Decreto legislativo - 2/07/2010 - n. 104 art. 13 ter - Criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte 1Criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte 1
1. Al fine di consentire lo spedito svolgimento del giudizio in coerenza con i principi di sinteticità e chiarezza di cui all'articolo 3, comma 2, del codice, le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato, da adottare entro il 31 dicembre 2016, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti. 2. Nella fissazione dei limiti dimensionali del ricorso e degli atti difensivi si tiene conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto. 3. Con il decreto di cui al comma 1 sono stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. 4. Il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, anche mediante audizione degli organi e delle associazioni di cui al comma 1, effettua un monitoraggio annuale al fine di verificare l'impatto e lo stato di attuazione del decreto di cui al comma 1 e di formulare eventuali proposte di modifica. Il decreto è soggetto ad aggiornamento con cadenza almeno biennale, con il medesimo procedimento di cui al comma 1. 5. Indipendentemente dall'esito del giudizio, la parte che in qualsiasi atto del processo superi, senza avere ottenuto una preventiva autorizzazione, i limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo può essere tenuta al pagamento di una somma complessiva per l'intero grado del giudizio fino al doppio del contributo unificato previsto in relazione all'oggetto del giudizio medesimo e, ove occorra, in aggiunta al contributo già versato2. 5-bis. Il giudice, con la decisione che definisce il giudizio, determina l'importo di cui al comma 5 tenendo conto dell'entità del superamento dei limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo nonché della complessità ovvero della dimensione degli atti impugnati o della sentenza impugnata3. 5-ter. Si applica l'articolo 154. [1] Articolo inserito dall'articolo 7 bis, comma 1, lettera b), numero 2), del D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla Legge 25 ottobre 2016, n. 197. [2] Comma sostituito dall'articolo 1, comma 813, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207. [3] Comma inserito, per effetto della sostituzione, dall'articolo 1, comma 813, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207. [4] Comma inserito, per effetto della sostituzione, dall'articolo 1, comma 813, della Legge 30 dicembre 2024, n. 207. Note operative
N.B. È possibile, per gravi è giustificati motivi, presentare istanza “postuma” al Collegio InquadramentoIl principio di sinteticità, equamente rivolto alle parti e al Giudice, costituisce uno dei principali strumenti per garantire la speditezza e l'efficienza del processo amministrativo ed è cristallizzato, in via generale, dall'art. 3, comma 2 c.p.a. , che invita tanto il giudice quanto le parti a redigere gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione. Più che di una sollecitazione si tratta, quantomeno per le parti processuali, di un vero e proprio dovere, nella prospettiva — delineata dall' articolo 2, comma 2, del c.p.a.- che tutti gli attori del processo cooperino per la realizzazione della ragionevole durata del medesimo. In tale prospettiva, anche i Giudici sono stati invitati a tenere conto di tale principio nella redazione dei provvedimenti giurisdizionali con nota n. 19912 del 22 dicembre 2016 del Segretario Generale della G.A. A mente dell'art. 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167 del 2016, la parte che, per le esigenze difensive di cui all'art. 5, comma 1, necessiti di esporre le sue argomentazioni difensive debordando dai limiti dimensionali degli atti processuali scolpiti dall'art. 3, deve domandare un'apposita autorizzazione, formulando, a tale fine, istanza motivata "in calce allo schema di ricorso". La medesima istanza, che, di regola, andrebbe proposta in via preventiva, può "per gravi e giustificati motivi", essere presentata in via successiva, ossia a superamento dei suddetti limiti già avvenuta, ed essere decisa dal giudice della controversia (Cons. St. IV, n. 1040/2022). Nel processo amministrativo, nell'ipotesi di superamento dei limiti dimensionali degli atti difensivi, l'art. 13-ter delle norme di attuazione del c.p.a. (nella formulazione vigente al 31.12.2024 n.d.a), in modo estremamente innovativo sul piano sistematico, sanziona in termini (non di nullità, bensì) di "inutilizzabilità" le difese sovrabbondanti, in quanto il giudice è autorizzato a presumere che la violazione dei limiti dimensionali (ove ingiustificata) sia tale da compromettere l'esame tempestivo e l'intellegibilità della domanda; peraltro, per non "sorprendere" le parti in una fase caratterizzata dall'assenza di una applicazione sistematica da parte della giurisprudenza delle suddette conseguenze delle condotte difformi, è opportuno, nel rispetto del principio di leale collaborazione ex art. 2, comma 2, c.p.a., invitare le parti a riformulare le difese nei limiti dimensionali previsti, con il divieto di introdurre fatti, motivi ed eccezioni nuovi rispetto a quelli già dedotti; in definitiva, la sinteticità non è più un mero canone orientativo della condotta delle parti, bensì è oramai una regola del processo amministrativo (che coinvolge peraltro anche il giudice (art. 3 c.p.a.), strettamente funzionale alla realizzazione del giusto processo, sotto il profilo della sua ragionevole durata (art. 111 Cost.). Cons. St.VI, ord., n. 3006/2021. Cons. giust. amm. Sicilia, n. 122/2021 , è da rigettare l'autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali per proposizione di un appello su ordinanza cautelare, considerando che, sia alla luce della materia del contendere (edilizia), sia all'oggetto del contenzioso (fabbricato a due elevazioni fuori terra), il limite dimensionale di 70.000 caratteri (con esclusione di epigrafe, p.q.m. e riassunto introduttivo) è non solo sufficiente ma persino sovrabbondante, alla luce del fondamentale principio di doverosa sinteticità