Decreto legislativo - 19/06/1997 - n. 218 art. 3 - Definizione degli accertamenti nelle altre imposte indirette.Definizione degli accertamenti nelle altre imposte indirette. 1. La definizione ha effetto per tutti i tributi di cui all'articolo 1, comma 2, dovuti dal contribuente, relativamente ai beni e ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia o dichiarazione che ha formato oggetto di imposizione. Il valore definito vincola l'ufficio ad ogni ulteriore effetto limitatamente ai menzionati tributi. Sono escluse adesioni parziali riguardanti singoli beni o diritti contenuti nello stesso atto, denuncia o dichiarazione. 2. Se un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, ciascuna di esse, se soggetta ad autonoma imposizione, costituisce oggetto di definizione come se fosse un atto distinto. 3. A seguito della definizione, le sanzioni dovute per ciascun tributo oggetto dell'adesione si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge (1). 4. L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione e non è integrabile o modificabile da parte dell'ufficio. (1) Comma modificato dall'articolo 1, comma 18 della legge 13 dicembre 2010 , n. 220 . InquadramentoCirca il quadro normativo di riferimento dell'istituto dell'accertamento con adesione, come disciplinato dal d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218 (di seguito: «d.lgs. n. 218»), occorre muovere dall'art. 3, comma 120, della l. 23 dicembre 1996, n. 662. Essa ha delegato il governo ad emanare uno o più decreti legislativi finalizzati alla semplificazione ed all'ampliamento dell'ambito applicativo dell'accertamento con adesione, sia nel comparto delle imposte sui redditi sia in quello delle imposte indirette, con conseguente revisione anche della conciliazione giudiziale, finalizzata ad una maggiore snellezza del procedimento contenzioso, a sua volta già disciplinata in via innovativa dall'art. 48 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. La delega di cui innanzi è stata attuata proprio con l'emanazione del d.lgs. n. 218 (più volte modificato), le cui principali istruzioni applicative sono state emanate con Circ. Min. Fin. 8 agosto 1997, n. 235/E e Circ. Min. Fin. 14 gennaio 1998, n. 8/E. L'art. 21, comma 22, della l. 22 dicembre 1997, n. 449, ne ha modificato l'art. 15 (c.d. «acquiescenza»), omogeneizzando le procedure di versamento delle somme dovute a titolo di sanzione in caso di omessa impugnazione (con modalità di cui al d.m. 11 settembre 1997). In forza dell'art. 50 della l. 27 dicembre 1997, n. 449, è stata contemplata la possibilità per Province e Comuni di prevedere, per i tributi propri, l'introduzione dell'istituto dell'accertamento con adesione, sulla base dei criteri di cui al citato d.lgs. n. 218. Il collegamento tra accertamento con adesione e “studi di settore” è stato invece assicurato dalla l. 21 novembre 2000, n. 342 ed il successivo art. 1, comma 1, della l. 18 ottobre 2001, n. 383, ha apportato integrazioni all'art. 6 in materia di istanza del contribuente. Successivamente, l'art. 10, comma 1, della l. 18 ottobre 2001, n. 383, ha consentito al contribuente di farsi rappresentare, in seno al procedimento di accertamento con adesione, da un procuratore munito di procura speciale, nelle forme previste dall'art. 63 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (quando la procura è rilasciata ad un funzionario di un Centro di assistenza fiscale deve essere autenticata dal relativo responsabile). Con l'art. 1, comma 125, della l. 24 dicembre 2007, n. 244, per il caso di rateizzazione, è stata prevista idonea garanzia mediante polizza fideiussoria o fideiussione bancaria, ovvero rilasciata dai consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi) iscritti negli elenchi previsti dagli artt. 106 e 107 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Attualmente vige il Decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, entrato in vigore il 28 marzo 2017, per disciplinare il contenuto della garanzia fiscale sulla base di quanto già previsto per l'IVA dall'art. 38-bis, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, la sua durata nonché il termine entro il quale può essere escussa; la garanzia deve essere prestata con cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, al valore nominale, oppure con fideiussione rilasciata da una banca o da un'impresa commerciale che, a giudizio dell'ente garantito (impositore o esattore), offra adeguate garanzie di solvibilità, o, ancora, con polizza fideiussoria rilasciata da un'impresa di assicurazione. Per le piccole e medie imprese, la garanzia può essere prestata anche dai consorzi o cooperative di garanzia collettiva fidi, iscritti negli appositi albi e, per i gruppi di società con patrimonio superiore a 250 milioni di euro, con assunzione dell'obbligazione da parte della capogruppo o della controllante. L'art. 83, comma 18, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112 (conv., con modif., dalla l. 6 agosto 2008, n. 133), a sua volta, ha previsto che, in caso di mancato pagamento delle somme dovute in ragione dell'accertamento con adesione, il competente ufficio dell'Agenzia delle entrate provveda all'iscrizione a ruolo a titolo definitivo delle predette somme, a norma dell'art. 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. Il medesimo d.l. ha introdotto nel d.lgs. n. 218 l'art. 5-bis, consentendo l'accertamento con adesione al processo verbale di constatazione. L'articolo da ultimo citato è stato successivamente abrogato dall'art. 1, comma 637, lett. c), n. 2), della l. 23 dicembre 2014, n. 190, anche se, per espressa previsione normativa, per i verbali di constatazione consegnati entro il 31 dicembre 2015 continua ad applicarsi la disciplina ivi prevista. Ulteriori interventi normativi si sono susseguiti nel tempo. Ex art. 1, comma 18, lett. a) e b), della l. 13 dicembre 2010, n. 220, le sanzioni per violazioni dei tributi oggetto di adesione, a decorrere dall'1 febbraio 2011, si applicano nella misura di un terzo del minimo (in luogo della precedente misura di un quarto). In forza dell'art. 23, commi 17, 18 e 20 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (conv., con modif., dalla l. 15 luglio 2011, n. 111), per le adesioni perfezionate dal 7 luglio 2010, il pagamento rateale delle somme liquidate con l'atto di adesione non è più subordinato alla prestazione di alcuna garanzia. L'art. 25 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ha invece introdotto il diritto del contribuente di chiedere la deduzione delle perdite relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento dai maggiori imponibili accertati (per una compiuta disamina della ratio e dell'evoluzione normativa dell'istituto in esame si vedano, ex plurimis: Capolupo, 2015, 1942, 1943; Versiglioni, 2011, 1, 8; Batistoni Ferrara, 22; per la ricostruzione e la disamina dell'istituto in esame si vedano anche, tra i tanti: Moscatelli, passim; Picciaredda, 557). Con l'art. 25 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, è stato altresì previsto il diritto del contribuente di chiedere la deduzione delle perdite relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento dai maggiori imponibili accertati mentre l'art. 7-quater, comma 18, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193 (introdotto dalla legge di conversione 1 dicembre 2016, n. 225) ha previsto che i termini di sospensione relativi alla procedura di accertamento con adesione «si intendono cumulabili con il periodo di sospensione feriale dell'attività giurisdizionale». L'istituto in esame è altresì suscettibile di trovare applicazione, con i dovuti adattamenti normativamente previsti, in sede di «procedura di cooperazione e collaborazione rafforzata», di cui all'art. 1-bis del d.l. 24 aprile 2017 (conv., con modif., dalla l. 21 giugno 2017, n. 96). Qualora difatti, in sede di interlocuzione con l'Agenzia delle entrate, sia constatata la sussistenza di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato (ai sensi e per gli effetti del citato art. 1-bis), per i periodi di imposta per i quali siano scaduti i termini di presentazione delle dichiarazioni, il competente Ufficio dell'Agenzia delle entrate invia al contribuente un invito ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 218, al fine di definire, in contraddittorio,, i debiti della stabile organizzazione. All'estinzione del detto debito tributario, versando le somme dovute in base all'accertamento con adesione ai sensi dell'art. 8 del d.lgs. n. 218, le sanzioni amministrative, applicabili ai sensi dell'art. 2, comma 5, dello stesso decreto, sono ridotte alla metà. Alla completa estinzione del debito tributario di cui innanzi (compresi interessi e sanzioni amministrative) consegue altresì la non punibilità per il reato di cui all'art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Gli evidenziati effetti sul piano penale non si verificano nel caso di mancata sottoscrizione dell'accertamento con adesione ovvero di omesso o parziale versamento delle somme dovute. L'art. 11 del medesimo d.l. n. 50 del 2017, prevede infine l'applicazione dell'art. 8 del d.lgs. n. 218, ancorché con riduzione a tre del numero massimo di rate, al versamento degli importi dovuti in forza della «definizione agevolata delle controversie tributarie (introdotta dallo stesso art. 11 cit.). L'art. 4-octies introdotto nel d.l. 30 aprile 2019, n. 34, in sede di conversione (ad opera della l. 28 giugno 2019, n. 58), ha disciplinato l'«obbligo di invito al contraddittorio», con disposizioni che trovano applicazione con riferimento agli avvisi di accertamento emessi dal 1° luglio 2020. È stato in particolare introdotto nell'art. 5 del d.lgs. n. 218/1997 il comma 3-bis, in forza del quale, in deroga al termine ordinario, qualora tra la data di comparizione (di cui al comma 1, lett. b, dello stesso art. 5) e quella di decadenza dell'Amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrano meno di novanta giorni, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato di centoventi giorni. Oltre alla modifica del successivo art. 6, comma 2 (nel quale il riferimento non è più al precedente art. 5 bensì ai precedenti artt. 5 e 5-ter), l'art. 4-octies del d.l. n. 34/2019 ha poi introdotto nel d.lgs. n. 218/1997 l'art. 5-ter, disciplinante proprio l'«invito obbligatorio» (al contraddittorio). In forza dell'introdotto art. 5-ter, in particolare, l'Ufficio,(comma 1) fuori dei casi in cui sia stata rilasciata copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire di cui all'articolo 5 per l'avvio del procedimento di definizione dell'accertamento (con esplicita esclusione per gli avvisi di accertamento parziale di cui all'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 nonché gli avvisi di rettifica parziale previsti dall'articolo 54, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 633/1972). In caso di mancata adesione, poi, l'avviso di accertamento è specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e ai documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio (comma 3) ed in tutti i casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione, l'Ufficio può notificare direttamente l'avviso di accertamento non preceduto dall'invito in oggetto. Al di fuori dalla detta ultima ipotesi, invece, (comma 4) il mancato avvio del contraddittorio mediante l'invito obbligatorio al contraddittorio comporta l'invalidità dell'avviso di accertamento qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato (restano esplicitamente ferme le disposizioni che prevedono la partecipazione del contribuente prima dell'emissione di un avviso di accertamento. Ratio dell'istituto e sua natura giuridicaIl d.lgs. n. 218 procede ad una revisione organica dell'istituto dell'accertamento con adesione, già introdotto con il d.l. 30 settembre 1994, n. 564 (conv., con modif., dalla l. 30 novembre 1994, n. 656), la cui ratio è quella di prevenire il contenzioso (quindi con evidente funzione deflattiva) introducendo una nuova disciplina generale delle modalità per la definizione delle pendenze tributarie (generalizzandone la relativa portata in termini oggettivi e soggettivi). Alla detta funzione si riconnettono oltre che la riduzione ad un terzo (del minimo previsto dalla legge) delle sanzioni (artt. 2, comma 5, e 3, comma 3, del d.lgs. n. 218) anche effetti sul piano penale (ex plurimis: Corte cost., n. 140/2011; Corte cost., n. 452/1998 e Cass., n. 7161/2002, nel senso per il quale il d.lgs. n. 218 ha operato la revisione dell'istituto, come in precedenza disciplinato nel 1994, estendendone l'applicabilità a tutti i contribuenti ed a tutte le categorie reddituali non prevedendo cause di inammissibilità o di esclusione dal beneficio ed ha coerentemente abrogato, ex art. 17, l'art. 2-bis del d.l. n. 564/1994 (convertito nella l. n. 656/1994), che le prevedeva, e disposto, ex art. 2, comma 6, che la nuova disciplina sia applicabile anche alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994). Medesima ratio deflattiva ha l'istituto dell'acquiescenza, anche esso disciplinato dal d.lgs. n. 218/1997 (art. 15), come ribadito da Cass . V, n. 11497/2018, per la quale esso può operare, proprio in ragione della detta finalità, anche in relazione ad addebiti dotati di autonoma rilevanza, ancorché ricompresi in un unico avviso di accertamento. La scelta discrezionale dell'Amministrazione finanziaria circa la pluralità di addebiti in unico atto di accertamento non può difatti precludere al contribuente la possibilità di agire dinanzi al giudice tributario per contestarne alcuni ed al tempo stesso di accedere, per altri, all'istituto di carattere premiale di cui al citato art. 15. Circa la natura giuridica dell'accertamento con adesione istituto in esame, cioè quello introdotto nel 1997 con il d.lgs. n. 218, la giurisprudenza di legittimità, differentemente dalla dottrina, non sembra aver preso posizioni decise ed esplicite, oscillando tra le differenti tesi della natura contrattuale (in particolare transattiva) e quella dell'atto di accertamento (anche se caratterizzato dall'adesione del contribuente). Talvolta, mostra addirittura di assumere posizioni «intermedie», come si evince dalle argomentazioni poste a supporto delle decisioni in merito alle varie questioni giuridiche trattate (di seguito evidenziate diffusamente con riferimento nella trattazione dei singoli articoli del d.lgs. n. 218), ed attribuisce alla dichiarazione contenuta nella domanda di accertamento con adesione del contribuente natura di confessione stragiudiziale che, come tale, è liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell'art. 2735, comma 1, c.c. (Cass.VI, n. 3068 9/2017). In merito però Cass . V, n. 13907/2018, sembra prendere posizione chiarendo che l'atto di accertamento con adesione non ha natura negoziale o transattiva, non potendo l'Amministrazione finanziaria negoziare la pretesa tributaria, bensì unilaterale quale espressione del potere potestativo impositivo. Ne consegue che l'avvenuta formulazione di una proposta di accertamento con adesione non determina né il disconoscimento, ex se, della consistenza probatoria conseguente