Decreto legislativo - 25/07/1998 - n. 286 art. 29 - Ricongiungimento familiare 1 2 (A) (B). ( Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 27 ).

Andrea Conti

Ricongiungimento familiare 1 2(A) (B).

(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 27).

 1. Lo straniero può chiedere il ricongiungimento per i seguenti familiari:

a) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni;

b) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso;

c) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale;

d) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute 3.

1-bis. Ove gli stati di cui al comma 1, lettere b), c) e d), non possano essere documentati in modo certo mediante certificati o attestazioni rilasciati da competenti autorità straniere, in ragione della mancanza di una autorità riconosciuta o comunque quando sussistano fondati dubbi sulla autenticità della predetta documentazione, le rappresentanze diplomatiche o consolari provvedono al rilascio di certificazioni, ai sensi dell'articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 200, sulla base dell'esame del DNA (acido desossiribonucleico), effettuato a spese degli interessati 4 .

1-ter. Non è consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1, quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale5.

2. Ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell'istanza di ricongiungimento. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli.

3. Salvo quanto previsto dall'articolo 29-bis, lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità:

a) di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali, previa verifica del numero degli occupanti dell'alloggio e degli altri requisiti previsti dal decreto del Ministro della sanità 5 luglio 1975, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, è sufficiente il consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà6;

b) di un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici [ovvero per il ricongiungimento di due o più familiari dei titolari dello status di protezione sussidiaria] è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente 7 .

b-bis) di una assicurazione sanitaria o di altro titolo idoneo, a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell'ascendente ultrasessantacinquenne ovvero della sua iscrizione al Servizio sanitario nazionale, previo pagamento di un contributo il cui importo è da determinarsi con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro il 30 ottobre 2008 e da aggiornarsi con cadenza biennale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano8 .

4. È consentito l'ingresso, al seguito dello straniero titolare di carta di soggiorno o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi, dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3.

5. Salvo quanto disposto dall'articolo 4, comma 6, è consentito l'ingresso per ricongiungimento al figlio minore, già regolarmente soggiornante in Italia con l'altro genitore, del genitore naturale che dimostri il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3. Ai fini della sussistenza di tali requisiti si tiene conto del possesso di tali requisiti da parte dell'altro genitore 9.

6. Al familiare autorizzato all'ingresso ovvero alla permanenza sul territorio nazionale ai sensi dell'articolo 31, comma 3, è rilasciato, in deroga a quanto previsto dall'articolo 5, comma 3-bis, un permesso per assistenza minore, rinnovabile, di durata corrispondente a quella stabilita dal Tribunale per i minorenni. Il permesso di soggiorno consente di svolgere attività lavorativa ma non può essere convertito in permesso per motivi di lavoro.

7. La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, corredata della documentazione relativa ai requisiti di cui al comma 3, è inviata, con modalità informatiche, allo Sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura - ufficio territoriale del Governo competente per il luogo di dimora del richiedente, il quale, con le stesse modalità, ne rilascia ricevuta. L'ufficio, acquisito dalla questura il parere sulla insussistenza dei motivi ostativi all'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, di cui all'articolo 4, comma 3, ultimo periodo, e verificata l'esistenza dei requisiti di cui al comma 3, rilascia il nulla osta ovvero un provvedimento di diniego dello stesso. Il rilascio del visto nei confronti del familiare per il quale è stato rilasciato il predetto nulla osta è subordinato all'effettivo accertamento dell'autenticità, da parte dell'autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute 10.

8. Il nulla osta al ricongiungimento familiare è rilasciato entro centocinquanta giorni dalla richiesta 11.

9. La richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che il matrimonio o l'adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all'interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato.

10. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano:

a) quando il soggiornante chiede il riconoscimento dello status di rifugiato e la sua domanda non è ancora stata oggetto di una decisione definitiva;

b) agli stranieri destinatari delle misure di protezione temporanea, disposte ai sensi del decreto legislativo 7 aprile 2003, n. 85, ovvero delle misure di cui agli articoli 20 e 20 -bis 12;

[c) nelle ipotesi di cui all'articolo 5, comma 6.] 13

 

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(A) In riferimento al presente articolo vedi Nota 4 maggio 2009, n. 9682/P.

(B) In riferimento al presente articolo vedi: Circolare del Ministero dell'Interno 17 febbraio 2009, n. 737

[1] Articolo modificato dall'articolo 23, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e successivamente sostituito dall' articolo 2 del D.Lgs. 8 gennaio 2007 n. 5.

[2] A norma dell’articolo 103, comma 2-quater, lettera e), del D.L.  17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, come da ultimo prorogato dall’articolo 11-ter  del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito con modificazioni dalla Legge 17 giugno 2021, n. 87, la validità dei nulla osta rilasciati per il ricongiungimento familiare, di cui al presente comma, conservano la loro validità fino al 31 luglio 2021.

[6] Lettera sostituita dall'articolo 1, comma 19, della legge 15 luglio 2009, n. 94 e successivamente modificata dall'articolo 12-quater, comma 1, del D.L. 11 ottobre 2024, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla Legge 9 dicembre 2024, n. 187.

[7] Lettera sostituita dall'articolo 1 del D.Lgs. 3 ottobre 2008, n. 160 e successivamente modificata dall'articolo 2, comma 1, del D.Lgs. 21 febbraio 2014, n. 18.

Inquadramento

Per ricongiungimento familiare si intende l'istituto che consente allo straniero extracomunitario o apolide che vive nel territorio nazionale in base ad un regolare titolo di soggiorno oppure ad un cittadino italiano o di uno Stato UE oppure di uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE — cioè Islanda, Liechtenstein e Norvegia) di chiedere l'ingresso dei familiari stranieri extracomunitari o apolidi residenti all'estero, al fine di mantenere o riacquistare in modo continuativo l'unità della propria famiglia.

