Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 47 - Sospensione dell'atto impugnato 1 2 .

Salvatore Labruna

Sospensione dell'atto impugnato12.

1. Il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio, ovvero adita ai sensi dell'articolo 62-bis la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificato alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all'art. 22 3.

2. Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e comunque non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno cinque giorni liberi prima. L'udienza di trattazione dell'istanza di sospensione non può, in ogni caso, coincidere con l'udienza di trattazione del merito della controversia4.

3. In caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, puo' disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del collegio o del giudice monocratico​5.

4. Il collegio o il giudice monocratico, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata [non impugnabile] nella stessa udienza di trattazione dell'istanza. L'ordinanza è immediatamente comunicata alle parti. L'ordinanza cautelare collegiale è impugnabile innanzi alla corte di giustizia tributaria di secondo grado entro il termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. Al procedimento si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4, in quanto compatibili. L'ordinanza cautelare del giudice monocratico è impugnabile solo con reclamo innanzi alla medesima corte di giustizia tributaria di primo grado in composizione collegiale, da notificare alle altre parti costituite nel termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. Al procedimento d'impugnazione si applicano le norme di cui ai commi 2, 3, 4, 5 e 6, in quanto compatibili, e l'ordinanza che decide sul reclamo non è impugnabile. L'ordinanza cautelare della corte di giustizia tributaria di secondo grado non è impugnabile 6

5. La sospensione può anche essere parziale e subordinata alla prestazione  della garanzia di cui all'articolo 69, comma 2. La prestazione della garanzia è esclusa per i ricorrenti con "bollino di affidabilità fiscale". Ai fini della disposizione di cui al periodo precedente, i ricorrenti con "bollino di affidabilità fiscale" sono i contribuenti soggetti alla disciplina di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, ai quali sia stato attribuito un punteggio di affidabilità pari ad almeno 9 negli ultimi tre periodi d'imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso per i quali tali punteggi siano disponibili 7.

[5-bis. L'istanza di sospensione e' decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione della stessa.] 8

6. Nei casi di sospensione dell'atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia.

7. Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza [di primo grado]9.

8. In caso di mutamento delle circostanze la corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservate per quanto possibile le forme di cui ai commi 1, 2 e 410.

8-bis. Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa 11

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 96 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[11] Comma inserito dall'articolo 9, comma 1, lettera r), numero 4), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Inquadramento.

Oggetto di tutela cautelare è l'integrità patrimoniale del contribuente, come indicata dall'art. 8, L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) che declina nel dettaglio tributario l'art. 1 del Primo protocollo addizionale della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali. Va premesso che, a differenza delle altre risalenti misure cautelari previste ad esclusiva tutela delle aspettative dell'ente fiscale (ex plurimis: art. 19, c.1, lett. e-bis ed e-ter, d.lgs. 546/1992), oggetto di un giudizio autonomo rispetto al merito, che si conclude con sentenza, soggetta alle ordinarie impugnazioni, le misure di sospensione cautelare della esecutività della sentenza e/o della esecuzione dell'atto, sono oggetto di un giudizio incidentale che si conclude con ordinanza motivata e non impugnabile, i cui effetti cessano con la pubblicazione della sentenza del litispendente giudizio di merito, che si sostituisce quoad effectum all'ordinanza cautelare. Alla dipendenza del giudizio incidentale da quello di merito consegue che: i)  l'inammissibilita o l'irricevibilita del ricorso/appello dà luogo all'inammissibilità derivata della richiesta cautelare; ii) non può revocarsi in dubbio che la condizione di parte nel giudizio di merito, legittimante all'impugnazione della relativa sentenza, determini anche la legittimazione alla tutela cautelare; pertanto, essa va certamente riconosciuta all'appellante in via incidentale ma resta opinabile per l'interveniente in giudizio di appello. Non è configurabile alcuna misura cautelare di tipo “attivo” o “propulsivo”. Tuttavia, secondo alcuni autori, poiché il processo tributario ha giurisdizione su diritti soggettivi e non su interessi legittimi, non opera il divieto di condanna dell'ente fiscale al compimento di attività provvedimentali, sancito dall'art. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E.

Per modulare gli effetti dell'introdotta esecutività, immediata e provvisoria, di tutte le sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente e di quelle relative ad operazioni catastali, la novella del d.lgs. n. 156/2015 ha introdotto un nuovo sistema di sospensione giudiziale - disegnato sul previgente art. 47 d.lgs. n. 546/1992 (sospensione dell'atto impositivo impugnato in prime cure) - con la riformulazione dell'art. 52 e l'introduzione degli artt. 62-bise 65, comma 3-bis, d.lgs. n. 546/1992 (in questi ultimi nuovi istituti è prevista la sospensione della sentenza di prime cure/appello e/o dell'atto impositivo oggetto dell'appello/di ricorso per cassazione/di ricorso per revocazione). La legittimazione attiva per la sospensione della sentenza è stata riconosciuta a tutte le parti del giudizio che ne abbiano interesse, anche quelle pubbliche: uffici dell'Agenzia delle Entrate/Riscossione — che ha recentemente incorporato quella del Territorio (ed Equitalia s.p.a., sostituita nelle funzioni di riscossione nazionale di cui all'art. 3, comma 1, d.l. 203/2005, conv. con modif. con l. 248/2005, dall'ente pubblico, strumentale della stessa Agenzia delle Entrate, denominato: «Agenzia delle Entrate-Riscossione») —  e dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, altri residuali enti impositori di tributi – come indicati nell'art. 2, comma 1 e 2, d.lgs. n. 546/1992 – o emittenti degli atti di cui all'art. 19, stesso decreto, oggetto della giurisdizione tributaria, l'Agente della Riscossione ed infine i soggetti privati, titolari di munus pubblicum per essere stati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle Province e dei Comuni (ove interessate come, ad esempio, per sospendere il rimborso dei tributi). 

L'articolo 47, d.lgs. 546/1992 va ritenuto norma generale -in quanto compatibile- a tutte le sospensive cautelari di cui agli artt. 47, 52, 62-bis e 65 c. 3-bis, d.lgs. 546/1992. Anche prima della citata novella, la tutela cautelare in pendenza di appello e di giudizio di cassazione, costituiva giurisprudenza costante pur in assenza di una apposita normativa (cfr. Corte Cost., 17 giugno 2010 n. 217; Cass. civ.,  sez. trib. 24 febbraio 2012 n. 2845 e Cass. Civ. S.U., 7 aprile 2014 n. 8053). Secondo alcuni autori la sospensione cautelare de qua potrebbe applicarsi soltanto agli atti immediatamente esecutivi, cioè agli atti impo-esattivi di cui all'art. 29 della legge n. 122 del 2010 (accertamenti), ed all'art. 2 del R.D. n. 639 del 1910 (ingiunzioni), che concentrano nel medesimo documento sia il titolo che il precetto per l'esecuzione, ed agli atti esattivi di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 (cartelle ed intimazioni di pagamento) che, costituendo solamente un precetto per l'esecuzione, presuppongono un titolo, costituito da un atto impo/sanzionatorio. Secondo la migliore dottrina, il ruolo formato ai sensi dell'art. 10, lett. b), del d.P.R. 602 del 1973, cioè «l'elenco dei debitori e delle somme da essi dovute, formato dall'ufficio ai fini della riscossione a mezzo del concessionario», con la sottoscrizione (visto) del titolare dell'ufficio impositore costituisce titolo esecutivo al pari degli altri atti impositivi formati dal medesimo ufficio; a tale titolo, la cartella di pagamento ne costituisce precetto. Secondo altri autori, invece, la sospensione cautelare può applicarsi a qualsiasi provvedimento tributario atteso che ne inibisce l'esecuzione, caratteristica propria di tutti gli atti tributari, che possono essere portati ad esecuzione unilateralmente dall'ente fiscale.

 «La disponibilità delle misure cautelari è strumentale all'effettività della tutela giurisdizionale e costituisce espressione del principio per cui la durata del processo non deve andare a danno dell'attore che ha ragione, in attuazione dell'art. 24 della Costituzione» (C. cost. 24 luglio 1998 n. 336).

Gli istituti sono stati introdotti a seguito delle sentenze della Corte cost. n. 10/2012, che ha affermato come la tutela cautelare del contribuente non possa essere limitata al giudizio di primo grado, e della Corte cost. n. 217/2010 che, con articolata motivazione, ha precisato come l'art. 49, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, non costituisca impedimento all'applicazione al processo tributario dell'inibitoria cautelare di cui all'art. 373 c.p.c., ossia la sospensione ope iudicis dell'esecuzione della sentenza di appello impugnata per cassazione. Anche la giurisprudenza eurounitaria: sentenze Atlanta e a. (C-465/93); Factortame (C-213/89); Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (cause riunite C-143/88 e C-92/89); Kofisa Italia srl (C-1/99); Krüger (C-334/95) etc. ha più volte sollecitato una tutela cautelare, estesa ad ogni stato e grado del giudizio tributario, contro il rischio di lesioni patrimoniali del cittadino che agisce in giudizio a tutela dei propri diritti.

