Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 38 - Richiesta di copie e notificazione della sentenza 1 2 .1. Ciascuna parte può richiedere alla segreteria copie autentiche della sentenza e la segreteria è tenuta a rilasciarle entro cinque giorni dalla richiesta, previa corresponsione delle spese [a norma dell'art. 25, comma 2] 3. 2. Le parti hanno l'onere di provvedere direttamente alla notificazione della sentenza alle altre parti a norma dell'articolo 16 depositando, nei successivi trenta giorni, l'originale o copia autentica dell'originale notificato, ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all'avviso di ricevimento nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l'inserisce nel fascicolo d'ufficio 4 5. 3. Se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l'art. 327, comma 1, del codice di procedura civile. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza.
[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 87 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. [3] Comma modificato dall'articolo 299, comma 1, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 [4] A norma dell'articolo 21, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, la disposizione di cui al presente comma, si interpreta nel senso che le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie regionali e dalle commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome di Trento e di Bolzano, ai fini del decorso del termine di cui all'art. 325, secondo comma, del codice di procedura civile, vanno notificate all'Amministrazione finanziaria presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'art. 11, secondo comma, del testo unico approvato con regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modificazioni. Vedi inoltre Corte Costituzionale 15 novembre 2000, n. 525, (in Gazz. Uff., 29 novembre 2000, n. 49), che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 21, comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133, nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica da essa dettata. [5] Comma modificato dall'articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 25 marzo 2010, n. 40. InquadramentoI commi 1 e 2 dell'art. 38 in commento disciplinano le modalità attraverso le quali le parti, a seguito della pubblicazione della sentenza, possono richiederne copia, segnatamente, anche se non esclusivamente, al fine di notificarla alle altre parti, ex art. 137 e ss. c.p.c., onde far decorrere il c.d. termine breve di impugnazione. Proprio con riferimento al decorso di detto termine, dal tenore del primo periodo del comma 3, secondo cui, «se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l'art. 327, comma 1, del codice di procedura civile», emerge che la procedura di richiesta della copia autentica della sentenza e di conseguente notificazione è meramente eventuale: dal punto di vista procedimentale, il cerchio comunque si chiude, atteso che il passaggio in giudicato della sentenza è assicurato dal decorrere del c.d. termine lungo. In un'ottica di evidente semplificazione, che deve essere salutata con favore, la notificazione della sentenza deve intendersi correttamente effettuata non solo per il tramite dell'ufficiale giudiziario, ma anche attraverso la spedizione a mezzo del servizio postale ovvero per consegna diretta all'ufficio finanziario. Termine breve di impugnazioneAi fini dell'impugnazione della sentenza, la legge processuale civile affianca al termine c.d. lungo, che trova il suo dies a quo nel giorno di pubblicazione della sentenza e spira con il decorso di sei mesi, anche il termine, eventuale, c.d. “breve” (nel processo tributario, di sessanta giorni) che decorre dalla notificazione della sentenza per iniziativa di una delle parti. Entrambi i termini hanno la loro ratio nella necessità di garantire la certezza dei rapporti giuridici, in ossequio al tradizionale principio ne lites paene immortales fiant (Randazzo, 1322). La notificazione della sentenza ha dunque un effetto acceleratorio del termine ordinario per proporre impugnazione e, com'è noto, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la notificazione della sentenza fa decorrere il termine breve per impugnare la sentenza non solo per il destinatario della notificazione, ma anche per la parte istante, che sia anch'essa soccombente (Cerino Canova, 624). Se, infatti, la finalità che spinge la parte a notificare la sentenza è quella di accelerare il passaggio in giudicato della sentenza, questa volontà di risultato resterebbe vanificata se il termine breve non decorresse anche per il notificante (si tratta del c.d. principio dell'efficacia bilaterale della notifica della