Oltre a potersi genericamente ricondurre nell'alveo delle norme costituzionali a tutela dell'unità familiare (artt. 29,30,31 Cost.), è altresì positivamente consacrato in taluni accordi internazionali e può essere, inoltre, desunto dall'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali a tutela del rispetto della vita privata e familiare di ogni persona. Ora, ancorché tali fonti sembrano collocare l'istituto del ricongiungimento familiare entro l'area dei diritti fondamentali dell'uomo, come tali inviolabili e meritevoli di una tutela assoluta, nondimeno nella giurisprudenza della Corte costituzionale, così come in quella della Corte di giustizia e della Corte europea dei diritti dell'uomo, non è dato rinvenire un diritto all'unità familiare pieno ed incondizionato, bensì una pretesa del singolo da bilanciare di volta in volta con il corrispondente interesse dello Stato ospitante a controllare i flussi migratori in entrata. Ciò in quanto l'ingresso dello straniero nel territorio nazionale coinvolge svariati interessi pubblici (sicurezza, ordine pubblico, sanità) la cui ponderazione spetta in primo luogo al legislatore interno, limitato soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli. Si è così cercato di bilanciare l'indiscutibile diritto dello Stato ad esercitare la sovranità nel presidio delle proprie frontiere in funzione di un ordinato flusso migratorio con le altrettanto rilevanti esigenze di tutela della vita familiare, di cui il ricongiungimento familiare dello straniero costituisce una delle principali estrinsecazioni, che in quanto tale necessita di una regolamentazione specifica e dettagliata, ma non per questo scevra da restrizioni.

Istituti similari

Nel diritto nazionale, al suddetto istituto, si affiancano il permesso di soggiorno per motivi familiari (o per coesione familiare) e il visto (o la carta) per familiare al seguito. In particolare: a) il ricongiungimento familiare riguarda i familiari che si trovano all'estero e che vengono «chiamati» in Italia dallo straniero o dall'italiano o dal cittadino UE (ed equiparato) che vi si trova; b) il permesso di soggiorno per «motivi familiari» (o per «coesione familiare») viene, invece, rilasciato allo straniero già presente nel territorio italiano e convivente con determinati familiari; c) il visto di ingresso per familiari al seguito, consente — senza necessità di chiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare — l'ingresso, ai fini di un soggiorno di lunga durata a tempo determinato o indeterminato, allo straniero che intenda fare ingresso in Italia al seguito di un familiare cittadino italiano, o di un Paese UE, ovvero di Paese aderente all'Accodo SEE, o al seguito di un familiare straniero di cittadinanza diversa da quelle predette che sia titolare di un permesso CE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) o di un visto d'ingresso di durata non inferiore a un anno (per lavoro subordinato, per lavoro autonomo, per studio, per motivi religiosi).

La discipina

La disciplina nazionale del ricongiungimento familiare e degli istituti connessi risulta dalla combinazione di alcune direttive UE (recepite nel nostro Paese) con altre norme interne. In particolare, essa si rinviene oltre che nell'art. 29 in commento nei seguenti testi normativi: 1) d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento di attuazione del d.lgs. n. 286/1998, spec. artt. 6 e 6-bis; 2) d.l. 9 settembre 2002, n. 195 (Disposizioni urgenti in materia di legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari), convertito, con modificazioni, dalla l. 9 ottobre 2002, n. 222; 3) d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare), poi modificato e integrato dal d.lgs. 3 ottobre 2008, n. 160, sulle condizioni di esercizio del diritto al ricongiungimento familiare dei cittadini di Paesi terzi; 4) d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE, relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, la quale è stata modificata dalla direttiva 2011/51/UE, da recepire entro il 20 maggio 2013, per estenderne l'ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale anche in ambito SEE); 5) d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30 (Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri), a sua volta integrato e modificato dal d.lgs. 28 febbraio 2008, n. 32, sul ricongiungimento familiare tra cittadini della UE e i loro familiari (che viene in considerazione solo nell'ipotesi di cittadino della UE che si reca, soggiorna o ha soggiornato in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza e ai familiari che lo accompagnano o lo raggiungono); 6) d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta). Si tratta della c.d. «direttiva qualifiche», che è stata modificata dalla direttiva 2011/95/UE, la quale è entrata in vigore in ambito UE a gennaio 2012, mentre per gli Stati membri il termine di recepimento è il 21 dicembre 2013; 7) d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'art. 54 della l. 18 giugno 2009, n. 69), artt. 20 e 24, comma 21 (per gli aspetti processuali); 8) d.lgs. 28 giugno 2012 n. 108 (Attuazione della direttiva 2009/50/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati), contenente un regime derogatorio in materia di ricongiungimento familiare, in favore dei destinatari della normativa; 9) art. 5 del d.lgs. 16 luglio 2012, n. 109 (Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare), la cui normativa in materia di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari presenti in Italia privi di permesso di soggiorno che svolgono attività lavorativa ha effetti sull'esercizio del diritto all'unità familiare; 10) art. 5 della l. 4 aprile 2012, n. 35 (con relativa circolare del Ministero dell'Interno n. 9 del 2012, contenente le istruzioni operative) che ha introdotto una nuova disciplina in materia anagrafica (c.d. residenza in tempo reale), prevedente nuove modalità attraverso le quali è possibile effettuare le dichiarazioni anagrafiche di residenza o di trasferimento all'estero — non solo attraverso l'apposito sportello comunale — ma anche per raccomandata, via fax o per via telematica, con il duplice obiettivo di consentire l'effettuazione del cambio di residenza con modalità telematica e di produrre immediatamente, al momento della dichiarazione, gli effetti giuridici del cambio di residenza.

I requisiti

Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari (art. 28, comma 1, d.lgs. n. 286/1998).

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte la suddetta elencazione di titoli di soggiorno non è tassativa e, pertanto, il diritto di chiedere il ricongiungimento familiare è riconosciuto sia allo straniero in possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari - che ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare, è rinnovabile con esso e consente lo svolgimento delle stesse attività di modo che le due situazioni giuridiche vengono a coincidere - (vedi Cass. n. 1714/2001) sia al titolare di permesso di soggiorno per acquisito della cittadinanza italiana -  (che viene rilasciato a chi già sia in possesso di un permesso per altri motivi per tutta la durata dell'indicata procedura e che quindi comporta una condizione tendenzialmente più stabile di quella del titolare di un permesso sottoposto a rinnovo ad ogni scadenza - (vedi Cass. n. 8582/2008 e Cass. n. 12680/2009). In tali pronunce la Corte ha sottolineato che un trattamento differenziato delle situazioni esaminate rispetto a quelle prese in considerazione dalla norma citata si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost.; lo status di soggiornante di lungo periodo CE per i titolari di Carta blu UE (di cui all'art. 9-ter d.lgs. n. 286/1998, introdotto dal d.lgs. n. 108/2012) dà diritto a richiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare indipendentemente dalla durata del permesso di soggiorno, ai sensi e alle condizioni previste dall'art. 29, mentre ai familiari viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di famiglia ai sensi dell'art. 30, commi 2, 3 e 6 del d.lgs. n. 286/1998 — condizioni più agevolate sono previste nel caso di ricongiungimento richiesto da cittadino italiano o UE o di Paese aderente all'Accordo SEE.