all'accertamento, ne rinuncia a far valere la pretesa tributaria. Sicché, in caso di mancata adesione, contribuente e Amministrazione finanziaria semplicemente non hanno concordato nella determinazione della pretesa tributaria, alla luce dei complessivi elementi emersi nel contraddittorio, con la conseguenza che l'ufficio, in tale evenienza, legittimamente notifica l'avviso di accertamento. Il relativo contenuto deve però comunque tenere necessariamente conto degli eventuali chiarimenti e prove fornite dal contribuente, con una conseguente eventuale rideterminazione più favorevole dei maggiori ricavi. Peraltro, il verbale redatto nell'ambito del procedimento di accertamento per adesione e sottoscritto sia dall'Amministrazione finanziaria sia dal contribuente costituisce un documento utilizzabile a fini probatori nel giudizio tributario anche in caso di mancato perfezionamento del procedimento, atteso che tale circostanza non fa venir meno la valenza dell'atto quale documento e la sua riconducibilità , in assenza di contestazioni, sul punto, alla volontà delle parti che l'hanno sottoscritto, ferma restando la libertà del giudice di valutare la rilevanza e l'attendibilità delle circostanza ivi rappresentate (Cass. IV, 6391/2022). Sempre di recente , però, la Suprema Corte ritiene «fittizio» il reddito, professionale, conseguente alla «definizione concordata della vertenza tributaria» mediante accertamento con adesione. Cass . IV, n. 5380/2018 , ancorché in tema di previdenza forense, chiarisce difatti che ai fini della determinazione dell'entità del trattamento di pensione di vecchiaia, erogato a favore degli avvocati e procuratori, rileva – secondo la disciplina posta dalla l. n. 576/1980 – il reddito professionale dichiarato ai fini fiscali e non già quello definito per effetto del c.d. accertamento con adesione di cui all' art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218/1997 , dovendosi avere riguardo al reddito professionale effettivo e non a quello fittizio conseguente alla definizione mediante accertamento con adesione. Nella specie, in realtà, il Giudice di legittimità non argomenta dalla natura giuridica dell'accertamento con adesione ma dal disposto dello stesso art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218/1997 , per il quale l'accertamento con adesione non rileva ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. La norma di cui innanzi deve essere però rapportata con la citata disciplina specifica di cui alla citata l. n. 576/1980 , che, ai fini del trattamento pensionistico in oggetto, fa riferimento al reddito «dichiarato» e non al quello «concordato». Esplicita presa di posizione in merito alla natura dell'accertamento con adesione è quella di Cass. V, n. 14568/2021, per la quale esso, pur essendo il risultato di un accordo tra l'amministrazione finanziaria e il contribuente, costituisce una forma di esercizio del potere impositivo, non assimilabile, in quanto tale, ad un atto di diritto privato, sicché esso non ha natura di atto amministrativo unilaterale, né di contratto di transazione, stante la disparità delle parti e l'assenza di discrezionalità in ordine alla pretesa tributaria, ma configura un accordo di diritto pubblico, il quale, in ragione di ciò, non è soggetto alle disposizioni del codice civile in tema di transazione, ma alla speciale disciplina pubblicistica contenuta nel d.lgs. n. 218 del 1997, avente carattere cogente siccome afferente all'obbligazione tributaria, ai suoi presupposti e alla base imponibile. Cass. V, n. 18351/2021 , invece, muovendo dalla natura dell'istituto in termini di concordato tra l'amministrazione ed il contribuente, ed essendo pertanto caratterizzato dal carattere volontario dell'adesione, conclude nel senso dell'efficacia nei confronti del solo soggetto che tale adesione ha prestato, escludendo invece che possa acquisire valore, anche indiretto, nei confronti di chi abbia impugnato l'atto impositivo fondato sul valore accertato con adesione in relazione ad un diverso soggetto. A ciò consegue, per la citata statuizione, che l'estensione degli effetti dell'accertamento con adesione relativo ad altri coobbligati può ammettersi solo in bonam partem ed in assenza di una espressa volontà contraria del contribuente. In ordine alla natura giuridica dell'istituto, in tutta la sua evoluzione storica, in dottrina sono state enucleate varie teorie sostanzialmente riconducibili a due macro tesi, una volta a riconoscerne natura negoziale, in particolare contrattuale e, per alcuni, transattiva, e l'altra che vede l'accertamento con adesione come atto unilaterale di imposizione, caratterizzato dell'adesione del contribuente alla quantificazione dell'imponibile operata dall'Ufficio impositore, alla quale conseguono gli specifici effetti ricollegati dal legislatore all'istituto e di seguito evidenziati. Il differente approccio alla natura dell'istituto caratterizza la disamina di innumerevoli questioni giuridiche ad esso connesse, dalla possibilità di impugnazione dell'atto di accertamento con adesione all'annullamento in autotutela, dagli effetti dell'atto di accertamento con adesione sottoscritto a non seguito dal versamento del dovuto alla possibilità di revoca dell'adesione. Conseguono altresì, solo esemplificativamente, risvolti inerenti i rapporti tra l'istituto in esame ed altri, tra i quali il fallimento (con riferimento alle teorie formatesi antecedentemente con riferimento al “concordato”, quindi prima del nuovo istituto – invece disciplinato prima nel 1994 e dopo nel 1997 – quelle contrattualistiche riconoscevano al concordato tutti gli elementi costitutivi del contratto di transazione ed in particolare l'esistenza di una res dubia e, in secondo luogo, la reciproca convenienza delle parti di pervenire o reprimere la lite oltre che il reciproco sacrificio che sta alla base dell'amichevole componimento; in questi termini si esprime Antico, 2006, 10, 1497, il quale evidenzia che la tesi contrattualistica era stata fatta propria da una «importante» giurisprudenza e fa in particolare riferimento a: Comm. trib. centr. 26 maggio 1928, in Giur. imp. dir., 1929, 156; Comm. trib. centr. 17 febbraio 1934, in Giur. imp. dir., 1934, 153, ed a Comm. trib. cent. 22 marzo 1943, in Giur. imp. dir., 1945, 48, 208). La tesi della natura bilaterale, in particolare contrattuale e transattiva, dell'istituto in esame, come disciplinato dal d.lgs. n. 218, è autorevolmente sostenuta in dottrina da chi ritiene il detto accertamento con adesione diverso da quello retto dalla disciplina previgente a quella del 1997 e con caratteristiche del tutto nuove, tanto da obbligare un mutamento radicale dei precedenti termini della discussione teorica, che vedeva predominare, rispetto a quella negoziale, la tesi dell'atto unilaterale di accertamento quale specie di provvedimento di accertamento caratterizzato dall'adesione del contribuente (Batistoni Ferrara, 22, 24 e 26, il quale, con riferimento al previgente accertamento con adesione oltre al previgente concordato, sostiene la tesi dell'atto bilaterale ed in particolare del negozio bilaterale non transattivo bensì di accertamento, la cui funzione si identifica nella ricostruzione consensuale di una realtà giuridica, tramite il contraddittorio quale collaborazione dialettica nell'individuare e nell'interpretare i fatti rilevanti ai fini della determinazione dell'imponibile, da attuare senza concessioni reciproche in assenza di controversia in atto ma prevedibile solo come eventualità remota). Per tale voce dottrinale l'attuale istituto in oggetto avrebbe mantenuto il suo carattere premiale che già in precedenza aveva nel vigore degli artt. 2-bis e 2-ter del d.l. n. 564 del 1994 (continuando a prevedere la riduzione delle sanzioni ed aggiungendo la non punibilità per taluni reati). Il legislatore delegato del 1997 avrebbe però configurato l'istituto come vera e propria transazione, considerando fisiologico l'abbandono di parte della pretesa tributaria. Ciò si argomenta in particolare dagli artt. 7, 8 e 9 del d.lgs. n. 218, relativi alle imposte dirette ed all'IVA (che sono sostanzialmente ripetuti dagli artt. 11, 12 e 13, con riferimento alle altre imposte indirette). In particolare dall'art. 7, prima parte, che disciplina forma scritta e sottoscrizione, si evince che l'atto esprime un accordo tra Amministrazione e contribuente mentre l'art. 9 implica che la definizione non si perfeziona in assenza del pagamento, non verificandosi gli effetti di cui agli artt. 3, commi 3, e 5 e 6, comma 6, circa la caducazione dell'avviso di accertamento già notificato. Sicché, dopo la redazione e sottoscrizione dell'atto, nel caso di inadempimento dell'obbligo del contribuente, l'accertamento con adesione rimane inefficace, con persistente validità dell'originario avviso di accertamento, se già notificato (art. 6, comma 2) e, nelle altre ipotesi, con pienezza di poteri di accertamento in capo all'Amministrazione, nelle forme ordinarie e senza che essi vangano in alcun modo limitati dall'intervenuta formazione e sottoscrizione dell'atto medesimo. L'art. 7 si riferisce all'«atto di accertamento con adesione» e lo configura come atto unitario e bilaterale, di tipo contrattuale di diritto pubblico, in quanto riferisce all'attività concorrente dell'Amministrazione e del contribuente la determinazione dell'imposta. L'efficacia di tale atto è però condizionata dall'adempimento dell'obbligazione inerente al pagamento delle somme che, per tributo e sanzioni, risultano in base ad esso dovute (risultati che non muterebbero anche nel caso in cui si configurasse l'accertamento con adesione quale provvedimento autoritativo). Si evince quindi, sempre per tale impostazione dottrinale, che trattasi di un atto il cui oggetto è la determinazione del tributo, mentre il pagamento in base ad esso dovuto costituisce evento diverso e distinto da quello (adempimento «successivo», lo definisce la rubrica dell'art. 8). Ci si trova di fronte ad una fattispecie, la definizione per adesione, che comprende, oltre all'atto di accertamento, anche la sua esecuzione. Trattasi di una fattispecie a formazione successiva, della quale la stipulazione dell'atto di accertamento con adesione costituisce un primo momento e nella quale si inserisce, come condizione «sospensiva», il pagamento integrale o il pagamento della prima rata (e la prestazione della garanzia, fino a quando prevista per legge) nel termine di venti giorni da tale stipulazione (Batistoni Ferrara, 26 e 27; per la disamina della tesi della natura contrattuale, in particolare transattiva, dell'attuale istituto, come previsto dal d.lgs. n. 218, si veda, altresì, tra i tanti, Napoli, 6295; sempre per la tesi della natura contrattuale, ancorché con riferimento all'istituto del concordato anteriormente alle riformulazioni del 1994 e del 1997, ex plurimis: Carnelutti, 665, D'Alfonso, 456 e Maffezzoni, 254; in senso critico circa la natura giuridica dell'accertamento con adesione, nel quadro generale delle obbligazioni di diritto pubblico, si vedano: Stipo, 1998, 1231; Stipo, 2000, 1740). Dalla ricostruzione di cui innanzi si conclude nel senso per il quale il legislatore non ha configurato l'atto di accertamento con adesione alla stregua di un istituto inteso alla determinazione del tributo, dovuto in base alle sue norme istitutive e al presupposto d'imposta venuto in essere. Ha invece consentito che la definizione con esso attuata non soltanto comporti un abbattimento delle sanzioni ordinariamente dovute ma possa dar luogo alla determinazione di un debito d'imposta in misura diversa (e, logicamente, inferiore) alla misura che risulterebbe dalla verificazione del presupposto. Nel vigore della vecchia normativa non si dubitava che oggetto dell'accertamento con adesione fosse la determinazione dell'imponibile, questa conclusione, per la tesi in argomento, non è riproponibile con riferimento all'attuale nuovo istituto. Una volta che si riconosce che la disciplina dell'accertamento con adesione comporta l'attribuzione all'amministrazione del potere di disporre del credito in ragione della natura transattiva che gli è propria, è naturale ritenere che la definizione possa involgere anche la definizione di questioni «di diritto» e non solo di fatto (estimativo), distinzione peraltro possibile ma non sempre agevole (Batistoni Ferrara, 28, 29 e 30, l'autore non si nasconde che questa conseguenza è in stridente contrasto con tutta la tradizione del pensiero degli studiosi del diritto tributario, abituati a configurare l'obbligazione tributaria come obbligazione ex lege non suscettibile di remissione neppure parziale e comunque a configurare l'attività dell'Amministrazione come attività assolutamente vincolata con esclusione di qualsiasi potere di concedere riduzioni sull'imposta dovuta, ma non crede che l'interprete possa non tener conto del dato di diritto positivo per mantenere ferme convinzioni teoriche sia pur nobilissime, evidenziando comunque la compatibilità della ricostruita natura transattiva con il principio dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria e con l'art. 53 Cost., letto con la lente dell'esigenza della pronta definizione del rapporto tributario e del rapido adempimento; per una compiuta disamina delle contrapposte tesi dottrinali circa la natura dell'attuale istituto dell'accertamento con adesione, tra concezione accertativa e concezione compositiva, che però si distingue da quella puramente contrattuale-transattiva, si veda, Versiglioni, 2011, 1, 4, 5, passim, il quale aderisce alla concezione compositiva prospettando, con riferimento all'istituto in esame, una indisponibilità tributaria rovesciata, essendo l'accertamento con adesione deputato ad attuare la norma tributaria quando, e solo quando, la questione è «controversa all'infinito», ossia quando il fatto unilateralmente inteso non esiste, cioè non è possibile, in quanto mancano soluzioni predeterminate, avendo la «discrezionalità tributaria» un ambito ben diverso da quello della «discrezionalità amministrativa» ed il suo presupposto ontologico nell'incertezza oggettiva del tema controverso; nello stesso senso si veda altresì Versiglioni, 2001, passim). Nettamente contrapposta alla tesi di cui innanzi è quella che riconosce all'atto di accertamento con adesione, di cui al d.lgs. n. 218, natura di atto unilaterale impositivo caratterizzato dall'adesione del contribuente alla quantificazione dell'imponibile da parte dell'Ufficio impositore (tra i tanti: Ferlazzo Natoli-Fusconi-Antico, 4; Antico, 2006, 1497, il quale ricorda che per la tesi dell'atto unilaterale di accertamento è anche l'ASSONIME –Associazione fra le società italiane per azioni –, come emerge dalla circolare n. 2 del 19 gennaio 1998 ove si afferma che la denominazione «concordato tributario» rappresenta un retaggio di analoghi precedenti istituti di definizione concordata del reddito imponibile, essa dimostra di prediligere la tesi per la quale l'accertamento con adesione non è un atto né negoziale né transattivo bensì un «atto unilaterale dell'Amministrazione emanato nell'esercizio di una tipica potestà pubblica ... rispetto al quale la manifestazione di volontà del