprio gestore di PEC. Tale disservizio dovrà essere debitamente documentato.   

La durata massima di una sessione di caricamento tramite upload è di 45 minuti. La velocità di upload è legata alla velocità reale della propria connessione internet.

Rispetto ai casi di upload disciplinati dal d.P.C.S., l'art. 136, comma 2-quater c.p.a., introdotto dalla l. n. 197/2016, aveva contemplato un'ulteriore, peculiare ipotesi.

In particolare, per effetto dell'art. 136, comma 2 quater, inserito dalla l. n. 197/2016, la parte chiamata in causa dal giudice, intervenuta in giudizio senza l'assistenza del difensore e che non potesse effettuare il deposito di scritti difensivi o di documenti mediante PEC, poteva essere autorizzata dal Giudice-  espressamente identificato nel presidente della sezione o dal collegio se la questione sorge in udienza -  a depositarli mediante upload attraverso il sito internet istituzionale. Tale ipotesi, oltre che nei casi di chiamata in giudizio di cui all'art. 28, comma 3, è ad esempio ravvisabile nell'ipotesi di ammissione in giudizio della testimonianza ai sensi dell'art. 63, comma 3, che nel processo amministrativo non è mai ammessa in forma orale.

 Da una interpretazione sistematica di tale disposizione con quanto già prescritto in materia di upload dal d.P.C.M. n. 40/2016, si evinceva che il legislatore avesse previsto una deroga ex lege ai limiti “tecnici” a fronte dei quali soltanto il d.P.C.M. n. 40/2016 (e, successivamente, il decreto del Segretario generale n. 154/2016) consente l'upload, stabilendo che, ove non sia possibile procedere a mezzo PEC, il Giudice possa senz'altro autorizzare il caricamento diretto. Non era chiaro, tuttavia, cosa dovesse intendersi per «impossibilità» della parte privata di effettuare il deposito a mezzo PEC cioè, se a tal fine fosse sufficiente la mera indisponibilità, da parte dello stesso di una casella di posta elettronica certificata: in tal caso, infatti, come previsto dalla circolare del Segretariato Generale della G.A. del 21 febbraio 2017, senza alcuna necessità di richiedere una autorizzazione “preventiva” al Giudice, al fine di effettuare il deposito con modalità telematiche il privato chiamato in giudizio poteva e può tuttora avvalersi dell'ausilio del c.d. “mini Urp” . Tale disposizione è stata, tuttavia, abrogata dall’art.4, comma 3, del recente d.l. n.28/2020..

Come chiarito dalla circolare del Segretariato Generale della G.A. del 21 febbraio 2017 e dalla FAQ n.16 Istr . oper.int.  i c.d. “mini Urp” sono stati pensati per offrire un aiuto ai cittadini - sia che si tratti di ricorrenti che di controinteressati-che possono fare ricorso in proprio e non hanno le adeguate competenze informatiche.

Poiché con il processo amministrativo telematico per il deposito degli atti e documenti sarà necessario dotarsi di PEC e firma digitale, e nella considerazione che non tutti i cittadini saranno in grado di utilizzare questi nuovi strumenti, l'ufficio relazioni con il pubblico dovrà affiancarli, per evitare che le nuove tecnologie finiscano per ostacolare la possibilità di esperire ricorso in proprio, nei casi (accesso ai documenti e ricorso elettorale) in cui il Codice del processo amministrativo lo prevede.  

Poiché con il processo amministrativo telematico per il deposito degli atti e documenti sarà necessario dotarsi di PEC e firma digitale, e nella considerazione che non tutti i cittadini saranno in grado di utilizzare questi nuovi strumenti, l'ufficio relazioni con il pubblico dovrà affiancarli, per evitare che le nuove tecnologie finiscano per ostacolare la possibilità di esperire ricorso in proprio, nei casi (accesso ai documenti e ricorso elettorale) in cui il Codice del processo amministrativo lo prevede. La FAQ n.17 chiarisce che in tali casi “Il privato porta al “mini Urp” il ricorso (o altro scritto difensivo) cartaceo o i documenti e se non possiede la firma digitale li firma in modo tradizionale. Il “mini Urp” scansiona il ricorso (o gli altri atti e documenti) e ne attesta la conformità all'originale e lo inserisce nel fascicolo digitale”.

In considerazione del tenore letterale della norma, che fa espresso riferimento al “privato chiamato in causa dallo stesso giudice”, sembra invece più arduo ipotizzare l'applicazione di tale disposizione ai casi in cui è la stessa parte ad avvalersi, esercitando una precisa scelta, della possibilità di stare in giudizio personalmente (ad esempio, in materia di accesso agli atti: v. art.23 c.p.a.). In tal caso, infatti, la portata generale dell' art. 9 dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021, che fa riferimento a “qualunque altro atto del processo” e la puntuale previsione dell' art. 9, commi 3 e 4 dell’All.1 al d.P.C.S. inducono senza dubbio a prendere che, quando la parte si avvalga liberamente della facoltà di intervenire in giudizio senza l'assistenza del difensore – nei casi in cui, naturalmente, la legge la legittimi a farlo – la stessa debba procedere al deposito del ricorso introduttivo e degli atti successivi al primo con le stesse modalità di cui agli articoli 7 e 8 dell’All.1 al d.P.C.S. A tal fine, la parte deve dotarsi di una casella PEC, nonché di firma digitale. Qualora intenda avvalersi della modalità di deposito tramite upload, nei casi di cui all'articolo 6, comma 8, la parte dovrà quindi richiede le credenziali di accesso con le modalità di cui all' articolo 17, comma 12 dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021.

La FAQ n.18 delle istruzioni interne pubblicate nella intranet della G.A. prevede invece che possono avvalersi del c.d. “mini Urp” anche gli ausiliari del giudice che non hanno la firma digitale o la PEC per poter trasmettere scritti e documenti richiesti dal giudice. In tal caso, l'ufficio scansiona lo scritto e il documento attestandone la conformità all'originale e lo inserisce nel fascicolo digitale.

Non può invece avvalersi del c.d. “mini Urp” l'Amministrazione che, contravvenendo agli obblighi di legge (artt. 16, comma 12, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 e 7, comma 6, d.l. 31 agosto 2016, n. 168), ancora non si è dotata di indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici registri gestiti dal Ministero della giustizia.

Segue. I formati del deposito (art. 12 All. 1 d.P.C.S.  28 luglio 2021)

Come chiarito dall' art. 9 dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021, il deposito degli atti e dei documenti di parte con modalità telematiche deve avvenire, oltre che tassativamente con le modalità previste dal d.P.C.S., anche nel rigoroso rispetto dei formati previsti dall' art. 12 dell’All.1 al d.P.C.S. 

La limitazione più rigorosa riguarda gli atti processuali in forma di documento informatico, che ai sensi del richiamato  art. 12 possono essere depositati esclusivamente nei seguenti formati: a) Pdf — Pdf/A ottenuto da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti, integrale o parziale; b) testo piano senza formattazione (estensione Txt); c) testo formattato (estensione Rtf); d) archivio compresso WinZip (estensione zip).

Di regola, si tratta quindi di atti in formato Pdf sottoscritto con firma digitale PAdES. Tranne ipotesi eccezionali, per quanto attiene agli atti di parte non è invece consentito il deposito di copia informatica di documenti analogici, come definiti ai sensi dell' art. 22 d.lgs. n. 82/2005 (Cad) recentemente modificato dal d.lgs.n.217/2017, ottenuti tramite scansione (c.d. copia per immagine).

La FAQ n. 5 Istr. op. int. alla domanda “Che formato deve avere il file del ricorso? risponde: “Il ricorso da allegare al Modulo deve essere un file nativo digitale, in uno dei formati previsti dal Regolamento contenente le regole tecniche (di fatto il solo pdf, dal momento che è necessario apporvi la firma PAdES).

Il file del ricorso deve poi essere firmato digitalmente prima di essere allegato al Modulo deposito ricorso. Secondo la FAQ n.50 Istr. oper.int. anche il file contenente la domanda di fissazione d'udienza allegata dagli avvocati al Modulo atti deve essere un file PDF nativo con firma digitale, in quanto atto del processo, ai sensi dell'dell' art. 9 dell’All.1 d.P.C.S.

Di avviso opposto è il T.A.R. Lazio, III bis, ord. coll., n. 3231/2017 secondo cui, a differenza della firma apposta sul ricorso introduttivo del Giudizio (che, in quando atto notificato prima del deposito in giudizio, deve essere necessariamente preesistente alla data di deposito del Modulo), per quanto riguarda la sottoscrizione delle memorie difensive o di qualsiasi istanza di parte, in virtù dell'espressa previsione dell' art. 6, comma 5, dell’All.1 al d.P.C.S. è sufficiente apporre la sottoscrizione al Modulo di deposito affinché la firma sia estesa a tutti gli atti/istanze allo stesso allegati. In tal caso, infatti, le particolarità tecniche della sottoscrizione del Modulo sono tali da consentire l'estensione della firma a tutti gli atti ivi contenuti (analogamente alla c.d. firma multipla apposta ai provvedimenti del Giudice). In senso contrario: T.A.R. Calabria (Reggio Calabria) n. 209/2017

Di recente, è stata posta all’attenzione del T.A.R. Roma, III, decr. pres. n. 11181/2017 la questione relativa alla nullità per mancanza di sottoscrizione con firma digitale dei motivi aggiunti, notificati in modalità cartacea e depositati in copia informatica, causata dalla mancata asseverazione, ai sensi dell’art. 23 del C.A.D. della conformità all’originale informatico munito di firma digitale. La questione è stata risolta nel senso che nel caso in esame ricorre una causa di irregolarità sanabile (in fattispecie identica, Cons. St., III, n. 4286/2017).  

L' art. 12, comma 5, All. A, d.P.C.M. n. 40/2016 -  ora riproposto integralmente nell’art.12 comma 5 dell’All.1 al d.P.C.S. luglio 2021-  lascerebbe spazio, tuttavia, per talune eccezioni: sarebbe infatti ammesso il deposito telematico della scansione degli atti di causa (ottenuti da copia per immagini di originali cartacei) anche «quando i documenti originali siano disponibili solo in versione cartacea» (ad esempio, trasposizione innanzi al G.A. di un giudizio incardinato innanzi al GO prima del 1° gennaio 2017, nato come atto nativo digitale). A questa ipotesi non potrebbe equipararsi quella in cui l'avvocato si trovi nella necessità di effettuare la notifica con modalità cartacea, in quanto in tale caso oltre all'art. 136, comma 2-bis, anche le regole tecniche chiariscono che, ai fini del deposito in giudizio, l'atto deve nascere comunque come originale Pdf sottoscritto con firma digitale (Pisano).

Per quanto invece riguarda i documenti di causa (ai quali, agli effetti del Pat, sono equiparati la procura e la prova della notifica avvenuta con modalità cartacee) è invece possibile depositare gli stessi anche in formato di copia per immagine e, ove si tratta di documenti informatici, anche in un formato diverso da quelli indicati al comma 3 quando il diverso formato è richiesto da specifiche disposizioni normative.

La dottrina ha da tempo evidenziato — sulla scia dell'analogo dibattito che da anni interessa la giurisprudenza sul fronte del processo civile telematico- i pericoli di una disciplina normativa che, pur prevedendo espressamente l'esclusività della forma digitale e demandando alla fonte regolamentare la sua attuazione- non prevede espressamente la sorte di eventuali atti depositati in formato diverso, con la conseguenza di aprire un varco alle conseguenza più svariate, dall'inammissibilità, alla nullità, alla mera irregolarità. Secondo questo orientamento, tuttavia, non può dubitarsi che il cancelliere, cui venga presentato un atto per il deposito con modalità non telematica, non possa rifiutarsi di accettarla (in quanto, in mancanza nell'ordinamento processuale civile o amministrativo di alcuna norma che lo facoltizzi o gli imponga di far ciò, rifiutandosi di accettare tale atto incorrerebbe nel reato di omissione di atti d'ufficio di cui all' art. 328 c.p.). Ogni valutazione circa l'ammissibilità e/o la validità del deposito con modalità diversa da quella telematica competerà, quindi, esclusivamente al Giudice (Pisano).

Segue. Le sanzioni processuali per il mancato rispetto della forma digitale

L'art. 136, comma 2-bis, c.p.a. nel prevedere che tutti gli atti processuali sono sottoscritti con firma digitale, non contempla espresse sanzioni per il caso di inottemperanza di tale dovere, ad esempio qualora l'atto digitale venga sottoscritto tramite l'utilizzo di firma elettronica non digitale (o con firma non conforme al formato PAdES previsto dall' art. 12 All.2  d.P.C.S. ) oppure ancora tramite scansione della firma autografa in una copia informatica o infine con la stessa firma autografa di un atto cartaceo. In particolare, alla violazione di tale prescrizione non è espressamente comminata dal legislatore la nullità dell'atto.

Analogamente, l' art. 136, comma 2, c.p.a., anche nel testo modificato dalla l. n. 197/2016, non prevede alcuna espressa sanzione per il caso del mancato rispetto del deposito degli atti con modalità telematiche. È bene evidenziare che il “mancato rispetto delle modalità telematiche” è una formula ampia, idonea a ricomprendere le fattispecie più variegate, che vanno dal mancato rispetto dei limiti del “peso” dei file, al deposito degli atti di causa in un formato non consentito dall'art. 12  dell'All.1 al d.P.C.S., al mancato rispetto dei limiti in cui è possibile effettuare il deposito con upload, all'utilizzo di una PEC non corrispondente a quella dei pubblici elenchi, alla sottoscrizione con firma digitale non PAdES fino allo stesso deposito di atti processuali redatti e sottoscritti con la tradizionale modalità cartacea al di fuori delle ipotesi espressamente consentite dalla l. n. 197/2016.

