Codice di Procedura Civile art. 710 - [Modificabilità dei provvedimenti relativi alla separazione dei coniugi] 1 2 3[[I]. Le parti possono sempre chiedere, con le forme del procedimento in camera di consiglio [737 ss.], la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione.] [[II]. Il tribunale, sentite le parti, provvede alla eventuale ammissione di mezzi istruttori e può delegare per l'assunzione uno dei suoi componenti.] [[III]. Ove il procedimento non possa essere immediatamente definito, il tribunale può adottare provvedimenti provvisori e può ulteriormente modificarne il contenuto nel corso del procedimento.]
[1] Articolo così sostituito dall'art. 1 l. 29 luglio 1988, n. 331 e, da ultimo, abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] La Corte cost., con sentenza 9 novembre 1992, n. 416, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede la partecipazione del pubblico ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole. [3] V. art. 41l. 8 febbraio 2006, n. 54, in tema di affidamento condiviso dei figli. InquadramentoIl procedimento previsto dalla disposizione in esame è fondato sulla necessità di adeguare nel tempo, sulla base di una più attuale e concreta valutazione dell'interesse della prole, i provvedimenti già adottati (Cass. I, n. 7770/2012). Ai sensi della norma in commento nella separazione e dell'art. 9 l. n. 898/1970 in tema di divorzio, dopo (e nonostante) il passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato sulla separazione o sul divorzio, le parti possono sempre chiedere al Tribunale la modifica dei provvedimenti che le riguardino nonché di quelli relativi ai figli (Cass. n. 21874/2014). I provvedimenti in questione nei procedimenti di separazione e divorzio sono quindi inidonei al giudicato e soggetti alla clausolarebus sic stantibus (Pagano, 367 ss.). La competenza è demandata per materia al Tribunale e, quanto alla competenza per territorio, operano i criteri generali di cui agli artt. 18 e 20. Il procedimento, sebbene abbia carattere contenzioso, si svolge nelle forme camerali di cui agli artt. 737 e ss., ed il provvedimento che modifica le condizioni di separazione tra i coniugi, pronunciato ai sensi dell'art. 710, è immediatamente esecutivo, in quanto ad esso non si applica il differimento dell'efficacia esecutiva previsto in via generale dall'art. 741 per gli altri provvedimenti camerali (Cass.S.U., n. 10064/2013). I provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 710 sono, secondo la regola generale, reclamabiliexart. 739 dinanzi alla Corte d'Appello (Briguglio-Capponi, 319), ma non anche ricorribili per cassazione, in quanto inidonei al giudicato. Profili generaliAi sensi della disposizione in esame nella separazione e dell'art. 9 l. n. 898/1970 in tema di divorzio, dopo e nonostante il passaggio in giudicato della sentenza che ha pronunciato sulla separazione o sul divorzio, le parti possono sempre chiedere al Tribunale la modifica dei provvedimenti che le riguardino nonché di quelli relativi ai figli (Cass. n. 21874/2014). In altri termini, il giudizio promosso ai sensi della disposizione in esame relativo alla richiesta di modifica delle condizioni della separazione è proponibile qualora dette condizioni siano definitive, solo allora essendo possibile parlare di circostanze nuove, tali da giustificare la richiesta di modifica, non potendo, invece, in tale sede avere rilievo l'eventuale inadempimento degli obblighi assunti dalle parti, essendo tale aspetto relativo alla messa in esecuzione del titolo già in loro possesso (Trib. Salerno I, 18 aprile 2012). Non osta alla proponibilità della domanda di modifica delle condizioni della separazione la circostanza che sia stato incardinato il giudizio di divorzio ove, nell’ambito dello stesso, non siano stati già pronunciati i provvedimenti presidenziali (Cass. n. 27205/2019). Inoltre, tali provvedimenti possono essere richiesti anche per la modifica degli accordi raggiunti in sede di separazione consensuale o divorzio congiunto e questo non allorché ai facciano valere vizi del consenso che abbiano asseritamente inficiato l'accordo di separazione (cfr. anche Trib. Roma I, 16 marzo 2012, in Giur. mer., 2013, n. 10, 2101, con nota di Serrao), dovendo piuttosto fondarsi su fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale gli accordi stessi erano stati stipulati (Trib. Modena II, 18 aprile 2012). Nel procedimento ex art. 710 c.p.c.non si può invero procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell'entità dell'assegno stabiliti in sede di separazione, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, è necessario verificare se e in che misura le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e quindi adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (App. Roma, 1° marzo 2016). In sostanza, lo strumento previsto dagli artt. 710 c.p.c. e 156 c.c. è deputato ad attualizzare le statuizioni già assunte in sede di separazione, modificandole