degli atti processuali. Il principio di sinteticità è, inoltre, espressamente contemplato nell'art. 26, comma 1, unitamente alla necessità di chiarezza degli atti di parte, quale criterio di determinazione delle spese del giudizio. In attuazione dell’art. 13 ter disp. att. c.p.a. è stato emanato il d.P.C.S. 22.12.2016, n. 167 che ha sostituito il d.P.C.S. 25.5.2015, n. 40 emanato in attuazione dell’art. 120 c.p.a., nel testo all’epoca vigente (cioè del comma 6, art. 120, c.p.a. come novellato dall’art. 40, co. 1, lett. a, d.l. 24.6.2014, n. 90, conv. l. 11.8.2014, n. 114, poi abrogato dall’art. 7 bis della l. 25.10.2016, n. 197, introdotto dalla legge di conversione del d.l. 31.8.2016, n. 168, che ha per l’appunto abrogato il comma 6, art. 120, c.p.a. ed introdotto nell’all. 2 c.p.a. l’art. 13 ter attualmente vigente).. T.A.R. Toscana I, n. 462/2016 , ancor prima dell'avvio del Pat, ha considerato il mancato rispetto del principio di chiarezza e sinteticità nella redazione del ricorso, ai sensi dell'art. 3 elemento di valutazione nella liquidazione delle spese di causa (art. 26), anche al di fuori del rito appalti; nello stesso senso, T.A.R. Lazio (Latina) I, n. 354/2016. . Dai limiti dimensionali da osservare, l'art. 13-ter, comma 2 c.p.a. esclude espressamente sia le intestazioni che le altre indicazioni formali dell'atto. Poiché la norma fa esplicito riferimento agli atti di parte, è evidente che da tali limiti sono esclusi i documenti allegati al ricorso. Secondo una possibile lettura, il rispetto dei limiti è condizione necessaria, ma anche sufficiente, per imporre una statuizione espressa del giudice sulla questione. Ne deriverebbero due corollari. Il giudice deve esaminare tutti i temi difensivi allegati dalle parti, se racchiusi entro i confini stabiliti. Ne consegue il divieto assoluto di ogni forma di assorbimento, espresso o tacito, degli assunti delle difese.. Il giudice sarebbe tenuto a rispondere ad ogni richiesta di giustizia, analizzando tutti gli argomenti enunciati dalle difese, purché contenuti nel quadro di sostenibilità “dimensionale” fissato dal d..P.C.S. Superate le prestabilite grandezze degli atti defensionali, il magistrato deve fermarsi. Detta interpretazione, sviluppata in modo letterale, condurrebbe tuttavia a risultati contrastanti con le esigenze di speditezza e di economicità: sembra allora preferibile una diversa interpretazione della norma, secondo cui la stessa non impone di adottare decisioni sovrabbondanti, ma è diretta a rafforzare l'obbligo del giudice di pronunciarsi su tutte le questioni ritualmente prospettate dalle parti. Resta ferma, però, la necessità di seguire l'ordine logico dei temi rilevanti nella controversia, e di arrestarsi alle questioni idonee a definire la lite (Lipari). I criteri e i limiti che le parti sono obbligate a rispettare sono stabiliti con d.P.C.S., sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti, adottato con provvedimento n. 167 del 22 dicembre 2016, entrato in vigore il 22 gennaio 2017, successivamente modificato con d.P.C.S. n. 127 del 16 ottobre 2017. Per effetto della l. n. 197/2016 e del decreto attuativo n.167/2016, quindi, il procedimento originariamente previsto dall'art. 120, comma 6 in materia di appalti pubblici viene ora esteso a qualsiasi materia e tipologia di controversia È dubbia la natura giuridica del d.P.C.S. L'atto ha un contenuto materialmente normativo poiché regola la forma/dimensione dell'atto processuale e il procedimento di deroga ai limiti. Tuttavia, il decreto segue un iter lontano dal modello descritto dalla l. n. 400/1988: manca il coinvolgimento del Governo, il parere del Consiglio di Stato e il controllo della Corte dei conti. L'atipicità rispetto al sistema delle fonti secondarie non determina l'illegittimità dell'atto. L'affermazione del carattere regolamentare del d.P.C.S. si rifletterebbe sul regime della sua impugnabilità e disapplicazione da parte del giudice. La tesi della natura di atto di indirizzo non regolamentare, interno alla organizzazione del processo, ne precluderebbe, la sindacabilità alla stregua di un provvedimento amministrativo (LIPARI). Nell'attuazione pratica, il principio di sinteticità – specie se confrontato con l'esperienza europea- appare tuttavia fortemente ridimensionato. In particolare, nei riti dell'accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo, nel rito elettorale di cui all'articolo 129, dell'ottemperanza e in ogni altro rito speciale il limite si ritiene rispettato entro 30.000 caratteri (corrispondenti a circa 15 pagine); nel rito ordinario, nel rito abbreviato di cui all'art. 119, nel rito appalti, nel rito elettorale di cui all'articolo 130 e seguenti e nei giudizi di ottemperanza a decisioni rese nell'ambito di tali riti, entro 70.000 caratteri (corrispondenti a circa 35 pagine). Il d.P.C.S. n. 167 cit. fa salva, comunque, la possibilità di richiedere autorizzazione, anche postuma, al deposito di atti contenenti un maggior numero di caratteri. In ordine alla natura ed alla consistenza dei doveri di chiarezza e specificità degli atti di impugnazione, ed alle conseguenze discendenti dalla loro violazione, Cons. St., V, n. 5459/2015, in una pronunzia precedente all'avvio del Pat, ricostruisce puntualmente il quadro giurisprudenziale e i principi elaborati dalla giurisprudenza civile e da quella amministrativa (cfr. Cass. n. 20589/2014; Cass. S.U., n. 5698/2012; Cons. St. V, n. 274/2015; Cons. St. V, n. 3210/2013; Cons. giust. amm. n. 536/2014), secondo cui: a) la chiarezza e la specificità si riferiscono all'ordine dell'esposizione delle questioni, al linguaggio da usare, alla correlazione logica con l'atto impugnato (sia esso il provvedimento amministrativo o giurisdizionale); il principio di chiarezza e specificità dell'impugnazione è valorizzato oggi dall' art. 101, comma 1 c.p.a. (inapplicabile ratione temporis, ma recante principi già enunciati dalla giurisprudenza amministrativa al momento della proposizione dell'odierno appello), che, nel disciplinare il contenuto del