L'istituto della sospensione cautelare, il cui perimetro di operatività, originariamente contenuto nello stretto ambito del primo grado di giudizio, è stato esteso, formalmente, alle fasi successive. In sostanza, è stata attuata una codificazione delle posizioni consolidate nell'ambito giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte cost. n. 217/2010; Corte cost. n. 109/2012; Corte cost. ord. n. 254/2012; Corte cost. ord. n. 25/2014) e della Corte di Cassazione (che in particolare aveva già precisato, claris verbis, l'applicabilità dell'istituto in parola anche dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale; cfr.  Cass. n. 2845/2012;  Cass. S.U., n. 8053/2014) che, facendo rinvio a norme ed istituti di matrice civilistica (i.e., artt. 283 e 373 c.p.c.), hanno da tempo riconosciuto, pur in assenza di espresse previsioni normative, la tutela cautelare in tutte le fasi del processo tributario.

Nel processo civile, cui fa riferimento quello tributario (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992), la sospensione cautelare (c.d. «inibitoria processuale») può essere disposta dal giudice dell'appello ex artt. 283 e 351 c.p.c., dal giudice che ha pronunciato la sentenza, in caso di ricorso per cassazione ex art. 373 c.p.c. e nelle ipotesi di revocazione ex art. 401 c.p.c.. Il ricorso ex art. 700 c.p.c. è inammissibile in materia tributaria per effetto della clausola di specialità di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992.

Relativamente alla sospensione amministrativa della riscossione tributaria, atteso che i due istituti sospensivi sono ontologicamente diversi (quello amministrativo si inquadra nel potere di autotutela dell'ente impositore mentre quello ope judicis nel diritto costituzionale di chiedere sia la sospensione in via amministrativa (ex art. 39, comma 1, d.P.R.  n. 602/1973) dell'esecuzionedell'atto riscossivo, sia quella in via giudiziale (ex artt. 47,52,62-bise 65,  c. 3-bis, d.lgs. n. 546/1992), che offre una difesa più ampia (può sospendere anche l'esecutività della sentenza) ed avanzata rispetto a quella amministrativa, relegandola ad un ruolo marginale.

Il Legislatore delegato, tramite la modifica degli art. 52 e 65 e l'introduzione del nuovo art. 62-bis, ha espressamente riconosciuto al contribuente la possibilità di richiedere la sospensione dell'esecutività della sentenza ad esso sfavorevole ovvero dell'esecuzione dell'atto impugnato, anche in pendenza di giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale, ovvero dinanzi al giudice di legittimità o della revocazione. Il testo approvato definitivamente ha ammesso, peraltro, la possibilità per la parte pubblica di chiedere la sospensione dell'esecuzione della sentenza di condanna, in tema di rimborso delle imposte già pagate dal contribuente. Potrebbe sollevare questioni di costituzionalità la possibilità, per il contribuente, di subire una condanna alle spese nella fase endoprocedimentale della trattazione dell'istanza cautelare, in considerazione dell'impossibilità, in presenza di un'ordinanza non impugnabile, che decide anche sulle spese, di esperire autonomi rimedi (Leo, 2015).

Con la novellazione operata dal d.lgs. n. 156/2015, il legislatore ha confermato l'originario impianto normativo dell'art. 47, sia pur innovando il comma 3: eliminando la contestualità del decreto di trattazione con quello di provvisoria esecuzione; il comma 4: introducendo l'immediata comunicazione alle parti in udienza del dispositivo dell'ordinanza affinché fosse operativo il combinato disposto dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e dall'art. 176, comma 2, c.p.c.: «le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi»; il comma 5: con il ricorso alla comune disciplina fiscale sulla garanzia di cui all'articolo 69, comma 2, nelle forme e con le modalità di cui al d.m. 6 febbraio 2017, n. 22, emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988 (i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art.8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. n. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio); il comma 8- bis: omologando la maturazione degli interessi —adesso previsti- a quelli da corrispondere per la sospensione amministrativa. Si parla di esecuzione – e non di esecutività – dell'atto impugnato attesa l'obbligatorietà della riscossione del tributo, e, pertanto non è necessaria alcuna verifica giudiziale di esecuzione coattiva in corso. La sospensione dell'esecuzione dell'atto prevede il requisito della gravità, configurabile con prognosi in fatto, accompagnata da una valutazione sulla irreparabilità alla luce dell'attività concretamente esercitata dall'intimato-istante. La garanzia per la sospensione della riscossione  eventualmente disposta dal giudice va prestata nelle forme e con le modalità di cui al d.m. 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs. n. 546/1992) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988.

Con la novellazione operata dalla legge n. 130/2022, il legislatore ha confermato l'originario impianto normativo dell'art. 47, sia pur innovando i commi 2, 4, 5 e 5-bis.

Il comma 2 fissa un termine ordinatorio di 30 giorni dalla presentazione della istanza di sospensione cautelare per la relativa trattazione camerale partecipata, ed uno termine di 5 giorni liberi prima, per darne comunicazione alle parti con le forme del precedente art. 31. Prescrive, altresì che “in ogni caso” la seduta partecipata di trattazione dell'istanza di sospensione non possa coincidere con quella di trattazione nel merito della controversia. Tuttavia, nonostante il palese divieto, è da ritenere praticabile (vds infra: Cass. n. 8510/2010, Cass. n. 6911/2013 e Cass. n. 24448/2013) la trattazione congiunta ove si svolga nei 30 giorni, non solo per evidenti motivi logici, ma anche perché il lasso temporale che separa la trattazione della controversia dal deposito della relativa sentenza (teoricamente “non oltre 30 giorni” per deliberare ex art. 35, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, altri 30 giorni per depositare ex art. 37, comma 1 stesso decreto, ed ulteriori 10 giorni per la comunicazione del dispositivo alle parti), non è sempre rispettato, esponendo il richiedente privo della misura cautelare ad un rischio esecuzione non presidiato. Infatti, il dispositivo della sentenza non va più “depositato immediatamente in segreteria e le parti possono prenderne visione”, come prescriveva l'abrogato art. 20, comma 3, primo alinea, del d.P.R. 636/1972!

Il comma 4 prescrive “apertis verbis” che il Collegio, sentite le parti nella seduta camerale e delibato il merito, provveda con immediata ordinanza motivata non impugnabile, comunicandone -seduta stante- il dispositivo alle parti presenti. In effetti, sostanzialmente “nihil sub sole novi”, atteso che, già prima della novellazione, il Collegio doveva pronunciarsi seduta stante per comunicare il dispositivo. Peraltro, la motivazione dell'ordinanza resta un adempimento rituale che non ha alcun sostanziale rilievo processuale, attesane l'inimpugnabilità. Secondo Cass. n. 5406/1986, l'ordinanza di sospensione .non ha natura decisoria e non è conseguentemente impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost..

Il comma 5 esclude la prestazione di garanzia per i richiedenti soggetti alla disciplina di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, che hanno ricevuto almeno 9 punti di “affidabilità fiscale” negli ultimi tre periodi d'imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso.

Il comma 5-bis, che fissava un termine ordinatorio di 180 giorni per la decisione della istanza di sospensione cautelare, è stato espressamente abrogato. In effetti è stato sostituito dal termine di 30 giorni, ex combinato disposto dei commi 2 e 4.

Per rendere effettiva "l'uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario", prevista dall'art. 10,  comma 1 lett. b), n. 9) della legge delega, e in virtù dell'art. 61 d.lgs. n. 546/1992: "nel procedimento d'appello si osservano in quanto compatibili le norme dettate per il procedimento di primo grado", l'art. 47 in predicato assume valenza di disciplina generale - in quanto praticabile - per tutti i procedimenti incidentali cautelari tributari: ex art. 52 per gli appelli, ex art. 62-bis per i ricorsi in cassazione ed ex art. 65, c. 3-bis, per quelli in revocazione. Quindi, trovano applicazione in tali procedimenti, sia quanto prescritto dall'art. 47, comma 6, in merito al termine ordinatorio di 90 giorni per la fissazione dell'udienza di trattazione del merito, in caso di accoglimento dell'istanza di sospensione, sia la possibilità di riproporre l'istanza o chiederne la revoca o la modifica in caso di mutamento delle circostanze, come previsto dall'art. 47, comma 8, Sul punto, sia la dottrina sia l'Agenzia delle Entrate (Circolare del 29 dicembre 2015, n. 38) sono concordi nel ritenere riproponibile l'istanza rigettata, considerata la natura interinale dell'ordinanza cautelare, come previsto sia nel processo civile ordinario (v. art. 669-decies c.p.c.) che nel processo amministrativo (v. art. 58 d.lgs. n. 104/2010).