Per T.A.R. Lombardia (Brescia), n. 705/2020l'erroneo deposito telematico del ricorso al TAR proposto prima dell'introduzione del PAT non incide sull'ammissibilità dello stesso, atteso che quello che fa fede è il ricorso depositato nel fascicolo d'ufficio cartaceo e non quello caricato erroneamente a sistema (nel caso di specie, il ricorso depositato nel fascicolo d'ufficio cartaceo era regolare); T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 175/2017 ritiene ammissibile, per il principio del raggiungimento dello scopo, il deposito in giudizio di copia per immagini di un atto cartaceo sottoscritto con firma autografa — seppure in violazione dell' art. 136, comma 2-bis, c.p.a. e dell'art. 9, comma 1, d.P.C.M. n. 40/2016 - ora riproposto integralmente nell'art.9 comma 1 dell'All.1 al d.P.C.S. — qualora il ricorso sia stato successivamente sottoscritto digitalmente e lo stesso risulti leggibile alle parti e al Collegio. Possibilista, quantomeno nella prima fase di avvio del Pat, anche il T.A.R. Lazio (Roma) III-bis, ord. n. 3231/2017, a fronte del deposito in giudizio di una copia del ricorso introduttivo scansionato, contenente firma autografa ma privo di firma digitale, ha ritenuto che il deposito in un formato diverso da quello ammesso ai sensi dell' art. 12 dell'All. A, d.P.C.M n. 40/2016 - ora riproposto integralmente nell'art.12 dell'All.1 al d.P.C.S.  -  in mancanza di espressa sanzione stabilita dal legislatore, deve ritenersi irregolare. Tale soluzione, in linea con Trib. Milano IX civ., n. 1432/2016, è giustificata sulla considerazione che si trattava di ricorso redatto in forma cartacea nel mese di dicembre 2016 in cui, malgrado la l. n. 197/2016 fosse già entrata in vigore, non era del tutto inverosimile l'evenienza di un ulteriore proroga dell'entrata in vigore del Pat, tale da indurre in errore il circa l'immediata vigenza dell'obbligo del rispetto della forma digitale. Secondo l'orientamento del T.A.R. Campania (Napoli), n. 1694/2017, per evitare di incorrere in una interpretazione abrogante o manipolatrice dell' art. 136, comma 2-bis, c.p.a. e dell'art. 9, comma 1, d.P.C.M. n. 40/2016, in materia di atti processuali deve ritenersi che il comma 2-ter si applichi esclusivamente al deposito di atti precedenti alla piena operatività del Pat legittimamente formati in analogico ovvero qualora si intenda produrre un atto riferibile a distinti giudizi o copia di provvedimenti giurisdizionali ovvero, ancora, quando l'utilizzo della forma «analogica/cartacea» sia imposta o aliunde consentita. 

Cons. St. III,  n. 744/2018 ha di recente ribadito che l'evoluzione tecnologica non può comunque risolversi in un ostacolo alla tutela giurisdizionale (soprattutto nei procedimenti elettorali che prevedono tempi molto brevi) e che pertanto non può ritenersi nullo l'atto sottoscritto con firma PADES – BASIC e non PADES – BES, richiesta dalle norme tecniche, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c.

In merito agli effetti del deposito degli atti processuali in un formato diverso da quello prescritto dal d.P.C.M. n. 40/2016, - ora riproposto integralmente nell'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 -  la giurisprudenza ha assunto posizioni contrastanti: secondo un primo orientamento, sposato tra gli altri dal T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 175/2017, il ricorso depositato in formato di copia digitale per immagini di un originale analogico (nel caso di specie sottoscritto con firma digitale), benché depositato in un formato differente da quello prescritto dalle norme di riferimento, non può essere dichiarato nullo in quanto comunque idoneo al raggiungimento dello scopo. Al contrario, T.a.r. Catania, n. 499/2017 e T.a.r. Campania (Salerno), n. 213/2017  ritengono inammissibile il ricorso depositato esclusivamente nel formato di copia per immagine e privo della sottoscrizione digitale, nonché dell'attestazione di conformità. Il collegio siciliano, in particolare, non ha ravvisato neppure la sussistenza degli estremi per il riconoscimento dell'errore scusabile, non risultando, nel caso di specie, che la difformità rispetto al modello legale fosse attribuibile ad eventuali difficoltà operative connesse all'avvio del processo amministrativo telematico. Nello stesso senso T.a.r.. Campania, n. 1053/2017 e T.a.r. Campania, n. 1694/2017; in particolare, secondo quest'ultima pronunzia, il comma 2-ter dell'art. 136 c.p.a.,  che ammette la possibilità di depositare con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, previa asseverazione ai sensi dell' art. 22, comma 2, del Cad, si applicherebbe soltanto al deposito di atti precedenti alla piena operatività del Pat legittimamente formati in analogico, ovvero qualora si intenda produrre un atto riferibile a distinti giudizi o copia di provvedimenti giurisdizionali ovvero, ancora, quando l'utilizzo della forma «analogica/cartacea» sia imposta o aliunde consentita. Cons. St. III,  744/2018 ha di recente ribadito che l'evoluzione tecnologica non può comunque risolversi in un ostacolo alla tutela giurisdizionale (soprattutto nei procedimenti elettorali che prevedono tempi molto brevi) e che pertanto non può ritenersi nullo l'atto sottoscritto con firma PADES – BASIC e non PADES – BES, richiesta dalle norme tecniche, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c.

Una parte della giurisprudenza formatasi nel  Pct, con riferimento ad analogo problema, ritiene che in ossequio al principio di libertà delle forme di cui all' art. 121 c.p.c., nonché al principio di conservazione dell'atto processuale ai sensi dell' art. 156 c.p.c. — a mente del quale non si può pronunciare la nullità di un atto del processo se tale invalidità non sia stata stabilita dalla legge, o, in ogni caso, se l'atto abbia raggiunto lo scopo a cui è destinato (Cfr. Trib. Bologna, sez. lav., ord. 16 luglio 2014; Trib. Brescia, sez. lav., ord. 7 ottobre 2014), il deposito di atti del processo in forma diversa da quella prescritta dalle regole tecniche non può essere tacciato della sanzione della nullità. Cons. St. III, n. 744/2018 ha di recente ribadito che l'evoluzione tecnologica non può risolversi in un ostacolo alla tutela giurisdizionale (soprattutto nei procedimenti elettorali che prevedono tempi molto brevi) e che pertanto non può ritenersi nullo l'atto sottoscritto con firma PADES – BASIC e non PADES – BES, richiesta dalle norme tecniche, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c.

È bene evidenziare che il deposito in giudizio di un atto al quale sia apposta una tipologia di firma differente rispetto al parametro normativo (firma digitale) o regolamentare (firma PAdES) di riferimento costituisce ipotesi differente dall'eventuale mancanza nel ricorso di qualsiasi tipologia di firma (sia essa digitale, elettronica, autografa). Tale ipotesi, infatti, ai sensi dell'art. 44, comma 1, è sanzionata con la nullità.

T.A.R. Lazio (Roma) I-ter , n. 4574/2017 per il caso di mancata sottoscrizione dell'atto introduttivo ha di recente aderito alla tesi della nullità insanabile. Nella fattispecie presa in esame, il difensore oltre ad avere depositato in modalità informatica l'atto introduttivo privo di firma digitale, non aveva depositato alcuna copia del ricorso sottoscritta manualmente, né alcun altro documento sottoscritto con firma autografa o digitale, con conseguente impossibilità di raggiungere alcuna certezza in ordine alla paternità del gravame, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo di cui all' art. 157 c.p.c.

Segue. Il deposito di atti processuali con modalità cartacea al di fuori delle ipotesi tassativamente previste

Il c.p.a. contempla il deposito di atti e documenti in forma cartacea come ipotesi del tutto eccezionale, consentita solo nei casi tassativamente previsti. Si pone allora il problema, dopo l'entrata in vigore del Pat, dell'ammissibilità (e del valore giuridico) degli atti di parte e dei documenti depositati in giudizio, senza autorizzazione del Giudice e al di fuori delle ipotesi specificamente ammesse dalla legge.

In assenza di previsione sanzionatoria specifica, è compito dell'interprete tentare di comprendere quale tipo di vizio affligga l'atto depositato in cancelleria con modalità diversa da quella «vincolata» dalla norma.

Di tale questione si è occupato, di recente, Cons. St. IV, n. 1541/2017, affermando che nella vigenza della disciplina sul processo amministrativo telematico, l'atto di parte prodotto in forma non nativa digitale non è né inesistente, né abnorme, né nullo. Esso deve ritenersi piuttosto irregolare, con la conseguenza che spetta al giudice rilevare la difformità dal modello legale e stabilire un termine per la rinnovazione dell'atto a pena di irricevibilità del ricorso (nel caso di specie, si trattava di un appello depositato in modalità cartacea, con atto sottoscritto con firma autografa). Vale quindi anche per il processo amministrativo il principio generale sancito dall' art. 156, comma 1, c.p.c., secondo il quale l'inosservanza di forme comporta la nullità degli atti del processo solo in caso di espressa comminatoria da parte della legge (cfr. Cons. St. VI, n. 1290/2011; Cass. S.U., n. 14916/2016, cit.). Poiché nella disciplina del Pat manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, viene meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito; difettando, anche in questo caso, disposizioni che sanciscano la nullità dell'adempimento se realizzato in formato cartaceo. Nello stesso senso, più di recente, T.A.R. Puglia (Lecce), n. 48/2020; T.A.R. Sicilia (Catania), n. 1561/2019; T.A.R. Lazio (Roma), n. 6900/2019,Cons. St. V, n. 2126/2019con conseguente obbligo per il giudice, in caso di mancato rispetto della modalità di redazione in formato digitale, di assegnare un termine alla parte per la regolarizzazione dell'atto nel formato di legge.  

Secondo una parte della dottrina, la tesi giurisprudenziale secondo cui con il Pat sarebbe definitivamente mutata la forma stabilita, a pena di validità, degli atti processuali e che la disciplina del processo telematico non sia, dunque, ristretta alle formalità di deposito, ma incida sulla stessa formazione dell'atto da depositare è criticabile sotto vari profili. Il primo di essi, di carattere testuale, poggia sulla circostanza che l' art. 136, comma 2-ter, c.p.a., ammette ancora la formazione di atti analogici. Il secondo è legato alla necessità che il ricorso, almeno in certi casi, debba essere notificato, tuttora, con forma analogica, mentre ai difensori non e stato espressamente attribuito il potere di attestare la conformità della copia analogica da notificare all'originale informatico; quale terzo rilievo, secondo tale dottrina non è facile comprendere lo scopo che non sarebbe raggiunto da un atto prodotto in forma scansionata e che sarebbe, invece, raggiunto da un atto nativo informatico. Né sarebbe sostenibile, secondo il principio della libertà delle forme di cui all' art. 121 c.p.c., che l'atto depositato in modalità cartacea e sottoscritto con firma autografa sia «irregolare», tranne che non si tratti di una regolarità del tutto «innocua» (Volpe).

Le FAQ n. 42 e 43 Istr. oper.int. pubblicate in data 20.02.2017, affrontano la questione del ricorso inviato a mezzo posta dopo l'entrata in vigore del processo telematico. Alla domanda: “Cosa accade se dopo il 31 dicembre 2016 arriva a mezzo posta un ricorso?" la FAQ risponde: Se l'avvocato, che ha spedito a mezzo posta un ricorso pervenuto all'Ufficio Ricevimenti Ricorsi dopo il 31 dicembre 2016 (v. FAQ n. 42), ne chiede la restituzione l'Ufficio Ricevimenti Ricorsi si fa rilasciare dall'avvocato richiesta scritta.

All'atto della restituzione l'Ufficio rilascerà una ricevuta protocollata evidenziando nella stessa che nel fascicolo cartaceo che era stato formato non rimarrà l'originale del ricorso inviato a mezzo posta, che non potrebbe quindi essere visionato dal Collegio. La FAQ n.42 Istr. oper.int. precisa che: "È noto che l' art. 7, comma 3, d.l. 31 agosto 2016, n. 168, ha previsto che “Le modifiche introdotte dal presente articolo, nonché quelle disposte dall' art. 20, comma 1-bis, d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, come modificato dal presente articolo, hanno efficacia con riguardo ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017".

Ne consegue che dal 1° gennaio 2017 i ricorsi devono necessariamente essere depositati attraverso il Processo amministrativo telematico e che il ricorso depositato in via cartacea dopo il 31 dicembre 2016 non potrà essere incardinato ed avere un NRG ricorso.

 Il ricorso (o l'appello) dovrà quindi essere depositato telematicamente, affinché si possa incardinare nel Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa.

Il potere di attestazione di conformità al fine del deposito degli atti e dei documenti di causa

Il nuovo art. 136, comma 2-ter, c.p.a., introdotto dalla l. n. 197/2016, introduce nel processo amministrativo il potere - rectius: dovere- di attestazione di conformità del difensore in due ipotesi ulteriori rispetto al potere di attestazione di conformità tradizionalmente riconosciuto al difensore in tema di sottoscrizione della procura dall' art. 83 c.p.c. (applicabile nel processo amministrativo in considerazione del c.d. rinvio esterno di cui all' art. 39, comma 1, c.p.a.).

Il difensore, infatti, non gode del potere generale di attestare la veridicità di atti o fatti avvenuti in sua presenza, di cui all' art. 2699 c.c. e può ritenersi titolare di poteri di attestazione di conformità, attribuiti al pubblico ufficiale, solo nei casi in cui ciò sia espressamente previsto dal legislatore.