ricorso, espressamente stabilisce che i motivi di ricorso debbano essere «specifici» e che eventuali motivi proposti in violazione di detta regola sono inammissibili: è evidente come lo scopo delle norme sia stato quello di sollecitare le parti alla redazione di ricorsi chiari, al fine di arginare la prassi difensiva di redigere ricorsi lunghi e privi di una lineare enucleazione dei motivi di ricorso, nonché di una chiara distinzione tra fatto, svolgimento del processo e censure proposte; b) è pertanto onere della parte ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, sicché la prolissità e la mancanza di chiarezza degli argomenti conducono all'inammissibilità per violazione dei doveri di sinteticità e specificità dei motivi sanciti dall'art. 101, comma 1 per il giudizio di appello; inoltre, l'inesatta suddivisione tra parte in fatto e parte in diritto comporta il rischio dei c.d. «motivi intrusi» ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l'esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell'oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell'atto). L’evoluzione del principio di sinteticità nel processo telematicoCon l'entrata in vigore del Pat, con l'art. 13 ter disp. att. c.pa. il legislatore ha voluto connotare il principio di sinteticità degli atti di causa nel processo amministrativo di un contenuto concreto, attribuendo al Presidente del Consiglio di Stato, sentiti il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, il Consiglio nazionale forense e l'Avvocato generale dello Stato, nonché le associazioni di categoria degli avvocati amministrativisti, il compito di determinare, con cadenza biennale, i limiti dimensionali del ricorso introduttivo e dei successivi atti di parte, tenendo conto del valore effettivo della controversia, della sua natura tecnica e del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti, analogamente a quanto in passato previsto per il solo rito appalti dall' art. 120, comma 6 c.p.a. Il legislatore esprime tuttavia alcuni vincoli, stabilendo a priori che dai suddetti limiti sono escluse le intestazioni e le altre indicazioni formali dell'atto; inoltre, in detto decreto devono essere stabiliti i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti. Questa impostazione è rimasta immutata anche a seguito della novella del comma 5 dell'art. 13 ter citato (nonché dell'introduzione dei commi 5 bis e 5 ter) introdotta dalla L. 207/2024, che è intervenuta solo sulla disciplina delle conseguenze della violazione non autorizzata dei limiti dimensionali. I criteri dettati dal d.P.C.S. n. 167/2016 devono essere applicati non soltanto con riferimento agli atti processuali informatici ma, in generale, a qualsiasi atto anche depositato con le tradizionali modalità cartacee (Pisano), ovviamente nei casi in cui ciò sia ancora possibile (ovvero nei casi di cui all'art. 136, comma 2, c.p.a., nei casi di eccezione ex lege dall'applicazione della disciplina del processo telematico e nelle ipotesi di cui all'art. 9, commi 8 e 9, dell'All.1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021). Segue. I limiti dimensionali previsti dal d.P.C.S. n. 167/2017I limiti dimensionali, validi per qualsiasi tipologia di controversia, sono oggi statuiti nell'art 3 del d.P.C.S. n. 167/2017 (Limiti dimensionali degli atti processuali di parte), che individua tali limiti non con riferimento al numero di pagine (come originariamente previsto per i limiti fissati dal decreto 25 maggio 2015 n. 40 per il rito appalti), bensì con riguardo al numero di caratteri. Il predetto decreto è stato modificato con d.P.C.S. n. 127 del 16 ottobre 2017, tenendo anche conto del parere espresso dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa, a seguito dell'istanza di riesame presentata dall'Unione Nazionale Avvocati Amministrativisti in data 17 marzo 2017. Le modifiche hanno riguardato le memorie di replica, le cui dimensioni vengono rapportate, per par condicio tra le parti, a quelle degli atti introduttivi (art.3) nonché la modalità di presentazione dell'istanza, che contempla la possibilità di presentare l'istanza motivata volta al superamento dei limiti dimensionali unitamente allo schema del ricorso soltanto “ove possibile” (art.6); è stato dunque consentito che l'istanza motivata di autorizzazione alla deroga dei limiti dimensionali possa essere presentata autonomamente e non necessariamente formulata in calce allo schema di ricorso. Le dimensioni dell'atto introduttivo del giudizio, del ricorso incidentale, dei motivi aggiunti, degli atti di impugnazione principale ed incidentale della pronuncia di primo grado, della revocazione e dell'opposizione di terzo proposti avverso la sentenza di secondo grado, dell'atto di costituzione, dell'atto di intervento, del regolamento di competenza, delle memorie e di ogni altro atto difensivo non espressamente disciplinato devono infatti essere contenute, per ciascuno di tali atti, in un numero massimo di caratteri (che devono, altresì, rispettare le specifiche tecniche di cui all'art. 8), corrispondenti: a) nei riti dell'accesso, del silenzio, del decreto ingiuntivo (sia ricorso che opposizione), nel rito elettorale di cui all'articolo 129, dell'ottemperanza per decisioni rese nell'ambito dei suddetti riti, dell'ottemperanza a decisioni del giudice ordinario, e in ogni altro rito speciale non espressamente menzionato nel presente comma, 30.000 caratteri (corrispondenti a circa 15 pag. nel formato di cui all'art. 8); b) nel rito ordinario, nel rito abbreviato comune di cui all'art. 119, nel rito appalti, nel rito elettorale di cui all'articolo 130 e ss., e nei giudizi di ottemperanza a decisioni rese nell'ambito di tali riti, 70.000 caratteri (corrispondenti a circa 35 pag. nel formato di cui all'art. 8); c) la memoria di costituzione unica relativa a un numero di ricorsi o impugnazioni superiori a due, proposti contro un atto plurimo, non può eccedere le dimensioni della somma delle singole memorie diviso due. Viene inoltre stabilito che quanto alla domanda di