Tuttavia, le novelle apportate con la legge di riforma l. n. 130/2022 per le quali:

a) il nuovo comma 2 dell’art. 47, argina al 30° giorno la trattazione (già prevista per la prima camera di consiglio utile ed entro il quale la richiesta va anche decisa) e ne dispone la comunicazione alle parti almeno 5 (non più 10) giorni liberi prima;

b) Il nuovo comma 5 dell’art. 47, esclude la prestazione di garanzia per i richiedenti soggetti alla disciplina di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, che hanno ricevuto almeno 9 punti di “affidabilità fiscale” negli ultimi tre periodi d'imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso;

non sono espressamente disposte anche per gli altri casi di sospensione previsti ex art. 52 per gli appelli, ex art. 62-bis per i ricorsi in cassazione ed ex art. 65, comma 3-bis, per quelli in revocazione. Almeno per l’appello, potrebbe soccorrere all’uopo l’art. 61. Molto probabilmente, l’esenzione per “affidabilità fiscale” sarà oggetto di estensione giurisprudenziale generale in tutti i casi per i quali è prevista la prestazione di garanzia.

Pur prevedendo la possibilità di un atto separato, notificato alle altre parti e depositato in segreteria entro i successivi 30 giorni, per tale richiesta cautelare - non contestuale al ricorso - viene esclusa ogni possibilità di presentazione ante causam perché la fase cautelare tributaria è incidentale al giudizio di merito, del quale postula la litispendenza; infatti, si differenzia dal processo amministrativo che all'art. 61 d.lgs. n. 104/2010 prevede “Misure cautelari anteriori alla causa”, “ In caso di eccezionale gravità e urgenza, tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure cautelari provvisorie con decreto presidenziale, il soggetto legittimato al ricorso può proporre istanza per l'adozione delle misure interinali e provvisorie che appaiono indispensabili durante il tempo occorrente per la proposizione del ricorso di merito e della domanda cautelare in corso di causa”. Anche l'atto separato deve essere sottoscritto dal difensore abilitato, che deve indicare la categoria di appartenenza ed il proprio indirizzo di posta elettronica certificata; non è necessaria una nuova procura, bastando un rinvio esplicito a quella già rilasciata a margine dell'atto introduttivo al processo di merito. Manca un termine di presentazione fissato espressamente per legge; pertanto, dopo il deposito del ricorso introduttivo al giudizio di merito, la presentazione dell'atto separato deve solo rispettare il diritto al contraddittorio di controparte di cui al comma 1. In caso di eccezionale urgenza (nel codice di rito civile, ove ricorrano "giusti motivi d'urgenza” ex art. 351, comma 3, c.p.c.), l'atto separato (o contestuale al ricorso) sarà delibato nel merito dal Presidente che provvederà, inaudita altera parte, con proprio decreto motivato, anche per eventualmente disporre la provvisoria sospensione dell'esecuzione, fino alla pronuncia del Collegio ex art. 47, c.3, d.lgs. n, 546/1992; infatti, tale decreto presidenziale sarà confermato, revocato o modificato dall'ordinanza collegiale ex art. 47, c.4, o assorbito direttamente dalla sentenzaex art. 35,d.lgs. n. 546/1992.

In caso di “eccezionale urgenza”, il presidente della sezione assegnataria ex articolo 26, d.lgs. 546/1992, che procede al preliminare esame del ricorso/appello ai sensi e per gli effetti di cui agli articoli 27, 29 e 30, stesso decreto, provvede anche sulla richiesta sospensione cautelare della provvisoria esecutività/esecuzione con proprio decreto, sinteticamente motivato e contestuale all'altro decreto di fissazione della udienza (ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992) per provvedere in composizione collegiale sull'istanza medesima, da comunicare a tutte le parti costituite almeno 5 giorni liberi prima ex articolo 47 comma 2, d.lgs. 546/1992, o 30 giorni liberi prima ex articolo 31 comma 1, stesso decreto, ove intendesse procedere nei 30 giorni nella medesima seduta anche alla successiva trattazione della controversia. L'eccezionale urgenza presuppone per il decreto presidenziale cautelare di cui all''articolo 47 comma 3, d.lgs.546/1992, una delibazione nel merito per la sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato. Il decreto presidenziale va emesso solo nell'ipotesi di accoglimento della richiesta di provvisoria sospensione dell'esecutività/esecuzione, sia pure parzialmente e/o subordinatamente alla prestazione della garanzia di cui all'articolo 69 comma 2, d.lgs.546/1992; gli effetti del decreto presidenziale cessano con l'emissione dell'ordinanza collegiale (di conferma, revoca o modifica della sospensione provvisoriamente disposta da tale decreto), il cui dispositivo è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza (articolo 47, comma 4, d.lgs. 546/1992).

La comunicazione alle parti costituite assenti è a cura della segreteria; la notifica di tale ordinanza rappresenta una mera valutazione di opportunità della parte che ne abbia interesse, perché nel processo tributario manca l'istituto del reclamo cautelare (come nel processo civile ed in quello amministrativo) o di altra forma di impugnazione, sia pure per le sole spese di lite. La migliore dottrina nota che tali disposizioni non solo risultano in eccesso di delega, ma soprattutto «mal si adattano all'assetto disciplinare della tutela cautelare del processo tributario, che ha natura rigorosamente incidentale e non presenta i connotati di autonomia provvedimentale, che invece caratterizzano i provvedimenti cautelari nel processo amministrativo o in quello civile, nei quali, contro il provvedimento che decide sull'istanza cautelare, è previsto l'appello o il reclamo, mentre tanto l'uno che l'altro sono espressamente vietati nel processo tributario» GLENDI, Fermenti legislativi processualtributaristici: lo schema di decreto delegato sul contenzioso, in Il corriere tributario, 2015, 32-33, 2471. La mancata ottemperanza all'ordinanza cautelare (diversamente da come è previsto nel processo civile ed in quello amministrativo) non ha rimedi quali quelli dell'incidente d'esecuzione o del giudizio di ottemperanza (che l'art. 70 del D.lgs. 546 del 1992 riserva alle sentenze di condanna a favore del contribuente), di talché unico rimedio utile resta quello di impugnare -nel relativo temine decadenziale e secondo il riparto di giurisdizione indicato nell'art. 2, d.lgs.546/1992 - gli atti successivamente posti in essere in contrasto con l'ordinanza cautelare, con ricorso al giudice tributario oppure con opposizione all'esecuzione od agli atti esecutivi, davanti al giudice ordinario. Residua, comunque, un'azione aquiliana davanti al giudice ordinario.

La legge non fissa alcun termine entro il quale il collegio debba pronunciarsi con propria ordinanza non impugnabile sul decreto presidenziale che ha provveduto in caso di “eccezionale urgenza”, perché fissa solamente: un termine (30 gg. dalla presentazione) entro il quale la richiesta cautelare vada comunque decisa (articolo 47, comma 5-bis); ed altro termine (90 gg. dalla decisione che accoglie -anche parzialmente- la richiesta) entro il quale la controversia vada trattata (articolo 47, comma 6, d.lgs. 546/1992). Nelle more sono possibili revoche o modifiche di qualsiasi effettivo provvedimento cautelare emesso (anche di provvedimenti già revocativi o modificativi), al rilevante mutamento del quadro circostanziale già ivi considerato (articolo 47, comma 8, d.lgs.546/1992). Ovviamente, se l'udienza di trattazione della controversia fosse fissata nei 30 giorni previsti dal combinato disposto dei commi 2 e 4 valido come norma generale anche per i casi di cui agli artt. 52, e 65 c. 3-bis) e non si versasse in una situazione di “eccezionale urgenza”, la paventata esigenza cautelare potrebbe essere preliminarmente decisa nella medesima udienza di trattazione della controversia, con una efficacia immediata e protratta fino al deposito della sentenza. Dalla data di pronuncia del decreto presidenziale (o, in mancanza, dell'ordinanza collegiale) -se si dispone la sospensione cautelare, accogliendo anche parzialmente l'istanza- decorre il successivo termine di 90 giorni per la trattazione della controversia. La decisione cautelare non ha alcun effetto vincolante (c.d. “giudicato cautelare”); non preclude, quindi, al giudice del merito la possibilità di decidere la causa in senso diverso ed anche opposto rispetto a quanto deciso in sede cautelare (Cass. sez. trib., 26 febbraio 2016 n. 3852). Da tale data (in assenza dei motivi di rinvio della deliberazione di cui all'articolo 35 comma 2) decorrono 30 giorni per il deposito della sentenza ex art. 37, comma 1 stesso decreto.. Gli effetti della sospensione accordata cessano col deposito/pubblicazione della sentenza. Quindi, la sentenza che decide il giudizio, facendo cessare gli effetti della sospensione accordata, deve essere depositata entro 120 giorni dal decreto presidenziale (o, in mancanza, dell'ordinanza collegiale) sulla sospensiva.