Con riguardo agli altri requisiti richiesti, lo straniero che chiede il ricongiungimento familiare deve dimostrare la disponibilità di: un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa accertati dai competenti uffici comunali. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, l'idoneità abitativa può essere sostituita dal consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici ovvero per il ricongiungimento di due o più familiari dei titolari dello status di protezione sussidiaria è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale.

Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente. Sul punto si ricorda che devono essere computati i redditi dei soli familiari conviventi che siano tenuti per legge alla corresponsione degli alimenti, rimanendo esclusi dal calcolo i redditi percepiti dagli affini che, pur se compresi nel nucleo familiare, non sono a ciò obbligati (Cass. ord., n. 28184/2021).

Inoltre, occorre anche una assicurazione sanitaria o altro titolo idoneo a garantire la copertura di tutti i rischi nel territorio nazionale a favore dell'ascendente ultrasessantacinquenne, ovvero la iscrizione volontaria dell'ascendente al Servizio sanitario nazionale, previo pagamento del contributo annuale (non frazionabile) il cui importo si prevede che venga determinato con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da aggiornare con cadenza biennale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Non essendo stato ancora definito l'importo del contributo di cui sopra, allo stato attuale è possibile stipulare solo l'assicurazione sanitaria privata a copertura almeno dei rischi di malattia, infortunio e maternità. È sufficiente che l'interessato, al momento della presentazione della richiesta di ricongiungimento, presenti una dichiarazione formale di impegno a sottoscrivere la polizza a favore dei genitori, per poi stipularla effettivamente entro 8 giorni dall'ingresso dei familiari in Italia e prima della loro presentazione allo Sportello Unico Immigrazione.

I familiari per cui si può chiedere il ricongiungimento

In base all'art. 29 lo straniero può chiedere il ricongiungimento con i seguenti familiari: 1) coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni; 2) figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il proprio consenso presso la rappresentanza consolare italiana, al momento della richiesta del visto di espatrio. Sono equiparati ai figli naturali i figli minori adottati, affidati o sottoposti a tutela. Inoltre, la condizione della minore età è esplicitamente riferita al momento della presentazione della domanda; 3) figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni oggettive non possano provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale; 4) genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultra sessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati, gravi motivi di salute. Limitazioni al ricongiungimento col coniuge e con i figli minori sono previsti nelle ipotesi in cui il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è coniugato con un cittadino straniero regolarmente soggiornante con altro coniuge nel territorio nazionale (disciplina diretta ad evitare il ricostituirsi in Italia di un legame poligamico, anche se consentito nel Paese di origine).

Per favorire il diritto all'unità familiare è inoltre consentito l'ingresso, al seguito dello straniero (titolare di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di un visto di ingresso per lavoro subordinato relativo a contratto di durata non inferiore a un anno, o per lavoro autonomo non occasionale, ovvero per studio o per motivi religiosi), dei familiari con i quali è possibile attuare il ricongiungimento, a condizione che ricorrano i requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito richiesti dalla norma (vedi supra). È anche, di norma, permesso l'ingresso per ricongiungimento al figlio minore, già regolarmente soggiornante in Italia con l'altro genitore, del genitore naturale che dimostri il possesso dei requisiti di disponibilità di alloggio e di reddito di cui al comma 3 (tenendo conto, a tal fine, del possesso di tali requisiti da parte dell'altro genitore). Tale disposizione non si applica nei casi di cui all'art. 4, comma 6, d.lgs. n. 286/1998 e, precisamente, se l'interessato non può fare ingresso nel territorio dello Stato perché è stato espulso, salvo che abbia ottenuto la speciale autorizzazione o che sia trascorso il periodo di divieto di ingresso, oppure che si trovi nella condizione di dovere essere espulso o di essere stato segnalato, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore in Italia, ai fini del respingimento o della non ammissione per gravi motivi di ordine pubblico, di sicurezza nazionale e di tutela delle relazioni internazionali.

Va menzionato il fenomeno dei «matrimoni di comodo» o fittizi. Al fine di contrastare il suddetto fenomeno, con l'art. 1, comma 15, della l. 15 luglio 2009, n. 94 era stato modificato l'art. 116, comma 1, c.c., nel senso di richiedere allo straniero che volesse contrarre il matrimonio in Italia di presentare oltre al nulla osta anche «un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».

Tale modifica, però, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza della Corte cost. n. 245/2011. La Corte ha ritenuto che la norma incidesse in modo sproporzionato e irragionevole sul godimento del diritto fondamentale dello straniero di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29 Cost., ed espressamente enunciato nell'art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'art. 12 della CEDU.

A riguardo la Corte di Cassazione ha affermato che in tema di immigrazione, ai sensi degli artt. 19 e 30, comma 1-bis, del d.lgs. n. 286/1998, il matrimonio con un cittadino italiano in tanto conferisce allo straniero il diritto al soggiorno in Italia, sia ai fini del rilascio del relativo permesso che ai fini del divieto di espulsione, in quanto ad esso faccia riscontro l'effettiva convivenza, e fino a quando sussista tale requisito, la cui prova è a carico dello stesso straniero, non essendo la convivenza presumibile in base al mero vincolo coniugale né alle mere risultanze anagrafiche. Tale disciplina non contrasta con il principio di diritto comunitario che vieta ad uno Stato membro di negare il permesso di soggiorno e di adottare misure di espulsione nei confronti del cittadino di un Paese terzo che possa fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel suo territorio, essendo tale principio volto ad assicurare la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri. Nel sistema del d.lgs. n. 286/1998, la suddetta convivenza non è presumibile in base all'esistenza del mero matrimonio, né rilevabile dalle sole risultanze anagrafiche (Cass. n. 5359/2005; Cass. n. 23598/2006). Nello stesso senso Cass. n. 25027/2005 ha precisato che oltre alla convivenza, ai suddetti fini, è necessario anche che i coniugi abbiano fissato la loro residenza in Italia, sicché è legittima la revoca del permesso di soggiorno disposta dal Questore, qualora accerti che lo straniero coniugato con un italiano, dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno per motivi familiari, si sia trasferito all'estero.