misure cautelari autonomamente proposta successivamente al ricorso e a quella di cui all'articolo 111, per ciascuno di tali atti il numero massimo di caratteri ammesso è 10.000 (corrispondenti a circa 5 pag. nel formato di cui all'art. 8) e 20.000 (corrispondenti a circa 10 pag. nel formato di cui all'art. 8), rispettivamente nei riti di cui al comma 1, lett. a) e b). Le memorie di replica sono invece contenute, ciascuna, nel numero massimo di caratteri 10.000 (corrispondenti a circa 5 pag.) e 20.000 (corrispondenti a circa 10 pag.), rispettivamente nei riti di cui al comma 1, lett. a) e b). In tale «conteggio», ai sensi dell'art. 4 del decreto non sono computate le intestazioni e le altre indicazioni formali, così individuate: - l'epigrafe dell'atto; - l'indicazione delle parti e dei difensori e relative formalità; - l'individuazione dell'atto impugnato; - il riassunto preliminare, di lunghezza non eccedente 4.000 caratteri (corrispondenti a circa 2 pagine nel formato di cui all'articolo 8), che sintetizza i motivi dell'atto processuale; - l'indice dei motivi e delle questioni; - le ragioni, indicate in non oltre 4.000 caratteri (corrispondenti a circa 2 pagine nel formato di cui all'articolo 8), per le quali l'atto processuale rientri nelle ipotesi di cui all'articolo 5 e la relativa istanza ai fini di quanto previsto dall'articolo 6; - le conclusioni dell'atto; - le dichiarazioni concernenti il contributo unificato e le altre dichiarazioni richieste o consentite dalla legge, ivi compresa l'eventuale istanza di oscuramento dei dati personali ai sensi dell' articolo 52, d.lgs. n. 196/2003; - la data e luogo e le sottoscrizioni delle parti e dei difensori; l'indice degli allegati; - le procure a rappresentare le parti in giudizio; - le relazioni di notifica e le relative richieste e dichiarazioni. Va premesso che la previsione di un riassunto preliminare, che sintetizza i motivi dell'atto processuale, non è contemplata dall'art. 2 del d.P.C.S. tra i criteri di redazione degli atti di parte. Tuttavia, proprio l'esclusione dei relativi caratteri dal computo dei limiti dimensionali dimostra come lo stesso sia non soltanto possibile ma anche raccomandato. L'esperienza europea ha parametri generalmente più ristretti, come dimostrano le nuove raccomandazioni relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia, pubblicate sulla GUUE C/2024/6008 del 9 ottobre 2024, che riprendono quanto ai requisiti formali le precedenti Raccomandazioni del 2021 e del 2019 e che, specularmente a quanto stabilito dall'art. 94 del Regolamento di procedura della Corte di giustizia, ribadiscono che la domanda di pronuncia pregiudiziale contiene (tra l'altro): - un'illustrazione sommaria dell'oggetto della controversia nonché dei fatti rilevanti, quali accertati dal giudice del rinvio o, quanto meno, un'illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni, prevedendosi altresì che in assenza di uno o più degli elementi che precedono, la Corte può essere indotta, in particolare sulla base dell'articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, a dichiararsi incompetente a statuire sulle questioni sollevate in via pregiudiziale o a respingere la domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto irricevibile.. Segue. I presupposti del superamento del limiteL'art. 5 del d.P.C.S. n. 167/2016, in attuazione dell' art. 13-ter, comma 2, disp.att.c.p.a, individua i presupposti in cui il Giudice può concedere l'autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali prescritti in via generale dall'art. 3. Tali presupposti, nel rispetto dei parametri indicati dal legislatore — sono individuati nella circostanza che la controversia presenti questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse ovvero attenga ad interessi sostanziali perseguiti di particolare rilievo anche economico, politico e sociale, o alla tutela di diritti civili, sociali e politici. A tal fine vengono valutati, esemplificativamente, il valore della causa — che, in considerazione di quanto indicato nell'art. 13-ter, comma 2 deve ritenersi quello «effettivo»- ove comunque non inferiore a 50 milioni di euro nel rito appalti, determinato secondo i criteri relativi al contributo unificato; il numero e l'ampiezza degli atti e provvedimenti effettivamente impugnati, la dimensione della sentenza gravata, l'esigenza di riproposizione di motivi dichiarati assorbiti ovvero di domande od eccezioni non esaminate, la necessità di dedurre distintamente motivi rescindenti e motivi rescissori, l'avvenuto riconoscimento della presenza dei presupposti di cui al presente articolo nel precedente grado del giudizio, la rilevanza della controversia in relazione allo stato economico dell'impresa; l'attinenza della causa, nel rito appalti, a taluna delle opere di cui all' articolo 125 del c.p.a. La maggior parte di tali criteri tuttavia, oltre ad essere specificatamente rivolti al rito appalti, si presenta più utile con riguardo all'appello che nel primo grado di giudizio. A differenza del previgente d.P.C.S. n. 40/2015, non è richiesto che tali presupposti siano di «straordinario rilievo», tale da non permettere una adeguata tutela nel rispetto dei limiti dimensionali. La richiesta di autorizzazione deve precedere il deposito del ricorso, ai sensi dell'art. 6 del d.P.C.S. n. 167/2016. La successiva istanza non è infatti inquadrabile tra i casi contemplati dall'art. 7 dello stesso decreto per la sua presentazione successiva e cioè tra i casi di gravi e giustificati motivi. Tuttavia, fermo il richiamo al limite massimo tassativo dei caratteri previsto dall'art. 3, comma 1, lett. b), del d.P.C.S. n. 167/2016, la scelta di illustrare e spiegare complesse censure nel corpo dell'atto può essere ricondotta a profili di non ridondanza e condurre ad accogliere la richiesta subordinata formulata in udienza di esaminare comunque i motivi eccedenti il limite (Cons. St. IV, n. 2583/2022). Secondo T.A.R. Lazio, Roma, n. 2808/2022l'eventuale deroga ai limiti dimensionali, giustificata dalla presenza