contribuente» realizza «... semplicemente una condizione posta dalla legge affinché l'atto stesso» possa «sortire determinati effetti»; Antico, 2004, 3340; per la presente tesi dell'attuale istituto dell'accertamento con adesione quale atto unilaterale di imposizione, caratterizzato dell'adesione del contribuente alla quantificazione dell'imponibile operata dall'Ufficio impositore, si vedano altresì: Antico, 2004, 3340; Antico, 2002, 7, 966 e Antico, 2002, 19, 2968; Lupi, 139, ritiene invece che l'assimilazione piena del concordato alla transazione sia fuorviante, in quanto evoca una disciplina piena degli interessi in gioco che, invece, gli Uffici fiscali non hanno, ma evidenzia che i meccanismi valutativi che scattano nell'accertamento con adesione sono per molti versi del tutto analoghi a quelli che scattano nella transazione tra privati; sostiene che il procedimento di accertamento con adesione abbia una veste consensuale con finalità anche nell'interesse del contribuente, Picciaredda, 557). L'accertamento con adesione introdotto con il d.lgs. n. 218, per questa seconda impostazione, si proporrebbe quindi di fornire all'Amministrazione finanziaria ed al contribuente uno strumento, a regime, per giungere ad una rapida definizione della pretesa tributaria, senza avviare il contenzioso, in linea di principio, senza preclusione per l'ammissione all'istituto che è quindi applicabile a tutti i contribuenti ed a tutte le categoria reddituali, ricomprendendo nel suo ambito oggettivo tutte le ipotesi per le quali è riconosciuto agli Uffici il potere di accertamento. Teoricamente non vi sarebbero vincoli all'utilizzo dell'istituto concordatario, non dovendo comunque dimenticare la natura pubblicistica dell'obbligazione tributaria, sottratta all'autonomia negoziale delle parti e, pertanto, indisponibile. L'accertamento in esame rientrerebbe nelle ipotesi di «amministrazione per consenso» e non di «amministrazione per autorità», nel tentativo di individuare la giusta imposta (l'adesione, con il consenso del contribuente, dà certezza della situazione giuridica di per sé incerta). Si sposterebbe, così, il baricentro del rapporto tributario verso il contribuente (Antico, 2006, 1497, il quale predilige la seconda tesi, quella dell'atto unilaterale di imposizione, convinto che «la relazione tra l'avviso di accertamento e l'atto di adesione sia nel riesame libero da parte dell'Ufficio degli elementi che hanno portato all'accertamento, il quale si conclude con un accordo formale tra contribuente ed Amministrazione, ed in forza delle dette considerazioni circa la natura dell'accertamento con adesione che l'autore fa le seguenti riflessioni circa la revocabilità in autotutela dell'atto di adesione»; il precedente virgolettato è dallo stesso citato autore attribuito a Quadraro-Quadraro, 1099; per la tesi della natura di atto di accertamento, ancorché con adesione del contribuente, ed in particolare di altra modalità di accertamento, si veda, per tutti: Marello, 2006, 6, 2116, 2117 e 2118; Marello, 2000, passim; per la ricostruzione del dibattito in dottrina circa la natura dell'accertamento con adesione si veda Marello, 2006, 1132). In merito alla natura giuridica dell'istituto in esame ed alle annesse conseguenze, rileva Cass. V, n. 12137/2019, per la quale in tema di accertamento con adesione, non sussiste il litisconsorzio necessario con i soci, in relazione ai giudizi da essi instaurati avverso gli atti di accertamento loro notificati, in quanto assenti o non aderenti al procedimento amministrativo iniziato e definito dalla società di persone, posto che l'esigenza di unitarietà dell'accertamento viene meno con l'intervenuta definizione da parte della società in sede amministrativa che, ai sensi dell'art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973, costituisce titolo per l'accertamento nei confronti delle persone fisiche, con la conseguenza che ciascun socio può opporre solo ragioni di impugnazione specifiche e, quindi, di esclusivo carattere personale.La detta decisione muove difatti dall'assunto per il quale l'accertamento con adesione non si sostanzierebbe in un negozio transattivo ma in atto unilaterale dell'Amministrazione emanato nell'esercizio di una tipica potestà pubblica, rispetto al quale la manifestazione di volontà del contribuente realizza una condizione affinché l'atto stesso diventi efficace. Sicché, una volta definito il relativo procedimento con riferimento alla società di persone, non sussiste, poi, il litisconsorzio con i soci, in relazione ai giudizi da essi instaurati con l'impugnazione degli atti di accertamento loro notificati (all'esito e sulla base dell'accertamento con adesione della società ed in forza del citato art. 4) in quanto assenti o non aderenti al procedimento amministrativo iniziato e definito dalla società di persone. Circa la natura non transattiva ma di atto unilaterale espressione del potere impositivo si veda in precedenza, anche Cass. V, n. 13907/2018, per la quale ne consegue che l'avvenuta formulazione di una proposta di accertamento con adesione non determina ex se il disconoscimento della consistenza probatoria conseguente all'accertamento né comporta rinuncia a far valere la pretesa tributaria. La Suprema Corte ha altresì chiarito che procedura di collaborazione volontaria (cd. «"voluntary disclosure») - introdotta dall'art. 1 della l. n. 186 del 2014, mediante l'inserimento, nel testo del d.l. n. 167 del 1990, conv. con mod. dalla l. n. 227 del 1990, degli artt. 5-quater e septies - quantunque si perfezioni nelle forme dell'accertamento con adesione mediante versamento delle somme dovute in base all'invito di cui all'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 218 del 1997, costituisce istituto autonomo e diversamente conformato dal primo, in quanto non presuppone una contestazione dell'Amministrazione; non ha scopo deflattivo; si concretizza nell'esposizione volontaria al Fisco, da parte del contribuente, della propria situazione debitoria, con instaurazione del contraddittorio soltanto eventuale; presenta peculiari modalità di versamento delle somme dovute (Cass. sez. 2964/2023). Ambito di applicazione, estensione ai tributi locali, limiti oggettivi e definizione da parte di uno solo degli obbligatiCome innanzi evidenziato, il d.lgs. n. 218, al fine di prevenire il contenzioso, procede ad una revisione organica dell'istituto dell'accertamento con adesione (già introdotto nel 1994) mediante una nuova disciplina generale delle modalità per la definizione delle pendenze tributarie, generalizzandone la relativa portata in termini oggettivi e soggettivi. Possono difatti essere definiti con adesione del contribuente, secondo le disposizioni del d.lgs. n. 218, l'accertamento delle imposte sui redditi e sull'IVA (art. 1, comma 1). Con la precisazione che la definizione delle imposte sui redditi ha effetto anche per l'IVA, relativamente a fattispecie per essa rilevanti, potendo altresì formare oggetto della definizione anche le fattispecie rilevanti ai soli fini dell'IVA (art. 2, comma 1) nonché la determinazione sintetica del reddito complessivo netto, così come precisa l'art. 2, comma 2, che, al successivo comma 7, estende le disposizioni in esame (art. 2) anche ai sostituti d'imposta, in quanto compatibili. L'istituto trova applicazione altresì, con adesione anche di uno solo degli obbligati, con riferimento alle altre imposte indirette, diverse dall'IVA, quali: l'imposta sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull'incremento di valore degli immobili, compresa quella decennale (art. 1, comma 2). In merito alle «altre imposte indirette» diverse dall'IVA, di cui innanzi, la definizione mediante accertamento con adesione ha effetto relativamente ai beni ed ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia, o dichiarazione che ha formato oggetto di imposizione, con esclusione di adesioni parziali riguardanti singoli beni o diritti contenuti nello stesso atto, denuncia o dichiarazione ed il valore definitivo vincola l'Ufficio, limitatamente ai detti tributi, ad ogni ulteriore effetto (art. 3, comma 1). Se però un atto contiene più disposizioni non derivanti necessariamente le une dalle altre, per loro intrinseca natura, ciascuna costituisce oggetto di definizione come se fosse un atto distinto, nel caso di soggezione ad autonoma imposizione (art. 3, comma 2). L'ambito oggettivo di applicazione dell'istituto in esame, in relazione alla natura dei tributi, è, nei termini di cui innanzi, delineato dall'art. 1 del d.lgs. n. 218 ma con estensione ai tributi locali, in forza di quanto previsto dall'art. 59 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e dalla l. 27 dicembre 1997, n. 449. Esso però non è riferibile all'atto attributivo o modificativo della rendita catastale, non essendo quest'ultimo fonte di autonoma obbligazione tributaria. In applicazione del principio, Cass. V, n. 25550/2014, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), riferendosi all'art. 12 del d.lgs. n. 218, ha chiarito che la disciplina prevista dall'art. 74, comma 3, della l. 21 novembre 2000, n. 342, per la quale la notifica dell'atto impositivo ai fini ICI vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, comporta l'obbligo di impugnazione autonoma dell'atto modificativo della rendita catastale nei sessanta giorni dalla data della notifica. Ciò in forza dell'autonomia tra i giudizi di impugnazione dell'atto di attribuzione della rendita catastale (presupposto dell'atto impositivo) e dell'atto impositivo emanato dall'Ente locale. Sicché, l'atto di attribuzione della rendita catastale diviene definitivo in caso di sua omessa impugnazione, non potendosi estendere l'effetto sospensivo della richiesta di accertamento con adesione in merito all'ICI all'autonomo giudizio di impugnazione dell'atto quale attributivo della rendita catastale (per la natura di atto presupposto dell'atto di attribuzione della rendita catastale si vedano, ex plurimis, Cass. VI, n. 421/2014; Cass. V, n. 10571/2010; Cass. V, n. 9203/2007). Le conclusioni di cui innanzi, in ragione della valenza non contenziosa dell'istituto in esame e della sua finalità deflattiva, sembrerebbero condivisibili nonostante il rapporto di pregiudizialità tra la controversia (contro l'Agenzia del territorio) in ordine all'impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e quella, instaurata dallo stesso contribuente, contro il Comune, avente ad oggetto l'impugnazione della liquidazione dell'ICI gravante sull'immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata. Ciò in considerazione della circostanza per la quale la definitività dell'atto presupposto sarebbe proprio la conseguenza della sua mancata autonoma impugnazione, in combinato con la detta non estensibilità dell'effetto sospensivo (per il detto rapporto di pregiudizialità, tale da imporre ai sensi dell'art. 295 c.p.c. la sospensione del secondo giudizio fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, su quella relativa alla liquidazione dell'imposta, ex plurimis: Cass. VI, n. 421/2014, e Cass. V, n. 9203/2007; sotto il versante soggettivo, invece, in merito ai rapporti tra adesione della società di persone ed accertamento con adesione dei soci si veda Comm. trib. prov. Como 2 dicembre 1999, n. 263). La disciplina in oggetto, e quindi la prevista sospensione del termine di impugnazione ex art. 6, commi 2 e 3, d.lgs. n. 218 del 1997, è applicabile solo ove l'istanza di accertamento con adesione sia presentata nei confronti di un atto accertativo e non anche a seguito di liquidazione ex art. 36 bis, d.P.R. n. 600 del 1973, non essendo questa fondata su una ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, ma su un mero controllo formale effettuato con procedure automatizzate (Cass. V, 18397/2020). Per converso, l'accertamento con adesione trova applicazione con riferimento agli avvisi di recupero di crediti di imposta. Ciò in quanto aventi non solo funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario ma anche un'autonoma natura impositiva, in quanto elementi che concorrono a determinare l'ammontare della pretesa erariale. Nei termini di cui innanzi si è espressa Cass. V, n. 16761/2017, precisando altresì che alle conclusioni di cui innanzi non osti alcuna disposizione del d.lgs. n. 218. Sempre sotto il versante oggettivo e in merito ai rapporti con la Tarsu, Cass. V, n. 21117/2022 che chiarito che il concordato ex ante (ossia predisposto prima dell'accertamento con adesione ed allo scopo di evitare la sua emissione), previsto dall'art. 23 del regolamento delle entrate tributaria della città di Torino n. 267 del 1999, è perfezionato, ex art. 23, mediante la sottoscrizione delle parti, senza che rilevi a tal riguardo l'omesso pagamento di quanto previsto nell'accertamento con adesione, ed è, in forza della medesima norma, non impugnabile. Sotto il versante soggettivo, con particolare riferimento a rapporti tra società di persona e soci, Cass. V, n. 20200/2020 ha ritenuto che, in tema di reddito d’impresa, l’accertamento con adesione concluso nei confronti di una società di persone, diversamente dall’accertamento tributario sottoposto al vaglio giurisdizionale, non si estenda automaticamente all’accertamento consequenziale nei confronti dei soci (nella specie, divenuto inoppugnabile quanto al maggior reddito conseguito personalmente dal contribuente), in difetto di un’espressa previsione legislativa e stante la finalità della procedura stragiudiziale, volta ad evitare il contenzioso mediante strumenti equitativi che importano una riduzione degli importi altrimenti dovuti. Con l’impostazione di cui innanzi, perlomeno in merito al fondamento del sotteso ragionamento, non sembra però in linea la recentissima Cass. V, n. 9392/2021 per la quale, in caso di accertamento nei confronti dei soci che non hanno partecipato all’accertamento con adesione coinvolgente una società di persone, l’Erario deve procedere al recupero per trasparenza ai sensi dell’art. 5, comma 1, TUIR, dovendo trovare applicazione i principi costituzionali della parità di trattamento e quello della capacità contributiva, anche in base ai principi di razionalità e di non contraddizione, sicché non possono essere richiesti ai soci – il cui reddito coincida pro quota con quello della società partecipata – somme diverse da quelle «concordate» con la società di persone. Cass. VI-V, n. 14227/2020 evidenzia invece che l'unitarietà dell'accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci, comporta l'estensione del contraddittorio processuale a tutti i soci ai sensi dell'art. 14 d. lgs. n. 546 del 1992, ma non anche di quello endoprocedimentale, per il quale non sussiste un litisconsorzio necessario analogo a quello processuale. Ne consegue che la proposizione tempestiva dell'istanza di adesione da parte del singolo socio, al quale sia stato notificato l'accertamento riguardante la società, non è idonea a rimettere in termini quest'ultima rispetto all'istanza di adesione dalla stessa non tempestivamente formulata, determinando la definitività dell'accertamento, diversamente da quanto accade invece in caso di tempestiva istanza di adesione proposta dal socio con