Il periculum in mora del tutto distinto dalla “eccezionale urgenza” e positivamente identificabile nel “danno grave ed irreparabile”, assume nel processo tributario un particolare rilievo, atteso che oggetto di tutela cautelare è l'integrità patrimoniale del contribuente, cosi come definita nell'art. 8 l. n. 212/2000, c.d. “Statuto dei diritti del contribuente” (si tratta in buona sostanza di un'ulteriore declinazione dell'art. 1 del Primo protocollo addizionale della Convenzione europea sui diritti dell'uomo e sulle libertà fondamentali). Il fumus boni iuris è una prognosi della “possibile fondatezza delle ragioni dedotte dal ricorrente nell'originario ricorso contro l'atto impugnato di cui ora teme gli effetti dell'esecutorietà” considerando sommariamente il grado di “attendibilità dei motivi dedotti in ricorso, tendenti a caducare in tutto o in parte l'atto impugnato, valutando sul piano ipotetico il grado di probabilità del riconoscimento del diritto del ricorrente nella futura sentenza di merito” (Ctp Milano, n. 341/1996). Nell'ordinanza di sospensione cautelare è “inibito ogni giudizio relativo al merito vero e proprio della controversia, che altrimenti costituirebbe un'illegittima anticipazione del giudizio finale” (Ctp Reggio Emilia, n. 1/1996). Al fine di valutare l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora la Commissione può esercitare i poteri istruttori di cui all'art. 7 d.lgs. n. 546/1992, L'ordinanza è, comunque, revocabile/modificabile ex art. 47, c.8, d.lgs. n. 546/1992, al mutare delle circostanze, prima della sentenza che definisce il giudizio.

Prassi

In attuazione del principio di delega enunciato nell'articolo 10, comma 1, lett. b), n. 9 della l. n. 23/2014, ossia «l'uniformazione e la generalizzazione della tutela cautelare», sono state apportate modifiche al decreto n. 546, e in primis all'articolo 47, che mirano a disciplinare in maniera più dettagliata e organica rispetto al passato l'istituto della sospensione, tanto degli atti quanto delle sentenze, estendendolo nel contempo a tutte le fasi del processo, in conformità con gli indirizzi progressivamente elaborati dalla giurisprudenza. Le novità sono informate ad alcuni principi di base, in buona parte trasfusi nell'articolo in esame, che le singole disposizioni modificative estendono ai diversi gradi di giudizio e ai mezzi di impugnazione:

a) il contribuente può in ogni caso chiedere la sospensione dell'atto impugnato in presenza di un danno grave ed irreparabile;

b) le parti possono chiedere la sospensione degli effetti della sentenza sia di primo grado sia di appello, analogamente a quanto previsto nel c.p.c.;

c) il giudice può subordinare i provvedimenti cautelari ad idonea garanzia, la cui disciplina di dettaglio è rimessa ad un emanando decreto di attuazione (il d.m. 6 febbraio 2017, n. 22), emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988, così da prestabilire il contenuto, la durata della garanzia e il termine entro il quale essa può essere escussa evitando, di conseguenza, le eventuali divergenze tra le parti in merito all'idoneità della garanzia stessa. 

N.B. Il nuovo comma 5 dell’art. 47, esclude la prestazione di garanzia per i richiedenti soggetti alla disciplina di cui all'articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, che hanno ricevuto almeno 9 punti di “affidabilità fiscale” negli ultimi tre periodi d'imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso.

Inoltre, meritano un richiamo le disposizioni dell'articolo 15, comma 2-quater, che disciplinano il regime delle spese di lite della fase cautelare, prevedendo che la commissione provveda a queste ultime con l'ordinanza che decide sull'istanza e che la pronuncia sulle spese conservi efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio (salva diversa statuizione espressa nella stessa sentenza emessa sul giudizio). La relazione illustrativa al decreto di riforma attribuisce a tale disposizione la funzione di evitare un abuso delle richieste di sospensione, analogamente a quanto previsto per il processo amministrativo dall'articolo 57 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo). Venendo alla nuova formulazione dell'articolo 47, va innanzitutto rilevato come l'impianto generale della disposizione sia rimasto pressoché immutato, almeno nei tratti fondamentali e nei presupposti, ravvisabili nella possibilità per il ricorrente di chiedere la sospensione dell'atto dal quale possa derivare danno grave ed irreparabile. Quindi, nell'immutato comma 1 viene confermato che la proposizione del ricorso non ha di per sé effetto sospensivo dell'atto impugnato, ma va a tal fine integrata da un'apposita istanza, contenuta nel medesimo atto introduttivo del giudizio o presentata con atto separato, debitamente notificato a controparte e depositato — solo a seguito della costituzione in giudizio del ricorrente ex articolo 22 — presso la segreteria della commissione tributaria competente. Funzione essenziale della sospensione dell'atto impugnato è paralizzare temporaneamente gli effetti pregiudizievoli dello stesso, in attesa della sentenza di primo grado (Circ. n. 38/E del 2015).

Per tale ragione, in linea di principio non può chiedersi la sospensione di atti a contenuto non impositivo, quali il diniego — espresso o tacito — di rimborsi, agevolazioni o definizioni agevolate di rapporti tributari, in quanto in tal caso l'ordinanza di sospensione imporrebbe all'Amministrazione finanziaria un obbligo di facere (cfr. Circ. n. 98/E del 1996).

I presupposti della sospensione, dei quali il giudice deve riscontrare la sussistenza all'esito di pur sommaria delibazione, come noto, sono:

a) il fumus boni iuris, ossia la fondatezza prima facie dei motivi di ricorso;

b) il periculum in mora, ossia il pericolo di danno grave ed irreparabile (anche in presenza di futura sentenza definitiva favorevole), che l'esecuzione dell'atto cagionerebbe.

Nella valutazione dei presupposti della sospensione, l'interesse del ricorrente va bilanciato con quello dell'ente impositore alla tutela del credito erariale: anche con riferimento all'esito di tale ponderazione va letta la previsione, invariata nell'attuale formulazione del comma 5, secondo cui «la sospensione può anche essere parziale». Il comma 2, anch'esso immutato, dispone che il presidente — della sezione alla quale la causa è stata assegnata o della commissione tributaria, qualora l'assegnazione non abbia ancora avuto luogo — fissa con proprio decreto la trattazione dell'istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e, comunque  nunc entro 30 giorni), disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni (nunc. 5 giorni) liberi prima. Il comma 3 ha subito talune modifiche nella parte relativa alla facoltà del presidente di disporre, in caso di eccezionale urgenza e previa delibazione del merito, la provvisoria sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, inaudita altera parte. Invero, mentre nel precedente testo della disposizione tale facoltà andava esercitata con lo stesso decreto di fissazione dell'udienza per la trattazione dell'istanza di sospensione, la novella consente di disporre la sospensione «con decreto motivato» e, quindi, anche con un provvedimento diverso da quello di fissazione dell'udienza ed eventualmente anteriore a questo. Per tale conclusione fa propendere la ratio della norma, identificabile nell'esigenza di non vanificare gli effetti della tutela cautelare a causa di una concessione tardiva della stessa, letta alla luce del criterio di delega relativo al rafforzamento dell'istituto. Nel comma 4 è introdotto un secondo periodo ove è previsto che il dispositivo dell'ordinanza motivata non impugnabile con cui il collegio (sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito) provvede sull'istanza di sospensione – anche adottando la decisione definitiva sull'eventuale sospensione provvisoria di cui sopra – «deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza». Le modifiche apportate alla parte finale del successivo comma 5 prevedono che la garanzia cui può essere subordinata la sospensione, anche parziale, dell'atto sia ora prestata ai sensi dell'articolo 69, comma 2, del decreto n. 546, che rimette ad un apposito decreto ministeriale la disciplina della garanzia. A tal proposito, è il caso di rilevare in questa sede come la riforma del contenzioso tributario estenda a tutte le ipotesi in cui sia richiesta una garanzia – sulla scorta di condivisibili esigenze di uniformità, semplificazione e coerenza sistematica – lo schema menzionato nel nuovo articolo 69, comma 2, del decreto n. 546 (cfr. par. 1.15.2). Nessuna modifica è stata apportata, invece, ai commi da 5-bis a 7 dell'articolo 47; conseguentemente, i termini e la durata previsti per la decisione nel merito della causa e gli effetti della sospensione rimangono invariati, vale a dire che:

a) l'istanza dev'essere decisa entro centottanta giorni dalla data di presentazione;

b) qualora si opti per la sospensione dell'atto impugnato, la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla decisione, così da consentire una più celere definizione della controversia;

c) gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.