di questioni tecniche, giuridiche o di fatto particolarmente complesse, ovvero negli altri casi previsti dall'art. 5 del d.P.C.S. n. 167/2016, deve essere preventivamente autorizzata secondo le modalità di cui al successivo articolo 6 del richiamato decreto, tenuto conto che la sinteticità è funzionale, in via principale, a garantire una maggiore chiarezza dell'atto processuale e, conseguentemente, alla tutela stessa delle ragioni di parte oltre che a garantire il pieno contraddittorio sulle questioni sottoposte a giudizio. Il T.A.R. Emilia Romagna, decr. pres. n.139/2017 ha ritenuto manifestamente inaccoglibile l’istanza di superamento dei limiti dimensionali motivata in relazione alla asserita novità delle questioni trattate e presentazione di richiesta cautelare in quanto parametri differenti e difformi rispetto ai motivi di deroga specificamente previsti dalla norma; T.A.R. Sicilia (Catania), ord. n. 408/2017 malgrado il ricorso ampiamente violativo, stante l’estensione della sua stesura, degli artt. 3, comma 2, 13-ter e del d.P.C.S. n. 167/2016, non ha invece ritenuto tale circostanza ostativa all’ammissibilità dello stesso. Segue. Il procedimento di autorizzazione al superamento del limite dimensionaleLa procedura autorizzatoria, che per il rito appalti era descritta dal comma 11 dell'art. 1 d.P.C.S. n. 40/2015, è oggi contenuta, per tutte le tipologie di ricorsi — ivi compreso il rito appalti — dall'art. 6 del d.P.C.S. n. 167/2016 (Procedimento di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali). Diversamente che dal passato, si prevede che la valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti che consentono l'autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali sia effettuata dal Presidente, rispettivamente, del Consiglio di Stato, del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, del Tribunale amministrativo regionale, del Tribunale regionale di giustizia amministrativa — sezione autonoma di Trento o di Bolzano adito, o dal magistrato a ciò delegato, e non più dal Presidente di Sezione. Ciò, evidentemente, al fine di assicurare l'uniformità dei criteri per tutto l'ufficio giudiziario di competenza, anche in tema di deroghe al principio di sinteticità. A tal fine il ricorrente, principale o incidentale, formula “ove possibile “in calce allo schema di ricorso o anche autonomamente, istanza motivata, sulla quale il Presidente o il magistrato delegato si pronuncia con decreto entro i tre giorni successivi. Nell'ambito del processo amministrativo telematico detto decreto è automaticamente indirizzato, dopo la firma elettronica del magistrato e del segretario, in formato digitale, all'indirizzo PEC della parte istante. In caso di mancanza o di tardività della pronuncia l'istanza si intende accolta. Il decreto favorevole ovvero l'attestazione di segreteria o l'autodichiarazione del difensore circa l'avvenuto decorso del termine in assenza dell'adozione del decreto sono notificati alle controparti unitamente al ricorso. Anche i successivi atti difensivi di tutte le parti sono tenuti a seguire, nel relativo grado di giudizio, il medesimo regime dimensionale. Analoga istanza può essere formulata da una parte diversa dal ricorrente principale, limitatamente alla memoria di costituzione, in calce allo schema di atto processuale. In tal caso il decreto favorevole, ovvero l'attestazione di segreteria o l'autodichiarazione del difensore circa l'avvenuto decorso del termine in assenza dell'adozione del decreto, sono depositati unitamente alla memoria di costituzione, e di essi si fa menzione espressa in calce alla memoria di costituzione; gli atti difensivi successivi alla memoria di costituzione, di tutte le parti, seguono il medesimo regime dimensionale nel relativo grado di giudizio. La richiesta di superamento dei limiti dimensionali deve corrispondere a esigenze effettive, e non può essere utilizzata come mezzo surrettizio per ottenere una rimessione in termini per la notifica delle impugnazioni; la richiesta di superamento dei limiti dimensionali deve essere chiesta in tempo utile affinché l'ufficio giudiziario vi possa provvedere entro il termine di scadenza dell'impugnazione, tenendo conto del termine stabilito per la pronuncia del giudice sull'istanza; inoltre, integra abuso del processo chiedere una deroga ai limiti dimensionali a poche ore di scadenza del termine lungo di impugnazione della sentenza, in un orario in cui l'ufficio giudiziario è chiuso, tanto più che l'ufficio giudiziario dispone di tre giorni per pronunciarsi sull'istanza, e non è dunque posto in condizione di provvedere prima della scadenza del termine di impugnazione Cons. giust. amm. Sicilia, decr. n. 215/2021 . Quanto all'interrogativo se sia impugnabile la decisione che concede o nega l'autorizzazione, con riferimento al d.P.C.S. n. 40/2015 in materia di limiti dimensionali per il rito appalti, la dottrina aveva rilevato che se anche l'attivazione di un contenzioso sulla questione specifica potrebbe apparire deleteria, non si può precludere alla parte interessata di reagire alla decisione che le impedisca di articolare le proprie difese nel modo ritenuto più adeguato. Tanto premesso, poiché il d.P.C.S. non prevede alcun mezzo specifico di impugnazione, la questione potrà essere rimessa al collegio, quale vizio interno del procedimento, sino al momento in cui la causa sia discussa. Il giudice, in caso di accoglimento della tesi del ricorrente, non potrà che riassegnare un termine per la notifica del ricorso “lungo”. La decisione confermativa del diniego da parte del collegio sarà suscettibile di impugnazione. La questione, riguardando l'esercizio della difesa, potrebbe essere dedotta anche dinanzi alla Cassazione, rientrando nel concetto ampio di giurisdizione affermato dalle Sezioni Unite. In questo modo il meccanismo del d.P.C.S. lungi dal garantire la rapidità del giudizio, rischia di appesantirne il corso. La parte interessata potrebbe quindi decidere, a proprio rischio, di eccedere comunque i limiti dimensionali del