Recentemente Cass. n. 13831/2016 ha statuito che Il cittadino straniero che abbia contratto matrimonio con un cittadino italiano, dopo aver trascorso nel territorio nazionale il trimestre di soggiorno informale, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno prescritta dall'art. 10 del d.lgs n. 30/2007, restando soggetto, finché non ottenga tale titolo, alla disciplina dettata dall'art. 19, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 286/1998 e dall'art. 28 del d.P.R. n. 394/1999, in virtù della quale, ai fini della concessione e del mantenimento del permesso di soggiorno per coesione familiare, è necessario il requisito della convivenza effettiva. (Nel caso specie, la Corte di Cassazione aveva confermato il provvedimento che aveva negato il permesso di soggiorno alla cittadina straniera coniugata con un italiano, in quanto la stessa non aveva mai fatto precedentemente richiesta di analogo titolo e si era allontanata dal territorio nazionale poco tempo dopo la celebrazione delle nozze, rientrandovi dopo oltre nove anni senza mai avere convissuto con il coniuge).

Cass. I, n. 3234/2018 con riguardo al matrimonio tra stranieri ha altresì affermato che l'autorità consolare italiana non può negare il visto di ingresso sul territorio nazionale al cittadino straniero che lo domandi al fine di attuare il

ricongiungimento familiare al coniuge, altro cittadino straniero legittimamente soggiornante in Italia, in conseguenza dell'accertamento che il matrimonio è stato contratto in mancanza di precedenti rapporti tra gli sposi, ed è stato concordato tra le loro famiglie. Ed invero tali circostanze non escludono il fine tipico del matrimonio, consistente nell'intento dei coniugi di formare una famiglia propria, potendo essere negato il visto d'ingresso solo in conseguenza dell'accertamento che il matrimonio è stato contratto al fine esclusivo di consentire al richiedente di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato. In altri termini se è vero che carattere essenziale dei matrimoni menzionati al comma 9 dell'art. 29 d.lgs n. 286/1998, è lo scopo esclusivo di consentire all'interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello stato, trattandosi quindi di matrimoni cui sia estraneo il fine, proprio del matrimonio, di porre le basi di un nuovo nucleo familiare, mentre, in presenza di tale fine, la presenza dell'ulteriore finalità dell'ingresso nel territorio dello stato non determina le conseguenze di cui all'art. 29, comma 9.

Con Cass. I, n. 7427/2020 la Suprema Corte ha ritenuto che la relazione tra due fratelli, entrambi maggiorenni e non conviventi, non è riconducibile alla nozione di "vita familiare" rilevante a norma dell'art. 8 CEDU, pur essendo stato detto concetto nella recente interpretazione della Corte EDU progressivamente esteso, tanto da farvi rientrare anche situazioni di comunione affettiva di persone pur non legate da un vincolo giuridico, difettando ogni elemento presuntivo dell'esistenza di un legame affettivo qualificato da un progetto di vita in comune, con la conseguenza che, affinché un fratello possa ottenere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare ad altro fratello o sorella, è necessario il requisito della convivenza effettiva, come previsto dal combinato disposto dell'art. 28 del d.P.R. n. 394 del 1999 e dell'art. 19, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 286 del 1998.

Con Cass. n. 25310/2020 la Corte di Cassazione ha altresì ritenuto che l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 29 del d.lgs. n. 286/ 1998, anche alla luce dell'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dell'art. 24 della Carta di Nizza, impone di non escludere che la norma possa essere estesa anche ai minori affidati mediante "kafalah" di tipo negoziale (sull'istituto vedi infra § 7), dovendosi comunque valutare la rispondenza del provvedimento al preminente interesse del minore, atteso che quella convenzionale, pur non equiparabile alla "kafalah" di natura pubblicistica, mira pur sempre a far godere al minore maggiori opportunità di crescita e migliori condizioni di vita, salvaguardando il rapporto con i genitori. In applicazione di tale principio la S. C. ha cassato il provvedimento della corte d'appello, che aveva confermato l'annullamento del diniego del visto per ricongiungimento familiare , richiesto da un cittadino straniero in favore del fratello minore, a lui affidato dalla madre mediante atto notarile. Si era, infatti, limitata ad equiparare il caso in esame all'ipotesi di cui all'art. 9, comma 4, l. n. 184/1983, ritenendolo quindi non in contrasto con l'ordinamento nazionale, senza avere accertato la ragione pratico-giuridica dello specifico affidamento e la sua compatibilità con l'ordinamento di provenienza e senza avere valutato se esso fosse, alla luce della concreta situazione personale e familiare del minore, coerente con il suo superiore interesse.

La procedura

La procedura per la richiesta di nulla osta al ricongiungimento familiare si snoda in due fasi: la prima, di competenza dello Sportello unico per l'immigrazione, concerne la verifica dei requisiti oggettivi per il rilascio del nulla-osta al ricongiungimento; la seconda, di competenza della Rappresentanza consolare italiana, riguarda la verifica dei requisiti soggettivi per il rilascio del visto di ingresso. L'interessato deve, in primo luogo, procedere alla registrazione, compilazione e invio dei moduli predisposti rinvenibili sul sito internet del Ministero dell'Interno e aspettare la convocazione allo Sportello unico per l'immigrazione competente per il luogo della sua dimora.

Il comma 7 della norma è stato sostituito dall'art. 9 della l. 13 aprile 2017 n. 46 stabilendo che la domanda di ricongiungimento familiare con la documentazione allegata venga inviata con modalità informatiche allo Sportello unico per l'immigrazione presso la Prefettura che ne rilascia ricevuta con le medesime modalità, ciò nell'evidente intento di razionalizzare la procedura «de qua».