Del pari, il successivo comma 8 conferma in toto la facoltà delle parti, cui è preclusa l'impugnazione dell'ordinanza, di sollecitare la revisione di quest'ultima in caso di mutamento delle circostanze rilevanti ai fini della sospensione. In tale ipotesi, la commissione, su istanza motivata di parte, può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza, osservando in quanto compatibile la disciplina dettata dai commi 1, 2 e 4 (e, quindi, in esito ad un procedi-mento sostanzialmente analogo alla fase cautelare già svoltasi). Infine, l'articolo 47 viene completato con l'aggiunta del comma 8-bis, disposizione di natura sostanziale più che processuale, nel quale si stabilisce che durante il periodo di sospensione si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa. In tal modo viene espressamente recepito nel testo normativo l'orientamento, tanto di prassi quanto di giurisprudenza, incline ad uniformare il calcolo degli interessi nella sospensione accordata dal giudice e in quella accordata dall'Amministrazione finanziaria. Gli interessi applicabili sono pertanto quelli previsti dall'articolo 39, comma 1, del d.P.R. n. 602/1973, che nell'attuale formulazione prevede un tasso annuo del 4,5 per cento (Circ. Ag. Ent. 29 dicembre 2015 n. 38).

"Le istanze di sospensione cautelare del provvedimento impugnato vanno assegnate alla sezione presso la quale pende il ricorso cui l’istanza si riferisce, per essere inserite nello stesso fascicolo e trattate nel primo collegio utile ai sensi dell’art. 47 d.lgs. n. 546/1992. Ove il ricorso non risulti ancora assegnato, il Presidente provvederà ad assegnarlo senza ritardo” (Risoluzione C.P.G.T. n° 15/1997).

Il contributo unificato non è dovuto per i seguenti motivi: a) Istanza di sospensione di cui all'art. 47 d.lgs. n. 546//1992, anche nel caso in cui la stessa sia proposta con atto separato, sia antecedentemente che successivo alla proposizione del ricorso principale. Detta istanza, infatti, non si configura alla stregua di un vero e proprio giudizio cautelare, sebbene introduttiva di una fase incidentale del processo di primo grado i cui atti non sono assimilabili ad autonomi atti processuali o a quelli antecedenti, necessari o funzionali allo svolgimento del processo; b) Istanza di sospensione della sentenza di primo grado limitatamente alle sanzioni e quella proposta in pendenza del giudizio di primo grado, pur essendo manifestazione di potestà discrezionale del giudice adito, è espressione di un potere «proprio» del giudice dell'impugnazione, nei confronti della sentenza di primo grado, direttamente connesso all'effetto devolutivo dell'appello o del giudice che ha emanato la sentenza nei cui confronti è proposto il ricorso per revocazione o per Cassazione (circ. Min. Ec. Fin., 21 settembre 2011, n. 1/DF).

Segue. Il pericolo di danno grave ed irreparabile. Casistica

Fin da prima della riforma processuale civile del 2005, relativamente ai presupposti necessari per l'inibitoria civile, cui fa pedissequo riferimento quella tributaria, dottrina e giurisprudenza hanno fatto riferimento ai tradizionali concetti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora”. I requisiti necessari per ottenere la sospensione -in toto o in parte- dell'esecuzione di atti oggetto del giudizio, si esauriscono nel c.d. “danno grave e irreparabile” (inquadrabile nella lata categoria del c.d. "periculum in mora"), relegando il c.d. “fumus boni iuris” della richiesta cautelare, ex art. 47, cc. 3 e 4, d.lgs. 546/1992, alla dimensione minima della litote di “non manifesta infondatezza”. Ovviamente, non è ipotizzabile alcuna incapienza del patrimonio del creditore procedente (il fisco) atta a determinare un concreto pericolo per il contribuente esecutato, eventualmente poi vittorioso, di non poter recuperare le somme versate, bensì altre congiunture, quali un costo della provvista necessaria al pagamento non interamente poi risarcibile; inopinato smobilizzo di beni patrimoniali senza la possibilità di fissare adeguate condizioni di vendita e di individuare idonea controparte; misura dell'importo da pagare -in relazione al contesto finanziario aziendale di riferimento–tale da influire considerevolmente nei piani previsionali dell'azienda; esposizione finanziaria conseguente gravemente pregiudizievole per la sopravvivenza della attività economica esercitata; insormontabili difficoltà finanziarie al pagamento dei dipendenti etc.. Concorrono allo stato di “periculum” anche i pregiudizi derivanti dalla vita familiare (es. sfratto in corso con necessità di reperimento di una nuova abitazione per la famiglia, pagamento di debiti condominiali in esecuzione forzata, disagi familiari per gravi eventi: malattie, lutti, crolli, incendi, allagamenti et similia), nonché l'impossibilità temporanea di far fronte ad obbligazioni inderogabili (es. alimenti ai figli o all'ex coniuge, pagamenti imprevisti per soccombenza processuale, costi per imprevedibili gravi danni all'azienda etc.). Al fine di valutare l'esistenza del fumus boni juris e del periculum in mora la Commissione può esercitare i poteri istruttori di cui all'art. 7, d.lgs. 546/1992.

Giurisprudenza costante, risalente fin all'introduzione dell'istituto cautelare, ha continuato ad affermare che la gravità e l'irreparabilità del danno vadano valutate in funzione delle reali condizioni economiche del contribuente, senza escludere la possibilità di sottoporre il pagamento dovuto ad una rateazione amministrativa compatibile con tali condizioni, evitando rischi, concreti ed attuali, per diritti primari della persona o per la sopravvivenza della stessa attività economica sottoposta ad imposizione. Uno stato di temporanea difficoltà economica e finanziaria può essere dimostrato anche calcolando l'indice di liquidità secondo i medesimi parametri finanziari utilizzati dall'Agente della riscossione. (vds. https://www.agenziaentrateriscossione.gov.it/it/imprese/Rateizzazione/ ) Indice di liquidità: è l'indice comunemente utilizzato per stabilire la capacità di un'impresa di far fronte agli impegni finanziari di prossima scadenza con le proprie disponibilità economiche. Nell'ambito delle rateizzazioni ordinarie (piani concedibili fino a un massimo di 72 rate), se l'importo complessivo da rateizzare è superiore a 60 mila euro, le società attestano lo stato di difficoltà economica e, di conseguenza, accedono al beneficio della rateizzazione quando il valore dell'indice di liquidità, ricavato dalla situazione economico patrimoniale dell'azienda, è inferiore a 1. Il calcolo dell'indice di liquidità e la sua valenza costituiscono quindi la condizione per accedere alla dilazione. Indice alfa: è un parametro che viene utilizzato per determinare il numero delle rate concedibili alle imprese in caso di dilazioni ordinarie (piani concedibili fino a un massimo di 72 rate), quando l'importo complessivo da rateizzare è superiore a 60 mila euro.

L'esecuzione dell'avviso di rettifica, con conseguente iscrizione a ruolo parziale del tributo preteso, prescinde dalla sua eventuale impugnazione e dalla sua presunta infondatezza; può essere sospesa su istanza del ricorrente a norma dell'art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992 allorquando dall'esecuzione dell'avviso possa derivare un danno grave ed irreparabile a giudizio della Commissione Tributaria Provinciale. (C.t.r. Sicilia, ord. 16 gennaio 2003, n. 208).