ricorso, senza richiedere alcuna autorizzazione preventiva, confidando in una valutazione favorevole, per saltum del collegio. Il passaggio attraverso il filtro del giudice monocratico non è configurato, né dalla legge, né dal d.P.C.S. come condizione di ammissibilità del ricorso lungo (Lipari). A differenza di quanto in passato stabilito dal d.P.C.S. n. 40, è prevista dall'art. 7 del d.P.C.S. n. 167/2016 la possibilità di ottenere l'autorizzazione «postuma» a fronte di un superamento dei limiti dimensionali già avvenuto. La disposizione in esame prevede infatti che per gravi e giustificati motivi, ove il superamento dei limiti dimensionali non sia stato autorizzato preventivamente, il giudice, su istanza della parte interessata, può infatti successivamente autorizzare, in tutto o in parte, l'avvenuto superamento dei limiti dimensionali. È in ogni caso fatta salva la facoltà della parte di indicare gli argomenti o i motivi cui intende rinunciare. Il riferimento al «giudice» lascia intendere che tale autorizzazione debba essere richiesta al collegio giudicante tuttavia la disposizione non aiuta a comprendere quali possano essere i «gravi» motivi, in relazione ai quali la parte che non abbia presentato tempestiva istanza di autorizzazione, ai sensi dell'art. 6, possa essere autorizzata ex post dal Collegio. Per il caso in cui sia una delle parti resistenti a chiedere la deroga ai limiti dimensionali, il meccanismo autorizzatorio dovrebbe essere lo stesso di quello previsto per il ricorso (Lipari). I criteri redazionali degli atti di parteIl d.P.C.S. n.167/2016 non si limita all'attuazione del principio di sinteticità, ma indica all'avvocato anche i «criteri di redazione» degli atti processuali, spingendosi fino ad indicare il carattere, la spaziatura, il margine e addirittura prevedere l'assoluto divieto di note a piè di pagine. In particolare, l'art. 2 del d.P.C.S. n. 167/2016 prevede che, fermo quanto disposto dagli articoli 40 e 101 del c.p.a., gli atti introduttivi del giudizio, in primo grado o in sede di impugnazione, i ricorsi e le impugnazioni incidentali, i motivi aggiunti, l'atto di intervento volontario dovranno: a) recare distintamente l'esposizione dei fatti e dei motivi, in parti specificamente rubricate (Fatto/Diritto; Fatto/Motivi; Fatto e svolgimento dei pregressi gradi di giudizio/Motivi); b) recare in distinti paragrafi, specificamente titolati, le eccezioni di rito e di merito, le richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, le richieste di rinvio alla Corte costituzionale, le istanze istruttorie e processuali (es. di sospensione, interruzione, riunione); c) recare i motivi e le specifiche domande formulate in paragrafi numerati e muniti di titolo; d) evitare, se non è strettamente necessario, la riproduzione pedissequa di parti del provvedimento amministrativo o giurisdizionale impugnato, di documenti e di atti di precedenti gradi di giudizio mediante «copia e incolla»; in caso di riproduzione, riportare la parte riprodotta tra virgolette, e/o in corsivo, o con altra modalità atta ad evidenziarla e differenziarla dall'atto difensivo; e) recare in modo chiaro, in calce alle conclusioni dell'atto processuale o in atto allegato evidenziato nell'indice della produzione documentale, l'eventuale istanza di oscuramento dei dati personali ai sensi dell' articolo 52, d. lgs. n. 196/2003, come mod. dal d.lgs. n.101/2018 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e altre istanze su cui il giudice sia tenuto a pronunciarsi; f) recare, ove possibile, una impaginazione dell'atto che consenta di inserire la parte di atto rilevante ai fini dei limiti dimensionali in pagine distinte rispetto a quelle contenenti le parti non rilevanti; g) se soggetti al regime del processo amministrativo telematico, quando menzionano documenti o altri atti processuali, possono contenere collegamenti ipertestuali a detti documenti e atti; h) quando eccedono i limiti dimensionali ordinari di cui all'articolo 3, recare, dopo l'intestazione e l'epigrafe, una sintesi e, ove possibile, un sommario. L'importanza della sintesi riepilogativa era stata già evidenziata dalla giurisprudenza. In particolare, , Cons. giust. amm.,ord. n. 536/2014, in presenza di un atto d'appello di 127 pagine palesemente non proporzionato al livello di complessità della causa e con evidente abuso della funzione c.d. «copia e incolla», alla luce del principio di chiarezza e sinteticità degli atti sancito dagli art. 3 e 26 c.p.a ha richiesto all'appellante di depositare una memoria riepilogativa orientativamente di non oltre 20 pagine per un massimo di 25 righi per pagina, su formato A4, facilmente leggibile e redatta solo su una faccia della pagina con testo scritto in caratteri di tipo corrente con interlinee e margini adeguati. Anche gli atti di intervento per ordine del giudice, le memorie, le repliche, dovranno indicare il numero di ruolo del processo a cui si riferiscono, e recare in modo chiaro e separato gli argomenti giuridici, nonché, in appositi e distinti paragrafi, specificamente titolati, le eccezioni di rito e di merito, le richieste di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, le richieste di rinvio alla Corte costituzionale, le istanze di oscuramento dei dati personali e le altre richieste su cui il giudice debba pronunciarsi. Le memorie uniche relative a più ricorsi e impugnazioni contro atti plurimi dovranno inoltre recare distintamente le questioni comuni e le questioni specifiche relative ai singoli ricorsi o impugnazione. Inoltre, ai sensi dell'art. 8 d.P.C.S. n. 167/2016, dovranno essere rispettate anche alcune «specifiche tecniche» di redazione del ricorso sia con riferimento al formato (equivalente digitale di foglio A4) che quanto al carattere (ad es. Times New Roman, Courier, Garamond), finendo per indicare anche la dimensione (preferibilmente di dimensioni di 14 pt), l'interlinea (di 1,5 e margini orizzontali e verticali di cm. 2,5 in alto, in basso, a sinistra e a destra della pagina). Vige, infine, l'assoluto divieto di