La domanda deve essere corredata dalla documentazione indicata nell'art. 6 del d.P.R. n. 394/1999 (copia del titolo di soggiorno; documentazione attestante la disponibilità del reddito di cui all'art. 29, comma 3, d.lgs. 286/1998; documentazione attestante la disponibilità di un alloggio, a norma dello stesso art. 29, comma 3, comprovata dall'attestazione dell'ufficio comunale circa la sussistenza dei requisiti, ovvero dal certificato di idoneità igienico-sanitaria rilasciato dall'Azienda unità sanitaria locale competente per territorio; documentazione attestante i rapporti di parentela, la minore età e lo stato di famiglia; documentazione attestante l'invalidità totale o i gravi motivi di salute, ove necessaria; documentazione concernente la condizione economica nel Paese di provenienza dei familiari a carico). Lo Sportello unico per l'immigrazione, verificata la sussistenza delle condizioni richieste e acquisito dalla Questura il parere sull'insussistenza dei motivi ostativi all'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, rilascia il nulla-osta al ricongiungimento familiare o emette un provvedimento di diniego. Il nulla-osta al ricongiungimento familiare deve essere rilasciato entro 90 giorni dalla richiesta a seguito della modifica introdotta dall'art. 9 della legge n. 46/2017. Tuttavia, la richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se viene accertato che il matrimonio o l'adozione hanno avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all'interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello Stato (art. 29, comma 9).

La seconda fase della procedura di ricongiungimento familiare si svolge presso la Rappresentanza consolare italiana e riguarda la verifica dei requisiti soggettivi per il rilascio del visto di ingresso. L'autorità consolare italiana verifica l'autenticità della documentazione presentata e, in caso di esito positivo, rilascia il visto di ingresso entro trenta giorni dalla richiesta, dandone comunicazione, in via telematica allo Sportello unico per l'immigrazione (art. 6 d.P.R. n. 394/1999 cit.). Entro otto giorni dall'ingresso in Italia, il cittadino straniero deve comunicare allo Sportello unico per l'immigrazione l'arrivo del familiare ed attendere la convocazione per ritirare la documentazione necessaria alla richiesta del permesso di soggiorno per motivi di famiglia, o del permesso di soggiorno CE di lungo periodo.

Con riguardo alla procedura, la Suprema Corte ha affermato (Cass. n. 15247/2006; Cass. n. 17574/2010; Cass. n. 7218/2011; Cass. n. 22307/2013 e Cass. n. 11599/2023) che si tratti di procedimento avente natura complessa a formazione progressiva coinvolgendo l'attività valutativa dell'autorità amministrativa, di natura non discrezionale, quella dell'autorità diplomatica e l'eventuale ricorso, di natura non impugnatoria, al giudice ordinario sicchè va affermata l'immediata applicabilità dello «jus superveniens» intervenuto nel corso della procedura, dopo il nulla osta dello Sportello Unico, ma prima della decisione dell'Autorità consolare sul visto d'ingresso, dovendo l'accertamento dei requisiti del diritto essere valutato alla stregua dei parametri normativi vigenti all'esito dell'iter procedimentale.

Quanto al rilascio, ai sensi dell' art. 13, comma 13 del d.lgs. n. 286/1998, così come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. c), n. 2 del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5, in attuazione della direttiva del Consiglio dell'Unione Europea n. 2003/86/CE del 22 settembre 2003, non costituisce ostacolo per l'adozione da parte del Questore e per l'attuazione del provvedimento di autorizzazione al ricongiungimento il fatto che lo straniero, beneficiario di detto provvedimento, sia stato precedentemente espulso e sussista, quindi, per il medesimo il divieto di fare rientro nel territorio italiano — semprechè il decreto di espulsione non sia stato emesso per motivi connessi alla pericolosità sociale dello straniero (Cass. n. 5324/2008).

Compete alla Questura, cui la domanda va presentata, il rilascio del nulla osta condizionato alla effettiva acquisizione, da parte dell'autorità consolare italiana, della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità e di convivenza, mentre all'autorità consolare compete il rilascio del visto d'ingresso, previa verifica dei presupposti di parentela, coniugio, minore età o inabilità al lavoro e di convivenza. A tal fine, e con specifico riferimento al requisito dell'età, la certificazione rilasciata dallo Stato estero non è assistita da fede privilegiata ed è consentito alle rappresentanze consolari italiane di procedere a tutti gli accertamenti amministrativi necessari (come l'esame densometrico osseo) al fine di stabilire l'effettiva età di coloro che richiedono il visto di ingresso nel nostro Paese (Cass. n. 1656/2007).

Cass. n. 11599/2023 ha chiarito che compete allo Sportello Unico per l'Immigrazione, ai fini del rilascio del nulla osta preventivo, la verifica della sussistenza dei requisiti risultanti dalle lettere a), b) e c) dell'art. 6, comma 1, d.P.R. n. 394/1999, all'Autorità consolare compete, ove nulla osti, la legalizzazione della documentazione di cui alle lettere d), e) ed f) del medesimo comma - salvo che gli accordi internazionali vigenti per l'Italia prevedano diversamente - oltre alla verifica, in virtù dell'art. 29, comma 7, del d.lgs. n. 286/1998, dell'autenticità della documentazione comprovante i presupposti di parentela, coniugio, minore età o stato di salute del familiare per cui si tratta di rilasciare il visto di ingresso. La normativa citata deve essere comunque interpretata alla luce dell'art. 8 CEDU e dell'art. 4, comma 2, lett. a), della Direttiva 2003/86/CE, che vietano agli stati membri di adottare una disciplina interna che vanifichi il senso della tutela accordata al diritto ed al rispetto della propria vita privata e familiare, dovendosi perciò escludere la possibilità di demandare allo Sportello Unico per l'Immigrazione la verifica di circostanze che rientrano, invece, nella competenza dell'Autorità consolare o che risultano da quest'ultima più ragionevolmente accertabili in loco piuttosto che in Italia. (Nella specie, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la decisione impugnata, che aveva ritenuto fondato il diniego di nulla osta da parte dello Sportello Unico per l'Immigrazione basato sulla mancata produzione del certificato di matrimonio tra i genitori della richiedente, non considerando invece che la verifica di detto documento non solo era di competenza dell'Autorità consolare, ma che lo stesso, in ogni caso, risultava inidoneo a provare il requisito previsto dall'art. 29, comma 1-ter, d.lgs. n. 286/1998, nella parte in cui attribuisce rilievo alla famiglia monogamica, escludendo la possibilità di ricongiungimento di più coniugi per la stessa persona).