riguardo al reddito di partecipazione allo stesso imputato per trasparenza, avendo egli, in tal caso, autonomo interesse ad attivare tale modalità alternativa di possibile definizione del contenzioso tributario, ancorché la società non si sia avvalsa della medesima opzione quanto al reddito ad essa contestato. In dottrina si evidenzia che l'istituto dell'accertamento con adesione ricomprende nel proprio ambito oggettivo tutte le ipotesi per le quali è riconosciuto agli Uffici il potere di accertamento e, pertanto, non solo quelle di natura estimativa. Se, dunque, in linea di principio, non si rinviene alcuna limitazione all'applicazione dell'istituto dell'accertamento con adesione, il quale può riguardare qualsiasi tipologia di contribuente e qualunque aspetto dell'accertamento fiscale, è facile prevedere che le fattispecie privilegiate saranno quelle che permettono un maggior grado di apprezzamento da parte degli Uffici, anche sulla scorta degli ulteriori elementi di valutazione che il contribuente sarà in grado di fornire in occasione del contraddittorio. Nonostante l'assenza teorica di vincoli all'utilizzo dell'istituto concordatario, non va difatti comunque trascurata la natura pubblicistica dell'obbligazione tributaria, sottratta all'autonomia negoziale delle parti, e, pertanto, indisponibile. Da ciò consegue che, in sede di accertamento con adesione, saranno privilegiate, in fatto, seppure non in diritto, tutte le controversie tendenti a ricondurre ad equità il prelievo fiscale in quanto, come ricorda Circ. Agenzia Entrate 28 giugno 2001, n. 65/E, l'ambito di applicazione dell'accertamento con adesione è incentrato nella fondata e ragionevole misurazione di un legittimo presupposto impositivo, da rideterminarsi nel quantum in conseguenza del contraddittorio con il contribuente. Pertanto, prosegue la tesi in argomento, qualora l'Ufficio escludesse in radice l'opportunità di una composizione bonaria, l'obbligo della convocazione costituirebbe un inutile appesantimento dell'attività amministrativa (Fusconi, 1569, 1570 e 1571, il quale sul punto richiama anche l'attenzione sulle istruzioni dettate in proposito da Circ. Min. Fin. 8 agosto 1997, n. 235/E, con la quale si afferma che «la mancata previsione normativa di parametri cui informare l'adesione e l'ampliamento dell'ambito di applicazione dell'istituto non devono peraltro indurre a ritenere che tutte le fattispecie, anche quelle nelle quali l'esistenza dell'obbligazione tributaria è determinabile sulla base di elementi certi, debbano formare oggetto di transazione con il contribuente ...» dovendo quindi gli Uffici, in sede di contraddittorio, «operare, nei casi concreti, una attenta valutazione del rapporto costi benefici dell'operazione, tenendo conto della fondatezza degli elementi posti a base dell'accertamento, nonché degli oneri e del rischio di soccombenza di un eventuale contenzioso». Il merito all'ambito di applicabilità soggettivo, in particolare circa gli affetti dell'accertamento in esame ma con particolare riferimento all'imposta di registro, Cass. V, n. 1298/2019, ha statuito che la responsabilità solidale ex art. 57 del d.P.R. n. 131/1986 non viene meno per effetto dell'adesione di uno dei coobbligati alla definizione per adesione, essendo necessario che ad essa segua l'integrale estinzione del debito tributario, come definito in sede di adesione (nei confronti del coobbligato aderente), ovvero accertato in sede giudiziale (nei confronti del coobbligato non aderente. Rileva sul punto, ancorché in termini più generali, Cass. V, n. 18351/2021, che muovendo dalla natura dell’istituto in termini di concordato tra l’amministrazione ed il contribuente, ed essendo pertanto caratterizzato dal carattere volontario dell'adesione, conclude nel senso dell’efficacia nei confronti del solo soggetto che tale adesione ha prestato, escludendo invece che possa acquisire valore, anche indiretto, nei confronti di chi abbia impugnato l'atto impositivo fondato sul valore accertato con adesione in relazione ad un diverso soggetto. A ciò consegue, per la citata statuizione, che l'estensione degli effetti dell'accertamento con adesione relativo ad altri coobbligati può ammettersi solo in bonam partem ed in assenza di una espressa volontà contraria del contribuente. Proprio in merito all'imposta di registro, Cass. V, n. 551/2020 ha ribadito quanto già affermato da Cass. III, n. 9859/2014, evidenziando che il venditore che abbia pagato l'imposta integrativa di registro a seguito di concordato fiscale concluso con l'Amministrazione, senza coinvolgere nel procedimento di accertamento con adesione l'acquirente, non ha azione di regresso verso quest'ultimo, il cui diritto postula, ai sensi degli artt. 1299 e 1203, n. 3), c.c., l'adempimento di un'obbligazione del terzo, la cui esistenza ed entità siano divenute certe per fatti o atti giuridici opponibili a questi. La detta statuizione è intervenuta in ordina a fattispecie relativa a trasferimento immobiliare di area edificabile inserita nell'ambito di un accordo urbanistico con il Comune, con riconoscimento al contribuente, in luogo dell'indennità di esproprio dovuta per la realizzazione di opere pubbliche, di volumetrie sulle residue porzioni di sua proprietà. Circa i limiti soggettivi dell'istituto in esame Cass. V, n. 30348/2019 è intervenuta con riferimento ai rapporti tra quest'ultimo ed il consolidato nazionale. La detta Suprema Corte ha in particolare chiarito che l'accertamento con adesione di primo livello della consolidata, in base alla disciplina previgente alle modifiche apportate (al consolidato) dall'art. 35 d.l. n. 78 del 2010 (conv., con modif., in l. n. 122 del 2010), produce effetti nei confronti della consolidante che abbia dichiarato, in qualunque forma, di volerne profittare, ancorché non abbia partecipato al procedimento per adesione o non abbia tempestivamente impugnato l'avviso di accertamento di secondo livello, divenuto perciò definitivo. Trova difatti applicazione, in via analogica, in ragione del vincolo di solidarietà esistente tra consolidante e consolidata, il disposto di cui all'art. 1304, comma 1, c.c. A tali fini, non rileva che la dichiarazione della consolidante sopravvenga quando l'avviso di accertamento notificatole sia divenuto definitivo, in quanto l'imponibile della consolidata, rettificato in conseguenza dell'atto di definizione con adesione di primo livello, costituisce il presupposto dell'imposta di gruppo e delle sanzioni contenute nell'accertamento di secondo livello. In applicazione di quanto innanzi la Suprema Corte ha ritenuto che la richiesta della consolidante di ottenere la riliquidazione dell'IRES di gruppo, con gli interessi e le sanzioni collegate, in conformità all'accertamento di primo livello definito con adesione della consolidata, costituisse manifestazione della volontà di avvalersi di esso. L'applicabilità anche all'atto di contestazione dell'illecito tributario (rinvio)La sospensione del termine di impugnazione (art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992), conseguente alla presentazione dell'istanza di formulazione della proposta di accertamento con adesione (artt. 6, comma 3 e 12 d.lgs. n. 218), opera per l'atto impositivo oltre che con riferimento al provvedimento sanzionatorio. Ciò in caso di contestazione dell'illecito tributario, pur se adottato e notificato con atto separato dall'avviso di accertamento, sempre che, trattandosi di una violazione sostanziale, la condotta risulti strumentale all'inadempimento dell'obbligazione tributaria. Nel sancire il principio di cui innanzi Cass. V, n. 18377/2015 muove in particolare dall'interpretazione logico-sistematica del complesso normativo disciplinante il procedimento di accertamento con adesione, di cui al d.lgs. n. 218, letto alla luce della ratio legis dell'istituto, ravvisata nella risoluzione preventiva di conflitti potenziali con i contribuenti assicurando una entrata certa ed immediata all'Erario ed evitando inutile esercizio di attività amministrativa e difficoltà connesse ai tempi del contenzioso. L'argomento logico si fonda sulla considerazione della circostanza per la quale la contestazione dell'illecito si pone in rapporto di pregiudizialità necessaria con l'accertamento dell'imposta, sicché, il procedimento di definizione dell'accertamento con adesione del tributo non potrebbe non involgere anche la sanzione. In senso nettamente difforme si è invece espressa la successiva Cass. V, n. 20864/2020. Tale ordinanza, in particolare, esclude che l’istituto dell’accertamento per adesione in esame trovi applicazione nel caso di atto di contestazione delle sanzioni, anche se emesso contestualmente ad un avviso di accertamento relativo ai tributi cui le sanzioni si riferiscano, sicché l’eventuale proposizione. Per le argomentazioni dottrinali e giurisprudenziali oltre che per le ripercussioni processuali dell'orientamento di cui innanzi si rinvia al commento dei successivi artt. dal 4 al 9-bis del d.lgs. n. 218, in particolare al paragrafo relativo alle condizioni per la sospensione del termine per impugnare anche con riferimento al provvedimento sanzionatorio. L'accertamento delle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria, catastale e comunale sull'incremento di valore degli immobili, compresa quella decennale, può essere definito con adesione anche di uno solo degli obbligati, ex art. 1, d.lgs. n. 218. Il successivo art. 12, comma 4, precisa altresì che al perfezionamento dell'adesione, anche di uno solo degli obbligati, consegue la perdita di efficacia degli avvisi di accertamento relativi alla pretesa tributaria. L'art. 3, comma 4, infine, dispone infine che l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione. In merito si è posta la questione della possibilità di agire in regresso nei confronti degli altri obbligati da parte di quello che abbia adempiuto all'obbligazione tributaria all'esito di una procedura di accertamento con adesione, alla quale non abbianno partecipato i primi. Ad essa si aggiunge la questione inerente l'interesse ad agire, ai fini dell'impugnazione dell'originario atto impositivo, da parte dell'obbligato non partecipante alla procedura di accertamento mediante adesione. Più in generale, trattasi del tema degli effetti sostanziali e processuali del pagamento del debito tributario da parte di uno solo degli obbligati, nell'ambito del procedimento di accertamento con adesione. La prima delle due questioni è sorta già con riferimento al previgente “concordato tributario” e risolta, in senso negativo, dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento che sembra essere stato condiviso anche con riferimento all'attuale istituto. Cass. III, n. 9859/2014, in fattispecie inerente il previgente “concordato tributario, ha in particolare ritenuto che il venditore cha abbia pagato l'imposta integrativa di registro a seguito di concordato fiscale concluso con l'Amministrazione, senza coinvolgere nel procedimento di accertamento con adesione l'acquirente, non ha azione di regresso verso quest'ultimo, il cui diritto postula, ai sensi degli artt. 1299 e 1203, n. 3, c.c., l'adempimento di un'obbligazione del terzo, le cui esistenza ed entità siano divenute certe per fatti o atti giuridici opponibili a questi. La Suprema Corte ha in particolare evidenziato che l'azione di regresso spetta al coobbligato solidale che abbia pagato solo nel caso in cui abbia sostenuto il pagamento di somme certe con obbligo di pagamento gravante su tutti, in relazione alle quali il creditore abbia liberamente scelto di rivolgersi all'uno invece che all'altro obblgato solidale. Essa invece non spetta nel caso in cui il coobbligato, concludendo un accordo con l'Amministrazione, abbia assunto esclusivamente in proprio l'obbligo di pagare una soma seppure allo stesso titolo per il quale esiste l'obbligazione solidale. Ciò in quanto, anche in materia tributaria è applicabile l'ordinaria disciplina delle obbligazioni solidali, sicché, il concordato tributario, cui abbia aderito solo uno dei contribuenti obbligati, non è opponibile a chi non vi abbia partecipato. Trattsi infatti di ipotesi equiparabile al riconoscimento del debito da parte del coobbligato che, a norma dell'art. 1309 c.c., non ha effetto nei riguardi del condebitore che non l'abbia compiuto. Con riferimento all'attuale istituto, come già anticipato, Cass. VI, n. 20305/2017, per quanto concerne, invece, gli effetti processuali, ha escluso l'interese ad agire ai fini dell'impugnazione dell'originario atto impositivo dell'obbligato non partecipante alla procedura di accertamento con adesione. Nella specie la procedura di accertamento con adesine aveva avuto ad oggetto un avviso di rettifica e liquidazione per l'imposta di registro dovuta in forza di compravendita immobiliare alla quale (procedura) aveva partecipato solo uno degli obbligati. L'altro (una s.r.l.) aveva impugnato l'originario atto impositivo, ritenendo di avere interesse a far valere la relativa illegittimità. La Commissione tributaria regionale, confermando la statuizione di primo grado, aveva invece ritenuto che il pagamento dell'intero debito tributario, da parte di uno solo degli obbligati, determinasse l'estinzione della pretesa e la cessazione della materia del contendere con il Fisco; facnedo così venire meno l'interesse alla lite da parte dei non aderenti. La Suprema Corte ha confermato la statuizione di merito muovendo dalle stesse argomentazioni della citata Cass. III, n. 9859/2014, ancorché calate nella sistematica del d.lgs. n. 218. L'art. 1, comma, 2, difatti stabilisce che, per le ipotesi delle altre imposte indirette diverse dall'IVA, l'accertamento può essere definito con adesione anche da uno solo degli obbligati. Il successivo art. 12, comma 4, precisa altresì che al perfezionamento dell'adesione, anche di uno solo degli obbligati, consegue la perdita di efficacia degli avvisi di accertamento relativi alla pretesa tributaria. L'art. 3, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 218, dispone infine che l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnaizone. Premessa la ricostruzione di cui innanzi, il Giudice di legittimità, ha evidenziato che se da un punto di vista processuale un accertamento che risulta già definito anche a favore degli obbigati che non hanno sottoscritto l'adesione, non può essere impugnato, non si ravvisa l'interesse ad agire, concreto ed attuale, da parte dell'obbligato avverso un atto che ha perduto la propria efficacia. Ai sensi dell'art. 1292 c.c., infatti, l'adempimento di uno dei coobbligsti libera gli altri (e nella specie non era stata dimostrata l'esistenza di un pregiudizio attuale e non meramente potenziale). La (ir)rilevanza delle cause ostative (di esclusione e di inammissibilità) della pregressa disciplinaL'accertamento per adesione regolato dall'art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994 non era ammesso nel caso di conoscenza, da parte dell'Ufficio, di elementi, dati e notizie relativi agli illeciti tributari penali di cui agli artt. da 1 a 4 del d.l. 10 luglio 1982, n. 429 (conv. dalla l. 7 agosto 1982, n. 516). Il d.lgs. n. 218, che revisiona l'istituto (come