in funzione delle circostanze sopravvenute (Trib. Velletri, 18 dicembre 2015). In definitiva, i giustificati motivi, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti alla separazione, ancorché non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (Cass. I, n. 11488/2008). I provvedimenti in questione nei procedimenti di separazione e divorzio sono quindi inidonei al giudicato e soggetti alla clausola rebus sic stantibus, poiché sono modificabili deducendo la sopravvenienza di nuove circostanze (e sono così assimilabili a quelli rientranti nella giurisdizione volontaria: Pagano, 367 ss.). In materia di revisione dell'assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell'altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui di fatto sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. n. 11648/2012). La domanda di revisione dell'assegno di separazione, coeva a quella di divorzio, non comporta la riunione dei due procedimenti, trattandosi di due procedimenti con caratteri e finalità diverse, nonché distinzioni anche temporali: il regime della modifica di condizioni verrà meno con la pronuncia di divorzio (Cass. VI, n. 2437/2015). Pertanto, i mutamenti reddittuali verificatisi in pendenza del giudizio di divorzio restano oggetto di valutazione del giudice investito della domanda di modifica delle condizioni di separazione, essendo queste ultime destinate alla perdurante vigenza fino all'introduzione di un nuovo regolamento patrimoniale per effetto della sentenza di divorzio (Cass. I, n. 1779/2012; conf., in sede applicativa, Trib. Padova, I, 14 ottobre 2005, n. 606, per la quale, fino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, che produce effetti ex nunc, il giudice del procedimento per la modifica delle condizioni della separazione conserva il potere di regolamentare i rapporti patrimoniali tra i coniugi per cui l'introduzione del giudizio divorzile non determina l'improcedibilità del ricorso proposto ai sensi dell'art. 710 c.p.c.). Diversamente, in sede di merito, è stato più volte affermato che è inammissibile il ricorso proposto ex art. 710 per la modifica delle condizioni della separazione personale dei coniugi qualora, nelle more del procedimento, venga proposto ricorso di divorzio giudiziale, in quanto il giudice di quest'ultimo è il solo competente a provvedere sulle richieste di modifica delle condizioni della separazione (v., da ultimo, Trib. Modena, II, 1° febbraio 2017, n. 290; Trib. Napoli, 29 ottobre 2004; Trib. Cuneo 16 novembre 2000; Trib. Pescara, 2 settembre 2010, in PQM, 2010, n. 3, 64, con nota di Serafini). Di recente, è stato ritenuto, in una prospettiva «intermedia», che è ammissibile la modifica delle condizioni di separazione pur in pendenza di un giudizio di divorzio purché sia relativa al periodo di tempo successivo alla separazione ed antecedente rispetto alla proposizione della domanda di divorzio, mentre nessuna sovrapposizione può esservi tra le due pronunce, ovvero per il periodo successivo alla proposizione della domanda di divorzio, atteso che, diversamente, si violerebbe il principio del ne bis in idem, sicché, qualora la domanda di modifica delle condizioni sia presentata antecedentemente alla domanda di divorzio, la pronuncia in sede di procedimentoex art. 710 c.p.c. sarà ammissibile per il periodo intercorrente tra la presentazione della domanda ex art. 710 c.p.c. e la presentazione di quella di divorzio, non potendo la pronuncia in quest'ultima sede retroagire a prima della presentazione della domanda stessa (Trib. Torino VII, 21 ottobre 2016, in Ilfamiliarista, 27 gennaio 2017). Occorre inoltre considerare App. Venezia III, 8 novembre 2018, n. 3047, per la quale in tema di separazione coniugale, laddove in appello una parte lamenti delle sopravvenute condizioni economiche peggiorative, vanno valutate le ragioni di censura alla motivazione della sentenza impugnata e le eventuali sopravvenienze fattuali - là dove fossero effettivamente tanto rilevanti da aver modificato i dati raccolti con l'istruttoria in primo grado – possono anche essere documentate in appello, per il principio di economia processuale e con la necessaria garanzia del contraddittorio, ma l'istruttoria peritale sulle modificate condizioni economiche delle parti, dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, resta devoluta alla procedura regolata dall'art. 710 c.p.c. CompetenzaLa competenza è demandata per materia al Tribunale mentre, quanto alla competenza per territorio, operano i criteri generali di cui agli artt. 18 e 20 (Cass. I, n. 22394/2008). Pertanto, il procedimento può essere incardinato sia ex art. 18 di fronte al tribunale del luogo di residenza del coniuge convenuto sia, ai sensi dell'art. 20, dinanzi al tribunale che ha pronunciato la sentenza di separazione o divorzio o ha omologato la stessa, da intendersi quale luogo in cui l'obbligazione è sorta (Cass. I, n. 8016/2013). Le regole di competenza in