Il mero disagio economico o le difficoltà finanziarie nel pagamento della somma di denaro richiesta dall'amministrazione finanziaria non integrano il danno grave ed irreparabile richiesto dall'art 47 d.lgs. 546/1992 per sospendere la riscossione (C.t.p. Milano, sez, XXXI, ord. n.3, 15 ottobre 1996). Gravità ed irreparabilità del danno sono state, invece, riconosciute: Nel pregiudizio per la prosecuzione dell'attività economica (C.t.p. Savona, sez. I, ord. n. 1, 26 maggio 1996 ). In ulteriori indebitamenti necessari al pagamento che, sommati a quelli già esistenti, compromettendo la attività sociale. (C.t.r. Torino, ord. n. 25013 giugno 2014) Nello scarto tra gli interessi passivi gravanti su un contribuente costretto a ricorrere al credito per assolvere l'obbligazione bancaria e quelli previsti in caso di rimborso da parte dell'amministrazione finanziaria in caso di soccombenza (C.t.p. Milano, sez. XXXIV, ord.n.2, 7 ottobre 1996). Nel rischio di una dichiarazione di fallimento per mancanza di liquidità ed insolvenza, nonché per la notevole esposizione bancaria per cui l'esecutorietà della cartella di pagamento deve essere contenuta (nella specie, alla metà dell'importo iscritto a ruolo). (C.t.p. Massa Carrara, ord. n.66, 26 febbraio 2009). Nell'eccessiva esposizione bancaria del ricorrente che rende impossibile il pagamento (C.t.p. Latina, sez, lll, ord. n.1, 8 maggio 1996). Nel difetto di liquidità che costringe all'alienazione urgente -in tutto o in parte- del patrimonio immobiliare, con rilevanti svalutazioni rispetto al valore di mercato (C.t.p. Reggio Emilia, sez. V, ord. n. 7, 7 aprile 1998). Nella mancanza di liquidità che provochi un'esecuzione esattoriale causa prevedibile di una revoca degli affidamenti bancari e, con essa, il conseguente prevedibile dissesto della contribuente (C.t.p. Firenze, sez, XVII, ord. n.1, 10 gennaio 1997). In atti esecutivi già iniziati presso la sede dell'impresa, con istanza di fallimento in corso (C.t.p. Reggio Emilia, sez. V, ord. n. 11, 12 novembre 1996). Nel fallimento di un proprio debitore e nella rilevante esposizione debitoria verso le banche (C.t.r. Lombardia, ord. n. 9, 20 giugno 2011). Nell'entità delle somme pretese dall'Amministrazione finanziaria, il cui pagamento potrebbe essere effettuato soltanto ricorrendo a mezzi del tutto straordinari, quali l'alienazione del proprio patrimonio immobiliare, patrimonio, peraltro, difficilmente liquidabile in tempi brevi se non offrendolo ad un prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato, anche in considerazione del fatto che, allo stato, il mercato degli immobili è in gravissima crisi, certamente insuperabile in tempi brevi anche a causa dell'imposizione fiscale che frequentemente ne assorbe l'intero reddito. (C.t.p. Bari, Ord. n.1, 4 maggio 1996), Nella spoliazione della casa di abitazione oggetto della vendita all'asta, la cui perdita si palesa non suscettibile di risarcimento in forma specifica, data l'impossibilità di ripetere il bene nei confronti dell'eventuale acquirente e di considerare il ristoro patrimoniale equivalente al valore dell'immobile. Pertanto, il carattere definitivo della spoliazione non sarebbe in grado di riportare il debitore nella condizione anteriore all'esecuzione, qualora la pretesa fiscale connessa all'accertamento fosse dichiarata illegittima anche in parte, e la casa di abitazione è soggetta da specifica tutela e considerazione da parte del legislatore che non è possibile obliterare totalmente nella fase esecutiva. La garanzia per il credito dell'Ufficio e del Concessionario della riscossione è in ogni caso assicurata dall'ipoteca iscritta sui beni immobili della appellante, sì che in questa fase la vendita dei beni non si sottrae al rilievo dell'eccessività dei mezzi rispetto al fine da conseguire in pendenza del giudizio di merito e che nel bilanciamento degli interessi, caratteristico della fase cautelare è, al momento, prevalente quello del debitore alla conservazione del bene a fronte dell'interesse dell'Amministrazione all'incameramento del credito, riparabile tramite i maggiori interessi che saranno eventualmente corrisposti. (C.t.r. Veneto, ord. n.68, 20 dicembre 2004).

Vanno adeguatamente valutate le “inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato l'interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall'altro, gli interessi dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze del bilancio [ex art. 81 Cost.].” (Cass. 2845/2012).

Riscossione di dazi e diritti doganali - Avviso di rettifica - Pericolo di pregiudizio irreparabile del contribuente - Forme di tutela "ante causam" ed in corso di causa prima della decisione - “In tema di riscossione di dazi e diritti doganali, la tutela del contribuente rispetto alla possibile irreparabilità del pregiudizio subito dall'aggressione eventualmente illegittima del proprio patrimonio è soddisfatta "ante causam" attraverso le istanze di sgravio dei dazi ex artt. 236 e 239 del codice doganale comunitario, funzionali all'esercizio di poteri di autotutela delle autorità doganali, ovvero attraverso l'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'avviso di rettifica ex art. 224, par. 2, dello stesso codice nonché, in corso di causa, attraverso l'istanza di sospensione dell'esecuzione dell'atto impositivo ai sensi dell'art. 47 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546”.  Cass. Sez. V n. 20669/2014 (Rv. 632920 - 01)

Segue. Procedimento cautelare

Nel processo tributario l'udienza per la trattazione della richiesta di misura cautelare non può essere fissata prima che siano scaduti i termini per la costituzione della parte resistente (C.t.p. Campobasso 28 maggio 2013, n. 108).

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 47, comma 6, sollevata in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che la trattazione di merito della controversia possa essere fissata oltre novanta giorni dalla pronuncia cautelare – ove altro giudice debba procedere alla definizione di una controversia dalla quale dipenda la decisione del ricorso – è infondata perché il potere delle Commissioni tributarie di decidere, incidenter tantum, ogni questione pregiudiziale alle controversie ad esse devolute, fa venir meno la stessa premessa da cui muove la censura di incostituzionalità, ben potendo la trattazione del ricorso essere fissata, nell'ipotesi di pregiudizialità, entro i novanta giorni dall'emissione del provvedimento cautelare, sicché nessun ostacolo è dato ravvisare alla sua puntuale osservanza da parte del giudice tributario (Corte cost. n. 31/1998).

Sono sicuramente sospendibili gli atti di impo-sanzionatori: l'accertamento, la rettifica e/o la liquidazione con le relative sanzioni, oltre quelli impo-esattivi, e riscossivi: l'estratto di ruolo (Cass. 724/2010), la cartella, l'avviso di cui all'art. 50, c. 2, d.P.R. 602/1973, cioè l'«avviso che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni», in vista di una esecuzione immobiliare (Cass. 19.668/2014). L'impugnabilità dei provvedimenti di iscrizione di ipoteca o di fermo amministrativo è ormai pacifica in giurisprudenza (vds. Cass. S.U. 12 ottobre 2011, n. 20.931). Contro la comunicazione di iscrizione ipotecaria può essere presentato ricorso con richiesta di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato il cui accoglimento, pur mantenendo l'iscrizione, preclude all'Agente della riscossione di procedere all'espropriazione del bene ipotecato sino a quando non cessano gli effetti dell'ordinanza di sospensione con la pubblicazione della relativa sentenza. (C.t.r. Roma 24 settembre 2013 n. 588/1/2013).

La domanda di sospensione cautelare ex art. 47 di un'iscrizione ipotecaria, che ha natura costitutiva e non esecutiva, atteso che il relativo diritto viene ad esistenza solo con l'iscrizione, è inammissibile (C.t.p. Caltanissetta 23 maggio 2013 n. 231) perché oggetto della sospensione del provvedimento impugnato ne è l'esecuzione. Solo per gli atti che costituiscono titolo esecutivo (e che dunque possono essere titolo di un'azione esecutiva) può ipotizzarsi un'esecuzione da sospendere (Cass. n. 1037/1999; sostanzialmente conforme Cass. n. 7369/2009).

Commissione tributaria adita a seguito di "translatio iudicii" - Regolamento di giurisdizione di ufficio - “La decisione della commissione tributaria, adita a seguito di "translatio iudicii", sull'istanza di sospensione del provvedimento impugnato ex art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992, adottata prima dell'udienza (o della camera di consiglio) di "trattazione della controversia", non è ostativa al promovimento, da parte della stessa, del regolamento di giurisdizione di ufficio, poiché l'art. 59, comma 3, della legge n. 69 del 2009 individua quale termine invalicabile per sollevarlo quello della "prima udienza fissata per la trattazione del merito", mentre l'opposta conclusione vanificherebbe la garanzia costituzionale della tutela cautelare, nella quale è insita l'urgenza di provvedere”. Cass. S.U. Ordinanza n. 23113/2015 (Rv. 637138 - 01)

Segue. Trattazione della sospensione e decisione nel merito. Impugnabilità

 

 La sezione della Commissione tributaria che decide il merito non deve necessariamente essere la medesima sezione che decide l'istanza cautelare – “In tema di contenzioso tributario, l'art. 47 bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, anche letto in combinato disposto con le altre norme del processo tributario, non prevede alcun criterio di necessaria identità tra la sezione della commissione tributaria che provvede sull'istanza cautelare e quella che pronuncia sul merito della controversia”.  Cass. Sez. VSentenza n. 24058/2014 (Rv. 633381 - 01).

Il giudice che, senza ritardo, decida il merito della causa senza pronunciarsi sull'istanza di sospensione dell'atto impugnato, non viola il diritto di difesa del contribuente (Cass. n. 8510/2010); atteso che gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado ed ogni decisione sull'istanza cautelare, pur se favorevole, sarebbe stata comunque travolta dalla sentenza di merito (Cass. n. 24448/2013).

Non sussiste violazione dell'art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992, ove la udienza fissata in camera di consiglio per la trattazione della istanza di sospensione sia proseguita per la discussione di merito, sempreché sia fatta salva la effettività del contraddittorio e non ricorrano gli impedimenti normativamente previsti (sospensione, interruzione del giudizio); estendere il tempo della udienza allo svolgimento di più fasi del procedimento, in cui alla fase cautelare è seguita immediatamente la fase della trattazione del merito, risultando pienamente compatibile con le esigenze di speditezza e celerità di cui al principio costituzionale di «ragionevole durata del processo» ex art. 111 Cost., comma 2 (Cass. n. 6911/2013).