introdotto del 1994), estendendone peraltro l'applicabilità a tutti i contribuenti ed a tutte le categorie reddituali, non ha previsto cause di inammissibilità o di esclusione dal beneficio, avendo peraltro abrogato (con l'art. 17) il citato art. 2-bis, che le prevedeva, nonché disposto, ex art. 2, comma 6, che la nuova disciplina sia applicabile anche alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994. Sicché si è posto il problema dell'operatività, con riferimento all'applicazione del «revisionato» istituto, delle dette cause di esclusione e di inammissibilità, che l'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 richiamava attraverso l'art. 2-bis (ora abrogato) dello medesimo d.l. Nella giurisprudenza di legittimità si è assistito ad un contrasto tale da richiedere un intervento nomofilattico delle Sezioni Unite che hanno argomentato in forza della ricostruzione del quadro normativo dell'istituto e dalla sua ratio, in ragione anche del precedente intervento di Corte cost. n. 452 del 1998. Un primo orientamento, argomentando dai citati artt. 2, comma 6, e 17 del d.lgs. n. 218, alla luce della ratio dell'istituto oltre che dell'estensione della relativa applicabilità operata nel 1997, ha ritenuto non più operative le cause di esclusione e di ammissibilità che l'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 richiamava attraverso l'art. 2-bis (poi abrogato nel 1997) del medesimo d.l. In tal senso si veda, ex plurimis, Cass. V, n. 7161/2002 per la quale il d.lgs. n. 218 ha operato la revisione dell'istituto, come in precedenza disciplinato nel 1994, estendendone l'applicabilità a tutti i contribuenti ed a tutte le categorie reddituali, non prevedendo cause di inammissibilità o di esclusione dal beneficio. Esso ha coerentemente abrogato, ex art. 17, l'art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994, che le detta cause di inammissibilità ed esclusione, e disposto, ex art. 2, comma 6, che la uova disciplina sia applicabile anche alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994. Tali premesse hanno portato a ritenere non più operative le cause di esclusione e di inammissibilità che l'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 richiamava attraverso l'art. 2-bis (successivamente abrogato). In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell'Amministrazione delle Finanze contro la sentenza di merito che aveva annullato l'avviso di accertamento emesso sulla base della revoca, in via di autotutela, della proposta di definizione mediante adesione, per la sussistenza della circostanza ostativa di cui agli artt. 3 e 2-bis del d.l. n. 564 del 1994 (in senso conforme di veda anche Cass. V, n. 8864/2002). Per converso, secondo altra impostazione, ai fini della sussistenza e dell'individuazione dei presupposti per l'applicazione dell'istituto, occorre aver riguardo alla normativa al momento in vigore. Sicché, gli effetti così prodotti e consolidatisi non sono modificabili, in mancanza di espressa previsione contraria, dalla nuova disciplina dell'accertamento con adesione, introdotta dal d.lgs. n. 218, che ha eliminato le limitazioni e le condizioni invece previste dalla previgente disciplina del 1994 (ex plurimis: Cass. V, n. 7666/2003, e Cass. V, n. 10102/2002). Per questa seconda impostazione si veda anche Cass. V, n. 10091/2003 per la quale la causa ostativa dell'accertamento con adesione «a regime», prevista dall'art. 2-bis, comma 2, del convertito d.l. n. 564 del 1994, consistente nella configurabilità dell'obbligo di denuncia all'Autorità giudiziaria per alcuni dei reati previsti dal d.l. n. 429 del 1982, ovvero nella circostanza che, per i medesimi reati, risulti essere stato presentato rapporto dalla Guardia di finanza o avviata l'azione penale, si applica anche all'ipotesi dell'accertamento con adesione per gli anni pregressi, disciplinato dall'art. 3 del citato d.l. n. 564 del 1994, per effetto del richiamo operato da quest'ultimo al citato art. 2-bis. Peraltro, dovendo aver riguardo, ai fini dell'individuazione dei presupposti per l'applicazione del beneficio, alla normativa al momento in vigore, non è applicabile, in mancanza di espressa previsione, la nuova disciplina dell'accertamento con adesione introdotta dall'art. 17 del d.lgs. n. 218. Esso, nell'abrogare il menzionato art. 2-.bis e tutte le altre disposizioni con esso incompatibili, ha difatti eliminato le limitazioni e le condizioni ostative precedentemente previste. Alle argomentazioni di cui innanzi, Cass. V, n. 3932/2002 aggiunge che l'accertamento con adesione (exartt. 2-bis e 3 del d.l. n. 564 del 1994 ed 8 del d.P.R. 13 aprile 1995, n. 177) in forza del quale può essere definita la rettifica delle dichiarazioni delle imposte sul reddito e dell'IVA, si perfeziona con l'adesione del contribuente alla proposta di concordato dell'Ufficio ed il pagamento delle relative somme dovute. Esso non è successivamente revocabile, integrabile o modificabile da parte dello stesso Ufficio. Pertanto è irrilevante che quest'ultimo fosse a conoscenza, già in data anteriore, di elementi, dati e notizie relativi agli illeciti tributari penali ex artt. dall'1 al 4 del d.l. n. 429 del 1982 (circostanza costituente causa ostativa all'ammissibilità della definizione a norma dell'art. 2-bis, comma 2, del d.l. n. 564 del 1994). Una volta effettuata la proposta, cui il contribuente ha aderito effettuando il relativo pagamento, e così perfezionatosi l'accertamento, l'Ufficio non è difatti più legittimato all'esercizio del potere di ritiro. Il primo orientamento è stato avallato delle Sezioni Unite nel 2005 nonché seguito dalla successiva unanime giurisprudenza di legittimità. Cass. S.U. , n. 14697/2005 ha statuito, in estrema sintesi, che nell'ipotesi di sopravvenuta conoscenza da parte dell'Ufficio di una causa ostativa, ex art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994 (richiamato anche dal successivo art. 3), non è possibile la revoca della precedente definizione in quanto si applica la disciplina dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 218, che ha introdotto una causa di esclusione della punibilità per gli stessi reati che, vigente la precedente normativa, costituivano causa ostativa alla definizione. La disciplina dell'accertamento con adesione del contribuente introdotta dal d.lgs. n 218, che ha esteso l'applicabilità dell'istituto – in precedenza regolato dal d.l. n. 564 del 1994 – segnatamente per non aver più previsto cause ostative discendenti da fatti a rilevanza penale, si applica anche alla rettifica delle «dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994», definibili, in base all'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994, con il cd. concordato di massa («accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi»). Per la citata Suprema Corte, ne consegue l'inoperatività delle cause di esclusione o di inammissibilità per fatti a rilevanza penale stabilite dal detto art. 3, attraverso il rinvio al precedente art. 2-bis, abrogato dall'art. 17 del d.lgs. n. 218 del 1997, contestualmente all'introduzione della nuova disciplina. Ciò in quanto l'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 218, nel prevedere l'applicabilità della nuova disciplina, contenuta nei precedenti commi da 1 a 5, «anche in relazione ai periodi d'imposta per i quali era applicabile la definizione ai sensi dell'art. 3» del d.l. n. 564 del 1994, ha inteso riferirsi, secondo l'interpretazione della disposizione seguita dalla Consulta nel 1997, «a tutte le pendenze rientranti nell'indicata categoria, a prescindere dal fatto di essere state o meno definite». Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che una siffatta lettura della disposizione si impone ove si consideri che il d.lgs. n. 218 (con l'art. 2, comma 3, secondo periodo) ha escluso la punibilità per alcuni reati cui si riferivano le cause ostative fissate dall'art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994, espressamente «con effetto retroattivo», in deroga al principio di ultrattività. Nell'iter decisionale che ha condotto all'affermazione del principio che precede, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, in linea generale, qualora fosse dato di prescindere da eventuali «interferenze» della disciplina sopravvenuta con il d.lgs. n. 218, l'accertamento con adesione regolato dal convertito d.l. n. 564 del 1994, anche una volta perfezionato, sarebbe annullabile d'Ufficio nel caso di successiva emersione delle previste cause ostative discendenti da fatti a rilevanza penale. Ciò in forza del necessario coordinamento tra il criterio della «irrevocabilità», proprio di ogni normativa premiale tributaria, ed i principi dell'autotutela. Questi ultimi, in relazione agli atti illegittimi o infondati, già fissati nell'art. 68 del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 287, con la sola preclusione del giudicato, trovano esplicita regolamentazione, «anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità», nell'art. 2-quater del d.l. n. 564 del 1994 (e nel derivato d.m. 11 febbraio 1997, n. 37), nonché nell'art. 2, comma 139, della l. 23 dicembre 1996, n. 662. L'articolo da ultimo citato esplicitamente precisa che la definizione non è impugnabile né integrabile o modificabile dall'Ufficio, «salvo il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria, ove sussistano le condizioni ostative» stabilite. L'iter logico-giuridico di cui innanzi, esplicitamente richiamato anche dalla successiva giurisprudenza di legittimità, dichiaratamente muove dai principi sanciti daCorte cost. n. 456 del 1998 nel dichiarare infondata, con riferimento all'art. 3, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 218, nella parte in cui non prevede che il disposto del precedente comma 3, si applichi anche ai periodi d'imposta già definiti sulla base dell'art. 3 del convertito d.l. n. 564 del 1994 (per la successiva giurisprudenza di legittimità si vedano, ex plurimis: Cass. V, n. 1610/2006; Cass. V, n. 4953/2006; Cass. V, n. 25086/2006; Cass. V, n. 14841/2008, e Cass. V, n. 21973/2009). Per la Consulta, difatti, la disposizione impugnata deve essere interpretata, conformemente ai precetti costituzionali, nel senso che l'effetto estintivo della punibilità (previsto dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218) comprende anche il caso in cui si sia già formulata adesione all'accertamento in base all'art. 3 d.l. n. 564 del 1994. Il d.lgs. n. 218, nel procedere ad una revisione organica dell'istituto dell'accertamento con adesione, ha difatti introdotto una nuova disciplina generale delle modalità per la definizione delle pendenze tributarie, cui si riconnettono anche effetti premiali sul piano penale. Essa argomenta dall'art. 2, comma 3, seconda parte, il quale prevede, poi, sia pure con talune eccezioni, che la definizione esclude, anche con effetto retroattivo, in deroga all'art. 20 della l. n. 4 del 1929, la punibilità per taluni reati previsti dal d.l. n. 429 del 1982, limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento, nonché dal comma 6 del medesimo articolo. In ragione di tale ultima disposizione, difatti, rientrano, nella disciplina di cui ai precedenti commi, anche i periodi d'imposta per i quali era applicabile, tra l'altro, la definizione ai sensi dell'art. 3 del convertito d.l. n. 564 del 1994 (accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi, c.d. «concordato di massa», ai fini delle imposte sul reddito e dell'IVA, nel quadro di una disciplina del concordato relativa alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994). Sempre in merito alla caduta della preclusione penale ma con particolare riferimento alla necessaria verifica degli altri presupposti di legge, Cass. V, n. 676/2007 ha precisato che la revoca del diniego (opposto in presenza di cause ostative di carattere penale) del beneficio previsto dal convertito d.l. n. 564 del 1994, a seguito dell'abrogazione del suo art. 2-bis, che tali preclusioni stabiliva, non comporta, di per sé, ancorché sia stato versato il quantum definitorio, l'accoglimento dell'istanza di accertamento con adesione originariamente avanzata. Una volta accertata da parte dell'Ufficio l'eliminazione dell'ostacolo all'ammissibilità della procedura, rappresentato dalla caduta della preclusione penale, la validità dell'istanza stessa è difatti pur sempre condizionata alla verifica della sussistenza degli altri presupposti di legge, tra i quali sono comprese le modalità di formazione della proposta dell'amministrazione destinata all'adesione del contribuente. Con riferimento al caso concreto poi la Suprema Corte ha evidenziato che nel sistema regolato dal d.l. n. 564 del 1994 (definito dai regolamenti di attuazione dei citati artt. 2-bis e 3), l'adesione, che pure era rimessa alla valutazione di convenienza del contribuente a prescindere dal formale avvio del contraddittorio con l'Ufficio finanziario, richiede pur sempre l'invio all'interessato dell'avviso contenente la proposta di accertamento (alla quale, nella specie, non si era mai pervenuti). Trattasi di un atto di impulso dell'amministrazione non surrogabile dalla mera iniziativa della parte, cui compete l'accettazione a perfezionamento dell'accordo mediante pagamento, ovvero la richiesta di formulazione di una nuova proposta. Sicché, non è configurabile un versamento in autoliquidazione delle maggiori somme dovute con ammissione automatica all'agevolazione in virtù del meccanismo del silenzio accoglimento. L'intervento nomofilattico di Cass.S.U., n. 14697/2005 è stato foriero di dispute dottrinali, con particolare riferimento alla possibilità di un annullamento in autotutela dell'atto di accertamento con adesione ed in ragione dell'invocato necessario coordinamento del principio dell'irrevocabilità, proprio della normativa premiale, con i principi dell'autotutela. Parte della dottrina ne fa discendere l'impossibilità per l'Ufficio di procedere ad un riesame del precedente accertamento, sia pure giustificato in forza della sopravvenuta conoscenza della sussistenza di cause ostative, in ragione della sua natura giuridica di accordo ed in forza dell'assenza della previsione di un tale potere da alcuna norma giuridica (Ardito, 1839 e 1840, per il quale, essendo prevista, dall'art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, solo la possibilità dell'ulteriore accertamento in presenza di situazioni ben determinate, non vi sarebbe spazio per un eventuale riesame unilaterale dell'accertamento in considerazione della sua natura giuridica di accordo – anche se non di contratto – e della non manifesta previsione di tale possibilità). L'immodificabilità dell'accordo, di cui all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218, precisano altri autori, opererebbe in particolare solo nei confronti dell'Amministrazione finanziaria nelle ipotesi di modificazioni o integrazioni sfavorevoli al contribuente, non potendosi accettare invece nei casi in cui la sopravvenuta esistenza di altri fatti ed elementi modifichi in minus l'entità dell'accordo già intervenuto e perfezionatosi attraverso il versamento dell'imposta (Quadraro-Quadraro, 1099). Le tesi di cui innanzi sono criticate