sentenza ex art. 285 c.p.c.). A questo doppio termine d'impugnazione fa riferimento anche la disciplina del processo tributario nel combinato disposto degli artt. 51 (termine breve) e 38 (termine lungo) del d.lgs. n. 546/1992. È però presente, nell'enunciato dell'art. 38, un elemento di peculiarità che è assente nel codice di procedura civile. Il 2° comma dell'art. 38 onera la parte che assume l'iniziativa di notificare la sentenza, di provvedervi “depositando, nei successivi trenta giorni, l'originale o copia autentica dell'originale notificato, ovvero copia autentica della sentenza consegnata o spedita per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o di spedizione per raccomandata a mezzo del servizio postale unitamente all'avviso di ricevimento, nella segreteria, che ne rilascia ricevuta e l'inserisce nel fascicolo d'ufficio”. In una sentenza della Corte di Cassazione (Cass. V-5, n. 4222/2015) si legge che questo adempimento, imposto dalla norma dopo la notificazione della sentenza all'avversario, non incide (“a nulla rileva”) sugli effetti correlati al decorso del termine breve per l'impugnazione, “non risultando dalla lettera della legge alcuna sanzione correlata all'inadempimento di siffatto onere – per come evidenziato dalla dottrina unanime – né potendo l'omesso deposito produrre effetti ai fini della conoscenza della sentenza una volta che la notifica a mani proprie della stessa è stata, come detto, ritualmente eseguita”. In una pronuncia più recente (Cass. V, ord., 26449/2017), la Corte ha, all'opposto, ritenuto che gli adempimenti previsti dal richiamato art. 38 delle norme sul processo tributario, ossia la notificazione della sentenza e, nei trenta giorni successivi, il suo deposito presso la segreteria della commissione tributaria, costituiscano formalità procedimentali che la norma in esame prevederebbe come necessarie per il decorso del termine breve per l'impugnazione. Automaticamente conseguendo, all'inadempimento di una delle due formalità, il decorso del termine lungo per l'impugnazione della sentenza, e non piuttosto del termine breve. In conseguenza di questo mutato indirizzo, la Corte ha perciò respinto, nel caso al suo esame, l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per cassazione dell'Agenzia delle entrate proposto oltre i sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, e ciò per la circostanza che il notificante aveva omesso di depositare nella segreteria della commissione tributaria la copia della sentenza notificata. Nel bilanciamento degli opposti interessi, la Corte ha ritenuto che “alla posizione della parte che omette l'adempimento di tutte le formalità prescritte dal d.lgs. n. 546/1992, art. 38, comma 2, per far decorrere all'altra parte il termine breve per impugnare la sentenza della commissione tributaria, deve preferirsi la posizione di quest'ultimo soggetto che, invece, constatato l'inadempimento di una di quelle formalità, abbia ritenuto inoperante quel termine” (conf. Cass. V, ord., n. 20740/2019). Termine breve per proporre appello e dies ad quem in giorni festivi Nel caso in cui una parte provveda alla notificazione della sentenza, il termine di decadenza dall'impugnazione della stessa è quello di sessanta giorni, previsto dall'art. 51 d.lgs. n. 546 del 1992. Per il computo dei termini valgono le regole contenute nell'art. 155 c.p.c. integrate da quelle previste nell'art. 2963 c.c. Nel dettaglio, nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l'ora iniziali; per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune; i giorni festivi si computano nel termine; se il giorno di scadenza è festivo, la scadenza è prorogata di diritto al primo giorno seguente non festivo (tale proroga si applica altresì ai termini per il compimento degli atti processuali svolti fuori dell'udienza che scadono nella giornata del sabato). Ancora, i termini di prescrizione contemplati dal c.c. e dalle altre leggi si computano secondo il calendario comune. Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del termine e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo istante del giorno finale. Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo. La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale. Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese. Nelle controversie tributarie, il termine per proporre appello è stato qualificato dalla giurisprudenza come termine "a decorrenza successiva" e va dunque computato escludendo il termine iniziale e conteggiando quello finale, è soggetto, pertanto, alla disciplina di cui all'art. 155 c.p.c., comma 4, con la conseguenza che, ove il "dies ad quem" del medesimo vada a scadere nella giornata di domenica, esso è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo (Cass. V, ord., n. 18975/2021). Il medesimo principio era già stato affermato a più riprese: “Nelle controversie tributarie il termine per proporre ricorso deve essere qualificato come termine "a decorrenza successiva" e, pertanto, computato secondo il criterio di cui all'art. 155 c.p.c., comma 1, cioè escludendo il giorno iniziale e conteggiando quello finale; tale termine deve ritenersi compreso fra quelli "per il compimento degli atti processuali svolti fuori dall'udienza" di cui all'art. 155, comma 5, cit., con la conseguenza che, ove il "dies ad quem" del medesimo vada a scadere nella giornata di sabato, esso è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo; attesa la proroga di diritto, nessuna rilevanzapuò ovviamente essere data all'apertura degli Uffici postali o alla disponibilità ad accettare gli atti in scadenza l'ultimo giorno” (Cass. VI-5, ord., n. 11263/2016; Cass. Lav., n. 16303/2015; Cass. V, 6728/2012;). Omessa notificazione della sentenza e termine lungo di impugnazioneNel caso in cui nessuna delle parti provveda alla notificazione della sentenza, il termine di decadenza dall'impugnazione della stessa non è più quello di sessanta giorni, previsto dall'art. 51 d.lgs. n. 546 del 1992, ma quello di sei mesi indicato nell'art. 327 c.p.c., che comincia a decorrere dal giorno della pubblicazione della sentenza. I sei mesi, peraltro, vanno comunque soggetti alla regola della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale – dal 1° al 31 agosto di ogni anno – prevista dalla l. n. 742/1969. Inoltre, nell'improbabile ma nient'affatto impossibile ipotesi (dovuta a disguidi di segreteria che eufemisticamente rasentano la patologia) in cui il termine dell'art. 51 spiri successivamente a quello dell'art. 327, prevale quest'ultimo, che ha il precipuo scopo di assicurare la certezza dei rapporti giuridici involti nella controversa e definiti con la sentenza (Borgni, 205; Graziano, 281). Osserva la Corte di Cassazione che «l'art. 38 del d.lgs. n. 546 del 1992 non ha istituito un regime speciale per il processo tributario in ordine all'applicazione del termine lungo di impugnazione, impermeabile alle disposizioni transitorie di cui all'art. 58 della l. n. 69 del 2009: tale principio si desume dall'art. 62 del medesimo decreto, che fa espresso riferimento, per la disciplina del giudizio di cassazione in materia tributaria, alle norme del codice di procedura civile, così attribuendo prevalenza alle norme processuali ordinarie ed escludendo l'esistenza di un giudizio “tributario di legittimità”» (Cass. V, ord. n. 12642/2017).Di recente, conf. Cass. V, n. 11411/2019; Cass. V, ord., n. 24299/2018). La valenza sistematica di tale principio emerge evidente sol che si consideri che il giudizio di legittimità, ancorché abbia ad oggetto la materia tributaria, seguita ad essere disciplinato dalle regole dettate per il processo civile ordinario. Nondimeno, se ciò vale per il giudizio di legittimità, potrebbe insorgere questione per il giudizio di primo grado nel passaggio al grado d'appello, ancorché per vero non si ravvisino ragioni che impediscano una lettura generalizzante di per sé dell'art. 58 l. n. 69/2009. Piuttosto, quanto all'inesistenza in sé di un «giudizio “tributario di legittimità”», mette conto di rilevare che l'affermazione non è in sé pacifica, dal momento che, solo qualche mese fa, il Massimo Consesso della Suprema Corte pareva ammettere una cedevolezza del rito puro alle specifiche previsioni del settore tributario (il riferimento è a Cass. S.U. n. 14916/2016, secondo cui, «in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall'art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell'indicazione della residenza o della sede e dell'elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dall'art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330, comma 1, seconda ipotesi, c.p.c., ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione»). Per quanto attiene al procedimento di pubblicazione della sentenza, coincidente con il suo deposito, esso è unitario, nonostante vi concorrano sia l'attività del giudice (di deposito in cancelleria del documento) sia quella del cancelliere (di vera e propria pubblicazione mediante il compimento di determinate formalità che rendono “certificato” tale deposito), e garantisce, quale effetto legale, la conoscibilità del provvedimento erga omnes anche ai fini della decorrenza del termine lungo di impugnazione. L'attività del cancelliere è, quindi, solo ricognitiva della completezza del documento materialmente consegnatogli dal giudice, oltre che vincolata nel quomodo (dovendo estrinsecarsi nell'apposizione di data e firma in calce) e nel quando (dovendo detta estrinsecazione dare atto – con presunzione di veridicità sino a querela di falso ex art. 2700 c.c. – del deposito siccome effettuato dal giudice in segreteria proprio nella data indicata). La centralità della fattispecie del deposito balza agli occhi giacché, mancando la notificazione della sentenza ad istanza di parte, il termine lungo di impugnazione comunque decorre dalla pubblicazione (ex artt. 38 e 51 d.lgs. n. 546/1992), che, a sua volta, coincide con – nel senso che si realizza mediante – il deposito in segreteria, proprio per tale motivo bisognevole dell'attestazione di effettuazione attraverso la firma e la data apposte da un soggetto diverso dal giudice, ossia dal segretario (ex art. 37). In definitiva, contrariamente a quanto l'intendimento del lessico processuale secondo schemi del linguaggio comune parrebbe far intendere, la pubblicazione della sentenza non necessita di una messa a conoscenza delle parti successiva al deposito. È l'esigenza ordinamentale di coniugare il diritto di impugnazione delle parti con la stabilizzazione del dictum contenuto nella sentenza, per modo che essa regoli immodificabilmente il caso concreto, a far sovrapporre la pubblicazione al deposito, di guisa che «tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono dalla data del suo deposito» (Cass. S.U., n. 13794/2012, in Corr. mer. 2012, 11, 1018, con nota di Travaglino). Impugnazione tardiva e rimessione in termini Il secondo periodo del comma 3 dell'art. 38 in commento – che recita: «Tale disposizione [ossia la disposizione del primo periodo, per cui, «se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l'art. 327, comma 1, del codice di procedura civile»] non si applica se la parte non costituita dimostri di non avere avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza» – ricalca sostanzialmente il comma 2 dell'art. 327 c.p.c., laddove stabilisce, nella versione aggiornata con le modifiche della l. n. 69 del 2009, che il divieto di proporre i mezzi ordinari di impugnazione oltre i sei mesi dalla pubblicazione della sentenza «non si applica quando la parte contumace dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292 [in tema di atti da notificarsi al contumace]». Il tema è quello annoso dell'ammissibilità dell'impugnazione tardiva, che definiscesi tale perché spiegata oltre il termine lungo di impugnazione. Se la funzione di questo termine consiste nel garantire che maturi la certezza dei rapporti giuridici, la rimessione in discussione degli stessi attraverso un'impugnazione che, in quanto tardiva, vulnera la formalmente maturata stabilizzazione degli effetti della sentenza in giudicato presuppone che l'impugnante dimostri l'“ignoranza del processo”, rectius, dimostri che non ha avuto alcuna conoscenza del processo stesso: la qual cosa, nel processo tributario, può avvenire «per nullità della notificazione del ricorso e – notasi: “e”, non “o” – della comunicazione dell'avviso di fissazione d'udienza». L'avviso di fissazione d'udienza è l'avviso di trattazione che, a norma dell'art. 31, deve essere comunicato dalla segreteria solo alle parti costituite. Ne consegue che l'impugnante in tanto può essere rimesso in termini in quanto non abbia ricevuto né regolare notificazione del ricorso né, in difetto della costituzione, l'avviso di cui si tratta: solo in tal caso, infatti, è materialmente impossibile che sia stato messo nelle condizioni di partecipare al processo, talché, in suo danno, si realizza un'insanabile violazione del contraddittorio nella declinazione soggettiva. Il dies a quo la decorrenza del termine lungo dell'impugnazione coincide con la data di pubblicazione della sentenza e non con la data di comunicazione del dispositivo, integrando tale adempimento un'attività meramente informativa, estranea al procedimento di pubblicazione; tuttavia, nel giudizio tributario, la disposizione dell'art. 38, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992 prevede che l'art. 327, primo comma, c.p.c. non trovi applicazione nel caso in cui la parte, non costituita, non abbia avuto conoscenza del processo, per la nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza (Cass. V, ord., n. 20656/2021). In tali ipotesi (quando, cioè, non siano stati debitamente comunicati né l'avviso di trattazione dell'udienza, né il dispositivo della sentenza), il termine lungo per l'impugnazione delle sentenza decorre dalla data in cui la parte ha avuto conoscenza di tale sentenza. E' ammissibile l'impugnazione tardiva, oltre il termine "lungo" dalla pubblicazione della sentenza, quando la parte dimostri l'"ignoranza