Codice Civile art. 128 - Matrimonio putativo 1 2 .[I]. Se il matrimonio è dichiarato nullo [68, 117, 119, 120, 122, 123], gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede [584], oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi [122]3. [II]. Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli 4. [III]. Se le condizioni indicate nel primo comma si verificano per uno solo dei coniugi, gli effetti valgono soltanto in favore di lui e dei figli [139, 251, 785]. [IV]. Il matrimonio dichiarato nullo, contratto in malafede da entrambi i coniugi ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, salvo che la nullità dipenda da incesto [86, 87] 5. [V]. Nell'ipotesi di cui al quarto comma, rispetto ai figli si applica l'articolo 251 6. [1] Articolo così sostituito dall'art. 19 l. 19 maggio 1975, n. 151. [2] V. l'art. 1, commi 5, 20, l. 20 maggio 2016 n. 76 (Regolamentazioni delle unini civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze). [4] L'art. 2, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma. Il testo precedente recitava: «Gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo, nonché rispetto ai figli nati prima del matrimonio e riconosciuti anteriormente alla sentenza che dichiara la nullità». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. [5] L'art. 2, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito le parole «la nullità dipenda da bigamia o incesto» con le parole «la nullità dipenda da incesto». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. [6] L'art. 2, d.lg. 28 dicembre 2013, n. 154, ha sostituito il comma. Il testo precedente recitava: «Nell'ipotesi di cui al comma precedente, i figli nei cui confronti non si verifichino gli effetti del matrimonio valido, hanno lo stato di figli naturali riconosciuti, nei casi in cui il riconoscimento è consentito». Ai sensi dell’art. 108, d.lg. n. 154 del 2013, la modifica è entrata in vigore a partire dal 7 febbraio 2014. L'art. 1, comma 11, l. 10 dicembre 2012, n. 219, aveva sostituito alle parole «figli legittimi» e «figli naturali», le parole «figli». InquadramentoL'art. 128 c.c. introduce nel codice civile la disciplina del matrimonio putativo: il regime giuridico è stato da ultimo modificato dal d.lgs. 154 del 2013 che ha, come noto, ha unificato lo status dei figli, riconoscendo loro medesimi diritti, a prescindere dal fatto che la filiazione abbia avuto origine all'interno o fuori dal matrimonio. Il principio di unicità dello status dei figli coagula, oggi, dunque, anche la norma in rassegna. Il matrimonio è «putativo» quando è creduto valido da entrambi i nubendi (matrimonio putativo in favore di entrambi coniugi), da uno solo dei nubendi (matrimonio putativo in favore di uno dei coniugi) o quando la validità è ritenuta tale per la prole (matrimonio putativo in favore dei figli). La particolarità che contraddistingue la disciplina del matrimonio putativo consiste nella deroga introdotta dall'istituto de quo alla regola generale di efficacia ex tunc della pronuncia di nullità, idonea a caducare tutti gli effetti del negozio (quod nullum est nullum producit effectum). Nella fattispecie in rassegna, la declaratoria di nullità ha, dunque, effetti ex nunc al punto da poter essere assimilata a una pronuncia di scioglimento del vincolo (Sesta, 429). I casi del matrimonio putativoLa disciplina del matrimonio putativo prende in considerazione diverse ipotesi. La prima è quella dei coniugi che, al momento del matrimonio, ignoravano la causa di nullità e versavano, dunque, in buona fede. In questo caso, se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità. Una seconda ipotesi è quella dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi: anche in questo caso, se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità. In entrambi i casi, non versando i nubendi in mala fede, il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli. bene rilevare come, nell'ultima fattispecie considerata, non può dirsi che gli sposi ignorassero la causa della nullità; ciò nondimeno, il Legislatore ha inteso equiparare questo caso al primo così assegnando rilevanza, nella disciplina del matrimonio putativo, non solo alla buona fede tout court ma anche alla mancanza di rimproverabilità dei coniugi (Cian, Trabucchi, 223) rispetto al motivo invalidante. Una terza ipotesi è quella in cui solo uno dei coniugi fosse in buona fede, mentre l'altro fosse a conoscenza della causa di nullità: in questo caso, se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono fino alla sentenza che pronunzia la nullità ma solo in favore del coniuge in buona fede e dei figli. Sussiste, poi, un'ultima ipotesi: quella in cui entrambi i coniugi abbiano