da altro orientamento, previa analisi dottrinale delle ipotesi di invalidità dell'atto di accertamento con adesione ed argomentando dalla sua ritenuta (ancorché controversa) natura di atto unilaterale di imposizione (e non di atto negoziale). In particolare si argomenta anche concordando nel leggere la relazione tra l'avviso di accertamento e l'atto di adesione in termini di riesame libero da parte dell'Ufficio degli elementi che hanno portato all'accertamento, il quale si conclude con un accordo formale tra contribuente ed Amministrazione (Antico, 2006, 1497; per il riferimento alla relazione tra avviso di accertamento ed atto di adesione in termini di «riesame libero» da parte dell'ufficio, si veda Quadraro-Quadraro, 1099). In particolare, i sostenitori di tale ultima tesi, con riferimento al problema dell'autotutela di cui innanzi, muovono dal principio dell'intangibilità dell'atto di adesione redatto, ex art. 2, comma 3 del d.lgs. n. 218, ferma restando la possibilità dell'ulteriore azione accertatrice nelle ipotesi di cui al successivo comma 4. Alle dette considerazioni si perviene aderendo alla dottrina per la quale l'efficacia preclusiva, più che un effetto, è un logico corollario del concorde riconoscimento, da parte dell'Ufficio e del contribuente, dell'esattezza dell'accertamento, con conseguente assenza di interesse ad agire sia in capo sia all'uno (con riguardo ad una ipotetica fase contenziosa di grado successivo al primo) che all'altro. Ciò pur concordando con la dottrina per la quale l'atto di accertamento con adesione, come qualsiasi atto conclusivo di un procedimento amministrativo, possa risultare viziato da patologie che, traducendosi in varie forme di invalidità, lo privano dell'efficacia (per la tesi dell'effetto preclusivo quale logico corollario nei termini di cui innanzi, oltre che per i rilievi circa l'impugnabilità dell'atto di accertamento con adesione, si veda Magistro-fanelli, 236 e 276, ove si riconosce la possibilità di una impugnazione dell'atto se affetto da vizi causa di nullità o di annullabilità). La dottrina in esame prende in considerazione le patologi di rilievo tali da essere causa di nullità-inesistenza dell'atto e da far si che il contribuente abbia diritto ad ottenere il rimborso di quanto versato per la (presunta) definizione. Il riferimento è alla carenza di potere dell'Autorità amministrativa o all'illegittimità dell'atto conclusivo della procedura, per vizi di motivazione o forma o sottoscrizione, o per vizi relativi al procedimento di formazione.. L'Amministrazione finanziaria, dal canto suo, potrà continuare a perseguire la pretesa erariale secondo le ordinarie forme sancite dalla legge. Tali conseguenze sono ritenute condivisibili in quanto caratterizzate da profili di equità e di giusto equilibrio fra l'interesse del contribuente e quello dell'Amministrazione, in quanto se è possibile modificare l'atto, ciò vale sia per il contribuente che per l'Amministrzione pubblica. Per converso, sono sembrate invece troppo sbilanciate quelle tesi volte ad affermare che, al di là delle ipotesi già individuate dal legislatore, gli elementi sopravvenuti possano giocare solo se modifichino in minus l'entità dell'imposta concordata. Sicché, ritenendo che nell'ipotesi di inesistenza dell'obbligazione tributaria sussista il diritto al rimborso di quanto pagato, dovrebbe necessariamente ritenersi che nell'ipotesi opposta di esistenza di un'obbligazione tributaria ma di atto di accertamento con adesione e sopravvenuta individuazione di rilievi non posti a tassazione, l'Ufficio possa revocare in autotutela e integrare l'atto. Pur essendo vero che eventuali profili di illegittimità dell'attività di accertamento non possono più essere presi successivamente in considerazione, una volta perfezionato l'atto di adesione, in quanto gli atti precedenti perdono efficacia, così come non possono essere sottoposti a nuove valutazioni i rilievi concordati, nel caso di cui innanzi (rilievi non posti a tassazione), l'atto di adesione è viziato Ciò in quanto (con riferimento alla fattispecie concreta) non sono stati posti a tassazione dei rilievi che, sulla base della stessa indicazione in dichiarazione della società andavano tassati. Della ricostruzione di cui innanzii sostenitori dell'orientamento in esame ricavano ulteriori rilievi (Antico, 2006, 1497). La presa d'atto che nelle ipotesi di invalidità dell'atto definitorio occorre, secondo i principi generali del diritto amministrativo, porre rimedio all'atto illegittimo, deve essere ambivalente, cioè operare sia ad istanza del contribuente interessato, sia per interesse dell'Amministrazione finanziaria, con riduzione in pristino della situazione di debenza da parte del contribuente sottoposto a controllo. L'esercitabilità del potere di autoannullamento dell'atto di adesione costituisce difatti una vera e propria autotutela, con ritiro dell'atto illegittimo, conformemente ai principi generali del diritto amministrativo e della giurisprudenza amministrativa. Così si confuta l'assunto dottrinale per il quale, essendo prevista, dall'art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, solo la possibilità dell'ulteriore accertamento in presenza di situazioni ben determinate, non vi sarebbe spazio per un eventuale riesame unilaterale dell'accertamento in considerazione della sua natura giuridica di accordo e della non manifesta previsione di tale possibilità. Seguendo tale ultima tesi, per la dottrina in argomento, difatti, non si contempererebbero l'interesse del contribuente con quello pubblico dell'Amministrazione finanziaria che invece devono stare alla base dell'azione amministrativa. Superati, attraverso lo strumento dell'autotutela, i limiti relativi ai diritti soggettivi sorti per effetto dell'atto di adesione redatto, l'unico ostacolo alla revoca, per la tesi in argomento, potrebbe invece essere rappresentato dall'avvenuta scadenza dei termini decadenziali per poter far valere le proprie ragioni. Fermo restando che «se si dovesse verificare qualche situazione anomala questa sarebbe comunque eccezionale confermando il principio generale» di definitività dell'atto di adesione (Antico, 2006, 1497, per il virgolettato di cui nel testo lo stesso autore da ultimo citato fa riferimento a Capolupo, 2002, 1242, mentre, per la giurisprudenza in tema di immodificabilità, il rinvio è a Cass. n. 18962/2005, per la quale l'accettazione dell'imponibile in adesione comporta la rinuncia a precedenti istanze di rimborso, dal momento che eventuali rimborsi altererebbero la misura della base imponibile concordata fra le parti, i giudici affermano, infatti, che «da parte del contribuente il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai rimesso in discussione»; in merito all'immodificabilità del reddito definito con adesione si veda anche Righi, 2006, passim; circa i rapporti tra atto di accertamento con adesione e potere di autotutela si vedano anche: Antico, 2004, 3340, e Magistro-fanelli, 276, utile anche per l'esame completo dell'invalidità dell'accertamento con adesione; in merito alle distinte ipotesi che legittimano un accertamento integrativo ex art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, si vedano: Antico, 2002, 7, 966, e Antico, 2002, 19, 2968). Autorevole dottrina non ammette un potere di annullamento in autotutela muovendo dalla natura contrattuale, in particolare transattiva, dell'accertamento con adesione, pur ammettendone in determinati casi la possibilità di farne valere la nullità. Si evidenzia in particolare che l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218 prevede che l'accertamento con adesione non possa essere integrato o modificato dall'Amministrazione, se non nelle ipotesi tassative nelle quali è possibile l'esercizio dell'«ulteriore azione accertatrice» (comma 4). Può però accadere che venga in essere un accertamento con adesione viziato. Oltre alle ipotesi di incompetenza e di definizione per anni futuri, si fa in particolare riferimento al caso in cui la stipulazione dell'atto consegua ad un illecito, ossia alla corruzione del pubblico dipendente per compiere un atto contrario ai doveri del proprio Ufficio. Si tratta di ipotesi che danno luogo, per la tesi in esame, a nullità assoluta dell'atto, rispettivamente, per mancanza del consenso, per illiceità o impossibilità dell'oggetto o per illiceità dei motivi (art. 1418, comma 2, c.c. anche in relazione all'art. 1345 c.c.). In tali casi, l'Amministrazione non potrà dichiarare unilateralmente la nullità dell'atto bilaterale, usufruendo di un potere di autotutela, ma potrà, puramente e semplicemente, non tenere conto dell'atto medesimo e così, se ed in quanto sia ancora nei termini per notificare un avviso di accertamento o di rettifica, porre in essere appunto un nuovo accertamento.In sede di eventuale impugnazione da parte del contribuente, che invochi l'intervenuta definizione con adesione, l'amministrazione potrà poi farne valere la nullità davanti al giudice tributario (Batistoni Ferrara, 31 e 32). L'effetto della non impugnabilità ed i imiti al principio dell’intangibilità della pretesa erariale, le successive istanze di rimborso e la rilevanza dell'erroreLa ratio deflattiva di prevenzione del contenzioso implica, ex artt. 2, comma 3, e 3, comma 4, d.lgs. n. 218, rispettivamente per le imposte dirette e per l'IVA e per le altre imposte indirette, che l'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio. In forza del citato comma 3, esso non rileva ai fini dell'imposta comunale per l'esercizio di imprese e di arti e professioni, nonché ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi previdenziali ed assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi. Fatto salvo, per le sole ipotesi di cui al comma 4 del citato art. 2 inerenti le imposte sui redditi e l'IVA, l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice da parte dell'Ufficio. La definizione dell'accertamento con adesione su istanza del contribuente ai sensi del d.lgs. n. 218/1997 determina la intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, sicché risulta normativamente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l'atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l'obbligazione scaturente dal concordato. In applicazione del principio Cass. VI, n. 20577/2019 ha annullato la decisione impugnata che, in un giudizio avente ad oggetto ricorso avverso una cartella di pagamento scaturente da verbale di accertamento con adesione proposto da socio accomandante di una s.a.s., aveva omesso di valutare la rilevanza dell'intervenuta adesione all'accertamento da parte del socio ricorrente. Nel senso dell'evidenziata intangibilità della pretesa erariale è la concorde giurisprudenza di legittimità (si vedano, ex plurimis, anche Cass. V, n. 13129/2018, e Cass. V, n. 10086/2009) ma Cass. VI-V, n. 4566/2020 ha chiarito che, fermo il principio generale in virtù del quale la definizione dell'accertamento con adesione (nella specie, su istanza del contribuente) determina l'intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, con la conseguente inammissibilità del ricorso volto a contestare il relativo atto, deve tuttavia ammettersi l'impugnabilità dell'atto di definizione quando non vi sia corrispondenza tra gli importi in esso contenuti e quelli indicati nel processo verbale di contestazione al quale egli aveva aderito, atteso che, diversamente, verrebbero limitati i diritti del contribuente sanciti dall'art. 24 Cost., tenuto conto peraltro, che l'art. 19 del d. lgs. n. 546 del 1992 si deve interpretare estensivamente, identificandosi tra gli atti impugnabili tutti quelli che, a prescindere dal loro nome, avanzino una pretesa tributaria nei confronti del contribuente. In tema di adesione al verbale di constatazione, peraltro, qualora questo presenti dei contenuti eterogenei, indicando sia contestazioni di carattere sostanziale sia profili che attengono ad un'eventuale attività istruttoria di accertamento, l'adesione del contribuente al contenuto integrale del verbale va riferita solo alla parte di esso che può dare luogo ad un accertamento parziale e, dunque, alla richiesta di una maggiore imposta, con la conseguenza che con l'impugnazione dell'atto di definizione dell'accertamento parziale può essere fatta valere solo la mancata corrispondenza tra la maggiore imposta dovuta, secondo quanto emerge nel processo verbale di constatazione, e l'importo indicato nell'atto di definizione. Così statuendo, Cass. V, n. 29036/2021, ha negato che la possibilità di impugnare l'atto di definizione con riguardo alla circostanza che, avendo il contribuente indicato dei costi nel processo verbale di constatazione, di questi si sarebbe dovuto tenere conto ai fini della complessiva pretesa da fare valere con l'atto impositivo finale. Nella stessa scia interpretativa si pone Cass. sez. V, n. 26109/2020 per la quale l'accertamento con adesione da parte dell'ex socio e liquidatore di società di capitali già estinta e cancellata dal registro delle imprese in epoca anteriore all'emanazione dell'atto impositivo è valido ed efficace nonché tale da determinare l'intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato tra le parti, risultando conseguentemente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare tale accordo o l'atto impositivo oggetto della «transazione» , il quale conserva efficacia ma solo a garanzia del Fisco, fino all'integrale pagamento dell'obbligazione scaturente dal « concordato ». Per essa, peraltro, in tema di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poiché avverso l'accertamento definito per adesione è preclusa ogni forma d'impugnazione, devono ritenersi improponibili anche le istanze di rimborso in quanto costituirebbero una surrettizia forma d'impugnazione dell'accertamento in questione il quale, invece, in conformità della ratio dell'istituto, deve ritenersi intangibile. Sempre in merito ai rapporti tra accertamento con adesione e rimborso, Cass. sez. V, n. 35879/2020, ha chiarito che tema di contenzioso tributario, ove il contribuente abbia aderito alla definizione dell'accertamento con adesione ex artt. 2 e ss. d.lgs. n. 218 del 1997, la preclusione del diritto al rimborso delle somme versate a tale titolo è questione di ordine pubblico, rilevabile d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo, senza che occorra una specifica deduzione della parte interessata a farla valere. Già Cass. sez. V, n. 23224 del 2022 aveva evidenziato che l'accertamento definito con adesione non è suscettibile di impugnazione, né risulta integrabile o modificabile da parte dell'ufficio, in considerazione della "ratio legis" sottesa all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218 del 1997, volta a pervenire alla intangibilità dell'accordo, conformemente alla finalità dell'istituto connotata, a fronte dell'effetto premiale per il contribuente, dall'interesse pubblico all'immediata acquisizione delle somme risultanti dall'accordo; ne deriva che, una volta che dette somme siano state versate, esse non possono più essere messe in discussione, con l'ulteriore effetto della deflazione del contenzioso. Il perfezionamento dell'atto di adesione