questione sono applicabili anche ai procedimenti di modifica delle condizioni di divorzio che presentano situazioni analoghe e che postulano un'identica disciplina, in mancanza nella legge di divorzio di una normativa sulla competenza territoriale per la revisione dei provvedimenti sull'affidamento dei minori, in applicazione analogica della disciplina prevista ex art. 709 e 710 c.p.c. (cfr. Trib. Pavia, 7 marzo 2016, in Dir. fam. pers., 2016, n. 3, 832). In sede applicativa è stato tuttavia precisato che, per i procedimenti instaurati dal coniuge ex art. 710 per la modifica dell'assegno di mantenimento, va esclusa la competenza del tribunale innanzi al quale sia stata definita la separazione (giudiziale o consensuale) allorquando nel medesimo circondario non sia stanziata la residenza di parte convenuta (Trib. Milano IX, 4 marzo 2013). Le richieste di modifica afferenti la prole minorenne vanno presentate nel luogo di residenza abituale della stessa (cfr. Trib. Forlì 18 settembre 2009, la quale ha ritenuto che tale competenza resti ferma in caso di trasferimento otto giorni prima della proposizione del ricorso). L'art. 6 del d.l. n. 132/2014, conv. nella l. n. 160/2014, ha inoltre previsto la possibilità che le modifiche possano essere concordate tra i coniugi nell'ambito di un procedimento di negoziazione assistita. ProcedimentoIl procedimento, sebbene abbia carattere contenzioso, si svolge nelle forme camerali di cui agli artt. 737 e ss. Sul punto è intervenuta una recente decisione della S.C. precisando che si tratta di un procedimento contenzioso che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti titolari di confliggenti e si connota per un rito caratterizzato: dalla pubblicità degli atti depositati nel fascicolo di causa e accessibili a chiunque vi abbia interesse; dalla ammissione delle parti ad esporre le rispettive ragioni oralmente, di persona o con la assistenza tecnica di un difensore, oppure di farsi rappresentare da altri al fine di tale trattazione orale; dal controllo delle parti medesime sulla fase del procedimento; dal contenuto della decisione che, come tale deve essere motivata nella osservanza del canone di congruità argomentativa, resa pubblica con il deposito e comunicata alle parti costituite essendo così assoggettata al successivo controllo di opinione, che appare idoneo a metterla al riparo da rischi di arbitrarietà. In tale modo è anche assicurato il pieno rispetto delle regole del contraddittorio e garantite le posizioni delle parti dotate del potere di impulso processuale (Cass. I, n. 3028/2020). La domanda deve pertanto essere proposta con ricorso al tribunale competente che deciderà in composizione collegiale, ferma la possibilità di delegare l'istruttoria al giudice relatore. È stato chiarito che, ad esempio, il ricorso finalizzato all'ottenimento della revisione delle condizioni stabilite nel decreto di omologazione della separazione consensuale deve necessariamente prendere in considerazione la novità dei fatti legittimanti la revisione stessa e la loro incidenza sulle condizioni economiche del ricorrente, sicché quest'ultimo è tenuto a specificare in che modo il processo degenerativo abbia inciso sulle condizioni economiche esistenti al momento della separazione consensuale, sia sotto il profilo della riduzione del reddito derivante dalla sua attività lavorativa, sia sotto il profilo dell'incremento delle spese sostenute a causa della malattia (Cass. VI, n. 4416/2014). Nel procedimento, a seguito di una decisione additiva della Corte Costituzionale, è necessario l'intervento del pubblico ministero. Se il procedimento non può essere immediatamente definito per esigenze istruttorie, il comma 3 della disposizione in esame, consente che vengano emanati provvedimenti provvisori. A tal fine è peraltro necessario che il procedimento sia stato promosso, sicché non possono essere richiesti ante causam (Trib. Modena 2 maggio 2013). Parte della giurisprudenza di merito ritiene che, peraltro, non sia esclusa la possibilità che detti provvedimenti vengano adottati inaudita altera parte, concorrendo le necessarie condizioni di urgenza e fatta salva la necessità di confermare o revocare il provvedimento provvisorio non appena sia avvenuta la regolare instaurazione del contraddittorio (Trib. Arezzo 6 dicembre 2012, per la quale tale possibilità di anticipazione può ben concernere l'ordine ex art. 156, comma 6, c.c.). La natura camerale del procedimento implica che, in tema di modifica delle condizioni di separazione, non è affetta da inammissibilità per tardività la domanda di affidamento condiviso formulata per la prima volta all'udienza di fronte al tribunale, trattandosi di procedimenti in cui vengono in rilievo finalità di natura pubblicistica relative alla tutela e cura dei minori, non governate, quindi, dal principio della domanda (Cass. I, n. 11218/2013). Sotto il profilo istruttorio, la S.C. ha precisato che l'audizione dei minori, già