In particolare, la prima parte dell' art.136, comma 2 ter c.p.a. stabilisce che quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l'asseverazione di cui all'articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

Giova premettere che l' art.1 del d.P.C.M. n. 40/2016, - ora riproposto integralmente nell’All.1 al d.P.C.S. luglio 2021 - quanto alle definizioni degli istituti giuridici coinvolti dal processo telematico, richiama espressamente le corrispondenti definizioni del richiamato d.lgs. n. 82/2005 (CAD), che è stato recentemente interessato dalle  modifiche apportate dal d.lgs.n.217/2017. Nel caso in esame, la copia informatica, anche per immagine, è definita dagli art. 1, comma 1, lettera i-bis) e i-ter), del CAD come documento informatico avente contenuto identico a quello del documento analogico da cui è tratto. Come specificato dall'art. 7 della l. n. 197/2016, ai fini processuali tali copie possono essere anche «per immagine» (si tratta cioè delle tradizionali «scansioni»).

Va osservato che il regime giuridico delle copie informatiche di documento analogico è definito, in generale, dall' art. 22 d.lgs. n. 82/2005 (CAD), a seconda che si tratti di copia rilasciata dal pubblico ufficiale che l'ha prodotta (art.22, comma 1, d.lgs. n. 82/2005), di copia autenticata dal pubblico ufficiale (art. 22, comma 2, d.lgs. n.82/2005) o di copia «semplice»: in quest'ultimo il caso, analogamente a quanto previsto per le tradizionali «fotocopie» dall' art. 2712 c.c., l'art. 22 comma 3 del CAD non nega alla copia non autenticata validità giuridica, ma le riconosce la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui è tratta se la conformità all'originale non venga espressamente disconosciuta.

Proprio tale disposizione è stata interessata da rilevanti modifiche ad opera del d.lgs. n. 217/2017.  Il nuovo comma 1 bis dell'art. 22 d.lgs. n.82/2005, come modificato dal d.lgs. n.217/2017, precisa, infatti, che la copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell'originale e della copia.»

A differenza di quanto previsto dall' art. 22 del d.lgs. n. 82/2005 ( CAD), la formulazione dell' art. 136, comma 2-ter, c.p.a. sembra invece disporre, come condizione indefettibile, che il difensore che deposita in giudizio copie informatiche di atti, provvedimenti e documenti analogici debba previamente attestarne la conformità all'originale in suo possesso, senza eccezione alcuna.

Tale dovere non viene meno neppure ad opera delle modifiche recentemente introdotte all'art. 22, comma 2, del CAD dal d.lgs. n. 217/2017, che quanto alle modalità di attestazione di conformità sopprime le parole «con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata». Tale disposizione, infatti, non incide sul fatto che il difensore, ai sensi dell'art.136 comma 2 c.p.a., è espressamente qualificato “pubblico ufficiale” ai fini dell'attestazione di conformità delle copie informatiche depositate con modalità telematiche mentre. E' indubbio, tuttavia, che quanto alle modalità di asseverazione, se la norma è priva di conseguenze per quanto riguarda il processo civile telematico, in cui tali modalità sono espressamente dettate dalla normativa regolamentare, la modifica apportata lascia il PAT orfano di qualsiasi indicazione, atteso che – fatta eccezione per la procura - l’All.1 al  d.P.C.S. non contiene alcuna disposizione regolamentare in proposito.

Anche dopo le recenti modifiche, resta il problema del rapporto tra l' art. 136 comma 2 ter c.p.a. e l' art. 22, comma 1, d.lgs. n. 82/2005 ( CAD), che attribuisce ai documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere (compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico), spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, lo stesso valore giuridico degli originali da cui sono tratti, ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c., se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata, con la conseguenza che «la loro esibizione e produzione sostituisce quella dell'originale».

Considerato che l' art. 2, comma 6, d.lgs. n. 82/2005 ( CAD), in materia di processo telematico prevede l'applicazione dei principi del d.lgs. n. 82/2005 ( CAD), salva l'esistenza di specifiche disposizioni, è da ritenere che l'art. 136, comma 2 ter, costituisca norma speciale. La necessità di attestare la conformità all'originale delle copie informatiche, in ambito processuale, trova infatti una propria ratio nella esigenza che i tempi processuali non subiscano rallentamenti per effetto di eventuali azioni di disconoscimento delle copie degli atti e dei documenti depositati in giudizio. Va evidenziato che, nel compimento dell'attività di attestazione, i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali e pertanto rispondono anche penalmente di eventuali false attestazioni.

La norma, tuttavia, è sfornita di sanzione: non è chiaro, quindi, quali siano le conseguenze dell'eventuale deposito in giudizio di una copia informatica di atto analogico priva di attestazione di conformità

T.A.R. Lazio, n. 4447/2021 ha di recente sostenuto che la mancanza dell'asseverazione della conformità all'originale sulle copie di tutta la documentazione depositata agli atti in sede di ricorso di ottemperanza, comporta l'inammissibilità del ricorso (v.anche, in termini, T.A.R. Lazio (Roma), n. 1981/2021); secondo T.A.R. Veneto, n. 474/2020 va dichiarata da parte del giudice amministrativo l’inammissibilità del ricorso ed eventualmente anche dell’atto di intervento nel caso in cui manchi il deposito in giudizio dell’asseverazione della procura relativa sia al ricorso introduttivo che all’atto di intervento; T.a.r. Calabria, con sent. non definitiva n. 1541/2017 , con riguardo allo specifico problema della mancanza di attestazione di conformità del ricorso introduttivo ha evidenziato che pur dopo l'entrata in vigore del P.A.T., il ricorso (e in genere l'atto processuale) non redatto o comunque non sottoscritto in forma digitale, benché certamente non conforme alle prescrizioni di legge, non sia inesistente, abnorme o nullo, ma viziato da irregolarità (seppure diversa da quella per dir così “ordinaria”, perché non suscettibile di sanatoria ex art. 44, comma 3, c.p.a.). Nello stesso senso, Cons. St., IV, n. 1541/2017, secondo il quale le disposizioni sulla digitalizzazione vanno configurate come disposizioni sul deposito degli atti e non come disposizioni che impongono una determinata forma vincolata, per cui il ricorso non redatto o comunque non sottoscritto in forma digitale, benché certamente non conforme alle prescrizioni di legge, non diverge in modo così radicale dallo schema normativo di riferimento da dover essere considerato del tutto inesistente perché, anche alla luce del principio di strumentalità delle forme processuali, non si configura in termini di non atto (secondo la distinzione fra inesistenza e nullità da ultimo tracciata da Cass. S.U., n. 14916/2016), e che nella disciplina del PAT mancherebbe una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale, per cui verrebbe meno il presupposto necessario per dichiarare il ricorso nullo nella sua fase genetica, ovvero in relazione alla successiva notificazione e deposito, difettando disposizioni che sanciscano la nullità dell'adempimento se realizzato in formato cartaceo (la fattispecie all'esame del Consiglio di Stato riguardava l'ipotesi di un ricorso notificato e depositato in formato cartaceo, privo della firma digitale e munito della sola sottoscrizione autografa, senza alcuna attestazione di conformità a un eventuale originale digitale).

A differenza dell' art. 16-decies del d.l. n. 179/2012, introdotto dal d.l. n. 83/2015 in ambito di Pct, il potere/dovere di attestazione di conformità è attribuito esclusivamente agli avvocati. Ne consegue che le parti pubbliche e private e gli ausiliari del giudice onerati del deposito in giudizio di copie informatiche si troveranno a fronte del dilemma (non risolto dal legislatore e non ancora affrontato dalla giurisprudenza) della necessità di richiedere l'autenticazione di quanto depositato ad un pubblico ufficiale, ovvero della possibilità di depositare una mera copia informatica rispettosa dei canoni tecnici di cui all' art. 71 d.lgs. n. 82/2005 (CAD), con il rischio, tuttavia del disconoscimento.

In mancanza di espressa sanzione, T.a.r. Calabria, con ord. n. 76/2017 ha consentito al ricorrente di regolarizzare il deposito in coerenza coi dettami in materia di asseverazione ex art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005 (Cad); secondo il T.a.r. Lazio III-bis, ord. n. 3231/2017, anche in assenza di attestazione di conformità all'originale analogico la validità giuridica dell'atto, unitamente a quella della documentazione allegata, non è in discussione: infatti la copia informatica di documento analogico, ove priva di autenticazione, ai sensi dell' art. 22, comma 3, del d.lgs. n. 82/2005 ( CAD), espressamente applicabile al Pat per effetto dell' art. 2 comma 6, del d.lgs. n. 82/2005 ( CAD) come sostituito dall' art. 2, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 179/2016 — ha la stessa efficacia probatoria dell'originale da cui è tratto se la conformità all'originale non è espressamente disconosciuta. Secondo la giurisprudenza formatasi con riferimento alle tradizionali riproduzioni fotografiche «cartacee» disciplinate dagli artt. 2712 e 2719 c.c. (Cass., sez. lav., n. 11445/2001)», di cui la copia informatica costituisce la versione «moderna», in mancanza di disconoscimento, non è consentito al Giudice contestare, oltre al valore giuridico dell'atto di parte, la provenienza della sottoscrizione.

Segue. Il potere di attestazione di conformità al fine dell'estrazione di copie dal fascicolo informatico

L'art. 136, comma 2-ter c.p.a., come modificato dall'art. 7, comma 1, lett. b) n. 3) del d.l. n. 168/2016 ha attribuito espressamente anche al difensore impegnato nel processo amministrativo il potere di attestazione di conformità al fine di consentirgli di estrarre copia autentica di atti e provvedimenti – ma non di documenti- presenti nel fascicolo informatico, con conseguente esonero dal versamento dei diritti di copia. Sotto tale profilo, norma fa seguito a quanto precedentemente statuito, in materia di processo telematico, dalla modifica apportata dalla l. n. 147/2013, con l'aggiunta del comma 1-bis, all'art. 269 del T.U. n. 115/2002 (T.U. sulle spese di giustizia), ai sensi del quale il diritto di copia senza certificazione di conformità non è dovuto dalle parti che si sono costituite con modalità telematiche ed accedono con le medesime modalità al fascicolo. Si evidenzia tuttavia che l'applicazione al processo amministrativo di tale disposizione sembrava tuttavia dubbia, in considerazione dell'esplicito riferimento esclusivamente al processo civile e al processo contabile telematico.

A tale regola fa eccezione il rilascio della copia autentica della formula esecutiva ai sensi dell' art. 475 c.p.c., di competenza esclusiva delle segreterie degli uffici giudiziari.

Per quanto riguarda gli effetti giuridici, la disposizione chiarisce che la copia munita dell'attestazione di conformità del difensore equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento di cui si attesta la conformità. Si tratta di un potere attribuito ai soli difensori, che a tal fine assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali.

È bene evidenziare che potere può essere esercitato solo con riferimento agli atti, provvedimenti e documenti estratti dal fascicolo informatico con riferimento ai ricorsi depositati dopo l'entrata in vigore del Pat (1° gennaio 2017). Infatti — sebbene ciò non sia esplicitato nella norma in commento — la definizione e le caratteristiche del fascicolo informatico, ivi compresa la presunzione di conformità all'originale di tutto ciò che in tale fascicolo e inserito, ai sensi dell'art. 5 dell' All.1 al d.P.C.S., possono essere attribuite  esclusivamente al fascicolo formato dal S.I.G.A. con modalità informatiche con riferimento ai ricorsi depositati dopo l'avvio del processo amministrativo telematico. Il difensore pertanto, non potrà estrarre, ad esempio, copia autentica delle copie uso studio dei provvedimenti comunque inseriti, prima di tale data, nel sistema informativo della G.A.

La FAQ n. 52  Istr. oper.int., precisa che per quanto riguarda l'attestazione di conformità della decisione appellata al fine del deposito nel giudizio in appello, l'avvocato deve depositare la decisione firmata digitalmente che trova nel suo portale nel fascicolo cui la decisione si riferisce.

Quindi il deposito del provvedimento impugnato, se emesso con firma digitale, avverrà secondo le regole con attestazione di conformità ex art. 22 d.lgs. n.82/2005 e ss.mm. (CAD). Per le sentenze e ordinanze cartacee (non firmate quindi digitalmente) l'avvocato depositerà la copia uso appello rilasciata dal Tar trasformata in documento digitale. La firma digitale dell'asseverazione non può essere quella del modulo che si estende ai documenti ma necessita di firma propria. Facendo seguito alla FAQ n. 52, la FAQ n. 53 precisa che per economia procedimentale ove la decisione impugnata sia firmata digitalmente è possibile soprassedere dalla attestazione di conformità.

Il d.lgs. 149 del 2022 ha introdotto una disciplina analitica del potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria, prevedendo espressamente, all'art. 196 octies disp. att., la possibilità per Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale di attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico ovvero allegati alle comunicazioni telematiche, salvo che per gli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all'ordine del giudice. Va tuttavia evidenziato che il processo amministrativo ha una disciplina autonoma, che non lascia spazio d'applicazione a quella del processo civile

Le modalità di attestazione di conformità

Anche il  d.P.C.S. 28 luglio 2021 non contiene regole generali circa le modalità con cui deve procedersi all'attestazione di conformità, ma regole specifiche per il caso in cui debba depositarsi in giudizio copia informatica della procura (art. 8 All.1) o della documentazione relativa alla notifica eseguita con modalità analogica (art. 14 All.1).

Con riferimento alla procura, l'art. 8 prevede che nei casi in cui la procura è conferita su supporto cartaceo, il difensore procede al deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico, compiendo l'asseverazione prevista dall' art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82/2005 (CAD) mediante l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo documento (in tal caso, si tratterà di una asseverazione effettuata con dichiarazione è sottoscrizione autografa) o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale (che dovrà quindi essere inserito come distinto documento Pdf e allegato a quello contenente la scansione della procura, contenente dichiarazione di asseverazione e sottoscrizione con firma digitale).