L'art. 47, c.5, (analogamente agli artt. 52, c.6, 62-bis, c.5 e 65, c.3-bis) d.lgs.546/92, lascia alla discrezionalità del giudice il subordinare –in toto o in parte- la sospensione cautelare della riscossione frazionata conseguente -ex art. 68- per la sentenza impugnata, alla prestazione della garanzia di cui all'art.69, c.2, d.lgs.546/1992, tenuto conto delle condizioni di solvibilità del contribuente, come documentate -ex Circ. AE 38/2016- dall'ufficio opponente. La concessione della sospensione può essere subordinata alla prestazione - entro un termine congruo fissato dal giudice - di garanzia per tutte le somme dovute ex art. 68 c.1, lett. a) / b) d.lgs 546/92 ed art. 19, c.1, d.lgs 472/97, nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, come previsto dal novellato art. 69 c.2, d.lgs 546/92, emesso ai sensi dell'art. 17, c. 3, l.400/1988; in caso di omessa o parziale prestazione di garanzia – sempre entro gli stessi inderogabili termini già precedentemente fissati – l'accordata sospensione cessa di avere efficacia il giorno successivo alla scadenza di tali termini, limitatamente all'ammontare e/o ai capi in contestazione non garantiti, come eventualmente già indicati dal contribuente. I costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art.8, c.4, l.212/2000 (e dell'art. 69, c.3, d.lgs. 546/92) all'esito definitivo del giudizio. Il dispositivo dell'ordinanza è immediatamente comunicato alle parti presenti in udienza con le modalità indicate dalla seconda parte del novellato art. 47, c.4, d.lgs. 546/92; ai sensi del combinato disposto dall'art. 1, c.2, d.lgs.546/92 e dall'art.176, c.2, c.p.c.: ”le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi”. Ne potrà essere richiesta copia integrale alla segreteria di sezione dal giorno successivo a quello di deliberazione. Il Collegio che ha deliberato la sospensione rimette la causa al Presidente della sezione per la fissazione dell'udienza di trattazione della controversia nei termini fissati dall'art. 47, comma 6, d.lgs. 546/92, che sarà comunicata alle parti costituite nelle forme di cui all'art 31, d.lgs.546/92. Ai sensi dell'art. 47, comma 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, l'ordinanza collegiale sulla sospensione dell'atto impugnato non è impugnabile, pertanto il relativo ricorso in appello è inammissibile (C.t.r. Lombardia, sent. n. 49, 4 aprile 2013).

Ordinanza cautelare che dichiara l’estinzione parziale della controversia per condono. Soggezione ai mezzi di impugnazione propri delle sentenze. “In tema di condono fiscale, l'ordinanza - resa nell'ambito dell'incidente cautelare disciplinato dall'art. 47 del d.lgs. n. 546 del 1992 - che dichiara ammissibile il condono, con conseguente estinzione parziale della controversia, ha contenuto sostanziale di sentenza (pur se la legge prevede che la pronuncia sia adottata con ordinanza revocabile), comportando la definizione del giudizio, ed è soggetta ai mezzi di impugnazione propri delle sentenze; pertanto, nel caso in cui il giudice tributario di primo grado dichiari l'estinzione con ordinanza, avendo tale provvedimento contenuto decisorio, lo stesso deve essere autonomamente impugnato nei termini di legge”. Cass. Sez. 5Sentenza n. 2913/2013 (Rv. 625259 - 01)

 

Segue. Effetti della sospensione.

Qualora fosse stata dichiarata con ordinanza della Ctp, la sospensione della riscossione, il ruolo provvisorio emesso in pendenza di giudizio e la relativa cartella di pagamento – che ne è l'espressione – sono illegittimi. Non rileva l'eccezione di Equitalia che la cartella esattoriale sia un atto dovuto ex lege al fine di non incorrere nella decadenza di cui all'art. 25 d.P.R. n. 2/ 1973. (C.t.r. Lombardia 20 maggio 2011 n. 55).

La cartella di pagamento è invalida se il ricorrente avesse già ottenuto la sospensione giudiziale dell'esecuzione degli avvisi di accertamento (atti presupposti della cartella). Non rileva che l'iscrizione a ruolo fosse anteriore al provvedimento giudiziale di sospensione dell'esecuzione degli avvisi impugnati (C.t.p. Brescia 26 gennaio 2012 n. 6).

Non è stato modificato il comma 7 dell'art. 47 che prevede che «Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado».

Il nuovo comma 8-bis, prevedendo che "durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa"; costituisce rinvio dinamico alla disciplina sostanziale, nunc rappresentata dall'art. 39, c. 2, d.P.R. 602/1973, , secondo cui: “Sulle somme il cui pagamento è stato sospeso ai sensi del comma 1 e che risultano dovute dal debitore a seguito della sentenza della commissione tributaria provinciale si applicano gli interessi al tasso del 4,5 per cento annuo”.

Le spese della fase incidentale: compensazione, impugnabilità

La Cassazione -con sentenza del 18 aprile 2005 n. 8028 (cfr. ancheCass.10917/2016 e Cass. 591/2017)- ha affermato che della eccezionale ragione di cui all'art. 15, c.2, d.lgs.546/92, se ne debba dare conto, seppur succintamente, alla parte vittoriosa affinchè risulti chiaro come l'organo giudicante abbia valutato l'esistenza delle ragioni che hanno determinato la disapplicazione della regola della soccombenza.

L'art. 15, comma 2-quater, d.lgs. n. 546/1992, non fornisce specifici criteri di compensazione delle spese della fase cautelare, per cui possono valere quelli generali previsti dal precedente comma 2; la compensazione sarà quindi possibile in caso di accoglimento dell'istanza subordinato alla prestazione di idonea garanzia, potendosi ciò essere ritenuta soccombenza parziale o reciproca (per la valenza di controcautela – vds. Corte cost. n. 40/1962 – della garanzia richiesta), mentre in caso di accoglimento o rigetto dell'istanza, la compensazione può essere disposta solo per «gravi ed eccezionali ragioni» che devono essere sempre espressamente motivate, sia pure sinteticamente, argomentando su questioni attinenti: «fumus boni iuris» e «periculum in mora»  («danno grave e irreparabile»). Come apertis verbis in relazione illustrativa, “trattasi di una disposizione che [...] mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare”.

Se la sospensione dell'esecuzione dell'atto è stata accordata per ragioni fattuali relative alla sola condizione soggettiva del contribuente, del tutto estranee all'ente impositore, trova spazio una grave ed eccezionale ragione per la compensazione delle spese. Infatti, l'ente impositore resistente non può essere condannato al pagamento delle spese della fase cautelare per il mero accoglimento dell'istanza, dovendosi valutare anche le ragioni sottese all'emissione dell'atto impugnato, ancora sub iudice.

L'ultimo alinea del nuovo comma 2-quater prevede sempre in punto di spese, una possibile diversa statuizione espressa nella sentenza di merito a modifica della precedente statuizione incidentale, con una valutazione complessiva all'esito del giudizio. Tale valutazione non esclude necessariamente che la parte vittoriosa possa essere condannata al pagamento delle spese della fase cautelare, ove la propria istanza di sospensione fosse stata giustamente rigettata. La parte condannata alle spese di lite dalla statuizione interinale dell'ordinanza cautelare, nel successivo giudizio di merito -le cui statuizioni definiscono anche quelle dell'ordinanza in punto di spese- può presentare al giudice -ex art. 32, d. lgs. 546/1992- memorie illustrative dei motivi già dedotti nella medesima richiesta, al fine di una diversa statuizione con una prognosi postuma sulla richiesta respinta.

La sentenza che definisce il grado di giudizio è impugnabile in punto di spese della fase incidentale, anche in mancanza di alcuna specifica statuizione, superando le paventate questioni di incostituzionalità su un'ordinanza cautelare non impugnabile, che abbia provvisoriamente deciso sulle spese della fase incidentale, difettando il requisito della definitività.