note a piè di pagina. La violazione del principio di sinteticità e dei criteri redazionaliCon riferimento alle sanzioni conseguenti alla violazione del principio di sinteticità, l' art. 13-ter, comma 5, disp.att. c.p.a. come a suo tempo modificato dalla l. n. 197/2016, prevedeva esclusivamente che il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti e — con evidente riferimento al giudizio di primo grado — che l'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione. A seguito di tale disposizione, il Giudice poteva limitarsi a pronunciare la propria decisione sui motivi evidenziati nel numero di caratteri consentito, senza che ciò costituisse motivo di appello. Di recente Cons. St., II, n. 1450/2021 ha ribadito l'orientamento secondo cui in ambito amministrativo l'atto di appello che non rispetti i principi di chiarezza e sinteticità previsti dall'art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 104/2020 espone l'appellante alla declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, in considerazione del pregiudizio all'intellegibilità delle questioni, rendendo poco chiara l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata con conseguente violazione anche della regola di specificità dei motivi di appello. Nella previgente formulazione del comma 5 non è stata reputata convincente la tesi per cui, a seguito di tale norma, il Giudice di primo grado sarebbe addirittura obbligato a non esaminare le pagine eccedenti al numero di caratteri consentito o autorizzato ai sensi della procedura descritta dal d.P.C.S. (Pisano). Osservava altra dottrina che l'obbligo del giudice di pronunciarsi scaturisce dai principi generali del processo e la sua eventuale limitazione deve essere statuita in modo esplicito. Tuttavia, non convince l'interpretazione della norma nel senso che il giudice sarebbe soltanto esentato dall'obbligo di scrutinare la questione eccedente le pagine massime, ma non verrebbe sottoposto al divieto assoluto di valutare i punti indicati dalle parti. Se infatti una questione prospettata dalle parti potesse trovare ingresso nel giudizio solo sulla base di una valutazione discrezionale del giudice sarebbe violato il contraddittorio (Lipari). Per quanto invece riguarda il mancato rispetto di tale principio nei giudizi di impugnazione, la conseguenza normativamente indicata si limitava, quindi, alla possibilità del mancato esame delle questioni trattate nelle pagine eccedenti i limiti prescritti. L'elaborazione giurisprudenziale si è spinta ben oltre, individuando sanzioni ulteriori rispetto al mancato esame dei motivi di appello, con conseguenze, innanzitutto, in tema di condanna alle spese processuali, per violazione dell' art. 26, comma 1, c.p.a. (violazione dei doveri di sinteticità e chiarezza) e alla sanzione pecuniaria di cui all' art. 26, comma 2 c.p.a. Cons. St. V, n. 3372/2016 ha ritenutopacifica la natura sanzionatoria della misura pecuniaria in esame, che tipizza uno dei casi di temerarietà del giudizio e che prescinde da una specifica domanda nonché dalla prova del danno subito, ed il cui gettito, commisurato a predeterminati limiti edittali, è destinato al bilancio della giustizia amministrativa, atteso che lo scopo della norma è quello di tutelare la rarità della risorsa giudiziaria, un bene non suscettibile di usi sovralimentati o distorti, soprattutto a presidio dei casi in cui il suo uso è davvero necessario. Successivamente, la giurisprudenza maggioritaria è giunta ad individuare più serie conseguenze in tema di inammissibilità dell'atto di appello non rispettoso dei canoni di chiarezza e di sinteticità Cons. St. VI, n. 780/2017 ha evidenziato che solo recentemente (e precisamente dopo la redazione dell'atto d'appello) i principi di sinteticità e chiarezza hanno acquisito precettività processuale sì da prescrivere in caso di loro violazione la pronuncia di rito di inammissibilità (cfr., da ultimo, Cass. S.U. n. 964/2017). La Corte di cassazione evidenzia che il rispetto del canone della chiarezza e della sinteticità espositiva rappresenta l'adempimento di un preciso dovere processuale il cui mancato rispetto espone al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione, principalmente in quanto esso collide con l'obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all' art. 24 Cost., nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all' art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l' art. 6 Cedu, nonché di evitare di gravare sia lo Stato sia le parti di oneri processuali superflui. Nel senso della inammissibilità si era già pronunciato, ad es., Cons. St. IV, n. 2866/2016, che alla violazione dei principi di sinteticità e di chiarezza degli atti processuali ritiene conseguire — sulla scorta di consolidati principi giurisprudenziali e della normativa processuale di riferimento (cfr. da ultimo Cons. St. III, n. 1120/2016; Cons. St. V, n. 5459/2015, Cons. St. V, n. 5400/2015 e Cons. St. V, n. 1350/2014; Cons. St. IV, n. 363/2015; Cons. St., Ad. plen. n. 5/2015, Cons. St. VI, n. 9/2014 e Cons. St. VI, n. 1/2003) l'inammissibilità del gravame. Il Collegio, nel caso di specie, evidenzia il concreto pericolo che la violazione di tale principio determina in materia di motivi intrusi (ossia di quei motivi di ricorso, ex se inammissibili, perché inseriti nella parte in fatto (con il conseguente diffuso aumento di sentenze che non contengono l'esatta disamina di tutti i motivi di ricorso proposti a causa dell'oggettiva difficoltà di individuarli nel corpo dell'atto: in tal senso, Cons. St. V., 5459/2015 e già Cons. St. III, n. 346/2016). Si evidenzia che, secondo il ragionamento della Cassazione, non è il superamento del limite che, in sé, determina l'inammissibilità del ricorso, quanto la circostanza che il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali — che, fissato dall'art. 3, comma 2, esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale- rischia di pregiudicare l'intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata (Cass. II, n. 21297/2016). Va