Si è già evidenziato come il recentissimo d.lgs. n. 217/2017 abbia, tuttavia, modificato l'art. 22 comma 2 del CAD, eliminando il riferimento all'asseverazione compiuta con dichiarazione allegata al documento informatico. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la procura, è da ritenere che tale modifica non incida sull'esplicita regolamentazione contenuta nell'art. 8 del d.P.C.S.

Lo stesso è a dirsi per quanto attiene all'attestazione di conformità della documentazione della notificazione eseguita con modalità analogiche, l'art. 14, comma 5, dell’All.1 al d.P.C.S. prevede che qualora la notificazione non sia eseguita con modalità telematiche, la copia informatica degli atti relativi alla notificazione deve essere depositata nel fascicolo informatico secondo quanto previsto dalle specifiche tecniche di cui all'articolo 19. In tale caso l'asseverazione, precedentemente prevista dall' art. 22, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005 (CAD), è operata con inserimento della dichiarazione di conformità all'originale nel medesimo o in un documento informatico separato, secondo quanto già evidenziato per la procura.

Anche dopo le modifiche dell'art. 22 del CAD, tuttavia, è presumibile ritenere che a fronte della lacuna normativa, considerato che il d.P.C.S. non contiene ulteriori indicazioni per le modalità con cui effettuare la c.d. asseverazione negli altri casi,  possa procedersi ad effettuare l'attestazione di conformità delle copie informatiche di atti analogici  con le medesime modalità ora descritte, ricordando tuttavia che il nuovo comma 1 bis dell'art. 22 del d.lgs. n. 82/2005 (CAD) impone espressamente  che la copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico sia prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell'originale e della copia.

Tale interpretazione, peraltro, è la medesima recepita nella “Nota congiunta relativa all'interpretazione dell'art. 22 comma 2 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell'Amministrazione Digitale) a seguito delle modifiche apportate con il d.lgs. 13 dicembre 2017 n. 217”, del 10 aprile 2018, dalle Rappresentanze in seno al Tavolo Tecnico sul PAT istituito presso il Segretariato generale della Giustizia amministrativa, le quali “ritengono che l'eliminazione dall'art. 22 CAD dell'inciso “mediante dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata”, non elimina tout court il potere di asseverazione bensì la sola specificazione che tale attestazione di conformità avvenga unicamente mediante tali modalità. Pertanto, anche in considerazione delle vigenti regole tecniche di cui al d.P.C.M. 13 novembre 2014 e nelle more dell'emanazione delle nuove Linee Guida ex art. 71 CAD, l'asseverazione nell'ambito del Processo Amministrativo Telematico può essere compiuta in entrambe le modalità previste dal Regolamento di cui al d.P.C.S. 28 luglio 2021, ossia con asseverazione sul medesimo file o in distinto documento sottoscritto con firma digitale”.

La Faq  n. 15 pubblicata sul sito internet istituzionale della G.A. evidenzia che se la procura è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore deve ottenere la copia per immagine su supporto informatico (scansione del foglio), inserire l’asseverazione, ai sensi dell'art. 22 CAD, e provvedere a firmarla digitalmente prima di allegarla al Modulo di deposito. L'asseverazione può essere inserita con apposito programma, procedendo alla sovrascrizione del file che contiene la scansione della procura. Se la procura è sottoscritta digitalmente anche dal cliente, il difensore deve provvedere anch'egli alla sottoscrizione digitale e ad allegare il file al Modulo. La procura può essere apposta a margine o rilasciata su foglio separato. Nel primo caso si provvede a scansionare la prima pagina del ricorso, ad inserire l'asseverazione ex art. 22 CAD e a firmare digitalmente.  Le FAQ 8 e 9 delle istruzioni interne pubblicate nella Intranet della G.A. precisano (FAQ 8) che se la procura è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore deve ottenere la copia per immagine su supporto informatico (scansione del foglio), inserire la asseverazione ai sensi dell’art. 22 CAD e provvedere a firmarlo digitalmente prima di allegarla al Modulo di deposito. L’asseverazione può essere inserita con apposito programma, procedendo alla sovrascrizione del file che contiene la scansione della procura. Se la procura è sottoscritta digitalmente anche dal Cliente, il difensore deve provvedere anch’esso a sottoscrivere digitalmente ed allegare il file al Modulo. La procura può essere apposta a margine o rilasciata su foglio separato. Nel primo caso si provvederà a scansionare la prima pagina del ricorso, inserire l’asseverazione ex art. 22 CAD e firmare digitalmente. Inoltre (FAQ 9) nel campo “Procura” l’avvocato potrà allegare la scansione della prima pagina del ricorso con la procura a margine. In tal caso sarà necessario provvedere ad asseverare la scansione ai sensi dell’art. 22 CAD e firmarla digitalmente prima di allegarla al Modulo di deposito.

T.a.r. Campania I, n. 1694/2017 ha ritenuto nullo il deposito con modalità telematiche della copia per immagini della procura alle liti formata in originale analogico, effettuato in violazione dell' art. 8 del d.P.C.M. n. 40/2016 -  ora riproposto integralmente nell’art.8 dell’All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 - poiché l'asseverazione riportata in un diverso file non era stata sottoscritta con firma digitale. Il T.A.R. Lazio (Roma), n. 5545/2017, seguendo il medesimo ragionamento, ha dichiarato la validità della procura rilasciata in formato analogico sottoscritta con firma autografa e depositata con modalità telematiche nella sezione «Procura» del «modulo deposito del ricorso». Dalla schermata estrapolata dalla ricorrente si evince la regolare sottoscrizione anche di questo documento con firma digitale, avvenuta mediante la seguente sequenza: 1) scansione della copia per immagine; 2) asseverazione ex  art. 22, comma 2, d.lgs. n. 82/2005, con l'inserimento della relativa dichiarazione; 3) sottoscrizione con firma digitale (trattasi di firma «PAdES» che consente la conservazione della medesima estensione del file che rimane «pdf»). T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, ord . n. 94/2018 ritiene che la mancata asseverazione della procura alle liti, originariamente rilasciata in modalità analogica, ai sensi degli artt. 22, comma 2, e 71 CAD e dell'art. 4 del d.P.C.M. 13 novembre 2014, ha come conseguenza l'irregolarità della stessa la quale, però, è sanabile mediante l'assegnazione di un termine perentorio per la regolarizzazione, ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.p.a., in ossequio all'orientamento espresso dal Cons. St., n. 1541/2017 in punto di irregolarità degli atti redatti in violazione delle norme disciplinanti il PAT.   

Le eccezioni alla regola del deposito telematico: ragioni di riservatezza e protezione dei dati personali

La l. n. 197/2016 contiene un'unica, esplicita, eccezione all'applicazione delle disposizioni sul processo amministrativo telematico, inserita all' art. 7, comma 5, del d.l. n. 168/2016.

Si tratta, precisamente, delle controversie relative al rapporto di lavoro proposte dal personale dei servizi d'informazione per la sicurezza e del DIS nonché, più in generale, di qualsiasi ricorso che coinvolga atti, documenti, notizie, attività sottoposti alla disciplina del segreto di Stato, di cui all'articolo 22 e agli articoli 39 e seguenti del Capo V della l. 3 agosto 2007, n. 124.

Per tali tipologie di ricorsi vige — per esigenze tecnologiche connesse all'attuale configurazione del S.I.G.A. — una presunzione assoluta di inapplicabilità dello strumento telematico.

Ne consegue che, in tali casi, si applicheranno anche dopo il 1° gennaio 2017 le consuete regole ante-PAT in tema di formazione e tenuta degli atti processuali e del fascicolo cartaceo in modalità analogica.

È da ritenere, tuttavia (benché la norma nulla dica in proposito) che per tali tipologie di ricorsi non dovrebbe applicarsi neppure la “vecchia” disposizione dell' art. 136, comma 2, c.p.a. circa il deposito di “copia in via informatica”, che finirebbe per ledere il medesimo interesse alla riservatezza dei nomi dei dipendenti del DIS e al contenuto degli atti coperti dal segreto di Stato; inoltre, anche per quanto riguarda la pubblicazione della sentenza, è auspicabile che la stessa avvenga con modalità analogiche tali da precludere la comunicazione delle informazioni ivi contenute a qualsiasi soggetto che non costituisca direttamente parte del giudizio e che, a maggior ragione, la stessa non venga diffusa, per finalità di consultazione giuridica, sul sito web della giustizia amministrativa.

Al riguardo, va infatti evidenziato che il Regolamento (UE) n. 679/2016 del 27 aprile 2016 (di seguito GDPR), direttamente applicabile in tutti gli Stati membri dal 25 maggio 2018, ha innalzato i livelli di protezione dei dati personali e responsabilizzato i titolari dei trattamenti, prevedendo nuovi obblighi e più severe sanzioni.

L’art 5 del GDPR stabilisce che il trattamento dei dati personali è soggetto ai principi di liceità, correttezza e trasparenza, al principio di limitazione delle finalità, al principio di minimizzazione dei dati, al principio di esattezza, al principio di limitazione della conservazione, al principio di integrità e riservatezza ed al principio di responsabilizzazione, mentre l’art. 9 par. 1 del GDPR stabilisce il generale divieto del trattamento dei dati che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona; peraltro il medesimo art. 9 prevede espressamente, al par. 2, lett. f, che tale divieto non si applichi, qualora il trattamento di tali dati sia necessario «per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria».

A norma dell’art. 17, par. 3, lett. e, del Regolamento (UE) 2016/679, qualora il trattamento di tali dati sia necessario «per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria», non trova applicazione nemmeno il cd. diritto all’oblio.

Con particolare riferimento al trattamento dei dati per ragioni di giustizia, il comma 4 dell’art. 2-duodecies d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy), come modificato dal d.lgs. n. 101/2018 e successive modificazioni,  precisa che i trattamenti effettuati per “ragioni di giustizia” sono quelli «correlati alla trattazione giudiziaria di affari e controversie», nonché «i trattamenti effettuati in materia di trattamento giuridico ed economico del personale di magistratura, nonché i trattamenti svolti nell’ambito delle attività ispettive su uffici giudiziari. Le ragioni di giustizia non ricorrono per l’ordinaria attività amministrativo-gestionale di personale, mezzi, strutture, quando non è pregiudicata la segretezza di atti direttamente connessi alla trattazione giudiziaria di procedimenti».

Diversa da quella sopra esaminata è la deroga all'obbligo del deposito con modalità telematiche disciplinata dal nuovo art. 136, comma 2, c.p.a. , nel testo introdotto dal d.l. n. 168/2016, convertito con modificazioni dalla l. n. 197/2016, secondo cui: “I difensori, le parti nei casi in cui stiano in giudizio personalmente e gli ausiliari del giudice depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche. In casi eccezionali, anche in considerazione della ricorrenza di particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia il presidente del Tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono dispensare, previo provvedimento motivato, dall'impiego delle modalità di sottoscrizione e di deposito di cui al comma 2-bis ed al primo periodo del presente comma; in tali casi e negli altri casi di esclusione dell'impiego di modalità telematiche previsti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 1, delle norme di attuazione, si procede al deposito ed alla conservazione degli atti e dei documenti.».

La norma, infatti, nel confermare il principio dettato dall'art. 136, comma 2-bis, c.p.a.,  secondo cui dal 1° gennaio 2017 tutti gli atti di parte devono essere sottoscritti e depositati con modalità telematiche prevede che “in casi eccezionali”, che devono essere debitamente motivati, possa essere richiesto al Giudice la dispensa dall'obbligo del deposito telematico.

A seconda della fase processuale in cui sorge l'esigenza di tutela, la richiesta andrà presentata al presidente del Tribunale o del Consiglio di Stato, al presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o al collegio se la questione sorge.

In tali casi è il Giudice che dovrà valutare se ricorrano ragioni “eccezionali” tali da dispensare l'avvocato (ma anche la parte privata o l'ausiliare che ne faccia richiesta) dall'impiego delle modalità telematiche e autorizzare la redazione e il deposito dell'atto processuale con le tradizionali modalità analogiche.

Qualora il Giudice accordi tale possibilità — ritenendo prevalenti le esigenze di riservatezza, volta per volta individuate con riferimento “anche” alla posizione delle parti o alla natura della controversia sull'utilizzo dello strumento telematico — i relativi atti non saranno visualizzabili attraverso il sistema informativo S.I.G.A.

In tali casi — come negli altri casi di esclusione dell'impiego di modalità telematiche previsti dal d.P.C.M. n. 40/2016 — si procederà quindi al deposito ed alla conservazione degli atti e dei documenti (benché la norma sia, a questo punto, tronca) con le tradizionali modalità cartacee.

La disposizione, nel disciplinare la “dispensa” dall'obbligo del deposito telematico, non contempla un accordo né tantomeno il contraddittorio tra le parti: ciò induce a ritenere che la dispensa possa riguardare anche un singolo atto processuale e possa avvenire inaudita altera parte.

Pertanto, a differenza dei casi di eccezione ex lege di applicazione della disciplina del processo telematico (controversie di lavoro dei dipendenti DIS e segreto di Stato), è ipotizzabile che nelle fattispecie disciplinate dall' art. 136, comma 2, c.p.a. il fascicolo processuale sia comunque strutturato come fascicolo informatico nel quale saranno comunque presenti tutte le informazioni processuali elencate nell' art. 5 dell’All.1 al d.P.C.S. ad esclusione degli atti e dei documenti per i quali sia stata ottenuta la “dispensa” dal deposito telematico.