del processo", ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza (Cass. V, ord., n. 28045/2020). In definitiva, l'impugnazione tardiva presuppone la ricorrenza di un duplice requisito, l'uno oggettivo, costituito dalla nullità della notificazione, l'altro soggettivo, correlato all'ignoranza del processo in ragione di detta nullità. L'impugnante è onerato della prova della ricorrenza di entrambi i requisiti, a meno che non ricorra l'ipotesi della inesistenza della notifica, nel qual caso l'ignoranza del processo si presume iuris tantum e grava sulla controparte, che deduca l'inammissibilità dell'impugnazione, l'onere della prova della conoscenza del processo (Cass. V, ord., n. 25904/2020). Alla stregua di siffatta interpretazione, l'unica parte che può beneficiare del secondo periodo del comma 3 dell'art. 38 in commento è quella resistente, in quanto a priori esclusiva destinataria della notificazione del ricorso; diversamente quella ricorrente, avendo l'onere di notificazione e, oltre, di costituzione, non può mai dirsi ignara del processo, perché non lo è della sua pendenza, in forza della quale ha il dovere di informarsi sul proseguo rispetto agli atti introduttivi (sostanzialmente in termini, pur con varietà di accenti, Randazzo, 1085; Cariglia, 137; Manoni, 2685; De Mita, 89; Balbi, 455). In effetti la S.C., tenuto conto della dinamica attraverso la quale s'incardina il processo tributario, affidato all'esclusiva iniziativa del contribuente in veste di ricorrente-impugnante, suole affermare che questi è, per definizione, sempre a conoscenza del processo a cui ha dato impulso con la proposizione dell'azione-impugnazione (per i numerosi precedenti della Cassazione si vedano, tra le più recenti, Cass. VI-5, ord., n. 4075/2021; Cass. VI-5, ord., n. 25727/2019; Cass. VI ord., n. 14746/2017; Cass. V, n. 23323/2013; Cass. V, n. 12761/2011; Cass. V, n. 6375/2006). Il massimo rigore cui è improntata la giurisprudenza di legittimità sembra aver spinto una arresto non più recente e rimasto isolato a ritenere «coerente ai principi costituzionali ed a quelli della Carta Europea dei diritti dell'Uomo che il diritto alla difesa ed all'attiva partecipazione al processo non sia vanificato da un'omissione degli uffici pubblici», suggerendo un'«interpretazione costituzionalmente orientata della normativa in vigore» attraverso il seguente principio di diritto: «In tema di processo tributario, nelle controversie cui non risulti applicabile l'art. 153 c.p.c., comma 2 (introdotto dalla l. n. 69/2009), il termine “lungo” per l'impugnazione delle sentenze di cui al primo comma dell'art. 327 c.p.c. decorre per la parte cui non sia stata debitamente comunicato né l'avviso di trattazione di cui all'art. 22 d.lgs. n. 546/1992, né il dispositivo della sentenza (ai sensi dell'art. 37 del medesimo decreto), dalla data in cui essa ha avuto conoscenza di tali sentenze» (Cass. VI, n. 6048/2013). A ben vedere, peraltro, anche siffatto arresto ossequia l'interpretazione rigoristica del secondo periodo del comma 3 dell'art. 38 in commento, laddove, proprio l'inapplicabilità estensiva dello stesso fonda la ritenuta individuazione dell'alternativa nel comma 2 dell'art. 153 c.p.c., in forza del quale «la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini; il giudice provvede a norma dell'art. 294, secondo e terzo comma». In chiave critica, pare il caso di rilevare che, a seguire il ragionamento della Corte, il comma 2 dell'art. 153 c.p.c. è reso applicabile, non dentro il processo, ma retroattivamente per incidere su un processo ormai concluso e coperto dal giudicato. Di più: spingendo detto ragionamento alle estreme conseguenze, siffatta retroattività è ingiustificatamente limitata al caso in cui non sia stata comunicato né l'avviso di trattazione né il dispositivo della sentenza, giacché, se di rimessione in termini si tratta, essa ben potrebbe trovare ingresso anche nel caso in cui la parte sia in grado di dimostrare di essere incorsa – purché incolpevolmente – nella decadenza per la sola omissione della comunicazione del dispositivo della sentenza, sebbene a suo tempo le fosse stata ritualmente comunicata la data di trattazione del ricorso (Randazzo, op. loc. cit.). Inesistenza della notifica Secondo i consolidati principi di diritto, enunciati dalla Corte di Cassazione, sussiste radicale inesistenza della notifica soltanto quando la stessa venga effettuata "in luogo o a persona privi di qualsiasi rapporto con il suo destinatario” (Cass. S.U., n. 14916/2016; Cass. V-5, ord., n. 20303/2020; Cass. V, ord., n. 3816/2018; Cass. VI-3, ord., n. 2174/2017; Cass. VI-1, ord., n. 20659/2017). Va sottolineato, sul punto, che nel caso