altresì evidenziato che recentissime pronunce del Giudice Amministrativo hanno precisato che il superamento dei limiti dimensionali degli atti difensivi è questione di rito afferente all'ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell'interesse pubblico all'ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d'ufficio a prescindere da eccezioni di parte; il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai canoni di economia processuale e celerità (Consiglio di Stato sez. V, 14/02/2024, n.1502) e che in assenza di richiesta di autorizzazione al superamento dei limiti dimensionali, il Collegio non può leggere la parte eccedente ma può in ogni caso decidere il motivo se questo è comprensibile al netto della parte non letta (Consiglio di Stato sez. V, 05/01/2024, n.219). Con l'art. 1 comma 813 della l. 207/2024 il Legislatore ha ridotto le distanze tra la normativa processuale amministrativa a quella degli altri plessi giurisdizionali, in cui la violazione dei limiti dimensionali stabiliti per gli atti processuali può assumere rilievo unicamente sotto il profilo della liquidazione delle spese processuali, eliminando la previsione della possibilità, per il giudice, di non esaminare le parti degli atti eccedenti, in difetto di autorizzazione, il limiti dimensionali stabiliti con il d.P.C.S.. In luogo dell'originaria previsione, il novellato comma 5 prevede una sanzione pecuniaria irrogabile dal giudice in conseguenza della violazione non autorizzata, con la peculiarità della previsione ex lege di un limite entro cui il Giudice può sanzionare, con la decisione che definisce il giudizio, la predetta violazione; il novellato comma 5 dell'art. 13 ter disp. att. c.p.a. prevede, infatti, che l'importo stabilito in relazione alla violazione non autorizzata dei limiti dimensionali non possa in ogni caso superare il doppio del contributo unificato previsto per il singolo giudizio, che può aggiungersi, ove occorra, anche al contributo unificato già versato, sempre tenuto conto dell'entità del superamento dei limiti dimensionali, della complessità ovvero della dimensione degli atti impugnati o della sentenza impugnata. Il nuovo comma 5 ter stabilisce, inoltre, che trova applicazione l'articolo 15 disp. att. c.p.a., che a sua volta prevede la devoluzione al bilancio del Stato del gettito delle sanzioni applicate a norma del c.p.a. Per quanto appaia anche apprezzabile l'avvertita esigenza di predeterminare il limite massimo delle somme da versare in caso di violazione non autorizzata dei limiti dimensionali, non può non evidenziarsi tuttavia – considerata la diversa entità del contributo unificato prevista per le diverse tipologie di giudizi, nonché anche l'esistenza di numerose tipologie di giudizi esenti dal pagamento del contributo unificato e non per ciò solo bagattellari (si pensi, solo per fare qualche esempio, alle controversie in materia di pubblico impiego o di concorsi pubblici o alle controversie elettorali) – che la deterrenza della previsione può essere fortemente condizionata da fattori e scelte (di carattere esclusivamente tributario) assolutamente estranei al processo amministrativo, rischiando così di depotenziare un principio – quello della sinteticità degli atti processuali – assolutamente fondamentale per garantire la speditezza del giudizio e, in ultima analisi, l'effettività della tutela giudiziaria (Lariccia). Quanto all'applicabilità della novella anche ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della nuova formulazione dell'art. 13 ter disp. att. c.p.a, sul punto si è pronunciata l'Adunanza Plenaria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 13 marzo 2025, n. 3) affermando che l'art. 13-ter, comma 5, dell'allegato II al c.p.a., nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 813, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, trova applicazione anche in relazione ai ricorsi depositati antecedentemente al 1° gennaio 2025. L'Adunanza Plenaria ha qualificato la norma nel nuovo testo risultante all'esito della modifica legislativa, alla stregua di una disposizione di natura processuale, attributiva al giudice di un potere valutativo in ordine all'incidenza del superamento, non autorizzato, dei limiti dimensionali degli atti processuali, sul celere e spedito andamento del giudizio, assoggettata in quanto tale al principio tempus regit actum, per il quale gli atti del processo ancora da compiere sono soggetti alle disposizioni vigenti al momento in cui sono adottati, indipendentemente dal momento in cui il giudizio a cui si riferiscono è stato instaurato. Ciò in quanto l''art. 13- ter, comma 5, dell'allegato II al c.p.a. sia nella originaria che nella nuova formulazione non contiene regole per la redazione degli atti processuali delle parti, ma definisce i poteri del giudice, per i casi in cui, senza autorizzazione, gli atti non abbiano rispettato i limiti dimensionali. Nulla è invece previsto dall' art. 13-ter disp. att. c.p.a. con riferimento alle conseguenze del mancato rispetto dei criteri redazionali. È auspicabile che — diversamente a quanto rilevato per la violazione del principio di sinteticità — l'eventuale violazione dei suddetti criteri di redazione sia valutata quale irregolarità sanabile, sebbene sia evidente che tale comportamento potrebbe comunque essere valutato in termini di violazione del dovere di collaborazione, sancito dal richiamato art. 2 o quantomeno, secondo una prassi giurisprudenziale già adottata in materia di violazione del principio di sinteticità, ai fini delle spese processuali (Pisano). BibliografiaLipari, La sinteticità degli atti difensivi, Libro dell'anno del Diritto, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2016; Pisano, Il processo amministrativo telematico, Roma, 2017, 53-62; Pisano, Prime riflessioni sull'avvio del pat, tra principio di sinteticità e regime transitorio, Giornale Dir. Amm. 2017, 1, 41, Lariccia, Principio di sinteticità e Chiarezza degli atti di parte, “L’Amministrativista”, Portale Telematico Giuffrè Francis Lefebrve |