Tuttavia, — in assenza, allo stato attuale, di disposizioni di coordinamento nonché di una specifica regolamentazione tecnica di dettaglio, sul punto, nel d.P.C.S. — qualora fosse proprio la parte ricorrente ad ottenere la dispensa dal deposito dell'atto introduttivo con modalità telematiche, è da chiedersi se il fascicolo nascerà comunque come fascicolo informatico o, viceversa, come fascicolo cartaceo e se tale facoltà vincolerà anche le controparti alla redazione degli atti con le medesime modalità analogiche, o se invece in tali casi si assisterà ad un fascicolo per metà cartaceo e per metà digitale.

Quanto alla fase in cui si può chiedere ed ottenere la dispensa in questione, la norma sembra infatti prevedere la possibilità che ciò possa avvenire in ogni fase processuale, e quindi anche prima che il ricorso venga incardinato con modalità telematiche (in tal caso, la richiesta andrà presentata al presidente del Tribunale o del Consiglio di Stato; qualora il ricorso sia già incardinato, invece, la richiesta andrà presentata al presidente della sezione, anche interna, mentre se la questione sorge in udienza la richiesta andrà presentata al Collegio).

Tuttavia, è intuibile che la richiesta di dispensa vada presentata quando i termini processuali non siano ancora scaduti, non potendo tale strumento essere utilizzato al fine di eludere i termini di deposito.

a. Le ragioni di riservatezza. L' art. 136, comma 2, c.p.a., come modificato dalla l. n. 197/2016, stabilisce che il Giudice può dispensare gli attori processuali che ne facciano richiesta dall'impiego delle modalità di sottoscrizione con firma digitale e del deposito con modalità telematica in «casi eccezionali», tipizzati dallo stesso legislatore nella ricorrenza di «particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti» o alla «natura della controversia».

L'introduzione della disposizione in oggetto dimostra come il legislatore, a fronte dello svolgimento della funzione giurisdizionale con modalità interamente telematiche, sia stato particolarmente attento alla tematica, innanzitutto, della protezione dei dati personali, il cui rispetto è espressamente garantito dall’art. 3 dell’All. 1 al d.P.C.S., sebbene come osservato dalla dottrina nell’ordinamento italiano, la tutela della riservatezza in ambito giudiziario non riguarda gli atti del processo, che devono essere sempre completi dei dati identificativi delle parti, ma la sola divulgazione delle decisioni una volta depositate; ciò al fine di realizzare il necessario bilanciamento tra l’esigenza di riservatezza del singolo con il principio di generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali e del contenuto integrale delle sentenze, quale strumento di democrazia e di informazione giuridica (cfr. Cass. sez. trib., n. 16807/2020).

Come è noto, quando il trattamento dei dati personali avviene «per ragioni di giustizia» la tutela prevista dal Codice in materia di protezione dei dati personali subisce talune, significative, deroghe specie in tema di esclusione della necessità del consenso al trattamento dei dati personali.

Ma, addirittura, con la l. n. 197/2016 il legislatore si è spinto oltre, tutelando in senso più ampio la sfera della “riservatezza personale”, potenzialmente suscettibile di maggiori e più pericolose ingerenze con il passaggio dal tradizionale processo cartaceo al “processo telematico”, che si avvale di modalità di trasmissione dei dati e di consultazione degli atti, documenti e provvedimenti del Giudice interamente telematiche.

Fino alla entrata in vigore della l. n. 197/2016, infatti, una limitata tutela dei dati personali in materia era assicurata esclusivamente dall' art. 56, comma 2, del d.lgs. n. 82/2005 (CAD) che, nel prevedere che l'accesso alle sentenze e alle altre decisioni dell'autorità giudiziaria amministrativa (e contabile, ma non del giudice civile e penale) “debba” avvenire «anche attraverso il sistema informativo» e il sito web della stessa autorità emanante- così sancendo il “diritto” di qualsiasi utente a prendere visione delle decisioni del giudice amministrativo attraverso il sito web istituzionale- ha sancito che tale modalità di pubblicazione debba avvenire nel rispetto degli artt. 51 e 52 del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 (Codice in materia di protezione dei dati personali).

Il d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, tuttavia, prevede solo talune ipotesi eccezionali in cui l'obbligo di oscuramento dei dati identificativi delle parti di causa spetta, d'ufficio, al Giudice o comunque all'amministrazione della giustizia titolare della pubblicazione dei provvedimenti sul sito istituzionale (alla quale in tal caso può essere presentata c.d. “istanza di oscuramento postuma”, dopo la pubblicazione sul sito).

Si tratta, precisamente, dei dati personali relativi a minori, alla capacità delle persone e di dati idonei a rivelare lo stato di salute, rispettivamente disciplinati dall' artt.52, comma 5 e dall'art. 22, comma 8 d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101.

In qualsiasi altro caso di trattamento dei dati personali, il d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 (Codice in materia di protezione dei dati personali) attribuisce invece al difensore l'onere di proporre al Giudice, l'istanza di oscuramento “per motivi legittimi”.

Al riguardo, giova osservare che la più recente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (v. decisione del 27 maggio 2021 sulla causa J.L. contro Italia (Ricorso n. 5671/16), stigmatizza, per violazione dell’art. 8 CEDU, la tecnica redazionale delle sentenze consistente nell’includere nella motivazione considerazioni sovrabbondanti e superflue.  In particolare la Corte, dopo avere richiamato il quadro normativo di riferimento e l’art. 12, terzo comma, del Codice etico dei magistrati (par. 62), afferma espressamente che “la facoltà per i giudici di esprimersi liberamente nelle decisioni, che è una manifestazione del potere discrezionale dei magistrati e del principio dell’indipendenza della giustizia, è limitata dall’obbligo di proteggere l’immagine e la vita privata dei singoli da ogni violazione ingiustificata” (par 139), evidenziando come i riferimenti presenti nella sentenza alle relazioni passate della persona offesa con determinati imputati o ad alcuni suoi comportamenti nel corso della serata, alla sua condizione familiare, alle sue relazioni sentimentali, ai suoi orientamenti sessuali o ancora alle sue scelte di abbigliamento, non “fossero giustificate dalla necessità di garantire i diritti della difesa degli imputati” (par 138).

Anche la Corte di Cassazione (Cass.  ord., n. 11020/2021), pronunciandosi di recente su un caso avente ad oggetto il trattamento delle informazioni personali effettuato nell'ambito di un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in relazione ad una asserita condotta deontologicamente scorretta posta in essere da un legale, ha ribadito che il trattamento è pur sempre lecito purchè  avvenga nel rispetto del criterio di minimizzazione nell'uso dei dati personali, dovendo essere utilizzati solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati.

Appare evidente, pertanto, che ai medesimi principi devono attenersi anche i magistrati nella redazione dei provvedimenti, in modo da realizzare una forma di tutela anticipata dei diritti e della riservatezza dei soggetti coinvolti nelle decisioni giudiziarie e di garantire a pieno la fondamentale necessità di bilanciamento tra l’esigenza di riservatezza del singolo con il principio di generale conoscibilità dei provvedimenti giurisdizionali, a prescindere ed in aggiunta alle successive attività di oscuramento dei dati personali che coinvolgano i provvedimenti giudiziari, non essendo, evidentemente, sempre sufficiente eliminare “l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi dell’interessato” perché una sentenza sia effettivamente “anonima”; l’esigenza che si pone è quella di limitare al massimo il trattamento dei dati anche nel corpo motivazionale della sentenza per evitare che, a seguito della diffusione del provvedimento, ad esempio anche su piattaforme social caratterizzate dalla presenza di post e commenti, possa addivenirsi comunque alla re-identificazione della persona interessata mediante aggiunta di altri dati; va peraltro evidenziato che l'opportunità di adottare idonei criteri redazionali per rendere più efficace la tutela del diritto alla riservatezza delle persone e per agevolare notevolmente l'attività degli uffici volta alla concreta anonimizzazione delle pronunce, è stata in realtà sottolineata già in un parere dell'Ufficio Studi della Giustizia Amministrativa dell'8 maggio 2019.

La giurisprudenza ha interpretato tale formula nel senso che ricorrono «motivi legittimi» tali da giustificare l'oscuramento della sentenza, in caso di pubblicazione sul sito istituzionale o comunque in caso di diffusione a soggetti diversi dalle parti, quando la motivazione tratti dati c.d. «sensibili» o, comunque, la vicenda oggetto del giudizio sia particolarmente «delicata» (Cass. pen., VI, n. 11959/2017). La richiesta di oscuramento va depositata nella cancelleria o Segreteria dell'ufficio che procede prima che sia definito il relativo grado di giudizio. In tali casi è consentito anche alla medesima autorità che procede il potere di disporre (anche) d'ufficio, che sia apposta a cura della Segreteria nel provvedimento da pubblicare una annotazione volta a precludere la diffusione, anche da parte di terzi (ad esempio, banche dati giuridiche etc.) delle generalità o dei dati comunque idonei ad identificare la parte, a tutela dei diritti o della dignità degli interessati.

Per una applicazione giurisprudenziale del potere d'oscuramento d'ufficio del Giudice si veda, in materia di informative antimafia: Cons. St. III, n. 3774/2017; T.A.R. Calabria (Catanzaro) I, n. 1190/2017; T.A.R. Lazio (Roma) I, n. 8737/2017.

Va rilevato che, secondo attenta dottrina (PISANO) al di fuori delle richiamate ipotesi di c.d. oscuramento obbligatorio, qualora il difensore non abbia presentato la relativa istanza né il Giudice abbia ritenuto discrezionalmente di procedere d'ufficio “a tutela dei diritti o della dignità degli interessati” ( art. 52, comma 2, d.lgs. n. 196/2003), l'amministrazione non potrebbe disporre l'oscuramento “ex post”, neppure in ipotesi gravissime di lesione della dignità personale delle persone citate: in tali casi, infatti, la valutazione dell'amministrazione andrebbe ad incidere su una facoltà che il legislatore ha espressamente attribuito all'Autorità Giudiziaria procedente.

Le recenti FAQ in tema di “Adempimenti in materia di Privacy e pubblicazione delle sentenze online” pubblicate sul sito internet istituzionale della G.A. in data 12 settembre 2017 — redatte alla luce del parere dell'Ufficio Studi dell'8 marzo 2017 hanno focalizzato alcune questioni, in risposta agli interrogativi più frequenti. In particolare nella FAQ n. 2 si afferma che il momento della definizione del relativo grado del giudizio costituisce il termine ultimo per la proposizione dell'istanza di anonimizzazione. Ne consegue che dopo la definizione della controversia nel grado, ossia quando l'affare non è più pendente, la parte perde il diritto di chiedere l'oscuramento dei dati identificativi sicché, come chiarito dalla successiva FAQ n. 3, pubblicata la sentenza, la parte interessata può solo eventualmente sollecitare, con propria istanza, l'oscuramento nelle ipotesi in cui tale oscuramento sia previsto come obbligatorio (ipotesi contemplate dagli artt. 22, comma 8, che vieta tout court la diffusione di tutti i dati idonei a rivelare lo stato di salute, e 52, comma 5, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, a tenore del quale “chiunque diffonde sentenze o altri provvedimenti giurisdizionali dell'autorità giudiziaria di ogni ordine e grado è tenuto ad omettere in ogni caso, anche in mancanza dell'annotazione di cui al comma 2, le generalità, altri dati identificativi o altri dati anche relativi a terzi dai quali può desumersi anche indirettamente l'identità di minori, oppure delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone”). Deve pertanto ritenersi che la successiva FAQ n. 7 in tema di “Adempimenti in materia di Privacy e pubblicazione delle sentenze online”, nel prevedere la competenza del Segretario Generale della Giustizia amministrativa, responsabile del sito istituzionale, anche nei casi in cui, per qualsiasi ragione, l'oscuramento non sia stato disposto in sentenza, faccia riferimento alle sole richiamate ipotesi di c.d. “oscuramento obbligatorio”. Verificandosi tale evenienza – e salva l'ipotesi di richiesta di correzione di errore materiale – la competenza, infatti, prima del Collegio, torna al soggetto amministrativo che detiene il dato e pone in essere il trattamento, ovvero, in questo caso, al Segretario Generale responsabile del sito istituzionale. Poiché, infatti, la diffusione di un dato sensibile rappresenta una violazione del relativo obbligo di legge (anche nei casi in cui la sentenza sia priva della clausola di oscuramento), a tale violazione deve porre rimedio il soggetto amministrativo responsabile della diffusione, ovvero, come si è detto, il Segretario Generale. L'omissione del giudice al momento della sentenza non può infatti rendere possibile ciò che la legge vieta, ovvero, appunto, la diffusione di una certa categoria di dati (ex artt. 52, comma 5, e 22, comma 8, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). In tali casi, come chiarito dalla successiva FAQ n. 8 “Interrompere la diffusione di dati sensibili (il cui oscuramento è obbligatorio per legge) costituisce un obbligo che grava sul soggetto responsabile della diffusione anche a prescindere dall'istanza di parte”.Si evidenzia che con circolare del Segretario generale prot. n. 0012542 del 3 luglio 2013 tale competenza è stata delegata alle Segreterie degli Uffici giudiziari, che devono comunicare al Segretariato generale le determinazioni assunte.