prevista nell'art. 12 della convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino ed, in particolare, in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell'art. 6 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la l. n. 77/2003, e dell'art. 155-sexies c.c., introdotto dalla l. n. 54/2006. In particolare, la Corte di Cassazione ha chiarito che tale adempimento è necessario anche nei procedimenti di revisione delle condizioni di separazione dei coniugi, senza che possa ritenersi sufficiente, a tale scopo, che il minore sia stato interpellato o esaminato da soggetti (nella specie, assistenti sociali) le cui relazioni siano state successivamente acquisite al fascicolo processuale, dovendo il giudice, ove non ritenga di procedere all'audizione diretta, avvalersi di esperti investiti da specifica delega (Cass. I, n. 11687/2013). Attesa la natura camerale del procedimento incardinato ai sensi della disposizione in esame, il giudice è dotato di ampi poteri istruttori, anche officiosi, avendo riguardo al disposto dell'art. 738, comma 3, c.p.c. In tale prospettiva, si ritiene, in sede di legittimità, che in sede di modifica delle condizioni di separazione personale dei coniugi, rientra nei poteri ufficiosi del giudice rimodulare i periodi in cui il genitore può tenere presso di sé il figlio di cui è disposto l'affidamento condiviso, in relazione alla nuova situazione determinatasi (Cass. I, n. 6339/2011). La decisione finale è assunta con decreto. Nella giurisprudenza di legittimità è stato statuito dalle Sezioni Unite, risolvendo il contrasto che si era formato sulla questione, che il provvedimento che modifica le condizioni di separazione tra i coniugi, pronunciato ai sensi dell'art. 710, è immediatamente esecutivo, in quanto ad esso non si applica il differimento dell'efficacia esecutiva previsto in via generale dall'art. 741 per gli altri provvedimenti camerali (Cass. S.U., n. 10064/2013; Cass. n. 4376/2012; conf., in sede di merito, Trib. Civitavecchia, 15 febbraio 2008, n. 152, in Il merito, 2008, n. 7-8,7, con nota di Utzeri, per la quale il decreto emesso all'esito del procedimento in camera di consiglio per la modificazione dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti alla separazione, è dotato di efficacia esecutiva, stante la presenza di un sistema normativo complessivamente volto ad attribuire immediata esecutività ai provvedimenti, anche provvisori, emanati nell'ambito del giudizio di separazione, atteso che una diversa soluzione interpretativa infatti, sarebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., perché si risolverebbe in un'evidente disparità di trattamento tra situazioni analoghe per le quali si rende necessaria identica tutela. Ne deriva che, attesa la natura di titolo esecutivo ai sensi dell'art. 474 c.p.c. del decreto emesso all'esito del procedimento ex art. 710 c.p.c., appare del tutto legittima la spedizione dello stesso in forma esecutiva prima del decorso dei termini previsti dagli art. 739 e 740 c.p.c., con conseguente rigetto della domanda proposta in opposizione al suddetto provvedimento). Invero, in accordo con una diversa impostazione interpretativa, che pure era stata affermata in sede di legittimità, il provvedimento di modifica delle condizioni di separazione, previsto dall'art. 710, non è immediatamente esecutivo, ma solo ove in tal senso sia disposto dal giudice ai sensi dell'art. 741. Tale tesi era stata motivata osservando che, mentre l'art. 1 l. n. 331/1988 richiama espressamente la disciplina dei procedimenti in camera di consiglio, resta inapplicabile l'art. 4, comma 14, l. 1º dicembre 1970 n. 898, il quale dispone la provvisoria esecutività della sentenza di primo grado pronunciata all'esito del giudizio di divorzio, regola estesa dall'art. 23 l. 6 marzo 1987, n. 74 ai giudizi di separazione personale, ma non a quelli di modifica del regime di separazione (Cass. I, n. 9373/2011). Prospettive di riforma Non è, rispetto al procedimento in esame, di immediata comprensione il criterio di delega contenuto nell'art. 1, comma 23, lett. hh), seconda parte, della legge n. 206 del 2021, laddove stabilisce che debba essere introdotto un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione, alla revisione delle condizioni di dirozio e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati. Invero, il criterio di delega, nel riferirsi alla modifica delle condizioni di separazione, non fa riferimento alla norma in esame, ma all'art. 711 c.p.c., mentre è corretto per il divorzio il richiamo all'art. 9 della l. div. Potrebbe trattarsi di un mero refuso, se non fosse che lo stesso criterio di delega prevede che questo procedimento debba essere introdotto da un'istanza congiunta dei coniugi, ciò che è peraltro in contrasto con la prassi applicativa nella quale, di regola, le modifiche sono richieste da uno dei coniugi nei confronti dell'altro deducendo nuove circostanze. Sarà quindi entro questi termini il