in cui la notifica sia stata eseguita in un luogo che ha pur sempre un collegamento con il destinatario, non è giuridicamente inesistente, ma è affetta da nullità, sanabile ex tunc per effetto del raggiungimento dello scopo dell'atto, sia mediante la rinnovazione della notificazione, cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell'ordine impartito dal giudice (Cass. VI-5, ord., n. 20303/2020; Cass I, n. 16759/2011), sia mediante la costituzione in giudizio dell'intimato (Cass. V, n. 9083/2015). E' stato altresì statuito che la variazione di domicilio del procuratore costituito non incide sulla relazione con la parte interessata (Cass. V, 7257/2017). Richiesta di copie da soggetti non parti del processoIn linea generale, vale il principio per cui chiunque ha il diritto di estrarre copia degli atti detenuti dai soggetti ai quali l'ordinamento affida la funzione di pubblico depositario (notaio, conservatore, ma anche cancelliere), salve le eccezioni previste dalla legge; al diritto deve nondimeno concretamente corrispondere un interesse, che è qualificato se consiste nell'esercizio delle facoltà difensive ex art. 24 Cost. Il nucleo di tale disciplina è enunciato dall'art. 743, comma 1, c.p.c., statuente che «qualunque depositario pubblico, autorizzato a spedire copia degli atti che detiene, deve rilasciarne copia autentica, ancorché l'istante o i suoi autori non siano stati parte nell'atto, sotto pena dei danni e delle spese, salve le disposizioni speciali della legge sulle tasse di registro e bollo». Con precipuo riguardo agli atti giudiziari, l'art. 744 c.p.c. prevede che «i cancellieri e i depositari di pubblici registri sono tenuti, eccettuati i casi determinati dalla legge, a spedire a chiunque ne faccia istanza le copie e gli estratti degli atti giudiziari da essi detenuti, sotto pena dei danni e delle spese». Reputasi che, nel processo tributario, le segreterie, cui è attribuito il compito di rilasciare copia delle decisioni ed in specie delle sentenze (art. 35, comma 2, d.lgs. n. 546/1992), siano sottoposte, qualora la relativa istanza provenga da un soggetto non parte, all'esposta disciplina generale: invero quest'ultima non soccombe – in funzione del criterio della prevalenza della lex specialis – rispetto al comma 1 dell'art. 38 in commento, che per vero neppure interseca, occupandosi quest'ultimo soltanto delle copie a richiesta di parte. Fermo quanto precede, si pone tuttavia il problema di completare il gruppo di norme del processo civile ordinario estensibili a quello tributario con una previsione di chiusura volta a porre rimedio alla situazione di stallo derivante dal rifiuto – o anche dal semplice ritardo – di una segreteria a fronte di una legittima richiesta formulata da un soggetto non parte. Secondo la giurisprudenza, in mancanza di una disposizione che preveda la possibilità di ricorrere al presidente della commissione tributaria, trova (nuovamente) applicazione la disposizione generale, contenuta questa volta nell'art. 745, comma 2, a norma della quale «l'istante può ricorrere al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il depositario esercita le sue funzioni» (Cass. S.U., n. 1629/2010, in Giur. it., 2011, 3, 702, con nota di Borgni, Il regime di pubblicità delle sentenze delle commissioni tributarie). BibliografiaBalbi, La decadenza nel processo di cognizione, Milano, 1983, 455; Borgni, L'irrilevanza delle comunicazioni di segreteria ai fini del decorso del termine lungo per l'impugnazione delle sentenze delle Commissioni tributarie, in Giur. it. 2012, 1, 205; Borgni, Il regime di pubblicità delle sentenze delle commissioni tributarie, nota a Cass. S.U. 27 gennaio 2010, n. 1629, in Giur. it., 2011, 3, 702; Cariglia, Brevi note sull'applicabilità della rimessione in termini nel processo tributario, in Giur. it. 2017, 6, 137; De Mita, Ricorsi tardivi senza rimedio, in Dir. prat. trib. 2005, 1, 89; Graziano, Omesse comunicazioni della segreteria e decorrenza del termine «lungo» di impugnazione della sentenza nel processo tributario, in Dir. econ. ass. 2013, 3, 281; Manoni, La rimessione in termini nel processo tributario, in Il Fisco 2014, 27, 2685; Randazzo, Impugnazione tardiva e rimessione in termini, in Dir. prat. trib. 2013, 6, 1085; Travaglino, Pubblicazione della sentenza e attività certificativa del cancelliere, nota a Cass. S.U. 1 agosto 2012, n. 13794, in Corr. mer. 2012, 11, 1018; Randazzo, Termine breve d’impugnazione: necessario anche il deposito alla segreteria della commissione della sentenza notificata, in Dir. e Prat. Trib., 2018, 3, 1322; Cerino Canova, Sulla soggezione del notificante al termine breve di gravame, in Riv. dir. proc., 1982, 624. |