Una volta concluso il giudizio nel grado e pubblicata la sentenza, invece, per quanto riguarda il c.d. “oscuramento facoltativo”, la FAQ n. 5 chiarisce che l'obbligo di provvedere espressamente sull'istanza di anonimizzazione (presentata dall'interessato nei termini e nelle forme previste dalla legge) sopravvive (attesa la natura sostanzialmente amministrativa del procedimento in esame) alla definizione del relativo grado di giudizio, con la conseguenza che il giudice amministrativo conserva il potere di pronunciarsi sulla stessa (e, specularmente, il privato la possibilità di sollecitarne la definizione). La pronuncia potrebbe essere sollecitata o con una richiesta formulata in sede di impugnazione o con l'attivazione del procedimento di correzione di errore materiale presso il giudice che ha omesso di provvedere ovvero con una istanza al Segretario Generale.T ale obbligo sussiste solo nei casi di oscuramento c.d. obbligatorio, ai sensi degli artt. 52, comma 5 (identità dei minori o delle parti nei giudizi concernenti rapporti di famiglia e stato delle persone), e 22, comma 8 (dati concernenti la salute), d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101. Sia consentito, invece, non condividere la FAQ n. 6, secondo cui in caso di oscuramento c.d. “facoltativo” è sempre necessaria l'istanza di parte, in quanto l' art. 52, comma 2, del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, attribuisce al Giudice il potere di intervenire d'ufficio al fine di disporre l'oscuramento dei dati ogni qual volta lo ritenga opportuno “per motivi legittimi”, ai fini della tutela dei diritti e della dignità degli interessati.

È bene evidenziare che l'oscuramento di cui all' art.52 del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018 non riguarda esclusivamente la pubblicazione della sentenza ma, più in generale – in considerazione della possibilità potenzialmente lesiva della pubblicazione on line- qualsiasi provvedimento destinato alla pubblicazione sul sito web istituzionale della Giustizia Amministrativa o comunque la pubblicazione da parte di terzi su riviste giuridiche. L'obbligo di oscuramento non incide, invece, sulla integrale pubblicazione del provvedimento digitale nel fascicolo informatico di cui all' art. 5 dell’All.1 al d.P.C.S. (in tal senso, anche la FAQ n. 9 in tema di “Adempimenti in materia di Privacy e pubblicazione delle sentenze online” pubblicate sul sito internet istituzionale della G.A. in data 12 settembre 2017 — redatte alla luce del parere dell'Ufficio Studi dell'8 marzo 2017).

In proposito, infatti, l' art. 5, comma 10, dell’All.1 al d.P.C.S. precisa che “l'originale del provvedimento digitale o, nei casi di cui al comma 9, la copia informatica del provvedimento cartaceo sono pubblicati, in forma integrale, nel fascicolo informatico” mentre sul sito web della giustizia amministrativa viene pubblicata una mera “copia uso studio” dei provvedimenti, in formato aperto, osservando le cautele previste dalla normativa in materia di tutela dei dati personali e con modalità tali da precluderne la indicizzazione da parte di motori di ricerca esterni. La preclusione della indicizzazione dei provvedimenti giurisdizionali da parte di motori di ricerca esterni, in particolare, risponde alla esigenza imposta dalla recente giurisprudenza nazionale e comunitaria che ritiene rispettata l'esigenza di protezione dei dati personali ponendo a carico, del titolare del Sito web l'obbligo di prevedere adeguate misure tecnologiche volte a neutralizzare l'indicizzazione da parte dei motori di ricerca esterni dei provvedimenti medesimi (cfr. Cass. n. 5525/2012; sent. Google Spain SL e Google Inc. — Causa C-131/12) CGUE — Grande sez. del 13 maggio 2014).

In merito ai rapporti tra pubblicità/pubblicazione dei provvedimenti giurisdizionali sul sito web e protezione dei dati personali si osserva, tuttavia, che si osserva che neppure l'art.17 del Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali n. 679/2016 — il quale prevede il diritto all'oblio e alla cancellazione, approfondendo e precisando il diritto alla cancellazione di cui all'articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46/CE — nel sancire le condizioni del diritto all'oblio, prevede un obbligo generalizzato di oscuramento delle sentenze pubblicate sul web, bensì un oscuramento pur sempre “a richiesta” e “per motivi legittimi”, salvi gli indicati obblighi di deindicizzazione dei motori di ricerca.

La disposizione di cui all' art. 136, comma 2, c.p.a., rispetto all' art. 52 d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101 (Codice in materia di protezione dei dati personali), opera su un piano diverso: per tutelare il proprio assistito, infatti, il difensore non dovrà attendere la pubblicazione della sentenza ma, in casi pur sempre “eccezionali” a fronte di un processo interamente telematico, sin dall'incardinamento del ricorso introduttivo potrà chiedere che una o più informazioni, atti o documenti processuali siano sottratti al regime di accessibilità descritto dall'art.17 dell’All.1 al d.P.C.S. (il cui ambito è più ampio rispetto all'accesso delle informazioni, atti e documenti del tradizionale fascicolo cartaceo, disciplinato dall' art.76 disp. att. c.p.c.). In tali casi, il Giudice potrà autorizzare il deposito con modalità cartacee, così che l'atto o il documento siano visualizzabili solo dalle parti, al Giudice e dai suoi ausiliari senza che l'atto o il documento così depositato possa essere, neppure in seguito, scansionato dalla Segreteria e inserito nel fascicolo informatico.

Le «particolari ragioni di riservatezza» che, ai sensi dell' art. 136 comma 2 c.p.a, giustificano la richiesta di oscuramento, devono essere inerenti, secondo la lettera della legge “alla posizione delle parti” o alla “natura della controversia”. La norma, in realtà, fa infatti riferimento alla sussistenza “anche” — ma non solo — “di particolari ragioni di riservatezza” legate alla posizione delle parti o alla natura della controversia: ciò lascerebbe pensare che la richiesta di dispensa di cui trattasi potrebbe essere proposta “anche” per ragioni diverse da quelle legate ad esigenze di riservatezza, purché debitamente motivate.

Di recente, i presupposti legittimanti l'oscuramento del provvedimento per tutela della dignità personale sono stati ravvisati dalla giurisprudenza, ex multis, in ipotesi di impugnativa di provvedimento disciplinare (T.A.R. Roma, I bis, ord. 12332/2017) o comunque di condotta asseritamente non conforme ai doveri d'ufficio del dipendente (Cons. St., III, sent. n.5639/2017), di misura cautelare amministrativa (T.A.R. Roma,III, ord. 12071/2017), di  provvedimento sanzionatorio (T.A.R. Roma, II, sent.9993/2017), di autorizzazione alla proroga all'incarico di consigliere giuridico (Cons. St., IV, n.5599/2017) ma anche, ad esempio, più in generale ogni qual volta si reputi che non sia proporzionata ai fini della conoscibilità da parte degli utenti generalizzati  la pubblicizzazione su internet delle circostanze di fatto evidenziate negli atti di causa (ad es., in materia di dichiarazione di interesse particolarmente importante di una porzione di immobile e di una collezione pittorica,  Cons. St., VI, n. 5737/2017).      

L'individuazione della portata applicativa della disposizione, con riferimento alla “posizione delle parti”, è in realtà piuttosto ardua, considerato che il legislatore, con il richiamato art. 52 d.lgs. n. 196/2003, nel bilanciare le esigenze di protezione dei dati personali con quelle della diffusione dei dati medesimi per finalità di divulgazione scientifica – ora mutate, nel nuovo contesto normativo, in finalità di trasparenza- ha ritenuto sufficiente garantire l'oscuramento di taluni dati personali (e segnatamente quelli sensibili attinenti alla salute o quelli relativi ai minori o alla capacità delle persone, come meglio si vedrà nel paragrafo successivo) in fase di diffusione della sentenza sul sito web.

Pertanto, in base alla duplice considerazione da un lato che, in linea di principio, tutte le parti processuali vantano un interesse tutelato a che tutti gli atti processuali siano reperibili con modalità telematiche e, dall'altro, che la tutela dei dati personali trova comunque la sua consacrazione nel richiamato art. 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali, ne deriva che la tutela di cui all' art. 136, comma 2 c.p.a., potrà essere accordata solo in ipotesi del tutto eccezionali, in cui si ponga una esigenza “rafforzata” di tutela dei dati personali (che vada oltre le ordinarie ragioni di protezione dei dati “per motivi legittimi” di cui all'art.52 d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018 (Codice in materia di protezione dei dati personali), tale da giustificare la deroga all'obbligo del deposito e della messa a disposizione, nei confronti di tutti i soggetti abilitati, dell'atto processuale nel fascicolo informatico. La difficoltà di individuare le fattispecie a cui tale disposizione possa applicarsi deriva in secondo luogo, dal fatto che l'esigenza di tutelare “particolari ragioni di riservatezza legate alla posizione delle parti” è stata già tutelata dal legislatore, che all' art.7, comma 5, del d.l. n. 168/2016, conv. in l. n. 197/2016 ha addirittura escluso — senza alcuna possibilità di valutazione da parte del Giudice — l'applicazione delle disposizioni sul PAT alle già richiamate controversie di cui all' articolo 22 l. n. 124/2007, in cui appunto vengono in considerazione particolari esigenze di riservatezza connesse alla “posizione delle parti”.

Si rileva che, analogamente all' art.52 d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018,  anche l' art. 136 comma 2 c.p.a. non contempla espressamente la possibilità di tutelare, oltre alla posizione delle parti, quella degli eventuali terzi coinvolti dal processo.

Un tentativo, non andato a buon fine, di modificare l' art. 52 d.lgs. n. 196/2003, al fine di tutelare anche la posizione dei terzi richiamati negli atti di causa e, in finale, nei provvedimenti del Giudice è stato effettuato con l'art. 62 dello Schema di decreto contenente il nuovo Codice dell'amministrazione digitale (c.d. riforma “Madia”).

La disposizione prevedeva modifiche alla disposizione, così sintetizzabili:

a) l'istanza avrebbe potuto essere presentata a prescindere dalla motivazione circa la sussistenza di “motivi legittimi”;

b) anche successivamente alla pubblicazione della sentenza o di altra decisione giurisdizionale, l'interessato avrebbe potuto presentare la richiesta di oscuramento direttamente al gestore del sito internet o all'editore della banca dati o rivista giuridica accessibile online che avesse proceduto alla pubblicazione per finalità di informazione giuridica. In tal caso il titolare del trattamento avrebbe dovuto provvedere alla anonimizzazione dei dati personali dell'interessato senza ritardo o, comunque, in caso di difficoltà tecniche o organizzative, non oltre quindici giorni dalla richiesta.

In caso di pubblicazione su una rivista giuridica o banca dati cartacea o elettronica, diffusa attraverso canali tradizionali, l'editore sarebbe stato obbligato a procedere all'anonimizzazione solo in caso di ulteriori pubblicazioni o riedizioni.

 Inoltre, tutte le sentenze e le altre decisioni rese dall'autorità giudiziaria – compresa quella civile- successivamente al 1° gennaio 2016 avrebbero dovuto essere pubblicate sui siti Internet istituzionali delle autorità che le hanno emanate, su quelli di terzi e in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, solo previa anonimizzazione dei dati personali in esse contenuti, fatti salvi quelli dei giudici e degli avvocati.”. Infine, si prevedeva che le previsioni del nuovo art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 non sarebbero state ostative alla pubblicazione dei dati personali estratti da una sentenza o decisione resa pubblica dall'autorità giudiziaria che l'ha emessa nei limiti di quanto consentito per l'esercizio del diritto di cronaca.” Tale formulazione, come già evidenziato, non è stata recepita nella versione definitiva del nuovo Codice dell'Amministrazione digitale né, neppure a seguito delle modifiche apportate a seguito dell’entrata in vigore del regolamento UE 676/2016, al d.lgs. n.196/2003 per effetto del successivo decreto di adeguamento interno (d.lgs. n. 101/2018).

Al riguardo, è opportuno evidenziare la particolare sensibilità espressa, al riguardo, dalla giustizia amministrativa: infatti, già la FAQ n.1 in tema di “Adempimenti in materia di Privacy e pubblicazione delle sentenze online”, pubblicata sul sito internet istituzionale della G.A. in data 12 settembre 2017 – ha previsto che la “richiesta di annotazione, sull'originale della sentenza o del provvedimento, volta a precludere l'indicazione delle generalità e di altri dati identificativi dell'istante riportati sulla sentenza o sul provvedimento in caso di riproduzione in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica, può essere presentata da qualsiasi “interessato”, ossia da ogni soggetto che potrebbe essere reso identificabile nel provvedimento attraverso l'indicazione delle generalità o di altri dati identificativi”. Poiché tuttavia la richiesta va proposta nel corso del giudizio, innanzi al Collegio presso il quale la causa pende, è evidente che tale istanza non potrebbe che essere proposta tramite un difensore; inoltre, è assai arduo ipotizzare che i terzi estranei ai fatti di causa possano avere contezza del contenuto potenzialmente lesivo degli atti processuali. È quindi preferibile interpretare la disposizione nel senso che l'istanza possa essere proposta dai difensori delle parti di causa ma al fine di tutelare qualsiasi terzo “interessato”. Più di recente, proseguendo su questa strada, il Segretario generale della g.a. con circolare n. 12743 del 4 settembre 2019 ha rammentato al personale di Segreteria l’osservanza di ogni necessaria cautela con riguardo al trattamento dei dati personali, anche con riferimento, a seconda delle fattispecie, della possibilità o addirittura all’obbligo  di oscuramento d’ufficio in via amministrativa delle sentenze ed altri provvedimenti giurisdizionali secondo quanto prescritto dall’art. 52, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018. A tali casi, dopo l’entrata in vigore del GDPR, deve aggiungersi il divieto di diffusione, mediante pubblicazione dei provvedimenti sul sito web, dei dati personali che rivelino (v. il combinato disposto degli artt. 9 comma 1, del Regolamento (UE) n. 2016/679 e degli artt. 2-ter, comma 4, lett. b), e 2-septies del d.lgs. n. 101/2018: l'origine razziale o etnica; le opinioni politiche; le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale; dati genetici;  dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica; dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona. Analogo divieto di diffusione, ai sensi dell’art. 10 del GDPR e 2-octies del d.lgs. n. 101/2018, vige per: i dati personali relativi alle condanne penali; i dati personali relativi ai reati; i dati personali relativi a connesse misure di sicurezza. Deve, peraltro, evidenziarsi che l’art. 166, comma 2, del d.lgs. n. 196/2003, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018, sanziona espressamente la violazione dell’art. 52, commi 4 e 5 d.lgs.196/2006 in materia di obblighi di oscuramento dei provvedimenti (nelle ipotesi pertanto di mancato oscuramento dei provvedimenti ai quali sia stata apposta la formula di oscuramento da parte del magistrato e delle ipotesi di oscuramento riferite alle persone offese da atti di violenza sessuale e ai dati da cui possa desumersi, anche indirettamente l’identità di minori, oppure delle parti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone) con l’applicazione delle sanzioni pecuniarie di cui all’art. 83, paragrafo 5, del GDPR. In virtù del delineato quadro normativo ed in particolare degli obblighi imposti dal GDPR in capo al titolare del trattamento dei dati personali e alle connesse sanzioni (v. art. 85, paragrafo 5, del GDPR in precedenza indicato) e, quanto al contesto nazionale, imposti, oltre che dal rispetto dell’art. 52 d.lgs. n. 196/2003, soprattutto dall’art. 56 del C.A.D., direttamente riferibile a chi provvede alla pubblicazione delle sentenze sul sito istituzionale, si reputa dunque assolutamente necessario evidenziare al personale di Segreteria il dovere di procedere all’oscuramento d’ufficio delle generalità o degli altri dati identificativi dell’interessato.