legislatore delegato a dover chiarire la questione. Il provvedimento per il resto dovrebbe essere strutturato secondo un contradditorio cartolare, salva richiesta congiunta delle parti di fissazione dell'udienza ovvero nelle ipotesi in cui il tribunale ravvisi la necessità di approfondimenti in ordine alle condizioni proposte dalle parti. Regime della decisioneI provvedimenti pronunciati ai sensi dell'art. 710 sono, secondo la regola generale operante per quelli in camera di consiglio, reclamabili ex art. 739 dinanzi alla Corte d'Appello (Briguglio-Capponi, 319). Invero, il decreto pronunciato in sede di reclamo avverso un provvedimento provvisorio reso ai sensi dell'art. 710, comma 3, ha la stessa natura del provvedimento reclamato e non è, quindi, suscettibile di acquistate autorità di giudicato, essendo destinato a perdere efficacia a seguito dell'emissione del provvedimento definitivo (Cass. I, n. 21336/2013). Anche in sede di legittimità è stato più volte enunciato il principio secondo cui i provvedimenti adottati con il procedimento in camera di consiglio per la modifica delle condizioni di separazione personale sono reclamabili e ricorribili in cassazione (Cass. S.U., n. 22238/2010). La S.C. ha precisato, infatti, che il decreto pronunciato dalla corte d'appello in sede di reclamo avverso il provvedimento del tribunale in materia di modifica delle condizioni della separazione personale concernenti l'affidamento dei figli ed il rapporto con essi, ovvero la revisione delle condizioni inerenti ai rapporti patrimoniali fra i coniugi ed il mantenimento della prole ha carattere decisorio e definitivo ed è, pertanto, ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. I, n. 12018/2019;Cass. I, n. 11218/2013). Tuttavia è inammissibile — per difetto di decisorietà e di definitività — il ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la corte d'appello abbia rigettato il reclamo proposto nei confronti del provvedimento del tribunale che aveva posto il versamento dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge separato direttamente a carico del terzo obbligato alla corresponsione di somme di denaro al coniuge obbligato, che era rimasto inadempiente (Cass. I, n. 9671/2013). CasisticaL'accettazione della giurisdizione italiana nell'ambito del giudizio di separazione personale non esplica alcun effetto nel successivo procedimento di modifica delle condizioni della separazione instaurato per ottenere l'affidamento di figli minori, sia perché quest'ultimo è un nuovo giudizio (come si evince anche dall'art. 12, par. 2, lett. a), del reg. CE n. 2201 del 2003), sebbene ricollegato al regolamento attuato con la decisione definitiva o con l'omologa della separazione consensuale non più reclamabile, in base al suo carattere di giudicato «rebus sic stantibus», sia perché il criterio di attribuzione della giurisdizione fondato sulla cd. vicinanza, dettato nell'interesse superiore del minore come delineato dalla Corte di giustizia della UE, assume una pregnanza tale da comportare l'esclusione della validità del consenso del genitore alla proroga della giurisdizione (Cass. S.U., n. 13912/2017). La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale - il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti - e un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata (nella specie vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene stesso). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso ad hocex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c. (Cass. I, n. 5061/2021). La domanda di modificazione dei provvedimenti riguardanti il coniuge e la prole conseguenti la separazione, proposta ai sensi degli art. 710 e 711 c.p.c., non è equiparabile a quella di separazione e si sottrae alle speciali regole di competenza dettate per quest'ultima dall'art. 706 c.p.c. Infatti, poiché nella modificazione dei provvedimenti concernenti la prole non è ravvisabile il carattere obbligatorio ex art. 1174 c.c., alla domanda di affidamento del figlio minore va applicato il forum rei ex art. 18 c.p.c. (Trib. Trapani, 11 dicembre 2004, in Giur. mer., 2005, n. 6, 1294). In tema di modifica delle condizioni di separazione dei coniugi, non costituiscono di per sé giustificati motivi di revoca o di riduzione quell'assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente più debole: a ) la nascita, successiva alla separazione, di un nuovo figlio dell'onerato, in quanto il diritto del coniuge beneficiario non è recessivo rispetto a tale evento, sicché il giudice deve accertarne in concreto l'incidenza negativa sulla posizione economica dell'onerato medesimo; b ) la circostanza che il coniuge beneficiario non abbia reperito una sistemazione lavorativa, in quanto la sua attitudine lavorativa deve essere riscontrata non alla stregua di valutazioni astratte ed ipotetiche, ma in concreto, in termini di sopravvenuta possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni effettivo