Cass. I, n. 23412/2019 ha affermato che in tema d'immigrazione l'impugnazione spiegata avverso il diniego del visto d'ingresso ai fini del ricongiungimento per motivi familiari ex art. 20 del d.lgs. n. 150 del 2011 (assimilabile al divieto di nulla osta al ricongiungimento familiare o al diniego di permesso di soggiorno per motivi familiari), deve essere proposta innanzi al tribunale del luogo in cui il richiedente ha la residenza.

Con riguardo alle prove, Cass. n. 4379/2018 ha stabilito che nella disciplina del ricongiungimento familiare, premesso che l'accertamento riguarda un diritto soggettivo la cui giurisdizione rientra in quella del giudice ordinario, la documentazione ufficiale dello status filiationis proveniente dalle competenti autorità del Paese di nascita dell'interessato non è assistita da fede privilegiata, ex art. 2700 c. c., ma ha un valore probatorio che deve essere oggetto di accertamento giudiziale unitamente alle altre prove che, secondo le regole generali, le parti hanno diritto di produrre in giudizio.

La rilevanza del diritto al ricongiungimento comporta altresì che il giudice è tenuto a verificarne l'esistenza anche nel procedimento di convalida del decreto di accompagnamento alla frontiera, trattandosi di evenienza potenzialmente ostativa all'esecuzione del provvedimento di espulsione (Cass. n. 26563/2020).

Ricongiungimento e kafalah

La kafalah è l'unico istituto conosciuto nel diritto islamico a protezione dei minori che si trovano in uno stato di abbandono, in osservanza, da un lato del precetto coranico che fa obbligo a ogni musulmano di aiutare i bisognosi e gli orfani; dall'altro, del divieto, pure disposto dal Corano, di adozione.  La kafalah  consiste in una sorta di affido in virtù del quale un soggetto chiamato kafil (di solito una coppia di kafil) s'impegna a curare, educare e mantenere un makful, cioè il minore affidato, come se fosse proprio figlio, sino al raggiungimento della maggiore età. Il makful affidato non entra giuridicamente a far parte della famiglia del kafil realizzandosi semplicemente un'attribuzione in custodia, per certi aspetti assimilabile all' affidamento familiare. È noto, difatti, che i Paesi che ispirano il proprio diritto ai precetti coranici non riconoscono legami di filiazione diversi da quelli biologici poiché i vincoli di filiazione sono espressione della volontà divina, e all'uomo non è concesso determinarne artificialmente la cessazione e costituirne di nuovi al di fuori della generazione biologica, di modo che non solo non disciplinano la c.d. filiazione naturale, ma vietano espressamente l'adozione. Oltre alla kafalah c.d. pubblicistica — la quale è conferita con provvedimento giudiziario, all'esito di un procedimento che accerta e dichiara lo stato di abbandono del makful e l'idoneità del kafil — è prevista anche la kafalah c.d. negoziale, trasfusa in un atto notarile tra affidante e affidatario, poi sottoposto ad omologazione dell'autorità giudiziaria. Soprattutto in ragione del fatto che nei paesi islamici la kafalah costituisce l'unico strumento giuridico per far fronte alle situazioni di abbandono dei minori, essa è riconosciuta da fonti di diritto internazionale, segnatamente dall'art. 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3 lett. e) e 33 della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza giurisdizionale, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione del minore.

In presenza di un istituto non conosciuto dal nostro ordinamento, il quale prevede altri strumenti per prendersi cura di un bambino in stato di abbandono, quali l'affidamento o l'adozione, si pone la questione dell'inclusione o meno nel significato di familiare del minore affidato in kafalah.

A riguardo si è posto in rilievo che occorre allora «orientalizzare» la prospettiva di analisi per valorizzare le differenze strutturali tra adozione legittimante e kafalah, come sembra fare la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo nelle pronunce in cui si è occupata del rifiuto posto, rispettivamente, da Francia e Belgio di consentire l'adozione di minori affidati mediante kafalah. A riguardo la corte europea ha ritenuto non solo che tale rifiuto non si pone in contrasto con il rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU) del minore, ma che anzi è pienamente rispettoso del miglior interesse dello stesso, poiché ne preserva l'origine etnica, religiosa, culturale e linguistica (Corte EDU, 4 ottobre 2012, ric. 43631/09; Corte EDU, 16 dicembre 2014, ric. 52265/10) così riconoscendo all'istituto di diritto islamico a tutela dei minori una sua propria specificità.

In giurisprudenza è stata operata una distinzione tra l'ipotesi in cui il soggetto richiedente il ricongiungimento sia un cittadino extraeuropeo e quella in cui sia un cittadino dell'Unione europea. Nel primo caso, operando una lettura dell' art. 29 del d.lgs. n. 286/1998 secondo il canone ermeneutico dell'interpretazione costituzionalmente adeguata, i giudici sono giunti a riconoscere il diritto al ricongiungimento, osservando che tra l'interesse alla tutela delle frontiere e l'interesse del minore debba prevalere quest'ultimo, atteso che la tutela delle frontiere può essere garantita dai controlli interni attuati nel procedimento per la concessione del permesso di soggiorno per motivi familiari.  Inoltre, eccezion fatta per quella esclusivamente negoziale, si ritiene che  tra la kafalah islamica ed il modello dell'affidamento nazionale prevalgono, sulle differenze, i punti in comune, non avendo entrambi tali istituti, a differenza dell'adozione, effetti legittimanti, e non incidendo, sia l'uno che l'altro, sullo stato civile del minore. Dall'altra parte la kafalah, , si avvicinerebbe all'adozione più che all'affidamento, in quanto, mentre l'affidamento ha natura essenzialmente provvisoria, la kafalah (ancorché ne sia ammessa la revoca) si prolunga tendenzialmente fino alla maggiore età dell'affidato. Tale affinità rende, quindi, possibile estendere ai soggetti minorenni affidati con provvedimento di kafalah la disciplina del ricongiungimento familiare di cui all' art. 29, comma 2, d.lgs. n. 286/1998, il quale equipara ai figli i minori affidati. 

A diversi esiti semantici è giunta taluna giurisprudenza con riferimento, invece, al ricongiungimento familiare con bambino extracomunitario affidato in kafalah a richiedenti italiani. In questo caso, la normativa applicabile è il d.lgs. n. 30/2007, nella cui nozione di familiare, stando al linguaggio prescrittivo del legislatore, non soltanto non è compreso il bambino affidato in kafalah, ma neppure, con riferimento alle categorie di diritto interno, il minore in affidamento.