Per quanto invece riguarda la sussistenza di particolari ragioni di riservatezza legate alla “natura della controversia”, potrebbe essere possibile chiedere l'esonero dal deposito di singoli atti con modalità telematica, ad esempio, in tema di appalti, al fine di tutelare il know-how industriale. In tali casi, la richiesta di autorizzazione al deposito con modalità cartacee potrà essere presentata sia dai difensori che, in generale, anche dalla parte privata o dall'ausiliare e può essere accordata solo previo provvedimento motivato.

b. Le eccezioni previste dal d.P.C.S. 28 luglio 2021. L'art. 136, comma 2, c.p.a., come modificato dalla l. n.197/2016, rinvia inoltre espressamente alle ulteriori eccezioni alla regola del deposito con modalità telematiche previste dal d.P.C.M. n. 40/2016, ora riproposto integralmente nel d.P.C.S. 28 dicembre 2020. Si tratta, precisamente, delle ipotesi descritte dall' art. 9, commi 8 e 9, All.1 al d.P.C.S., in cui l'esclusione dall'impiego delle modalità telematiche è connesso alla sussistenza di «particolari ragioni tecniche» che rendano impossibile il deposito telematico.

Più nel dettaglio, l' art. 9, comma 8, dell’All.1 al d.P.C.S. prevede che nel corso del giudizio, il giudice può, per specifiche e motivate ragioni tecniche, ordinare o autorizzare il deposito di copia cartacea o su supporto informatico ovvero su diverso supporto di singoli atti e documenti. La formulazione della disposizione è tale da ricomprendere diverse ipotesi, e precisamente sia i casi in cui il deposito telematico non sia possibile per «ragioni tecniche» (diverse sia dal malfunzionamento di S.I.G.A. sia da impedimenti tecnici imputabili alle parti) che potrebbero, ad esempio, individuarsi nella particolari dimensioni del documento da depositare: si pensi, ad esempio, alle cartografie, e più in generale a tutti i casi in cui il peso del documento informatico da depositare non sia compatibile con la PEC né con le dimensioni consentite per l'Upload; sia i casi in cui il deposito debba avvenire, per altre ragioni, «su supporto informatico ovvero su diverso supporto» (si pensi, ad esempio, alla necessità di depositare in giudizio radiografie). L' art. 9, comma 9, del d.P.C.S. si riferisce invece all'ulteriore ipotesi in cui il deposito con modalità telematiche non sia possibile per oggettiva impossibilità di funzionamento del sistema informativo, attestata dal Responsabile del Siga.

In quest'ultimo caso, la dottrina ritiene che in realtà non sussista alcuna discrezionalità in capo al Giudice nell'autorizzare il deposito in giudizio degli atti e dei documenti cartacei. Lo stesso principio dovrebbe riguardare la produzione autorizzata di documenti ai sensi dell' art. 55, commi 7 e 8 c.p.a. Come è noto, infatti, il deposito di documenti in camera di consiglio può essere autorizzato dal collegio solo «per gravi ed eccezionali ragioni, con consegna di copia alle altre parti fino all'inizio della discussione» ( art. 55, comma 8 c.p.a.). Le parti diverse dall'istante possono costituirsi anche soltanto in camera di consiglio; in questo caso, però, potranno svolgere le loro difese solo con una trattazione orale ( art. 55, comma 7 c.p.a.). Ne consegue che, ove il Giudice per gravi ed eccezionali ragioni autorizzi il deposito di documenti in camera di consiglio, si avrà automaticamente una autorizzazione al deposito in modalità cartacea. Ciò, a meno che non si voglia ritenere che con l'avvio del Pat i difensori siano obbligati a dotarsi di tablet e dispositivi che consentano una connessione internet dalle Aule di udienza, al fine di depositare anche tali documenti con modalità telematiche e consentirne l'esame alla controparte e al Collegio (Pisano).

c. Ulteriore eccezione alla regola del deposito telematico è contenuta nell'ultimo periodo dell' art. 13, comma 1, All. 2, disp. att. c.p.a. come modificato dalla l. n. 197/2016, secondo cui in “casi eccezionali” e se non è possibile effettuare più invii dello stesso scritto difensivo o documento, il presidente del tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono autorizzare il deposito cartaceo Il nuovo art. 13, comma 1, All. 2, disp.att. c.p.a., come modificato dalla l. n. 197/2016, prevede che in casi eccezionali e se non è possibile effettuare più invii dello stesso scritto difensivo o documento, il presidente del tribunale o del Consiglio di Stato, il presidente della sezione se il ricorso è già incardinato o il collegio se la questione sorge in udienza possono autorizzare il deposito cartaceo.

Si tratta di una ulteriore deroga al deposito degli atti e dei documenti di causa con modalità telematiche, rispetto a quelle già descritte sia nell'art. 136, comma 2, come modificato dalla l. n. 197/2016, sia da quelle contemplate dal d.P.C.S., al quale lo stesso art. 136, comma 2 c.p.a. rinvia.

La formulazione della disposizione è in realtà piuttosto contorta: a fronte della locuzione “e”, il legislatore sembrerebbe consentire la possibilità di richiedere l'autorizzazione al deposito cartaceo ex art. 13, comma 1, All. 2 disp.att. c.p.a. solo a fronte della ricorrenza della ricorrenza di un duplice presupposto:

a) una situazione di “eccezionalità” (non meglio precisata);

b) l'impossibilità di effettuare “più 'invii” dello stesso scritto difensivo o documento”.

La possibilità di effettuare “più invii” a mezzo PEC dello stesso scritto difensivo o documento è espressamente contemplata, nell' art. 9, comma 5,  dell’All.1 al d.P.C.S. che prevede che quando il messaggio di posta elettronica certificata eccede la dimensione massima gestibile dalla casella del mittente, il deposito degli atti o dei documenti può essere eseguito mediante l'invio di più messaggi di posta elettronica certificata (PEC).

Tale possibilità, a seguito delle modifiche intervenute con la l. n. 197/2016, deve tenere conto della impossibilità di effettuare “più invii” (c.d. frazionamento) quando il messaggio di PEC supera i limiti di peso stabiliti con il decreto del Segretario generale della G.A. di cui all' art. 13, comma 1 bis, All. 2, disp.att. c.p.a.

In tale ipotesi, tuttavia, secondo la FAQ n.11 pubblicata sul sito internet della G.A. i file di dimensioni superiori ai 30 MB, non frazionabili “possono essere acquisiti direttamente dalle Segreterie degli organi giurisdizionali, nel rispetto delle Regole e Specifiche tecniche, fatta salva la possibilità, in casi eccezionali, di autorizzazione al deposito cartaceo, ai sensi del citato art. 13, comma 1, dell'All.2 disp.att. c.p.a.”.

In realtà, le regole e specifiche tecniche della G.A. non contengono alcuna norma volta a disciplinare caricamento diretto dei file del difensore da parte della Segreteria: è bene fare attenzione, infatti, alla circostanza che anche in tal caso il caricamento, corrispondendo ad un deposito con modalità telematiche, non può sfuggire alle ordinarie regole del deposito, sia per quanto attiene alla identificazione del soggetto depositante che alle informazioni che ai sensi del d.P.C.S. devono essere fornite in sede di deposito attraverso la compilazione del Modulo.

L' art. 13, comma 1, All. 2, c.p.a., non fa invece alcun riferimento all'ulteriore requisito che, ai sensi del d.P.C.S., consente alle parti, in via del tutto eccezionale, di richiedere l'autorizzazione ad effettuare il deposito cartaceo, ovvero l'impossibilità di effettuare il deposito dell'atto o del documento, per il quale non possa effettuarsi il frazionamento, attraverso caricamento diretto con upload.  Si evidenzia come, di recente, la necessità che il deposito con modalità cartacee sia limitato a casi del tutto eccezionali è stata ribadita da T.A.R. Lazio (Roma), I, decr. pres.7136/2017, con riferimento ad una fattispecie in cui la deroga all'obbligo del deposito telematico era stata richiesta a seguito della notevole dimensione dei documenti informatici che tuttavia, ad avviso del Giudice, ben avrebbero potuto essere caricati con upload ai sensi dell'art. 9, comma 6 dell’All.1 al d.P.C.S.

L' art. 6, comma 8 – che non è stato abrogato — prevede infatti che nel caso in cui non sia possibile, per comprovate ragioni tecniche, il deposito con PEC o nel caso in cui la dimensione del documento da depositare superi i 30 MB, è consentito il caricamento diretto attraverso il Sito Istituzionale (upload), secondo le modalità indicate dall'art. 8 delle stesse specifiche.

Quanto al difensore, il caricamento diretto avviene mediante collegamento al Sito Istituzionale, nell'apposita sezione presente nel Portale dell'Avvocato, utilizzando la funzione «deposito ricorso» o «deposito atti» e seguendo le istruzioni ivi riportate. L'avvocato deve indicare la ragione che non ha consentito il deposito mediante PEC e digitare il codice identificativo del messaggio di mancato deposito. Ad avvenuto completamento della procedura l'avvocato invia il ricorso o gli altri atti processuali, utilizzando l'apposita funzione presente nel Sito Istituzionale. Il S.I.G.A. genera un messaggio, immediatamente visualizzabile, di ricezione. Ai fini del rispetto dei termini processuali, il deposito con upload si considera effettuato nel momento in cui il S.I.G.A. ha registrato l'invio del ricorso o degli altri atti processuali.

In considerazione della ratio sottesa al processo telematico e del favor per la modalità telematica, deve privilegiarsi l'interpretazione per cui l'autorizzazione al deposito con modalità cartacee possa essere concessa, anche con riferimento a tale ipotesi, solo nel caso eccezionale in cui non possa procedersi al deposito neppure con upload.

In proposito — a prescindere da ogni considerazione sul rapporto tra fonti di grado diverso- va evidenziato un disallineamento tra il d.P.C.S. (che ammette il caricamento con upload in ogni caso in cui il file da depositare superi i 30 MB), e quanto, invece, stabilito dal Segretario generale della Giustizia amministrativa con decreto n. 154/2016 (secondo cui la dimensione del singolo file caricato mediante upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 30 MB e la dimensione complessiva dei file depositati mediante un caricamento in upload al sito istituzionale della Giustizia Amministrativa non può superare i 50 MB, fermo restando la possibilità di depositi frazionati. Per effetto di tale decreto, nella sostanza, la possibilità di ricorrere al deposito mediante upload viene ad essere depotenziata all'unica ipotesi dell'impossibilità tecnica di procedere al deposito mediante PEC, purché il singolo file non superi i 30 MB.

La FAQ n.47 Istr. oper.int.  prevede che nel caso di depositi che superino le dimensioni previste dal decreto del Segretario generale della Giustizia amministrativa del 23 dicembre 2016, n. 154, cosa deve l’avvocato può depositare con il Modulo atti l’indice documenti nel quale è indicato il documento (l’indice acquisirà un suo numero di protocollo), con una nota firmata con la quale dichiara che il documento sarà depositato in formato cartaceo perché supera i limiti consentiti. L’avvocato deposita direttamente presso l’Ufficio Ricevimento o la Segreteria della Sezione il documento in formato digitale purchè con la relativa attestazione di conformità (su supporto Usb o Cdrom); l’ufficio provvederà all’acquisizione e il documento prenderà un nuovo numero di protocollo.

La disposizione, in realtà piuttosto generica, consente di ricorrere a tale possibilità esclusivamente a fronte della ricorrenza del presupposto di una situazione di «eccezionalità» in cui non sia possibile effettuare l'invio dell'atto difensivo o del documento (frazionato, tramite l'invio di più PEC), del medesimo scritto difensivo o documento. È assai dubbio, in mancanza di ulteriori specificazioni, se tale richiesta prescinda del tutto o presupponga l'impossibilità di effettuare il medesimo deposito con upload.