fattore individuale ed ambientale (rilevando, ad esempio, l'acquisto, da parte del beneficiario, di professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, ovvero la circostanza che lo stesso abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione: Cass. I, n. 789/2017, in Foro it., 2017, I, 1680, con nota di Casaburi, Bona e Mondini). A fronte del travolgimento del presupposto (permanenza del vincolo coniugale) dell'assegno di mantenimento conseguente alla sopravvenienza della dichiarazione ecclesiastica di nullità originaria di quel vincolo, non possono resistere le statuizioni economiche, relative al rapporto tra i coniugi, contenute nella sentenza di loro separazione, benché divenuta cosa giudicata, apparendo irragionevole - così dovendosi escludere qualsivoglia violazione del principio dell'intangibilità del giudicato - che possano sopravvivere pronunce accessorie al venir meno della pronuncia principale dalla quale queste dipendono. Prova ne sia che, ove intervenisse una dichiarazione di nullità di quel vincolo ai sensi della normativa civile, non vi sarebbe luogo a statuizioni corrispondenti a quelle previste in sede di separazione personale, in quanto, in simile ipotesi, il legislatore ritiene che la disciplina dei rapporti economici trovi la sua sede adeguata nel cd. matrimonio putativo (Cass. I, n. 11553/2018). L'iniziativa unilaterale di un genitore di trasferirsi all'estero con la prole minorenne arreca a quest'ultima grave pregiudizio, specialmente ove comporti un diradamento degli incontri con l'altro genitore, il quale può quindi rivolgersi al giudice ex art. 710 c.p.c. e 155-quater c.c., per ottenere una rivalutazione delle condizioni dell'affidamento proprio alla stregua di tale nuova circostanza (Trib. Modena, II, 5 giugno 2009). Nondimeno, il coniuge separato che intenda trasferire la residenza lontano da quella dell'altro coniuge non perde l'idoneità ad avere in affidamento i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all'interesse della prole il collocamento presso l'uno o l'altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario (Cass. I, n. 18087/2016; Cass. I, n. 9633/2015). La madre, presso la quale i figli in affidamento congiunto risiedono, non può, senza il preventivo consenso del marito e senza nulla osta del dirigente scolastico, spostare la frequenza scolastica dei figli presso un diverso istituto: una simile condotta viola la disciplina dell'affidamento condiviso concordato fra i coniugi, ed è gravemente pregiudizievole i figli costretti a cambiare il proprio ambiente scolastico (Trib. Forlì, 18 settembre 2009). Il mero acquisto di un cespite, così come la perdita di un bene, non rappresenta, di per sé, indice sufficiente a giustificare la modifica delle condizioni della separazione consensuale in punto di misura del contributo di mantenimento, giacché la valutazione dei motivi sopravvenuti — la prova dell'esistenza dei quali è a carico del coniuge richiedente la modifica — postula sempre un giudizio di relazione da parte del giudice di merito, onde accertare se l'acquisto o la perdita del cespite sia l'espressione di un incremento o decremento patrimoniale dei coniugi di entità tale da mutare l'equilibrio esistente al momento della separazione (Cass. I, n. 11720/2003). Il raggiungimento della maggiore età del figlio minore non può determinare, nel coniuge separato o divorziato, tenuto a contribuire al suo mantenimento, il diritto a procedere unilateralmente alla riduzione od eliminazione del contributo o a far valere tale condizione in sede di opposizione all'esecuzione, essendo necessario, a tal fine, procedere all'instaurazione di un giudizio volto alla modifica delle condizioni di separazione o divorzio (Cass. III, n. 13184/2011; conf. Trib. Trani, 19 agosto 2020, n. 1213). In tema di assegno di mantenimento, i «giustificati motivi», la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di separazione dei coniugi, non sono ravvisabili nella mera perdita da parte dell'obbligato di un cespite o nella contrazione di un'attività produttiva di reddito, restando da dimostrare, con onere a carico dell'interessato, che la perdita medesima si sia tradotta in una riduzione delle complessive risorse economiche (Trib. Modena II, 20 gennaio 2012). Il diritto a percepire l'assegno di mantenimento, riconosciuto in sede di separazione personale tra i coniugi, può essere modificato o estinguersi solo mediante la procedura di cui all'art. 710 c.p.c., con la conseguenza che il raggiungimento della maggiore età del figlio e la raggiunta autosufficienza economica dello stesso non sono, di per sé, condizioni sufficienti a legittimare ipso facto, in assenza di un accertamento giudiziale, la mancata corresponsione dell'assegno, ma determinano unicamente la possibilità per il genitore obbligato di richiedere l'accertamento di tali circostanze (Cass. I, n. 22491/2006). Non può considerarsi circostanza nuova rilevante ai fini della