comporta, in via generale, la definizione dei rapporti di imposta che hanno formato oggetto del procedimento, con conseguente definitività dell'accertamento con adesione (Circ. Min. fin. 8 agosto 1997, n. 235/E). Premesso quanto innanzi, deve chiedersi se, una volta che l'accertamento sia stato definito con adesione e la definizione sia stata perfezionata con il versamento delle somme dovute, ai sensi degli artt. 8 e 9 del d.lgs. n. 218, il contribuente conservi la facoltà di proporre istanza di rimborso di quanto, a suo avviso, versato in eccesso in forza di errore che, ex art. 1427 c.c., avrebbe viziato la volontà manifestata con l'istanza di adesione e la successiva sottoscrizione dell'atto. La giurisprudenza di legittimità fornisce concorde risposta negativa, rilevando che la prevista non impugnabilità, per qualsiasi causa, dell'accertamento definitivo con adesione implica l'improponibilità di istanze di rimborso (inerenti l'annualità definita) di quanto versato a perfezionamento dell'accordo. Esse difatti costituirebbero una surrettizia forma di impugnazione dell'accertamento con adesione che, invece, deve ritenersi intangibile. Ciò in conformità alla ratio dell'istituto, connotata, a fronte dell'effetto premiale per il contribuente, dall'interesse pubblico all'immediata acquisizione delle somme risultanti dall'accordo, le quali, una volta versate, non possono più essere messe in discussione attraverso richieste di rimborso, con l'ulteriore effetto della deflazione del contenzioso (in tal senso si vedano, ex plurimis: Cass. V, n. 19220/2012; Cass. V, n. 29587/2011; Cass. V, n. 20723/2010, con riferimento all'imposta di registro ed all'INVIM; Cass. V, n. 10086/2009; Cass. V, n. 18962/2005, con riferimento ad IRPEG ed ILOR, per la quale il reddito definito con adesione non può successivamente essere mai rimesso in discussione, in forza dell'impossibilità di alterazione della misura della base imponibile concordata tra le parti, non potendo quindi essere formulate istanze di rimborso afferenti l'annualità definita). Tale orientamento è di recente ribadito da Cass . V, n. 13129/2018, non essendo l'accertamento con adesione soggetto ad impugnazione, in forza dei citati artt. 2 e 3. Il fatto che sia preclusa ogni impugnazione, per ogni causa, in particolare, necessariamente comporta l'ovvia conseguenza dell'improponibilità di istanze di rimborso di quanto versato a perfezionamento dell'accordo, le quali non costituirebbero altro che una surrettizia forma di impugnazione di quest'ultimo, che deve ritenersi intangibile, in conformità alla ratio dell'istituto, connotata, a fronte dell'effetto premiale per il contribuente, dall'interesse pubblico all'immediata acquisizione delle somme risultanti dall'accordo. Con le dette istanza si finirebbe difatti con il mette in discussione la sussistenza o la misura dell'obbligazione fiscale interessata dall'intervenuta adesione, laddove le relative somme, una volta versate, non possono più essere messe in discussione attraverso richieste di rimborso, con l'ulteriore effetto della deflazione del contenzioso. Per la giurisprudenza di merito si veda, ex plurimis, Comm. trib. reg. Firenze 18 luglio 2005, n. 29. Per essa l'impossibilità di impugnazioni, integrazioni e modificazioni dell'accertamento con adesione implica l'irrilevanza dell'asserito errore sul valore dell'immobile acquistato, che avrebbe viziato la volontà del contribuente nell'addivenire alla definizione dell'accertamento e che quindi era stato posto a base dell'istanza di rimborso. In senso conforme anche Comm. trib. prov. Milano 5 ottobre 2015, n. 7915, per la quale la sottoscrizione dell'atto di adesione preclude al contribuente l'impugnazione dell'atto impositivo in quanto l'atto di adesione ha natura di transazione conservativa che si sostituisce all'accertamento originariamente emesso. Il pagamento avrebbe quindi una valenza meramente esecutiva mentre le norme che lo regolano non autorizzano rinunzie o ripensamenti dopo la conclusione dell'accordo e non prevedono la revocabilità, anzi ne sanciscono espressamente la non modificabilità. Sicché, firmato il concordato, il ricorso contro l'avviso di accertamento è inammissibile (in senso contrario invece, ancorché antecedentemente all'orientamento di legittimità di cui innanzi, si veda Comm. trib. reg. Ancona 12 febbraio 2003, n. 1). Questo orientamento è stato di recente ribadito da Cass. V, n. 5138/2016 in un caso nel quale, all'esito del perfezionamento della procedura di accertamento con adesione, mediante pagamento delle prime due rate, il contribuente aveva sospeso il pagamento delle altre rate (poi onorate dal fideiussore) ritenendo che vi fosse un errore nella relativa procedura dovuto, a suo dire, all'applicazione di un'aliquota superiore a quella effettivamente applicabile. Su tali presupposti, il contribuente prima aveva avanzato, inutilmente, istanza di rimborso per la differenza e poi aveva impugnato il silenzio rifiuto, con ricorso rigettato dalla Commissione tributaria provinciale. Il Giudice di appello aveva invece dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo, ritenendo l'istanza di rimborso tardiva perché presentata dopo il perfezionamento dell'atto di adesione dal quale decorre il termine biennale previsto dall'art. 21 del d.lgs. 546/1992 (ai sensi del quale la domanda di restituzione non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto perla restituzione). La Suprema Corte ha concordato con la decisione ritenendo che, effettivamente, nella specie, l'istanza di rimborso fosse avvenuta prima dell'effettivo versamento della somma richiesta in restituzione, con conseguente inammissibilità. Essa, però, per quanto maggiormente rileva ai presenti fini, ha aggiunto che, comunque, sotto altro profilo, l'accordo fiscale si era concluso regolarmente. Sicché, l'accertamento definito con adesione era divenuto intoccabile, tanto da parte del contribuente, che non avrebbe quindi potuto impugnarlo, quanto da parte dell'Ufficio, che non avrebbe potuto integrarlo o modificarlo, come previsto dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218, salve le eccezioni di cui al successivo comma 4. Con il perfezionamento della definizione concordata, ottenuta mediante il versamento all'erario della prima rata e la prestazione della garanzia per le successive rate (nella specie ancora normativamente prevista), l'atto impositivo aveva altresì perso la sua efficacia (artt. 8 e 9, in relazione all'art. 6, comma 4, ultima parte, del d.lgs. n. 218). Ne consegue, per la Suprema Corte, che, una volta definito l'accertamento con adesione, mediante la fissazione anche del quantum debeatur , alla parte contribuente non resta che eseguire l'accordo, versando quanto da esso risulta, essendo, per legge, esclusa la possibilità di impugnazione dell'accordo stesso (la stessa sentenza fa riferimento, quali precedenti, a Cass. V, n. 18962/2005, e Cass. V, n. 10086/2009, nonché, tramite argomentazioni a contrariis, a Cass. V, n. 15170/2006). Resta dunque esclusa ogni possibilità di ripensamento del contribuente dopo la definizione del contesto tributario mediante adesione, in qualsiasi forma esso sia manifestato, ivi compresa la proposizione al fisco di una domanda di restituzione di somme. In merito all'impugnabilità dell'atto di accertamento con adesione la dottrina ne sostiene l'ammissibilità, entro differenti limiti e variamente argomentando, ancorché spesso muovendo da premesse diametralmente opposte circa la natura dell'atto stesso (negoziale o provvedimentale, unilaterale o bilaterale). In dottrina si evidenzia che con riferimento alla normativa previgente la dottrina maggioritaria, che qualificava il vecchio concordato alla stregua di provvedimento unilaterale, reputava che esso fosse soggetto alle regole proprie dell'impugnazione di ogni altro atto di accertamento o rettifica. I sostenitori della natura contrattuale (e transattiva), per converso, si attenevano alle regole dettate dal codice civile per l'impugnazione della transazione, escludendo, in particolare, la possibilità di far valere errori di diritto. La giurisprudenza, a sua volta, pur adottando dichiaratamente l'impostazione seguita dalla dottrina maggioritaria, non seguiva un orientamento rigoroso e finiva sovente per motivare ed ispirare le proprie decisioni a principi riconducibili piuttosto all'inquadramento contrattuale che non alla dichiarata adozione della qualificazione provvedi mentale (Batistoni Ferrara, 31 e 32). L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218 stabilisce che «l'accertamento con adesione non è soggetto ad impugnazione», ma è subito evidente che tale categorica previsione non può essere presa alla lettera, se si pensa alla possibilità che l'atto sia privo dei requisiti idonei a ricondurlo al contribuente o all'amministrazione ovvero abbia un oggetto impossibile. È il caso, per esempio, di un atto non sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un suo delegato oppure non sottoscritto dal contribuente o da un suo rappresentante (la possibilità che il contribuente si possa far rappresentare la si argomenta dall'art. 63 d.P.R. del 29 settembre 1973 n. 600). È altresì il caso dell'atto che assuma ad oggetto la definizione dell'imponibile per anni futuri. In tali ipotesi è del tutto evidente come non sia possibile escludere l'impugnazione o comunque la possibilità di rilevare l'invalidità dell'accertamento. Ciò premesso, ed in relazione alla qualificazione transattiva del nuovo accertamento con adesione, si dovrà ritenere, per la dottrina in esame, che l'impugnazione possa essere proposta dal contribuente anche per motivi che legittimano l'impugnazione di un contratto secondo le previsioni del codice civile. Ferma restando, tuttavia, la giurisdizione delle Commissioni tributarie, avuto riguardo al fatto che ci si trova di fronte ad un atto di accertamento del tributo, seppur di natura contrattuale e non unilaterale, al quale si può pertanto riferire la previsione dell'art. 19, comma 1, lett. a) del d.lgs. n. 546 del 1992 (Batistoni Ferrara, 31 e 32, il quale precisa che anche se si propendesse per la natura di provvedimento unilaterale l'impugnazione dovrebbe essere proposta ugualmente davanti alle Commissioni tributarie pur non potendosi rilevare, come tali, gli eventuali vizi della volontà, ma soltanto, a parte le valutazioni inerenti alla competenza e all'oggetto del provvedimento, quelli che potrebbero tradursi in «eccesso di potere»). La stessa autorevole dottrina evidenzia però che le considerazioni che precedono risultano peraltro vanificate, pressoché per intero, dal fatto che l'atto di accertamento con adesione si inserisce come componente in una più ampia fattispecie comprendente l'adempimento delle obbligazioni da esso risultanti. Il contribuente, infatti, non ha alcuna necessità di impugnare potendo impedire la produzione dei suoi effetti con il solo non darvi esecuzione. Interesse ad impugnare potrebbe sussistere solo in ipotesi estremamente marginali (per esempio, riconoscimento della falsità di documenti in base ai quali si è giunti alla transazione ex art. 1793 c.c.). Lo stesso citato art. 2, comma 3, prevede che l'accertamento con adesione non possa essere integrato o modificato dall'Amministrazione, se non nelle ipotesi tassative nelle quali è possibile l'esercizio dell'«ulteriore azione accertatrice» (comma 4). Può però accadere che venga in essere un accertamento con adesione viziato. Oltre alle ipotesi di incompetenza e di definizione per anni futuri, si fa riferimento al caso in cui la stipulazione dell'atto consegua ad un illecito, ossia alla corruzione del pubblico dipendente per compiere un atto contrario ai doveri del proprio ufficio. Si tratta di ipotesi che danno luogo, per la tesi in esame, a nullità assoluta dell'atto, rispettivamente, per mancanza del consenso, per illiceità o impossibilità dell'oggetto o per illiceità dei motivi (art. 1418, comma 2, c.c. anche in relazione all'art. 1345 c.c.). In tali casi, l'Amministrazione non potrà dichiarare unilateralmente la nullità dell'atto bilaterale usufruendo di un potere di autotutela, ma potrà, puramente e semplicemente, non tenere conto dell'atto medesimo e così, se ed in quanto sia ancora nei termini per notificare un avviso di accertamento o di rettifica, porre in essere appunto un nuovo accertamento. In sede di eventuale impugnazione da parte del contribuente che invochi l'intervenuta definizione con adesione, l'amministrazione potrà poi farne valere la nullità davanti al giudice tributario (Batistoni Ferrara, 31 e 32). La tesi dell'impugnabilità dell'atto di accertamento con adesione è propugnata anche da chi non ne riconosce natura transattiva bensì di atto conclusivo di un procedimento amministrativo che, pertanto, al pari degli altri atti conclusivi di un procedimento amministrativo, può essere viziato da patologie le quali, traducendosi in varie forme di invalidità, lo privano dell'efficacia (per l'analisi dottrinale circa le ipotesi di invalidità dell'atto di accertamento con adesione alla stregua di atto conclusivo di un procedimento amministrativo si veda Magistro-fanelli, 276). Tra tali patologie i sostenitori della tesi in argomento annoverano, in primo luogo, quella che definiscono come nullità o inesistenza dell'atto, che si collega alla carenza di potere dell'Autorità amministrativa che lo ha emesso. Trattasi di una situazione (marginale) che si verifica qualora l'atto venga emesso senza che vi sia alcuna norma che legittimi l'emanazione e potrebbe ricorrere nel caso in cui la definizione mediante accertamento con adesione presenti, quale oggetto esclusivo, attività degli Uffici per le quali la stessa non è ammessa ai sensi del d.lgs. n. 218 (ad esempio il caso della rettifica della dichiarazione del redditi a norma dell'art. 