Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 8 - Errore sulla norma tributaria 1 2 .

Mario Cavallaro

Errore sulla norma tributaria12.

1. La corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie quando la violazione è giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce.

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 53 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

Inquadramento

L'istituto deriva da analogo principio risalente alla previgente legislazione tributaria (art. 39-bis d.P.R. n. 636/1972 e prima ancora art. 248 d.P.R. n. 645/1958. Si tratta di una facoltà del Giudice tributario, esercitabile in riferimento alle sanzioni non penali, univocamente correlata dunque al potere di accertamento. La ratio della norma (Cfr. Gobbi 184 s. con ampia citazione di dottrina precedente) risiede nella possibilità che si possa cadere in errore o per ignoranza in senso letterale della norma tributaria, che il contribuente sconosca, o per errore in diritto, cioè per errata interpretazione sulla portata e l'applicazione di una determinata norma giuridica.

In qualche misura il principio dell'escusabilità dell'errore si aprì un varco, in verità pressoché disapplicato in concreto, persino in sede penale, con la sentenza della Corte cost. n. 364/1988, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 5 «nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità della ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile», e quindi anche un errore sull'esistenza della stessa legge penale e non – come comunemente si recita – sulla sola legge extrapenale. Nella specie ovviamente la scusabilità dell'errore è circoscritta, negli effetti, all'apparato sanzionatorio non penale (e quindi non certo agli effetti, in ordine al merito dell'imposizione tributaria, della condotta del contribuente e delle sue possibili conseguenze penali) ed ovviamente fa riferimento all'esistenza di obbiettive condizioni di incertezza sulla portata e l'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali l'errore si riferisce. Dottrina e giurisprudenza si sono incaricate di elaborare un catalogo di condotte, di cui daremo conto nel testo, che integrano la fattispecie segnatamente in riferimento agli elementi soggettivi ed oggettivi che debbono integrare quella che maggioritariamente la dottrina definisce una causa di giustificazione.

La Cassazione (Cass. V, n. 5105/2017) ha collegato l'applicabilità dell'istituto anche ai principi costituzionali di buona fede e affidamento, rifluiti nell'art. 10, comma 3, d.lgs. n. 212/2000.

Secondo il Glendi, la ratio della norma si rinverrebbe anche nel fatto che il comportamento del contribuente non sarebbe in concreto produttivo di danno all'amministrazione finanziaria.

La nozione di oggettiva incertezza della normativa tributaria

La dottrina (Gobbi, cit. 186 s.) ha elaborato una nozione che riteniamo si possa definire più ampia di oggettiva incertezza della legislazione tributaria rispetto a quella a cui invece continua in sostanza, con sempre maggior rigore e meno ampiezza, ad ispirarsi la giurisprudenza. In sostanza per la dottrina sono rilevanti gli aspetti della ignoranza inevitabile della legge dovuta ad un ampio catalogo di presupposti, fra cui l'ipertrofia legislativa, l'instabilità, mutevolezza o scurità dell'ordinamento, gli atteggiamenti interpretativi contraddittori degli organi dello stato; in dettaglio il catalogo comprende praticamente tutti i mali endemici della legislazione e della prassi tributaria, fra cui l'eccesso di decretazione d'urgenza, la turbinosa successione di leggi, la scadente tecnica normativa, la mancanza di coordinamento fra norme.

L'oggettività è determinata dalla capacità delle oggettive incertezze di determinare una condotta errata in soggetto di normale diligenza, mentre ai fini della mancanza di colpa nel cadere in errore concorrono circostanze come le indicazioni errate dell'amministrazione o sue disposizioni che, pur non essendo fonte normativa primaria, impongono un affidamento al contribuente, ma anche lo stesso contrasto di giurisprudenza, mentre l'adeguamento ad opinioni dottrinali (Miccinesi, cit.), ancorché autorevoli, non è visto dalla giurisprudenza come causa di giustificazione, che del resto sarebbe talvolta fin troppo facilmente autoproducibile.

La materia ha subito una sostanziale nuova regolazione, quanto ad errori dovuti ad un rapporto non improntato al principio dell'affidamento e della buona fede, con l'art. 10 comma 2 dello Statuto del contribuente che ha suggellato l'esenzione da sanzioni (e nella specie anche da interessi moratori) quando la condotta del contribuente sia ascrivibile alla presupposta condotta dell'amministrazione.

Secondo la dottrina (Gobbi, cit. 191; Logozzo, cit. 77, 78) che supera precedenti esposte teorie, la causa di giustificazione si ha quando alla oggettività della fattispecie (impossibilità di conoscere la norma) si congiunga l'elemento soggettivo della non imputabilità scusabile della condotta.

L'esimente si baserebbe su un errore causato sempre da fattori estranei al soggetto, sebbene al medesimo ascrivibili formalmente, perché causati da condotte altrui o da fatti oggettivi valutati secondo criteri di regolarità logica.

L'incertezza normativa giuridicamente rilevante ai fini dell'art. 8 è quella, di carattere obiettivo, concernente le norme tributarie, la cui violazione da parte del contribuente determina l'emissione dell'avviso di accertamento e l'irrogazione delle sanzioni. Tale incertezza sussiste quando il complesso normativo di riferimento si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento si riveli concettualmente difficoltoso, a causa della relativa equivocità. (Cass. VI, ord. n. 25853/2016, in tema di rilevanza impositiva IRAP del reddito professionale, oggetto di articolato e complesso dibattito, sia in dottrina come pure in giurisprudenza; ma non a caso ritiene la pronuncia che dopo la sentenza 2016 delle SS.UU. in materia, per gli anni di imposta successivi non si possa più discorrere di errore scusabile).