La garanzia per la sospensione della riscossione o per il rimborso di ciascuna delle somme dovute ex art. 68, d.lgs. 546/1992 ed art. 19, comma 1, d.lgs. 472/1997, va prestata nelle forme e con le modalità di cui al Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22 (come già previsto dal novellato art. 69 comma 2, d.lgs 546/92) emesso ai sensi dell'art. 17, comma 3, l. n. 400/1988; i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, saranno infine posti a carico della parte soccombente ai sensi dell'art. 8, comma 4, l. n. 212/2000 (e dell'art. 69, comma 3, d.lgs. 546/1992) all'esito definitivo del giudizio. Ove il giudice di merito non abbia provveduto in sentenza sulle spese di lite, già liquidate nell'ordinanza cautelare, questa conserverà sul punto la propria efficacia (la norma non parla di esecutività, al contrario di quanto previsto per l'omologa ordinanza amministrativa dall'art. 57 del D. Lgs n. 104/2010). Il giudice del merito può disporre diversamente sulle spese della precedente fase cautelare, perché la sentenza che definisce il giudizio ne assorbe l'ordinanza sotto ogni profilo: cautelare e di liquidazione delle spese di lite. Pertanto, la condanna alle spese formulata nell'ordinanza cautelare, così come l'omessa pronuncia, potrà essere impugnata sul punto con la sentenza, superando le paventate questioni di incostituzionalità su un'ordinanza cautelare non impugnabile, che abbia deciso sulle spese della fase incidentale. Qualora la sentenza non abbia disposto in punto di spese cautelari, “l'ordinanza … sarà assorbita dalla sentenza solo nella parte che ha deciso sull'istanza di sospensione, mentre conserverà la propria efficacia nel capo che dispone sulle spese del giudizio cautelare. La parte che intenda dolersi della condanna alla rifusione delle spese del giudizio cautelare – contenuta nella relativa ordinanza – potrà dunque, in tal caso, impugnare la sentenza in quanto ha omesso di disporre diversamente in merito alle spese della fase cautelare". (Circ. Ag. Ent. 29 dicembre 2015 n. 38, pag.21). Tuttavia, ove manchi una statuizione di merito in sentenza, la locuzione: “conserva efficacia”, non consente la riscossione frazionata ex art. 68 (che, peraltro, nulla dispone per le spese) né l'esecuzione ex art. 69, c.1, (che dispone solo per le sentenze e non per le ordinanze); resta praticabile, quindi, solo l'esecuzione civile, visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria», come nel caso di distrazione delle spese. Controparte soccombente non è legittimata ad impugnare il provvedimento di distrazione e solamente il difensore distrattario è legittimato a proporre impugnazione ove sorga controversia sulla concessione della distrazione (Cass. ordinanza 11/12/2014, n. 26089). Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. IV. Apposizione della formula esecutiva per l'esecuzione dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa a tale fase di giudizio ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/92: “E' stato, inoltre, sottoposto al vaglio dell'Avvocatura la questione circa la necessarietà o meno dell'apposizione della formula esecutiva, ai fini della sua esecuzione, sulla copia dell'ordinanza cautelare che dispone la condanna alle spese relativa ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 546/92. In merito, l'Avvocatura rileva in primis che la nuova disciplina del processo tributario non prevede espressamente le modalità di esecuzione coattiva di un'ordinanza cautelare di condanna alle spese di lite favorevole al contribuente. Tuttavia, avendo il legislatore eliminato in radice la possibilità per il contribuente di avvalersi delle forme dell'esecuzione forzata civile, l'Avvocatura ritiene che non siano applicabili le disposizioni del c.p.c. alle ordinanze cautelari in materia tributaria. Inoltre, in base all'art. 15, comma 2-quater del d.lgs. 546/1992, la pronuncia sulle spese, contenuta nell'ordinanza cautelare, è assimilabile ad una pronuncia di merito avendo acquisito una peculiare “stabilità” anche dopo la sentenza che definisce il giudizio nel merito, salva diversa statuizione espressa del giudice. D'altro canto, conformemente all'esigenza di garantire effettività della tutela giurisdizionale, l'Avvocatura ritiene che all'ordinanza cautelare, anche nella statuizione sulle spese della fase, debba essere attribuita provvisoria esecutività, e di regola non necessita dell'apposizione di formula esecutiva neanche nel processo civile. Alla luce di queste considerazioni, sembrano sussistere, nella fattispecie in esame, i presupposti per l'applicazione in via analogica (principio dell'analogia legis) del rimedio dell'ottemperanza ex art. 70 d.lgs. n. 546/1992 anche ai fini dell'esecuzione coattiva della condanna alle spese contenuta nell'ordinanza cautelare, senza, dunque, la necessità della previa apposizione della formula esecutiva. Soluzione questa, fra l'altro, applicata anche nell'ambito del processo amministrativo, nel quale è espressamente previsto il rimedio dell'”attuazione” delle misure cautelari, modellato sull'istituto dell'ottemperanza. Diverso orientamento, invece, visto che l'art. 474, comma 1, c.p.c. ritiene idonei ad essere muniti della formula esecutiva per l'esecuzione forzata «le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria» e che le procedure disciplinate dagli artt. 69 e 70, d.lgs.546/1992, non ammettono all'ottemperanza tributaria atti diversi dalle sentenze, nonostante il contenuto spiccatamente decisorio in punto di spese (vds. art. 15, c.2-quater) e l'efficacia ultrattiva alla relativa successiva sentenza di merito, ove questa non disponga espressamente diversamente, ammette che le ordinanze emesse ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 47, comma 5, 52, comma 6, 62-bis, comma 5 e 65, c.3-bis, d.lgs. n. 546/1992, possano essere rilasciate munite della formula esecutiva a norma dell'art. 475 c.p.c. nella considerazione che, a differenza delle ordinanze cautelari, le citate ordinanze ex art. 70, comma 8, d.lgs. n. 546/1992 liquidano la sola misura di un compenso già posto a carico della parte inadempiente con la sentenza di nomina del Commissario ad acta. Parere dell'Avvocatura Generale dello Stato n. 130257 del 10 marzo 2018, reso al M.E.F., D.F., D.G.T. paragr. VI. Apposizione della formula esecutiva su una sentenza che liquidi le spese di giustizia ex art. 15 del d.lgs. n. 546/1992 a favore dell'ente impositore/agente della riscossione con distrazione delle somme dovute in favore del difensore antistatario di un agente della riscossione: “ nel caso di distrazione delle spese di lite, il relativo credito diventa credito personale del difensore distrattario che, infatti, in caso di riforma della sentenza, è tenuto personalmente alla restituzione delle spese legali alla parte originariamente soccombente che le abbia a lui corrisposte (cfr., tra le tante, Cass. 1526/16, 8215/13). Ne consegue, che poiché il soggetto debitore è il privato contribuente rimasto soccombente nel giudizio da questi promosso contro l'agente della riscossione, nel caso di distrazione delle spese di lite in favore del difensore dell'agente, quest'ultimo difensore non può avvalersi né dell'iscrizione a ruolo ex art. 15, comma 2-sexies d.lgs. n. 546/1992 (essendo questa prevista solo per la riscossione di somme di pertinenza dell'agente della riscossione e/o dell'ente impositore), né del giudizio di ottemperanza ex art. 70 d.lgs. cit., esperibile solo nei confronti dell'ente pubblico impositore. Il difensore distrattario dell'agente della riscossione, al fine di ottenere il recupero coattivo delle sue spettanze a carico del contribuente soccombente, dunque, potrà esclusivamente avvalersi dell'espropriazione forzata secondo le forme del codice di procedura civile: in tale eventualità, le Segreterie delle Commissioni tributarie, a richiesta dell'interessato, dovranno rilasciare copia della sentenza munita di formula esecutiva, previa verifica del suo passaggio in giudicato, in applicazione della speciale regola, dettata a favore del contribuente, di cui all'art. 15, comma 2-sexies cit.”. Nel caso in cui l'antistatario sia il difensore di parte privata, secondo il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7441 del 12 ottobre 2010: “il giudizio di ottemperanza deve ritenersi ammissibile non solo per l'esecuzione della parte della pronuncia contenente la condanna al pagamento delle spese di giudizio, ma anche quando esse siano liquidate in favore del difensore distrattario della parte vittoriosa”. Ed infatti, a seguito di tale statuizione “si instaura un rapporto obbligatorio tra detto difensore e la parte soccombente, che legittima il primo a proporre per il relativo adempimento un autonomo giudizio di ottemperanza, che non può che tendere, anche nei suoi riguardi, a far conseguire tutta l'utilità scaturente dalla pronuncia giurisdizionale ed illegittimamente negata dall'Amministrazione con un comportamento omissivo”. Anche il TAR di Bari,  II, n. 909/2016 in virtù del provvedimento di distrazione delle spese processuali in favore del difensore con procura della parte vittoriosa, “s'instaura, fra costui e la parte soccombente, un rapporto autonomo rispetto a quello fra i contendenti che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d'opera professionale fra il cliente vittorioso ed il suo procuratore. Ne deriva che il difensore distrattario è l'unico legittimato ad intimare il precetto di pagamento dell'importo delle spese e degli onorari e, analogamente, a chiedere l'esecuzione del giudicato con il rito dell'ottemperanza in sede di giudizio amministrativo” (Conf.Cass.  III, 12 novembre 2008, n. 27041; T.A.R. Lazio  II, 24 febbraio 2015, n. 3275 e TAR Torino  I, 5 novembre 2014, n 1682). Vedasi anche annotazioni degli artt. 9, paragr. 2: “Assistenza all'attività giudiziaria”, 25, paragr. 4: “Richiesta di copie” e 67-bis, paragr. 2: “Esecutività della sentenza secondo quanto previsto dal capo IV, d.lgs. n. 546/1992”.

Il provvedimento cautelare, comunque, non è reclamabile davanti a un giudice diverso in quanto trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio (Cass. n. 4060/2005); non ha natura decisoria e non è conseguentemente impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. n. 5406/1986). La mancata impugnazione sul punto della sentenza che definisce il grado di giudizio darà luogo a giudicato interno. Nel caso in cui la sentenza impugnata fosse stata riformata «in toto» dal giudice d'appello, la riliquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa (Cass. n. 2671/2013).

Vedasi anche annotazioni degli artt. 52,62-bis e 65, comma 3-bis, d.lgs. 546/1992.

Bibliografia

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