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973). In tale caso l'atto, in quanto inesistente, è del tutto inefficace. Il contribuente ha quindi diritto ad ottenere il rimborso di quanto versato per la (presunta) definizione, mentre l'Amministrazione finanziaria può continuare a perseguire la pretesa erariale secondo le ordinarie forme sancite dalla legge. Altre patologie possono invece attenere ai profili di illegittimità dell'atto conclusivo della procedura concordataria, con riguardo: tanto agli elementi costitutivi dell'atto (motivazione, sottoscrizione, forma scritta); quanto al relativo procedimento di formazione. Tale dottrina fa riferimento, tra le varie ipotesi, anche al vizio dell'incompetenza dell'organo pubblico che procede alla definizione dell'atto oltre che all'adesione sottoscritta da un soggetto non formalmente legittimato alla violazione della normativa (Magistro-Fanelli, 236 e 276, per i quali l'efficacia preclusiva dell'accertamento perfezionato, più che un effetto, è un logico corollario del fatto che l'Ufficio ed il contribuente hanno concordemente riconosciuto l'esattezza dell'accertamento e che, quindi, sia per l'uno – con riguardo ad una ipotetica fase contenziosa di grado successivo al primo – che per l'altro mancherebbe qualsiasi interesse ad agire, pur riconoscendo la possibilità di impugnare l'atto, ove lo stesso risulti affetto da vizi che ne producono la nullità o l'annullabilità; la dottrina di cui innanzi, in tema di impugnabilità dell'atto di accertamento con adesione, è altresì esplicitamente condivisa da chi riconosce all'accertamento con adesione la natura di atto unilaterale di imposizione, caratterizzato dell'adesione del contribuente alla quantificazione dell'imponibile operata dall'ufficio impositore, tra i quali si veda Antico, 2016,1479 e 1480, Antico, 2006, 1497; Antico, 2005, 199; Antico, 2004, 3340). (Ulteriori) Effetti dell'accertamento con adesioneAlla ratiodi prevenzione del contenzioso (quindi con evidente funzione deflattiva) si riconnettono oltre che la riduzione ad un terzo delle sanzioni (artt. 2, comma 5, e 3, comma 3, del d.lgs. n. 218) anche effetti sul piano penale (art. 2, comma 3, seconda parte, del citato decreto). Proprio ad essa fa riferimento, a più riprese, la Consulta per dichiarare infondate o manifestamente infondate diverse questioni di legittimità costituzionale della disciplina di cui al d.lgs. n. 218. Nel procedere ad una revisione organica dell'istituto dell'accertamento con adesione, difatti, il d.lgs. n. 218 ha introdotto una nuova disciplina generale delle modalità per la definizione delle pendenze tributarie, cui si riconnettono anche effetti premiali sul piano penale. L'art. 2, comma 3, seconda parte, del d.lgs. n. 218 in particolare prevede che la definizione esclude, anche con effetto retroattivo in deroga all'art. 20 della l. 7 gennaio 1929, n. 4, la punibilità per i reati previsti dal d.l. n. 429 del 1982 (conv., con modif., dalla l. n. 516 del 1982), limitatamente ai fatti oggetto dell'accertamento (ancorché ad esclusione dei reati di cui agli artt. 2, comma 3, e 4 del citato d.l.). Il successivo comma 6 del medesimo articolo 2 precisa, a sua volta, che rientrano, nella disciplina di cui ai precedenti commi, anche i periodi d'imposta per i quali era applicabile, tra l'altro, la definizione ai sensi dell'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994 (accertamento con adesione del contribuente per anni pregressi, c.d. «concordato di massa», ai fini delle imposte sul reddito e dell'IVA, nel quadro di una disciplina del concordato relativa alle dichiarazioni presentate entro il 30 settembre 1994). Si è posto in giurisprudenza il problema, sfociato in questione di legittimità costituzionale, dell'operatività dei detti effetti premiali sul piano penale anche nel caso in cui, alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 218, si sia già formulata adesione all'accertamento, in base all'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994, e non solo ai casi nei quali la detta adesione sia formulabile, sempre ai sensi dell'art. 3 da ultimo citato, ancorché non ancora formulata. In particolare Corte cost., n. 452/1998, previa interpretazione conforme a costituzione della disposizione impugnata, ha ritenuto non fondata, con riferimento all'art. 3, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 218, nella parte in cui non prevede che il disposto dell'art. 2, comma 3, di tale decreto si applichi anche ai periodi d'imposta già definiti sulla base dell'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994. In particolare la Consulta ha statuito che la disposizione impugnata debba essere interpretata, conformemente ai precetti costituzionali, nel senso che l'effetto estintivo della punibilità, previsto dal citato art. 2, comma 3, comprende anche il caso in cui si sia già formulata adesione all'accertamento, in base all'art. 3 del d.l. n. 564 del 1994, e non solo ai casi nei quali la detta adesione sia formulabile, sempre ai sensi dell'art. 3 da ultimo citato, ancorché non ancora formulata (il Giudice delle leggi in particolare argomenta anche ripercorrendo il quadro normativo di riferimento ed evidenziando l'intervenuta revisione organica dell'istituto dell'accertamento con adesione, introdotto con il citato d.l. n. 564 del 1994, nonché muovendo dalla più volte evidenziata ratio dell'istituto; per essa, nel senso di prevenzione del contenzioso, si veda, anche Corte cost., n. 140/2011). Effetti della definizione con adesione e l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice.Per le sole ipotesi di cui al comma 4 dell'art. 2 del d.lgs. n. 218, inerenti dunque le imposte sui redditi e l'IVA, l'accertamento definito con adesione non preclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice da parte dell'Ufficio, nonostante non soggetto ad impugnazione e non integrabile o modificabile da parte dell'Ufficio. Ciò, comunque, sempre nel rispetto dei termini previsti dall'art. 43 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, relativo all'accertamento delle imposte sui redditi, e dall'art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, riguardante l'imposta sul valore aggiunto. Di fronte all'impossibilità di messa in discussione dell'accertamento con adesione da parte del contribuente resta quindi ammissibile l'ulteriore azione accertatrice dell'amministrazione finanziaria, anche in relazione alla medesima annualità definita, alle specifiche condizioni (alternative) di cui alle lettere a), b), c) e d) del citato comma 4. In particolare ciò e legittimo: a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore ad euro 77.468,53; b) se la definizione riguarda accertamenti parziali; c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell'art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U. delle imposte sui redditi), ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria; d) se l'azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell'azienda coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione. Cass. VI-V, n. 1542/2018, ricostruita la relativa disciplina, chiarisce che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza consente l’integrazione o la modificazione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, anche quelli noti ad un ufficio fiscale ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario né l’art. 22 del medesimo decreto, che pone solo un dovere di reciproca collaborazione tra uffici finanziari e Guardia di finanza, né la circostanza che sia stato effettuato un primo accertamento parziale, in ragione tanto della finalità della detta tipologia di accertamento quanto della disciplina di cui al d.lgs. n. 218/1997. L’accertamento parziale ex art. 41-bis del d.P.R. n. 600/1973 (ed art. 54 del d.P.R. n. 633/1972), è solo uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza, a qualsiasi titolo, di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di valutazioni ulteriori rispetto al mero recepimento del contenuto della segnalazione rispetto al mero recepimento del contenuto della segnalazione ricevuta dall’Ufficio procedente. A ciò la citata ordinanza aggiunge la circostanza per la quale, proprio ex art. 2, comma 4, lett. b), del d.lgs. n. 218/1997, tale tipologia di accertamento (cioè quello parziale) non preclude l’ulteriore azione accertatrice anche ove definito con adesione. La finalità delle disposizioni di cui all'art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, inerenti l'ulteriore azione accertatrice, è quella di contemperare, da un lato, la legittima esigenza dei contribuenti di avere certezze in ordine alla possibilità di chiudere definitivamente la propria posizione fiscale per un determinato periodo d'imposta e, dall'altro, l'interesse pubblico a recuperare a tassazione rilevanti evasioni d'imposta, non emerse al momento della redazione dell'atto di adesione (si veda, per tutti, Antico, 2016, 1479 e 1480; in merito alle distinte ipotesi che legittimano un accertamento integrativo ex art. 2, comma 4, del d.lgs. n. 218, si vedano Antico, 2002, 7, 966 e Antico, 2002, 19, 2968). Con particolare riferimento ai rapporti tra l'ulteriore azione accertatrice in esame e gli effetti processuali in merito all'impugnazione della successiva cartella esattoriale è stato evidenziato che la soglia minima di cui alla precedente letteraa) costituisce preclusione all'azione accertatrice, in sé e per sé considerata. Con la conseguenza che la sopravvenienza di elementi, ove non tale da sostenere un maggior reddito soprasoglia, costituisce ragione preclusiva dell'accertamento ma non della riscossione. Sicché, la soglia minima fa parte del deducibile nel giudizio avverso l'atto impositivo notificato dopo la definizione dell'accertamento con adesione (all'esito dell'ulteriore azione accertatrice) e, se non dedotto nella sede propria dell'impugnazione contro l'avviso di accertamento, non può essere dedotto in sede di impugnazione della cartella esattoriale neanche ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non costituendo l'eventuale violazione un vizio proprio della cartella ma dell'atto di accertamento, nel quale è culminato il procedimento avviato dall'ulteriore aziona accertatrice (Cass. V, n. 11982/2011). Il potere di accertamento integrativo ed i principi dell'affidamento e di irretroattivitàLa normativa del 1994 escludeva espressamente ogni forma di ulteriore azione accertatrice successiva all'intervenuto accertamento con adesione (art. 2-bis del d.l. n. 564 del 1994, aggiunto dalla l. conversione e poi modificato dall'art. 1 del d.l. 26 settembre 1995, n. 403, conv. dalla l. 20 novembre 1995, n. 495, norma poi trasfusa nell'art. 3, comma 2, del detto d.l. n. 564 del 1994). Solo la normativa del 1997 ha invece previsto, in deroga al ribadito divieto di integrazione di cui all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218, che la definizione mediante accertamento con adesione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice nei casi di cui al successivo comma 4. Tale disposizione (al pari di quelle di cui ai precedenti commi e del successivo comma 5) si applica anche in relazione ai periodi d'imposta per i quali era applicabile la definizione ai sensi dell'art. 3 del d.l. 564 del 1994. Di qui la questione giuridica dell'applicabilità retroattiva delle dette previste ipotesi di accertamento integrativo non solo con riferimento ai rapporti giuridici tributari ai quali fosse applicabile la definizione mediante accertamento con adesione ex art. 3, del convertito d.l. n. 564 del 1994 ma anche a quelli ai quali quella definizione fosse già stata applicata. Essa è stata risolta da Cass. V, n. 16843/2008, in applicazione dei principi dell'affidamento e dell'irretroattività e muovendo dall'iter logico-giuridico seguito dalla citata Cass.S.U., n. 14697/2005 (in tema di cause ostative all'applicabilità dell'istituto). La Suprema Corte ha argomentato quindi, ancora una volta, dal principio di uguaglianza, così come applicato all'istituto in esame da Corte cost. n. 452 del 1998 (anche se con riferimento alla differente questione della conoscenza sopravvenuta di nuovi oggetti d'imposizione), in modo da non creare disparità di trattamento tra i soggetti i cui rapporti giuridici fossero stati definiti e quelli che non lo fossero ancora stati. Le citate Sezioni Unite nel 2005 si erano difatti già espressa sulla retroattività del d.lgs. n. 218, limitatamente alle cause ostative al ritiro dell'accertamento con adesione connesse a fatti penalmente rilevanti, avendo il detto decreto legislativo rimodulato la disciplina dell'accertamento con adesione ribadendone la non modificabilità e non prevedendo le cause ostative connesse alla supposta esistenza di reati (si veda anche Cass.S.U., n. 3118/2006). Da tali premesse Cass. V, n. 16843/2008 ne ha fatto derivare che il principio di affidamento del contribuente (di cui all'art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212, c.d. «Statuto del contribuente») ed il divieto di norme tributarie sfavorevoli retroattive (art. 3, comma 1, della l. n. 212 del 2000), quali corollati del fondamentale principio costituzionale dello stato di diritto, impongono di interpretare le norme di cui innanzi nel senso che il potere di accertamento integrativo si applica solo ai periodi d'imposta per i quali la definizione con accertamento per adesioneexart. 3 del d.l. n. 564 del 1994 non sia stata ancora realizzata alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 218 (1 agosto 1997). Sicché, l'art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 218 non si applica retroattivamente ai rapporti già definiti con accertamento per adesione, applicandosi solo per il futuro e quindi a quei rapporti che, pur potendo essere oggetto del d.l. n. 564 del 1994 non siano ancora stati definiti mediante accertamento per adesione. Negli stessi termini si è espressa anche la successiva conforme giurisprudenza di legittimità, argomentato ulteriormente con riferimento al principio dell'affidamento del contribuente. È stato in particolare evidenziato che, comunque, tale principio, reso esplicito in materia tributaria dal citato art. 10, comma 1, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost., espressamente richiamati dall'art. 1, del medesimo «Statuto del contribuente», è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l'attività legislativa e amministrativa. Tale previsione (art. 10 cit.) – a differenza di altre che presentano un contenuto innovativo rispetto alla legislazione preesistente – è dunque espressiva di principi generali, anche di rango costituzionale, immanenti nel diritto e nell'ordinamento tributario anche prima della legge. Sicché essa vincola l'interprete, in forza del canone ermeneutico dell'interpretazione adeguatrice a Costituzione, risultando così applicabile sia ai rapporti tributari sorti in epoca anteriore alla sua entrata in vigore, sia ai rapporti fra contribuente ed ente impositore diverso dall'Amministrazione finanziaria dello Stato, sia ad elementi dell'imposizione diversi da sanzioni e interessi. Ciò in quanto i casi di tutela espressamente enunciati dal detto art. 10, comma 2, riguardano situazioni meramente esemplificative, legate a ipotesi maggiormente frequenti, ma non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (in merito all'immanenza del principio della tutela dell'affidamento del contribuente si veda, in termini generali, anche Cass. V, n. 21513/2006). Circa i rapporti tra l’istituto in esame ed il principio di affidamento è intervenuta recentemente Cass. V, n. 12372/2008, ritenendo lesiva del principio di collaborazione e buona fede la condotta dell'Ufficio che, dopo aver emesso, in base alla proposta accettata dal contribuente, gli atti di accertamento con adesione per alcune annualità di imposta, proceda, repentinamente, senza motivazione e nonostante il tempestivo e regolare adempimento degli atti già emanati, all'emissione per le restanti annualità, pure oggetto della proposta, di avviso di accertamento per l'originaria pretesa, sicché, in relazione al legittimo affidamento sulla regolare definizione della procedura di accertamento con adesione, è inesigibile la maggiore pretesa costituita dalla differenza tra gli importi concordati e quelli richiesti. BibliografiaAntico, L'adesione è immodificabile, in Il Fisco, 2016, 15; Antico, D.Lgs. n.218/1997: osservazioni sulla revocabilità in autotutela dell'atto di adesione redatto. 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