riduzione del contributo al mantenimento del figlio minore quella afferente il lavoro del genitore collocatario quale baby sitter per poche ore quotidiane in aggiunta all'attività lavorativa già quotidianamente svolta, dal momento che si tratta di circostanza che, al contrario, conferma la necessità per l'avente diritto, pur quotidianamente impegnato nel lavoro e con il prevalente carico del diretto accudimento del figlio minore, di reperire modeste ulteriori fonti reddituali (Trib. Milano, 14 aprile 2011, in Giur. mer., 2013, n. 10, 2107, con nota di Serrao). Per la revisione dell'assegno di mantenimento dei figli non basta un peggioramento delle condizioni economiche del coniuge obbligato se questo risulta strumentale o addirittura simulato (Cass. I, n. 20064/2011). Lo strumento previsto dall'art. 710 c.p.c. non può essere utilizzato per ottenere una revisione delle condizioni di separazione una volta che taluna delle parti si sia resa conto della non convenienza dell'accordo raggiunto; e gli eventuali pretesi vizi dell'accordo di separazione, ovvero la sua simulazione, vanno rimessi al giudizio ordinario, secondo le regole generali di procedura (Trib. Verona, 15 novembre 2002, in Giur. mer., 2003, 1978). L'assegnazione della casa coniugale è eziologicamente ed esclusivamente connessa all'affidamento o alla collocazione dei figli minori presso uno dei genitori: deve, pertanto, escludersi che il giudice della separazione anche in sede di provvedimenti modificativi richiesti ex art. 710, sia tenuto a provvedere in ordine a tale domanda, quando la casa familiare non ha più tale destinazione funzionale (Cass. VI, n. 12346/2014). La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale — il consenso reciproco a vivere separati, l'affidamento dei figli, l'assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti — ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all'instaurazione di un regime di vita separata: ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica o conferma in sede di ricorso «ad hoc» ex art. 710 o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell'art. 1372 c.c. (Cass. I, n. 16909/2015). In tema di separazione tra coniugi deve essere rigettata per difetto dei presupposti la richiesta formulata dal marito volta ad ottenere un assegno di mantenimento in proprio favore, che sia basata sull'assunto che la moglie svolga un lavoro part-time, mentre potrebbe svolgere un lavoro a tempo pieno, nel caso in cui la trasformazione del contratto non dipenda soltanto dalla coniuge e, comunque, quando la modalità part-time sia stata scelta dai coniugi in costanza di matrimonio per permettere alla madre di accudire i figli in tenera età (Trib. Milano 8 marzo 2012, in Giur. mer., 2013, n. 3, 572). La convivenza «more uxorio» del coniuge separato beneficiario dell'assegno di mantenimento «iure proprio», ai fini della soppressione dell'assegno in giudizio di revisione delle condizioni di separazione, può ritenersi dimostrata dall'instaurazione della convivenza «more uxorio» e dell'intento di mettere in comune con il nuovo partner tutti i propri interessi materiali, morali ed affettivi, qualora tali elementi e fatti non siano vittoriosamente contestati in giudizio dal coniuge beneficiario dell'assegno, per quanto quest'ultima abbia, invece, eccepito in giudizio la mancanza dei caratteri di stabilità della convivenza; la stabilità del rapporto di convivenza «more uxorio», da valutare per la medesima finalità, non può rapportarsi ad una mera formula temporale (per es., in almeno un biennio, come nel caso argomentato dal coniuge resistente), ma alle caratteristiche e ai contenuti e alle finalità del rapporto concubinario. Ciò premesso, la convivenza «more uxorio» del coniuge separato beneficiario di un assegno di mantenimento con un compagno percettore di un reddito da lavoro, l'intrapresa attività lavorativa, sia pure saltuaria, da parte della medesima, il peggioramento rilevante e progressivo delle condizioni di salute del coniuge separato onerato dell'assegno, costituiscono circostanze sopravvenute che giustificano la revoca dell'assegno di mantenimento in favore del coniuge separato, già concordato nel precedente giudizio di separazione personale consensuale (Trib. Bari 25 settembre 2012, in Dir. fam., 2013, n. 3, 549). Il coniuge onerato del pagamento dell'assegno di mantenimento ha l'onere di provare non solo l'instaurazione ed il permanere di una convivenza « more uxorio » dell'avente diritto con altra persona, ma anche il miglioramento delle condizioni economiche dell'avente diritto a seguito di un contributo al suo mantenimento da parte del convivente, quanto meno in termini di risparmio di spesa, poiché la convivenza in quanto tale è di per sé neutra ai fini del miglioramento delle condizioni economiche del titolare dell'assegno, potendo essere instaurata anche con una persona priva di redditi e patrimonio (Trib. Roma I, 22 aprile 2011, in Giur. mer., 2013, n. 