La prima pronuncia di legittimità che si è occupata del riconoscimento della kafalah non ha riguardato il diritto al ricongiungimento familiare, ma la compatibilità dell'istituto estero di protezione del minore con il nostro regime giuridico dell'adozione. In Cass. n. 21395/2005 che per prima, in sede di legittimità si è occupata di kafalah, si è ritenuto che gli affidatari italiani in kafalah di un minore marocchino non sono legittimati a proporre opposizione al decreto di adottabilità del minore medesimo, dichiarata dal Tribunale per i minorenni, perché privi di legittimazione ad agire. Le ragioni della decisione si fondano proprio sull'ontologica diversità tra l'adozione e la kafalah. Gli affidatari in kafalah, dunque, non essendo genitori, né parenti entro i limiti richiesti dalla legge, né potendo rivestire la funzione del tutore, non rientrano nelle categorie dei legittimati ad agire indicati dall'art. 17 della l. n. 183/1984. Il principio stabilito dalla Corte costituisce un importante punto di partenza ai fini di una corretta qualificazione giuridica dell'istituto della kafalah nelle sue linee generali, tenendo presente che la configurazione astratta dell'istituto deve essere esaminata in concreto al fine di verificare se, qualunque sia la forma d'ingresso dell'istituto nel nostro ordinamento s'intendano eludere le norme inderogabili in tema di adozione internazionale. Tale orientamento ha trovato puntuale conferma in tre pronunce (Cass. n. 7472/2008; Cass. n. 18174/2008; Cass. n. 1908/2010) che hanno ritenuto equiparabile all'affidamento etero familiare la «kafalah» di diritto islamico, alla luce di una esegesi costituzionalmente adeguata delle norme sul ricongiungimento familiare e tenuto conto della previsione dell'istituto nella citata Convenzione di New York e degli arresti della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 198/2003 e Corte cost. 205/2003).

La Corte di Cassazione sottolinea che i punti in comune con l'affidamento sono superiori agli elementi di divergenza, da rinvenirsi questi ultimi pressoché esclusivamente nel carattere tendenzialmente stabile della kafalah rispetto all'affidamento etero familiare. Inoltre la Corte ha evidenziato che le perplessità sul riconoscimento possono porsi solo con riferimento alla kafalah di origine negoziale, peraltro non prevista dalla nuova legislazione marocchina che impone l'autorizzazione giudiziale ed il controllo pubblico anche ai fini dell'espatrio. La successiva pronuncia di Cass. n. 4868/2010, si è discostata dai precedenti sopra menzionati non ritenendo applicabile il d.lgs. n. 286/1998 nel caso in cui il richiedente sia cittadino italiano, desumendo il diniego del riconoscimento del diritto proprio dalla mancata previsione nel d.lgs. n. 30 del 2007 del minore affidato tra i familiari titolari del diritto in questione. Nel ritenere applicabile esclusivamente il d.lgs. n. 30/2007 e la nozione di familiare ivi contenuta, la Corte afferma che «non vi è spazio, nelle predette previsioni (quelle del d.lgs. n. 30/2007 n.d.r.) per ricomprendervi minori che né siano discendenti diretti propri o del coniuge/partner, né siano legati da vincolo parentale per ragioni di sangue ed a carico od in convivenza nel paese straniero con il cittadino ma vertano nella situazione di minori «affidati» alla stregua di norme dello stato di cittadinanza del minore che, come nel caso della legislazione del Marocco sulla kafalah, delineano una sorta di affidamento convenzionale, da omologare, dettato per la protezione affettiva e materiale del minore e senza che questi assuma titoli di «familiarità» alla stregua delle norme poste dalla Direttiva CE.». A seguito di ordinanza interlocutoria n. 996/2012, con cui il Collegio della Sesta sezione civile della Suprema Corte ha disposto la rimessione degli atti al Primo presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per decidere la questione di massima di particolare importanza relativa alla possibilità, invocata dal ricorrente, di un'interpretazione estensiva della nozione di «familiare» di cui al d.lgs. n. 30/2007, la Cass. S.U. n. 21108/2013, ha affermato il principio secondo cui non può essere rifiutato il nulla osta all'ingresso nel territorio nazionale, per ricongiungimento familiare, richiesto nell'interesse di minore cittadino extracomunitario, affidato a cittadino italiano residente in Italia con provvedimento di kafalah pronunciato dal giudice straniero, nel caso in cui il minore stesso sia a carico o conviva nel paese di provenienza con il cittadino italiano, ovvero gravi motivi di salute impongano che debba essere da questi personalmente assistito. (Principio enunciato ai sensi dell'art. 363 c.p.c.). Le Sezioni Unite nell'affrontare la questione di massima sottoposta all'esame hanno ritenuto di ribadire i principi già affermati esplicitamente nella Cass. n. 7472 /2008, con cui la Corte si è espressa per un'interpretazione estensiva dell' art. 29 d.lgs. n. 286/1998. In particolare, si è precisato che in ogni situazione nella quale venga in rilievo l'interesse del minore deve esserne assicurata la prevalenza sugli eventuali interessi confliggenti. Tale principio deve trovare applicazione anche in materia di disciplina interna dell'immigrazione, come previsto dal terzo comma dell'art. 28 del d.lgs. n. 286/1998. Corrisponde dunque alla volontà del legislatore che il superiore interesse del minore comporti, in presenza di circostanze particolari, ragione prevalente sul rispetto stesso della disciplina immigratoria. Sulla base dei rilievi espressi, proprio con riferimento al concetto di «familiare» le Sezioni Unite tengono a precisare che se certamente il minore straniero affidato a cittadino italiano con provvedimento di kafalah non potrebbe mai rientrare nella nozione di «discendente» che implica un rapporto parentale, fondato sulla realtà biologica o anche solo su quella giuridica dell'adozione legittimante, non si ravvisa alcun impedimento a comprenderlo nell'ambito degli «altri familiari» di cui all'art. 3, secondo comma lett. a), per i quali il cittadino italiano residente in Italia (o cittadino dell'Unione titolare di soggiorno a titolo principale) può chiedere il ricongiungimento se a) è a carico, ovvero b) convive nel paese di provenienza del cittadino extracomunitario, o, ancora, c) gravi motivi di salute ne impongano l'assistenza personale. Nel solco di tale pronuncia si inscrive anche Cass. n. 11404/2014.