Sotto il profilo soggettivo, l'incertezza normativa oggettiva richiede certamente una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione normativa, ma esso non va riferito ad un generico contribuente o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale sono capaci di interpretazione normativa qualificata, e neppure all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. (Cfr. Cass. V, n. 23845/2016).

L'“oggettiva incertezza” ai fini dell'esenzione dalla responsabilità amministrativa del contribuente

La dottrina non si discosta (Gobbi, cit. 185 s.) dal c.d. criterio giurisprudenziale (Cass. n. 21777/2014; Cass. sez. trib., n. 14715/2008, e su tutte la ampiamente citata C.t.c. XIV, n. 4494/1990) che ripartisce l'eziologia dell'errore fra inevitabile ignoranza della legge e ineluttabilità scusabile dell'affidamento qualificato del contribuente, non senza evidenziare come sia presente anche il tema della certezza del diritto, che rende ineluttabile solo quelle interpretazioni della norma sanzionatoria che non siano ontologicamente controvertibili, o che lo divengano per la condotta della stessa amministrazione titolare dell'irrogazione della sanzione

In giurisprudenza sempre più circoscritta appare l'applicazione dell'istituto. La fattispecie denominata di «oggettiva incertezza» è un presupposto dell'applicabilità della causa di giustificazione, ma la violazione meramente formale non punibile deve rispondere a due concorrenti requisiti, non arrecare pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell'imposta e sul versamento del tributo (Cass. V, n. 4960/2017: nella specie, il ritardo nel versamento del tributo è stato ritenuto una violazione sostanziale e non formale sanzionata dall'art. 13 del d.lgs. n. 471/1997, in quanto incide sul versamento del tributo ed arreca pregiudizio all'incasso erariale).

La Cassazione (Cass. VI, ord. n. 17250/2014) ha individuato una serie di presupposti definiti «fatti indice» dell'esistenza della causa di giustificazione, quali la difficoltà d'individuazione o d'interpretazione di disposizioni normative, l'assenza o contraddittorietà d'informazioni o prassi amministrative, la formazione di orientamenti giurisprudenziali difformi, il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale o tra opinioni dottrinali, l'adozione di norme d'interpretazione autentica o esplicative di norma implicita preesistente.

L'applicazione dell'istituto nella visione della dottrina e nella prassi giurisprudenziale

La dottrina prevalente (Gobbi, 193, ma contraGlendi, 1990, 973) ha sempre ritenuto che il potere di disapplicazione delle sanzioni sia costruito come potere discrezionale, che può essere esercitato officiosamente e senza che, unitamente all'ordinaria impugnazione dell'atto tributario, sia stata ex professo richiesta la disapplicazione delle sanzioni. Stante la vetustà del principio, si può ritenere che tale facoltà delle Commissioni affondi le sue radici in una originaria complementarietà dei poteri delle commissioni rispetto a quelli dell'amministrazione. La conseguenza è che, per converso, se il Giudice non si è pronunciato sulla questione in mancanza di domanda esplicita del contribuente la sentenza che non si pronunci sulla disapplicazione di eventuali sanzioni non è impugnabile per tale profilo, mentre viceversa lo sarà se il giudice si sia pronunciato a domanda del contribuente.

Trattandosi di facoltà officiosa, essa può essere esercitata senza alcun impulso di parte anche nel giudizio di rinvio (Cass. n. 2820/1995).

La giurisprudenza più recente non sembra condividere tale orientamento della dottrina: Cass. V, n. 24508/2015 e conforme Cass. V, n. 24510/2015: il giudice tributario non può accertare i presupposti della esimente di cui all'art. 8, determinante la illegittimità dell'atto irrogativo della sanzione pecuniaria, in assenza di specifici motivi di ricorso proposti o riproposti dal contribuente. L'oggetto del giudizio sull'atto irrogativo della sanzione pecuniaria deve, invero, intendersi sin dall'origine confinato nell'ambito delle statuizioni meramente dipendenti dalla eventuale pronuncia di annullamento dell'avviso concernente la pretesa impositiva, sussistendo un nesso di pregiudizialità necessaria tra il rapporto impositivo ed il rapporto sanzionatorio. Di talché, accertata la legittimità della pretesa fiscale, in difetto di specifico motivo di impugnazione dedotto dal contribuente, il giudice tributario non può esaminare d'ufficio la questione concernente la sussistenza di circostanze tali da determinare una oggettiva incertezza nell'applicazione della norma tributaria ed annullare l'atto irrogativo della sanzione pecuniaria (già in questa direzione Cass. V, n. 22890/2006).

Bibliografia

Baldassarre, Le obiettive condizioni di incertezza sull'interpretazione normativa tributaria e la disapplicazione delle sanzioni amministrative, in Dir. prat. trib. 2009, 2, 20339; Glendi, Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, Milano, 1990; Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2017, 183 ss.; Logozzo, L'ignoranza della legge tributaria, Milano, 2002; Logozzo, Appunti in tema di ignoranza della legge tributaria, in Riv. dir. trib. 1992, I, 55 ss.; Miccinesi, Commento sub art. 6, in Il nuovo processo tributario, Milano, 2004.

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