10, 2106, con nota di Serrao). In caso di richiesta di modifica delle condizioni di affidamento del figlio posto che la domanda è inammissibile se presentata come ricorso per tutela cautelare urgente, trattandosi di istanza da decidere in camera di consiglio, il giudice può riqualificare correttamente la domanda ed avviare il relativo procedimento in camera di consiglio, piuttosto che rigettare in rito un ricorso che dovrebbe essere subito ripresentato nei medesimi termini (Trib. Udine, 9 novembre 2006). In tema di obbligo di mantenimento a carico del padre ed a favore della figlia e della ex moglie, occorre precisare che le stesse sono soggette a modifiche in caso di sopravvenuto matrimonio: è onere del genitore interessato alla cessazione dell'obbligazione contestata provare la condizione di autosufficienza della figlia ovvero che il mancato svolgimento dell'attività lavorativa dipende dall'inerzia della stessa o dal rifiuto delle opportunità offertegli. Pertanto qualora la figlia posta in condizioni di completare gli studi abbia contratto matrimonio con persona avente una occupazione lavorativa, anche in caso di perdita di lavoro di quest'ultimo, l'obbligo di mantenimento a carico dei genitori non rivive, avendo la figlia costituito una propria nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente (Trib. Messina I, 17 aprile 2012). In tema di azione di disconoscimento di paternità e di azione intrapresa dal genitore non allocatario, il giudice, che è chiamato a pronunciarsi sul ricorso ex art. 710 per modifiche alle condizioni della ottenuta separazione per quanto concerne i provvedimenti riguardo ai figli e proposto dalla madre a seguito della suddetta iniziativa giudiziaria, è tenuto ad esaminare nel concreto ed in base ai documenti allegati dalle parti e nell'esercizio dei suoi poteri valutativi, ovviamente motivando, se nel caso a lui sottoposto sia rinvenibile effettivamente il disagio lamentato del figlio e lo stesso sia addebitabile alla responsabilità del genitore che abbia deciso di sapere se egli è il vero padre del figlio di cui non riconosce i tratti somatici comunque a lui ascrivibili (Trib. Ascoli Piceno 16 luglio 2015, n. 715). Nelle procedure camerali le quali si concludano con un provvedimento di natura decisoria su contrapposte posizioni di diritto soggettivo e quindi suscettibile di acquistare autorità di giudicato, e tale è senz'altro la pronuncia che, in sede di procedura ex art. 710, trovano piena applicazione i principi del processo di cognizione relativi all'onere dell'impugnazione ed alla conseguente delimitazione dell'ambito del riesame da parte del giudice di secondo grado, alle questione a lui devolute con i motivi di gravame: da ciò consegue fra l'altro che, qualora il provvedimento di primo grado venga tempestivamente investito, ad opera di una delle parti, di reclamo innanzi alla corte di appello, la controparte è abilitata — sì — ad introdurre specifiche istanze di riesame e di riforma del provvedimento stesso per ragioni diverse e contrapposte, ma deve farlo con analoga tempestività e con atto scritto formale (memoria) da depositare, al più tardi, alla prima udienza, mentre non le è consentito di poi aggiungere, nell'ulteriore corso del procedimento di gravame, ulteriori motivi di impugnazione (Cass. I, n. 6011/2003). Il verbale di separazione personale dei coniugi omologato è titolo esecutivo per gli importi di mantenimento ivi determinati fino a quando non vengono modificati con il procedimento di cui all'art. 710 c.p.c., che costituisce l'unico mezzo giudiziale di modifica delle sentenze e del verbale di separazione (cfr. Trib. Milano, III, 23 luglio 2018, n. 8258). Con l'opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione o di divorzio, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all'art. 710 c.p.c. o del divorzio di cui all'art. 9 della legge n. 898 del 1970 (Cass. III, n. 17869/2019: la S.C. ha evidenzaito che, nella specie, il fatto sopravvenuto costituito dalla collocazione del minore presso il padre non aveva privato il titolo esecutivo in materia di famiglia di efficacia e validità in quanto assistito da un'attitudine al giudicato, cd. "rebus sic stantibus", riguardo alla quale i fatti sopravvenuti potevano rilevare soltanto attraverso la speciale procedura di revisione del provvedimento sul contributo del mantenimento del figlio, devoluta al giudice della separazione o del divorzio e a questi riservata a tutela del superiore interesse pubblicistico di composizione della crisi familiare, rilevante per l'ordine pubblico). BibliografiaBriguglio-Capponi (a cura di), Commentario alle riforme del processo civile, I, Padova, 2007; Casaburi, Il nuovo processo di famiglia, in Giur. mer. 2006/3, 5 ss.; Cea, I processi di separazione e divorzio all'indomani della promulgazione della l. n. 80/2005, in Riv. dir. civ. 2006, II, 103 ss.; Cea, L'affidamento condiviso. 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