Con Cass. n. 1843/2015 la Corte di Cassazione afferma che la kafalah «convenzionale» in quanto finalizzata a realizzare l'interesse superiore del minore, non contrasta con i principi dell'ordine pubblico italiano e neppure con quelli della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, che pure opera espressamente, all'art. 20, comma 3, il riconoscimento quale istituto di protezione del minore della sola «kafalah» giudiziale la quale, diversamente da quella convenzionale, presuppone la situazione di abbandono o comunque di grave disagio del minore nel suo ambiente familiare. Dato il presupposto dell'istituto, la valutazione circa la possibilità di consentire al minore l'ingresso in Italia ed il ricongiungimento con l'affidatario, anche se cittadino italiano, che non può essere esclusa in considerazione della natura e della finalità dell'istituto della «kafalah» negoziale, deve essere effettuata caso per caso in considerazione del superiore interesse del minore. Il principio del preminente interesse del fanciullo diventa la chiave di volta dell'impianto argomentativo dei giudici.

Tale orientamento viene ribadito in Cass. n. 28154/2017 e Cass. n. 6909/2022.

La Suprema Corte (Cass. I, n. 10072/2016) ha invece ritenuto inidoneo all'accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare, ex art. 29, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998 un'altra forma di tutela “negoziale” dei minori, diversa dalla Kafalah, in cui una zia, di nazionalità ecuadoriana aveva ottenuto in via negoziale la tutela della nipote minorenne, non essendo tale istituto equiparabile a quello disciplinato dal diritto italiano, giudizialmente disposto in favore dei minori privi di genitori in grado di esercitare nei loro confronti la responsabilità genitoriale e, dunque, di rappresentarli legalmente.

Ricongiungimento e unioni civili

Il Ministero dell'Interno con la circolare 5 agosto 2016 prot. n. 3511, ha precisato che a seguito dell'entrata in vigore della l. n. 76/2016 sulle unioni civili e le convivenze di fatto il ricongiungimento familiare ex art. 29 può essere chiesto anche dai cittadini stranieri dello stesso sesso uniti civilmente. Ciò in quanto la citata legge all'art. 1, comma 20, ha previsto espressamente che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti la parola coniuge, coniugati o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi e negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti, nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Il fatto che il Ministero dell'Interno richiami l'intero art. 29 porta a ritenere che lo straniero unito civilmente con un altro dello stesso sesso possa richiedere il ricongiungimento familiare non solo per il partner ma anche per tutti gli altri soggetti elencati dalla norma. Rimangono ferme le condizioni previste per richiedere il ricongiungimento.

Il Ministero dell'Interno con la circolare del 28 luglio 2016 n. 15, ha precisato che la normativa italiana prevale su eventuali disposizioni dell'ordinamento dello stato di appartenenza dello straniero che vietano le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Infatti la l. n. 76/2016 è di ordine pubblico e come tale secondo l' art. 16 della l. n. 218/1995 prevale su eventuali differenti previsioni di ordinamenti diversi. Deve altresì aggiungersi che la richiesta di ricongiungimento familiare è respinta se è accertato che l'unione civile ha avuto luogo allo scopo esclusivo di consentire all'interessato di entrare o soggiornare nel territorio dello stato. Valgono anche in tal caso le ipotesi in cui il ricongiungimento non trova applicazione.

Le modifiche apportate dal d.l. n. 113 del 2018

L'art. 1, comma 2, lett. n) del d.l. 4 ottobre 2018 n. 113dispone che “all'articolo 29, comma 10: 1) alla lettera b), le parole «di cui all'articolo 20» sono sostituite dalle seguenti: «di cui agli articoli 20 e 20-bis»; 2) la lettera c) è abrogata”.

Il d.l. n. 113 del 2018 recante “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata” oltre a riscrivere l'ambito della protezione umanitaria con l'introduzione di una tipizzazione delle ipotesi in cui la stessa può essere concessa (si parla ora di “protezione speciale”) amplia i casi in cui può essere riconosciuto un permesso temporaneo per esigenze di carattere umanitario.

Oltre ai casi già previsti di soggiorno per motivi di protezione sociale ex art. 18 d.lgs. n. 286/1998, di permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica ex art. 18-bis d.lgs. n. 286/1998, di permesso di soggiorno per lavoro subordinato all'art. 22 d.lgs. n. 286 /1998, nonché di permesso di soggiorno rilasciato allo straniero che abbia denunciato e abbia cooperato nel procedimento penale contro il datore di lavoro, il nuovo art. 20-bis d.lgs n. 286/1998, rubricato «Permesso di soggiorno per calamità», introduce la ulteriore ipotesi che il questore rilasci un permesso di soggiorno quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il rientro e la permanenza in condizioni di sicurezza.

Fermo restando quanto già previsto dal precedente art. 20, che non viene modificato, in materia di misure straordinarie di accoglienza per eventi eccezionali, le disposizioni di cui all'art. 29 del d.lgs. n. 286/1998 relative al ricongiungimento familiare non si applicano anche nell'ipotesi di cui all'art. 20-bis, ovvero ai soggetti destinatari di tale nuovo tipo di permesso, con ciò ulteriormente delimitando l'ambito in cui la predetta disciplina trova applicazione.

La disposizione di cui all'art. 29 comma 10, lett. c) è stata invece abrogata per effetto della sostituzione dell'art. 5, comma 6 del d.lgs n. 286/1998 ad opera dell'art 1 comma 1 lett. b).

Bibliografia

Acierno, Relazione su questione di massima di particolare importanza, in Italgiure.it, 10 maggio 2012; Morozzo della Rocca, Uscio aperto con porte socchiuse per l'affidamento del minore mediante kafalah al cittadino italiano o europeo, in Corr. giur. n. 12 del 2013; Tria, Il diritto all'unità familiare degli stranieri e degli apolidi nell'Unione europea e in Italia: una prospettiva di sintesi, europeanrigts.eu, 16 dicembre 2012; Venchiarutti, No al ricongiungimento familiare del minore affidato con kafalah: i richiedenti sono cittadini italiani!, in Dir. e fam. 2010.

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