L' art. 136, comma 2, c.p.a. precisa, infine, che in tutti i casi di deposito degli atti e dei documenti con le tradizionali modalità cartacee, si procederà alla conservazione degli stessi. Alla incompletezza della norma soccorre l' art. 5, All. 2, disp. att. c.p.a, il cui comma 3-bis, per i ricorsi depositati dal 1° gennaio 2017, prevede che, in deroga alla nuova modalità informatica di formazione del fascicolo d'ufficio, nei casi in cui è previsto il deposito di atti e documenti in forma cartacea, il segretario forma un fascicolo cartaceo recante i dati identificativi del procedimento; nel fascicolo cartaceo, che si considera parte integrante del fascicolo d'ufficio, sono inseriti l'indice dei documenti depositati, gli atti legittimanti il deposito in forma cartacea e i documenti depositati. L'aggiornamento dell'indice è curato dal segretario ai sensi del comma 4.

Decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 luglio 2021, regole tecnico-operative per l’attuazione del PAT. Decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 luglio 2021, regole tecnico-operative per l’attuazione del PAT.

Con il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 28 luglio 2021 (pubblicato sulla G.U. n. 183 del 2 agosto 2021) sono state adottate le “Regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico, nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti”, in sostituzione di quelle previste dal decreto 28 dicembre 2020 e, prima, dal decreto decreto n. 134 del 22 maggio 2020 (sul quale si veda supra par. 17).

Le regole tecnico-operative per l'attuazione del P.A.T., nonché per la sperimentazione e la graduale applicazione dei relativi aggiornamenti, e le relative specifiche tecniche, sono stabilite agli allegati 1 e 2 del decreto.

L’art.1 comma 2 precisa oggi che nei casi in cui le udienze, camerali e pubbliche, si svolgono da remoto, integrano le regole tecnico-operative, e le relative specifiche tecniche, di cui al comma 1 anche le disposizioni di cui all'art. 2.

Nel dettaglio, con l'art. 2 è stato previsto che nelle ipotesi in cui si deve procedere alla discussione orale, le udienze sia pubbliche sia camerali del processo amministrativo si svolgono mediante collegamenti da remoto in videoconferenza mediante adeguata piattaforma in uso presso la giustizia amministrativa (art. 2, comma 1).

Per lo svolgimento da remoto della camera di consiglio alla quale partecipano i soli magistrati per deliberare, si provvede con i collegamenti in videoconferenza consentiti dalla medesima piattaforma, mediante inviti a videoconferenze differenti rispetto a quelli utilizzati per le convocazioni delle udienze, o tramite call conferenze (art. 2, comma 2).

Al riguardo è bene precisare che, secondo quanto di recente interpretato dal Consiglio di Stato, II , con decreto 15 gennaio 2021, n.24, l'udienza da remoto in vigenza dell'emergenza Covid-19 va intesa come unica modalità di svolgimento della discussione orale, restando preclusa ogni opzione interpretativa volta ad ammettere la discussione in presenza.

Malgrado le proteste degli avvocati amministrativisti, che hanno lamentato disparità di trattamento rispetto al regime del processo civile, penale e tributario dettato dall’art.7 del d.l. n.105/2021, al momento risulta solo proposto l’inserimento, in sede di conversione, di un comma 7 bis, che prevederebbe una ulteriore proroga del regime emergenziale dettato dagli art.25, 26 e 27 del d.l.n.137/2020 fino alla data del 31 dicembre 2021.

Si segnala, peraltro, che il recentissimo d.l. 9 giugno 2021, n. 80 ha previsto, rispetto al regime ordinario dell'udienza “in presenza” - che l'udienza da remoto continuerà ad essere celebrata anche successivamente al termine dell’emergenza Covid-19, seppure limitatamente alla trattazione delle udienze di smaltimento dell’arretrato.

Al riguardo, l'art.17, comma 7, del d.l. n. 80/2021, che ha modificato in parte qua la disciplina dettata nell’art.87 c.p.a., ha stabilito infatti che, per evitare la formazione di nuovo arretrato, è prevista la fissazione di apposite udienze straordinarie di smaltimento, la cui partecipazione da parte dei magistrati è fissata su base volontaria, le quali  sono svolte con modalità da remoto.

In sede di conversione del decreto, il legislatore ha ritenuto di specificare che le udienze straordinarie dedicate allo smaltimento dell'arretrato sono svolte “in camera di consiglio”: la particolarità di tali udienze è dunque costituita dal fatto che, pur trattandosi di udienze di trattazione del merito, le stesse sono trattate in camera di consiglio e, dunque, non è consentita la presenza del pubblico né delle parti personalmente.

Tale specificazione, evidentemente introdotta “in extremis” allo scopo di evitare innumerevoli problematiche di ripo organizzativo oltre che giuridiche legate alle modalità di svolgimento da remoto di un udienza “pubblica” - con particolare riferimento agli innumerevoli vincoli posti dalla normativa in materi di trattamento dei dati personali-  mal si coordina, tuttavia, con la formulazione del nuovo art.13 quater dell’All.2 al c.p.a., con il quale il legislatore in sede di conversione del richiamato art.17, comma 17 del d.l. n.80  ha, altresì, ritenuto opportuno introdurre direttamente nel codice del processo amministrativo  la disciplina della  “Trattazione da remoto”.

 Il nuovo art.13 quater disp.att.c.p.a. stabilisce infatti che, fatto salvo quanto previsto dall’art.87 comma 4-bis, in tutti i casi di trattazione di cause da remoto la Segreteria comunichi, almeno tre giorni prima della trattazione, l'avviso dell'ora e delle modalità di collegamento.

La precisazione che tale disciplina si applichi “in tutti i casi” di trattazione di cause da remoto- possibilità che, come si è già evidenziato, il codice del processo amministrativo attualmente ammette, a regime, per le sole udienze di smaltimento dell’arretrato- induce a ritenere che in sede di conversione del decreto, salvo un difetto di coordinamento, non sia stata totalmente esclusa la possibilità di una eventuale proroga della disciplina eccezionale emergenziale della trattazione da remoto di qualsiasi tipologia di udienza (non limitata, quindi, al solo smaltimento dell’arretrato).Del resto, in sede di conversione del medesimo d.l. n.80/2021 il legislatore ha apportato una modifica all’art.13 dell'allegato 2, recante le norme di attuazione del codice del processo amministrativo inserendo un espresso riferimento nel codice del processo amministrativo allo «svolgimento da remoto di udienze, camere di consiglio e adunanze».

La norma, peraltro - evidentemente, senza tenere adeguato conto del fatto che all’udienza da remoto in camera di consiglio possono partecipare, in ogni caso, esclusivamente i magistrati del collegio e i difensori - ancora dispone che “nel verbale di udienza dovrà darsi atto delle modalità con cui si accerta l'identità dei soggetti partecipanti e della libera volontà delle parti, anche ai fini della disciplina sulla protezione dei dati personali” e che i verbali e le decisioni deliberate all'esito “dell'udienza o della camera di consiglio” sono considerati, rispettivamente, formati ed assunte nel comune sede dell'ufficio giudiziario presso il quale è stato iscritto il ricorso trattato. Il luogo da cui si collegano i magistrati, gli avvocati, le parti che si difendano personalmente e il personale addetto è considerato aula di udienza a tutti gli effetti di legge.

In alternativa alla partecipazione alla discussione da remoto, il difensore potrà chiedere il passaggio della causa in decisione sulla base degli atti  fino alle ore 12 del terzo giorno antecedente a quello dell'udienza stessa: in tal caso, il difensore sarà considerato presente a ogni effetto. Viene inoltre specificato che ai magistrati che partecipano alla trattazione di cause da remoto non spetta alcun trattamento di missione ne' alcun rimborso di spese.  

Con decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 28 luglio 2021, entrato in vigore il 9 agosto 2021, sono state emanate,  le Regole tecnico-operative per le udienze, camerali e pubbliche, che si svolgono mediante collegamenti da remoto.Linee guida per lo smaltimento dell'arretrato della Giustizia amministrativa”.

Alle udienze da remoto le nuove regole tecniche dedicano l’art.2, nonché le specifiche tecniche per lo svolgimento da remoto delle udienze e delle camere di consiglio nel regime emergenziale, dettate nell’allegato 3 al d.P.C.S. 28 luglio 2021 le quali si applicano espressamente, come previsto all’art. 1, “ai collegamenti da remoto, per lo svolgimento delle udienze camerali e pubbliche e delle camere di consiglio della Giustizia amministrativa, nei casi previsti dalla legge processuale”.

Come già accaduto per il d.P.C.M n.40/2016, anche in tal caso regole tecniche emanate antecedentemente all’introduzione di una norma primaria - nel caso di specie, gli articoli 87 comma 4 quater c.p.a. e l’art.13 quater dell’allegato 2 al c.p.a.- si trovino a doverne dettare la relativa disciplina attuativa, il che pone problemi di compatibilità ed eventuale disapplicazione di eventuali aspetti della disciplina tecnica incompatibili con la nuova udienza da remoto, che secondo la nuova disciplina a regime sarà solo quella di smaltimento, da svolgersi in camera di consiglio.  

Al riguardo, appare prima facie certamente compatibile con l’udienza di smaltimento da remoto l’obbligo per i difensori, previsto  nel suindicato d.P.C.S. 28 luglio 2021, di dichiarare sotto la propria responsabilità che quanto accade nel corso dell'udienza tenuta in camera di consiglio non è visto né ascoltato da soggetti non ammessi ad assistere alla camera di consiglio e l’impegno a non effettuare registrazioni, mentre le parti non possono ritenersi ammesse a presenziare, analogamente al pubblico, fatta eccezione per l’ipotesi in cui si difendano personalmente; inoltre, deve ritenersi estesa all’udienza di smaltimento la disciplina secondo cui qualora il collegamento risulti impossibile per ragioni tecniche, il presidente del collegio impartisce le opportune disposizioni ai sensi degli artt. 39 c.p.a., 11 disp. att. c.p.a. e 127 c.p.c. e laddove è stabilito che sia il presidente del collegio a disciplinare l'uso della funzione audio ai fini di dare la parola ai difensori o alle parti e regoli l'ammissione e l'esclusione dei difensori o delle altre parti all'udienza stessa.

Compatibile con l’udienza di smaltimento è  certamente anche  il divieto di registrazione, con ogni strumento e da  parte  di chiunque, delle udienze di smaltimento da remoto  nonché l’assoluto divieto della messaggistica  istantanea interna  agli  applicativi  utilizzati  per  la  videoconferenza   e, comunque, di altri strumenti o funzioni  idonei  a  conservare  nella memoria del sistema traccia  delle  dichiarazioni  e  delle  opinioni espresse dai partecipanti all'udienza, mentre è dubbia ad avviso di chi scrive, ad una prima interpretazione della norma, la compatibilità con il nuovo art.13 quater dell’allegato 2 al c.p.a. dell’art.2 comma 3 del d.P.C.S., ai sensi del quale qualora l'istanza dei difensori delle parti di discussione orale non sia proposta da tutte le parti costituite, la segreteria trasmette alle parti diverse dall'istante, anche ai fini della formulazione di eventuali opposizioni, l'avviso di avvenuto deposito dell'istanza secondo le modalità previste nelle allegate specifiche tecniche. Ciò in quanto l’art.13 quater dell’allegato 2 c.p.a. sembra prevedere per il difensore la sola alternativa tra la partecipazione alla discussione orale da remoto e la richiesta scritta di discussione sulla base degli atti, caso in cui il difensore verrà indicato come presente, senza che sia stata espressamente prevista la possibilità di formulare eventuali opposizioni.

Con riferimento ai tempi massimi degli interventi delle parti in sede di discussione orale da remoto in videoconferenza, deve ritenersi- salvo diversa futura specificazione- che il tempo massimo sia quello di 10 minuti previsto per il rito ordinario dall’art.2, comma 11 lett.b).

Ripresa delle udienze in presenza con il d.l. n. 105/2021 Ripresa delle udienze in presenza con il d.l. n. 105/2021 e ipotesi residue a regime di udienze da remoto

 

Con il decreto-legge 23 luglio 2021 n. 105, recante «Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l'esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche», convertito con modificazioni dalla l. 16 settembre 2021 n. 126, il legislatore ha prorogato l'efficacia delle misure emergenziali adottate in materia di processo civile e penale (art. 7), mentre analoga proroga non ha interessato il processo amministrativo, con conseguente cessazione dell'efficacia della disciplina emergenziale.

In sede di conversione del d.l. è stato introdotto l'art. 7-bis , che consentiva in situazioni eccezionali non altrimenti fronteggiabili e correlate a provvedimenti assunti dalla pubblica autorità per contrastare la pandemia di Covid-19, lo svolgimento dell'udienza da remoto.

In particolare, fino al 31 marzo 2022-  secondo quanto previsto dall'art. 16, comma 5, d.l. n. 228/2021, conv., con modif., in l. n. 15/2022 - in presenza della descritta situazione emergenziale, i presidenti titolari delle sezioni del Consiglio di Stato, il presidente del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana e i presidenti dei tribunali amministrativi regionali e delle relative sezioni staccate potevano  autorizzare con decreto motivato, in alternativa al rinvio, la trattazione da remoto delle cause per cui non è possibile la presenza fisica in udienza di singoli difensori o, in casi assolutamente eccezionali, di singoli magistrati.

In tali ipotesi la trattazione si svolgeva con le modalità di cui all'art. 13-quater delle norme di attuazione del c.p.a.

 Terminato il periodo emergenziale, dunque, nel processo amministrativo l'udienza da remoto sopravvive limitatamente alla trattazione delle udienze di smaltimento di cui all'art. 87, comma 4-bis, c.p.a. nonché con riferimento alla trattazione – fase, tuttavia, meramente propedeutica al processo – delle istanze di ammissione al patrocinio a spese dello Stato innanzi alla competente Commissione di cui all'art.14 disp.att. c.p.a.  

 

Bibliografia

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