contratto il matrimonio in mala fede. In questo caso, nessuno dei coniugi può beneficiare della disciplina del putativo e il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido solo rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, e purché la nullità non dipenda da incesto (prima della modifica apportata dal d.lgs. n. 154/2013, ostava agli effetti del putativo anche il fatto che i figli fossero nati da matrimonio contratto in violazione del divieto di bigamia). La disciplina del matrimonio putativo si applica anche al vincolo matrimoniale concordatario (Cass. n. 15558/2011). Non opera, però, al cospetto di un matrimonio inesistente, tale essendo quello non riconoscibile in alcun modo come unione matrimoniale (si pensi al caso paradossale della persona che contragga matrimonio con sé stessa; all'unione celebrata segretamente in casa dai soli nubendi; al vincolo celebrato da persona con soggetto defunto). L'inesistenza è, cioè, categoria caratterizzata dalla oggettiva impossibilità di rintracciare alcun elemento strutturale minimo per affermare la riconoscibilità dell'unione; negli altri casi, il matrimonio è invece nullo o annullabile; magari irregolare, ma non inesistente. La Suprema Corte, al riguardo, ha avuto modo di precisare che il matrimonio è invalido e non inesistente quando si riscontri la sussistenza dei requisiti minimi per la giuridica configurabilità del matrimonio medesimo, e cioè la manifestazione di una volontà matrimoniale da parte dei nubendi espressa in presenza di un ufficiale celebrante, verificandosi, per converso, una situazione di inesistenza nella sola ipotesi in cui risulti «in radice» esclusa ogni possibilità di assegnare effetti ad un fatto non riconducibile nello schema del rapporto matrimoniale per totale assenza di quella realtà fenomenica che costituisce la base naturalistica della fattispecie (Cass. n. 7877/2000). Delibazione della sentenza ecclesiastica di nullitàSi è fatto cenno alla giurisprudenza di Cassazione in materia di nullità pronunciata dal giudice ecclesiastico. Secondo questo orientamento consolidato, gli eredi del coniuge deceduto non sono legittimati a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica che ha dichiarato la nullità del matrimonio religioso in quanto, diversamente da quanto stabilito dalla previgente disciplina, il procedimento non ha natura officiosa e la titolarità del potere di chiedere la delibazione della pronuncia ecclesiastica spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal cod. civ., non rilevando, in contrario, che nell'ordinamento ecclesiastico gli eredi del coniuge deceduto siano invece legittimati ad instaurare il giudizio di nullità del matrimonio religioso, in quanto questa legittimazione non può fondare la legittimazione alla proposizione della domanda di delibazione (Cass. n. 22514/2004). La buona fede si presume fino a prova contraria in virtù del principio fissato per il possesso dall'art. 1147 c.c., ma applicabile a tutti i negozi giuridici (Cass. n. 2077/1985). EffettiGli effetti del putativo operano selettivamente riguardo al solo coniuge in buona fede e ai figli, purché non generati da incesto. In particolare, in caso di pronuncia di nullità (che sia passata in giudicato) le condizioni per l'affidamento ed il mantenimento della prole, sono disciplinate dagli artt. 337-bis c.c. Gli effetti che derivano dal putativo non sono, però, solo sostanziali ma anche processuali: si determina, cioè, non solo l'applicabilità della disciplina sostanziale, ma anche di quella processuale a quest'ultima norma sottesa e quindi anche la possibilità di ricorrere alle disposizioni generali del rito unitario per la modifica delle condizioni fissate dal giudice (Cass. n. 2728/1995); revisione, peraltro, ammessa in via generale riguardo ai figli dall'art. 337-quinquies c.c. La circostanza, poi, che non sia stato adottato alcun provvedimento circa il mantenimento della prole non esclude la possibilità di ricorrere alla procedura di revisione (Cass. n. 4470/1977; Cass. n. 2514/1983). Unione civileLa normativa sull'unione civile (art. 1 comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76), prevede una clausola generale di estensione agli uniti civili delle norme ordinamentali dedicate ai coniugi: «al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso». Questa estensione però ha dei limiti. Infatti è espressamente previsto che essa «non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge». Pertanto, si applicano alle unioni civili solo le disposizioni del c.c. richiamate in modo esplicito. La disposizione qui in commento è tra quelle espressamente richiamate e, quindi, applicabili. BibliografiaV. sub art. 126 c.c. |